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giovedì 1 aprile 2021

E se invece la Corte di Karlsruhe stesse preparando la vendetta?

E se invece la Corte di Karlsruhe dopo lo smacco della scorsa estate sugli acquisti di titoli di stato da parte della BCE questa volta stesse cercando una rivincita contro la Corte di Giustizia europea e contro la Commissione? Improbabile ma non impossibile, almeno secondo alcuni economisti di spicco, ne scrive la FAZ.net

Prima di maggio non sarà possibile capire se la Corte costituzionale federale accoglierà il ricorso contro l'emissione di debito da parte dell'UE per finanziare il Fondo per la ricostruzione post-Corona da 750 miliardi di euro. Tanto più che da quando la Corte venerdì scorso ha chiesto al presidente tedesco di non firmare la corrispondente legge tedesca, almeno temporaneamente, la Commissione UE continua a fare il possibile per mantenere una certa compostezza. La ratifica della risoluzione in merito alle risorse proprie necessarie per l'assunzione di debito sta procedendo come previsto, si ripete quasi come se fosse una preghiera. 16 stati hanno ratificato la risoluzione e altri sei vogliono farlo entro la fine di aprile. Quale sarà la data di ratifica non è ancora chiaro per Ungheria, Polonia, Paesi Bassi e Austria. Ma i diplomatici dell'UE sostengono che questa situazione non rappresenti una grave minaccia in termini di ritardo. La Germania potrebbe restare da sola. (...)

Nessuno tuttavia vuole affrontare la questione cruciale e cioè se la Corte Costituzionale voglia effettivamente fermare o meno il Fondo per la ricostruzione. Secondo Guntram Wolff, direttore del think tank Bruegel di Bruxelles,  potrebbe trattarsi di un pericoloso errore. "Dopo le critiche feroci alla decisione azzardata sul programma di acquisto di titoli di stato della Banca centrale europea, i giudici ora potrebbero essere in cerca di una vendetta", avverte l'economista tedesco. Lars Feld, economista ed ex presidente del Consiglio degli esperti economici del governo tedesco,  a sua volta mercoledì su Twitter ha sottolineato che alla fine tutto ruoterà intorno alla questione della garanzia data dalla Germania, almeno teorica, sui debiti degli altri stati nell'ambito del Fondo per la ricostruzione - anche se il default di un altro stato dell'UE alla fine resta alquanto irrealistico.


Leggi anche: Per la politica tedesca è arrivata l'ora della verità




Karlsruhe sta drammatizzando

Lucas Guttenberg del Centro Jacques Delors di Berlino, invece ipotizza che Karlsruhe stia solo drammatizzando e che alla fine eviterà un serio scossone alla politica dell'UE. E un "NO" di Karlsruhe lo sarebbe sotto due aspetti. In primo luogo, il denaro del fondo non sarebbe piu' erogato nei tempi previsti. È vero che l'UE potrebbe spostare il fondo su di una nuova base giuridica, in quel caso probabilmente intergovernativa, come ha già ipotizzato di fare nella disputa con l'Ungheria e la Polonia sul meccanismo dello stato di diritto. Ma questo richiederebbe molto tempo e gli stati membri dovrebbero poi nuovamente ratificare la decisione. In secondo luogo, la capacità complessiva dell'UE nel suo insieme di agire politicamente verrebbe ancora una volta fondamentalmente messa in discussione.

Inoltre, come nel caso della sentenza della BCE, la Corte costituzionale federale fornirebbe a paesi come Polonia e Ungheria un argomento contro il riconoscimento delle decisioni della Corte di giustizia europea (CGCE) - proprio perché Karlsruhe rimetterebbe ancora una volta in discussione il fatto che solo la CGCE è responsabile dell'interpretazione del diritto comunitario. L'intervento dei giudici di Karlsruhe non è problematico, a condizione che entro la fine di giugno si riesca a liberare la strada. La Commissione poi potrà emettere obbligazioni come previsto nella seconda metà dell'anno. Da qui al 2026, infatti, la Commissione vuole raccogliere tra i 150 e i 200 miliardi di euro all'anno con questo scopo. Diventerebbe così il più grande emittente di obbligazioni sul mercato dell'eurozona. Quest'anno, tuttavia, il volume delle obbligazioni emessse inizialmente sarebbe molto più basso. Nel 2021 andrà agli stati solo il 13% del denaro del Fondo per la ricostruzione. Il grosso del denaro rimanente è riservato ai tre anni successivi.



mercoledì 27 novembre 2019

Perché quella tedesca resta un'egemonia a metà

"La Germania rimane in una posizione problematica di semi-egemonia: il paese ha la forza sufficiente per imporre le sue regole, ma non per farle rispettare. Mentre gli altri stati sono abbastanza forti per infrangere le regole, ma non per cambiarle", scrive l'ottimo Hans Kundnani sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per uscire da questa condizione semi-egemonica i tedeschi dovrebbero ripensare il loro modello economico ed eliminare la loro dipendenza dall'export e quindi dai loro mercati di sbocco. Per un paese che ha fatto dell'export un vanto nazionale e un elemento della propria identità, una rinuncia del genere sembra alquanto improbabile. Ne scrive Hans Kundnani sulla FAZ


Con lo scoppio dell'eurocrisi nel 2010, il futuro della Germania è diventato alquanto incerto. La crisi ha innescato un rinnovato dibattito sull'egemonia tedesca in Europa, dibattito che si è intensificato in seguito alla crisi dei rifugiati del 2015. Dopo l'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016, il futuro dell'alleanza transatlantica e lo stesso "ordine internazionale liberale" sono diventati alquanto incerti. Come si muoverà la Germania in una fase in cui tutto sembra cambiare - che gli analisti come Wolfgang Streeck definiscono un "interregno" nel senso gramsciano del termine?

Gli analisti di politica estera hanno regolarmente ignorato i problemi emersi durante la crisi dell'euro. Ma ciò non significa che i problemi siano stati risolti. Mentre il caos britannico ha provocato un rinnovato impegno retorico nei confronti del progetto europeo, l'integrazione europea è finita su di un binario morto. Nel frattempo la Germania rimane in una posizione problematica di semi-egemonia. Ciò significa in pratica che il Paese ha la forza sufficiente per imporre le proprie regole, ma non per farle applicare. Mentre gli altri stati sono abbastanza forti per infrangere le regole, ma non per cambiarle.

La serie di crisi che a partire dal 2010 hanno afflitto l'UE potevano rappresentare una oportunità di cambiamento. Durante la crisi dell'euro, i paesi dell'Europa meridionale, infatti, hanno accusato la Germania di non mostrare una "solidarietà" sufficiente. Durante la crisi dei rifugiati è stata la Germania invece a chiedere a sua volta "solidarietà" agli altri stati membri. Questa opportunità avrebbe potuto essere la base per un accordo complessivo basato su una comprensione comune dei diritti e degli obblighi fra gli Stati che fanno parte sia dell'area dell'euro che di Schengen, di fatto un "nucleo europeo". Ma invece di collegarle fra loro, la Germania ha cercato di separare entrambe le questioni. L'Europa è in trappola, come diceva Claus Offe.

L'elezione di Donald Trump potrebbe trasformarsi nel più grande shock strategico per l'intera Europa. Per Berlino emerge un dilemma particolarmente difficile: la posizione di semi-egemonia della Germania in Europa dipende da una particolare configurazione dell'ordine internazionale liberale sul quale la Germania ha viaggiato con un biglietto gratuito. Con ciò si intendono in particolar modo gli impegni in termini di sicurezza degli Stati Uniti, che in linea di principio hanno reso irrilevante la questione del potere militare nelle relazioni intraeuropee e hanno trasformato l'America in un consumatore di beni sempre disponibile. Oggi Washington è meno disposta a farlo rispetto al passato e potrebbe anche rinunciare a una parte della propria egemonia.

Le incertezze in merito agli impegni americani in materia di sicurezza  in Europa , negli ambienti geo-politici tedeschi hanno portato a una divisione fra atlantisti e post-atlantisti. Mentre gli atlantisti tendono a sottostimare il cambiamento strutturale nella politica estera degli Stati Uniti, i post-atlantisti non riconoscono l'entità delle difficoltà che l'Europa deve affrontare nello sviluppare autonomamente una strategia alternativa alle garanzie di sicurezza americane. Il problema è che anche gli stessi passi prudenti dell'Europa in direzione dell'autonomia strategica potrebbero ulteriormente indebolire l'impegno degli Stati Uniti.

I tedeschi non si sentono minacciati

Ma mentre sia gli atlantisti che i post-atlantisti parlano della necessità di rispondere alle nuove minacce in un mondo sempre più pericoloso, i tedeschi sembrano essere sempre piu' preoccupati dalla possibilità di perdere la loro identità di paese di pace. Nonostante le incertezze relative alla garanzia militare americana, i tedeschi semplicemente non si sentono minacciati. Molti oggi, ifnfatti, ritengono che l'assunzione di una maggiore "responsabilità", e in particolar modo un drastico aumento della spesa per la difesa, sarebbe una concessione a Trump e alle sue politiche.

Il futuro delle relazioni fra Germania e Cina dipende dal ruolo della Germania in Europa e dalle sue relazioni con gli Stati Uniti. Negli ultimi dieci anni la Germania è diventata sempre più dipendente dalla Cina come mercato di esportazione, soprattutto dopo che la domanda europea nel corso della crisi dell'euro è calata. Di conseguenza si è sviluppata una stretta relazione politica tra Berlino e Pechino. La crisi ha diviso l'Occidente fra paesi in surplus e paesi in deficit, avvicinando Cina e Germania.

Mentre la Cina sotto Xi Jingping iniziava ad acquistare società di medie dimensioni e diventava sempre più autoritaria, la Germania invece sembrava essere sempre più scettica ed incline ad un approccio fondato su un maggiore coordinamento transatlantico. Ma l'elezione di Donald Trump ha dato nuovo slancio all'idea di un'Europa come polo indipendente in un mondo multipolare nell'ambito di un triangolo con la Cina e gli Stati Uniti. In Cina, molti ritengono si tratti del partner più promettente, soprattutto in materia di cambiamenti climatici - e recentemente il governo tedesco è sembrato addirittura aver perso interesse nei confronti di un corso politico piu' severo in Europa.

La Germania deve ripensare il suo modello economico

Dietro queste difficili sfide di politica estera resta l'impegno costante da parte della Germania nei confronti di un modello economico basato sulle esportazioni che, nonostante le debolezze diventate ben visibili nell'ultimo decennio, può essere considerato senza dubbio un successo. Ma questo modello economico rende difficile la correzione degli squilibri macroeconomici all'interno dell'area dell'euro e ostacola nel lungo periodo l'esistenza di una moneta unica. Inoltre fa arrabbiare gli americani rendendo la Germania particolarmente vulnerabile agli attacchi di Trump e quindi dipendente dalla Cina autoritaria.

Ripensare il proprio modello economico è forse la sfida più grande per la Germania. Ciò sarebbe positivo non solo per i partner della NATO e dell'UE, i quali trarrebbero beneficio dall'aumento della domanda interna tedesca, ma anche per la Germania stessa: l'ossessione per la competitività della Germania ha promosso la disuguaglianza e l'insicurezza politica. L'infrastruttura fatiscente del paese richiede investimenti urgenti. Il forte consenso politico sull'identità della Germania come nazione esportatrice, tuttavia, vieta un tale ripensamento.

La domanda è se la Germania sia in grado o meno di ripensare questo modello prima che sia troppo tardi. Lentamente gli Stati Uniti si ritirano dal loro ruolo egemonico, che detengono dalla seconda guerra mondiale. Sembrano sempre meno disposti a fornire merci globali come la sicurezza e la domanda di beni, specialmente per l'Europa, che giustamente ritengono dovrebbe essere in grado da sola di prendersi cura di sé stessa. Mentre tutto, intorno a loro, si muove, i tedeschi pensano di poter ancora andare avanti come prima.

Molti vedono in ciò un'espressione dell'impegno della Germania nei confronti del liberalismo - e persino di una leadership tedesca in una situazione in cui il paese si vede sempre più circondato da forze "illiberali". Ma un tale pensiero binario in bianco e nero è un errore. Se la Germania vuole davvero salvare l'ordine liberale internazionale, il paese dovrà cambiare il proprio ruolo all'interno di questo ordine. A livello economico, ciò significa piu' che altro un aumento della domanda interna e una riduzione della dipendenza dalle esportazioni. In termini di sicurezza, significa fare molto di più per la sicurezza dell'Europa, oppure, se la Germania non fosse disposta a farlo, chiedersi allora quale prezzo il paese è disposto a pagare agli altri stati in cambio di questa sicurezza.



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giovedì 13 dicembre 2018

FAZ: Draghi continua a dare gas

Puntuale e immancabile il solito attacco a Draghi da parte della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per Holger Steltzner, condirettore del prestigioso quotidiano di Francoforte, Draghi sta ingannando l'opinione pubblica in quanto non sarebbe affatto vero che il QE terminerà a fine anno. Ma soprattutto Draghi, secondo Steltzner, non sarebbe interessato ai dolori che le sue politiche stanno causando ai risparmiatori e agli affittuari tedeschi. Dalla Faz.net


Ormai da diversi mesi il tasso di inflazione della zona euro ha superato il valore obiettivo della BCE mentre la zona euro da anni continua a crescere con forza. E cosa fa la BCE? Il board della banca centrale questo giovedì, come previsto, ha annunciato che a fine anno interromperà il programma di acquisto dei titoli di stato e delle altre obbligazioni.

Chiunque sostiene che la BCE abbia finalmente tirato il freno della politica monetaria è stato ingannato dal presidente Mario Draghi. Perché in realtà e nei fatti, la banca centrale continua a dare gas. Dal prossimo anno dovrebbero cessare solo gli acquisti netti di titoli di stato. Con il denaro delle obbligazioni in scadenza si continuerà comunque ad acquistare dei nuovi titoli. Non si può affatto parlare di un'interruzione del programma di acquisto.

Il bilancio della BCE resta gonfio come sempre

Il bilancio della BCE pertanto resta gonfio come sempre. A differenza della Federal Reserve statunitense, considerata un importante modello di riferimento sin dalla crisi finanziaria ed economica di dieci anni fa, la BCE non sta affatto riducendo il proprio portafoglio obbligazionario. Inoltre non alza i tassi di interesse, ma li lascia a zero e continua a praticare tassi di interesse negativi anche per le banche. Le conseguenze per i risparmiatori, per le pensioni o per i prezzi delle case e gli affitti, a Draghi ovviamente non interessano affatto, anche la Cancelliera Angela Merkel non sembra essere troppo d'intralcio.

Chiunque voglia afferrare almeno in parte quale livello abbia raggiunto il finanziamento degli Stati e delle società tramite la politica monetaria deve confrontare il bilancio della BCE con la performance economica di tutte le economie dell'Eurozona. Inimmaginabile, ma vero: il bilancio della BCE corrisponde a oltre il 40% della performance economica della zona euro.

La discutibile pratica del finanziamento dei paesi dell'eurozona da parte di Draghi inoltre ha appena ricevuto la benedizione della Corte di Giustizia Europea. Vediamo come reagirà la Corte costituzionale tedesca.

Dato che la BCE sta bruciando tutte le opzioni di politica monetaria a sua disposizione, nonostante la ripresa dell'attività economica, resta una domanda aperta: cosa potrà fare in una recessione che prima o poi sicuramente si presenterà? Comprerà anche le azioni oppure tutti i titoli di stato?

Draghi già oggi pretende di impostare il corso della politica monetaria per metà del mandato del suo successore. Per altri quattro anni, infatti, si andrà avanti acquistando altri titoli di stato. La fiducia perduta difficilmente potrà essere riconquistata dal successore Draghi, il quale senza dubbio si troverà in una posizione poco invidiabile.


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mercoledì 3 ottobre 2018

107 miliardi di integrazioni salariali che sembrano tanto sovvenzioni pubbliche alle imprese

Lo stato sociale tedesco tramite Hartz IV garantisce delle integrazioni salariali ai lavoratori che non raggiungono il minimo previsto dalle tabelle Hartz. Nel 2017 in media 982.089 nuclei hanno percepito dallo stato un sussidio integrativo in quanto lo stipendio di almeno uno dei componenti era al di sotto dei minimi previsti dalle leggi Hartz. Tra il 2007 e il 2017 lo stato ha erogato 107 miliardi di euro di integrazioni. Sebbene l'introduzione di un minimo salariale nel 2015 abbia invertito la tendenza degli ultimi anni, sono in molti a considerare le integrazioni salariali un aiuto di stato indiretto alle imprese tedesche che possono continuare ad offrire salari al minimo di legge perché tanto sarà lo stato a dover integrare gli stipendi. Dalla Faz.net



Centinaia di migliaia di persone in Germania pur avendo un'occupazione dipendono dalla sicurezza sociale di base. Lo stato paga per loro più di dieci miliardi di euro all'anno di sussidi. La Linke è molto critica e considera questa somma un aiuto di stato nascosto garantito ai datori di lavoro che pagano dei bassi salari.

Sono sempre di più i sussidi Hartz IV pagati a persone occupate. La somma ricevuta dalle cosiddette comunità di bisogno Hartz con almeno un componente occupato lo scorso anno ha superato i dieci miliardi di euro. L'anno prima erano stati 9,85 miliardi di euro. Nel complesso in Germania centinaia di migliaia di Aufstocker (percettori di un'integrazione salariale), sebbene abbiano un lavoro dipendente devono fare affidamento sulla  sicurezza di base (Hartz IV). Ciò emerge da una statistica della Bundesagentur für Arbeit su cui la Linke al Bundestag ha voluto portare l'attenzione.


Negli anni fra il 2007 e il 2017 a tali comunità di bisogno Hartz IV sono stati pagati un totale di oltre 107 miliardi di euro di integrazioni salariali. Il valore è oscillato tra i 9 e i 10,36 miliardi di euro e dal 2011 è sempre stato inferiore ai dieci miliardi di euro.

Una comunità di bisogno include i familiari più stretti all'interno di un nucleo per il quale l'Arbeitslosengeld II viene calcolato congiuntamente. Lo scorso anno ci sono state in media 982.089 comunità di bisogno con almeno un lavoratore occupato, fra queste 362.303 comprendevano almeno un minijobber. In media, i nuclei di questo tipo lo scorso anno hanno ricevuto 849 euro al mese.

"Da molti anni ormai l'intera società sovvenziona i datori di lavoro che pagano bassi salari o offrono ai dipendenti solo part-time o mini-job, anche se in realtà molti lavoratori vorrebbero lavorare di più", ha detto la portavoce per il mercato del lavoro della Linke Sabine Zimmermann. La sua proposta prevede di aumentare il salario minimo, di impedire l'assunzione sistematica a basso salario sotto forma di lavoro interinale e di trasformare i mini-jobs in posti di lavoro soggetti a contribuzione per la sicurezza sociale.


sabato 29 settembre 2018

Thomas Mayer: la capitolazione tedesca

Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung Thomas Mayer, professore di economia, commentatore ed ex capo-economista di Deutsche Bank, spiega ai tedeschi perché le notizie che arrivano dall'Italia e le richieste dei sud-europei testimoniano la totale capitolazione dell'ideologia tedesca. E' probabile che l'ordoliberalismo tedesco stia serrando i ranghi per lanciare una controffensiva. Thomas Mayer dalla FAZ.net


Francia e Germania, quando si tratta di interpretare il ruolo che lo stato deve avere nell'economia e nella politica monetaria sono separate da una profonda "fossa renana". Mentre in Francia prevale la convinzione che lo stato abbia il diritto di dirigere l'economia, in Germania dopo la seconda guerra mondiale prevalse l'opinione che lo stato dovesse restare fuori da questo ambito. La "fossa renana" durante tutti gli euro-salvataggi ha piu' volte causato un forte attrito, fino a quando il governo federale non ha deciso di annacquare la posizione tedesca rendendola irriconoscibile.


Ciò è dimostrato dal sostegno dato alla trasformazione della Banca centrale europea di Mario Draghi nel prestatore di ultima istanza per gli stati e dalla dichiarazione di Meseberg concordata insieme ai francesi, con la quale in sostanza si mira a mettere in comune la responsabilità sui debiti delle banche e degli stati. Si potrebbe pensare che con questa capitolazione la disputa sulle diverse idee in merito all'architettura dell'unione monetaria  sia finalmente terminata. Sarebbe un errore.

Fossa renana e barriera alpina

Alla fossa renana che divide Francia e Germania corrisponde una "barriera alpina" che separa Germania e Italia. E' sicuramente vero che le opinioni dei politici e degli economisti in Italia non sono così omogenee come accade in Francia. Ma c'è ampio consenso lungo tutto lo spettro politico sul fatto che le politiche monetarie e fiscali svolgano un ruolo cruciale nel creare crescita economica e occupazione. Ogni giorno le élite italiane si lamentano per la sofferenza del loro paese causata delle regole di politica fiscale ispirate dalla Germania e insistono sul fatto che la politica monetaria estremamente espansiva avviata dal presidente della BCE Draghi sarà indispensabile anche in futuro. Il nuovo governo italiano, che si è presentato come avversario delle élite, non fa eccezione.

Ciò emerge chiaramente anche da una recente presa di posizione di Paolo Savona, il Ministro per gli affari europei, a cui la mia collega Agnieszka Gehringer ha fatto riferimento poco tempo fa. Savona, che originariamente era stato indicato dai partner di coalizione come Ministro delle Finanze, ma la cui nomina in questo ruolo era stata bloccata dal Presidente Mattarella, parla di una riunione del 5 luglio a cui hanno preso parte il ministro Salvini, il ministro delle finanze Tria e il ministro Di Maio. L'occasione dell'incontro era stata la formulazione di una posizione italiana nei negoziati per l'ulteriore sviluppo dell'Unione Europea. La squadra dei ministri tra le altre cose in quell'occasione aveva chiesto un ampliamento dello statuto della BCE. Oltre alla stabilità dei prezzi, la BCE dovrebbe impegnarsi anche a promuovere la crescita economica, come già avviene negli Stati Uniti. Inoltre sempre la BCE dovrebbe essere in grado di controllare il tasso di cambio dell'euro intervenendo sul mercato dei cambi, e agire come prestatore di ultima istanza per gli stati al fine di impedire gli "attacchi speculativi" dei mercati finanziari. I ministri vorrebbero inoltre introdurre una "politica europea per gli investimenti" al fine di aumentare la non soddisfacente crescita economica e ridurre le differenze in termini di sviluppo e produttività tra i paesi dell'euro. Questa politica dovrebbe "sfuggire ai vincoli finanziari del bilancio europeo" e non essere piu' soggetta alle limitazioni del patto di stabilità e crescita.

Il fallimento italiano dall'inizio della crisi finanziaria

Il dispiacere dei ministri è comprensibile in quanto l'economia italiana non è stata in grado di adattarsi ai vincoli imposti dalla moneta unica europea. Il fallimento è diventato particolarmente evidente negli ultimi dieci anni a partire dalla crisi finanziaria. Oggi la produzione industriale è del 15% inferiore rispetto ai livelli del 2008 e il prodotto interno lordo reale del 3,4% inferiore rispetto al 2008. Dieci anni di crescita negativa sono difficili da tollerare in qualsiasi società. Dal punto di vista tedesco, che influenza anche le istituzioni dell'UE, le rigidità strutturali dell'Italia impediscono il necessario adattamento dell'economia alle esigenze create dalla moneta unica. Dal punto di vista italiano, tuttavia ad essere responsabile è la fine della politica di svalutazione della moneta e della spesa pubblica finanziata a debito, che ora invece dovrebbe essere applicata all'unione monetaria.

Venti anni di unione monetaria hanno evidenziato che la capacità di aggiustamento strutturale dell'Italia è molto limitata. Otto anni di crisi dell'euro hanno al contrario rivelato che il quadro istituzionale dell'unione monetaria è estremamente flessibile. Dal punto di vista italiano, è ben chiaro il modo in cui la barriera alpina può essere superata: eliminando ciò che resta delle posizioni tedesche.

martedì 28 agosto 2018

"Perché i tedeschi non possono avere un presidente della BCE?"

Se lo chiede Holger Steltzner sulla FAZ, uno dei direttori del quotidiano, il quale critica la decisione di sacrificare la candidatura del fido Jens Weidmann e propone una spiegazione per inquadrare la scelta della Cancelliera: Merkel vuole la presidenza della commissione per poter imporre a livello europeo la redistribuzione dei migranti. Dalla FAZ.net


La Cancelliera Angela Merkel ridicolizza un altro presidente della Bundesbank. In passato aveva già negato ad Axel Weber il suo sostegno politico per il passaggio al vertice della BCE, aprendo in questo modo la strada a Mario Draghi, il quale poi con i tassi di interesse negativi ha svalutato i risparmi e ha pompato i prezzi delle attività sul mercato immobiliare.

Ciononostante, molti continuano a celebrare il presidente italiano della BCE come il "salvatore" dell'euro, sebbene abbia messo la BCE al servizio della politica, oppure proprio per questa ragione. A Draghi non interessava che alla banca centrale fosse vietato finanziare gli stati. Con i giganteschi acquisti di titoli di stato ha trasformato la BCE nel piu' grande creditore dei paesi dell'eurozona.

La Germania ora aveva di nuovo la possibilità di esprimere il presidente della BCE. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in quanto eccellente politico monetario, sarebbe stato un ottimo candidato per la successione a Draghi. Weidmann se avesse scelto di mettere la BCE sulla strada della normalizzazione della politica monetaria avrebbe potuto riconciliare i tedeschi con l'euro. La Cancelliera nonostante il rifiuto proveniente dall'Italia avrebbe comunque potuto imporre Weidmann - ma Merkel ancora una volta non vuole avere un tedesco al vertice della BCE. Il fatto che un tedesco non sia candidabile per questa posizione ci dice molto sullo stato di salute dell'unione monetaria. L'Italia ha di fatto un diritto di veto sulla nomina del presidente della BCE? Puo' diventare presidente della BCE solo chi è disposto ad acquistare obbligazioni governative?

Merkel non ha alcun interesse ad avviare un diverso corso della BCE

E a dimostrare l'incapacità del governo federale c'è il fatto che anche Berlino preferisce avere a Francoforte qualcuno che fa politica per i debitori e che non si preoccupa delle conseguenze per i risparmiatori e per le pensioni. Nelle interviste domenicali i politici tedeschi ci dicono che si riconoscono nei valori della Bundesbank. In realtà il governo federale si è schierato sul fronte opposto. Davanti alla Corte Costituzionale tedesca, quando si discuteva dei tanto contestati acquisti dei titoli di stato, i rappresentanti di Berlino erano palesemente seduti a fianco della BCE. Ovviamente per Merkel le preoccupazioni dei risparmiatori sono totalmente irrilevanti, esattamente quanto lo è il divieto di finanziamento monetario degli stati per Draghi.

Nel nostro paese sono in molti a pensare che la Germania per poter esprimere un presidente della BCE dovrebbe pagare un prezzo elevato. In politica è normale che ci si batta duramente per poter occupare le posizioni di vertice. Vengono creati dei pacchetti da scambiare e nuove posizioni da mettere sul piatto della bilancia: come ad esempio la presidenza della commissione o la presidenza del consiglio o i 3 nuovi posti da direttore alla BCE. E' anche vero che nulla è veramente deciso fino a quando l'intero pacchetto non è pronto.

Ma che la Germania debba pagare un prezzo aggiuntivo per Weidmann, al di là del solito mercanteggiamento, è una tipica considerazione tedesca, una forma di obbedienza anticipata che esiste solo in questo paese. Gli olandesi, i francesi o gli italiani non avrebbero mai avuto l'idea di dover pagare un "prezzo" politico per il loro presidente della BCE.

Altmaier mette sul piatto della bilancia un peso politico all'altezza?

Merkel, invece di un presidente della BCE, sarà soprattutto in grado di mettere alla presidenza della prossima commissione europea una persona fidata? Chi ritiene che un presidente di commissione sia piu' importante del presidente della BCE ha dimenticato quale è stato l'attore piu' capace durante la crisi dell'euro. Draghi ha mostrato che un presidente BCE consapevole del proprio potere in 8 anni ottiene molto di piu' di un presidente della commissione in cinque.

Gli ultimi presidenti di commissione erano tutti ex capi di governo. Il ministro della difesa o dell'economia del nostro paese avranno un peso politico sufficiente in quanto potenziali candidati? Qual'è la forza trainante di un parlamentare europeo poco conosciuto fuori da Bruxelles nel ruolo di candidato principale di Merkel per il Partito Popolare Europeo?

Merkel ha deciso contro Weidmann. E' sicuramente un suo diritto, ed è politicamente persino comprensibile. Perché al centro della sua politica non ci sono i risparmiatori o i contribuenti, ma i rifugiati. Vorrebbe continuare la sua politica sui rifugiati a livello europeo e in futuro redistribuire i migranti all'interno dell'UE. Per questo progetto, contro il quale c'è una forte resistenza non solo nell'Europa centro-orientale e in Scandinavia, le sarebbe utile avere un presidente della commissione di fiducia. Naturalmente è lecito che la Cancelliera prenda tali decisioni relative alle posizioni da occupare. Con un "candidato" tedesco alla presidenza della commissione puo' anche sperare di portare piu' voti alla CDU alle prossime elezioni europee.

Ma per fare cio' deve per forza rinnegare il suo compagno di viaggio di lunga data Weidmann? Invece di preparare in segreto l'intero pacchetto, l'Unione prima con dei commenti saccenti ha candidato Weidmann alla successione di Draghi, per poi bruciarlo rendendo pubblica una conversazione privata con Merkel. Cio' che resta è un altro presidente della Bundesbank danneggiato.


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lunedì 6 agosto 2018

H.W. Sinn: perché non possiamo banalizzare i saldi Target (parte seconda)

Sulle pagine della FAZ.net va in onda l'ennesima puntata dell'interminabile dibattito sulla natura dei saldi Target. Questa volta il prof. Sinn risponde a Martin Hellwig e a tutti gli economisti tedeschi che continuano a minimizzare l'importanza dei saldi Target, si arriva da qui. Dalla Faz.net


Le regole per il rimborso dei saldi sono state dimenticate


Nell'euro le regole per il rimborso dei saldi Target sono state "dimenticate". E' quindi perfettamente comprensibile che i vertici dei paesi attualmente in crisi abbiano trovato molto vantaggioso farsi stampare sempre piu' denaro dalla propria banca centrale, invece di farselo prestare negli altri paesi alle normali condizioni di mercato. Centinaia di miliardi di euro sono stati prestati alle banche commerciali locali mediante i crediti Ela e Anfa, con una decisione presa in proprio, e allo stesso tempo i paesi in crisi grazie ai loro voti nel consiglio BCE hanno deciso che le banche centrali nazionali per la concessione dei prestiti di rifinanziamento potevano accontentasi di garanzie sempre peggiori. Hanno potuto accettare perfino titoli spazzatura con un rating BBB. Il margine discrezionale per la definizione dei criteri è stato molto ampio.


Le banche commerciali dei paesi sovra-indebitati hanno poi trasferito all'economia privata, a condizioni estremamente favorevoli rispetto a quelle di mercato, tutta questa liquidità stampata nella tipografia nazionale. Cio' ha permesso di fare sempre piu' trasferimenti netti verso gli altri paesi senza che la liquidità nazionale si prosciugasse. Si tratta di un aspetto decisivo di cui Hellwig non si occupa. Le banche centrali del sud, con la loro enorme creazione di credito, hanno marginalizzato gli investitori internazionali i quali hanno sviluppato una sempre maggiore riluttanza a finanziare il crescente debito pubblico e privato nell'Europa meridionale.

La marginalizzazione del mercato dei capitali privato attraverso la rinuncia ad un premio di rischio adeguato per uno specifico paese rappresenta una distorsione fondamentale nella allocazione del capitale che nel lungo periodo rende l'Europa piu' debole. Non è un problema transitorio e nemmeno una questione di eredità del passato, piuttosto un problema strutturale e permanente che puo' affondare l'Europa se non viene risolto.

La creazione asimmetrica di moneta è solo una delle ragioni della crescita dei saldi Target. Dal 2015 si sono poi aggiunti gli acquisti nell'ambito del programma di QE che nel frattempo hanno raggiunto i 2.4 trilioni di euro e che per circa la metà del loro importo hanno riguardato investitori non appartenenti all'area dell'euro. Poiché gli investitori hanno trasferito i loro proventi soprattutto in alcuni paesi del nord dell'eurozona, soprattutto in Germania, per poter poi investire il loro denaro in questi paesi, le  banche centrali coinvolte si sono trovate costrette a fornire la liquidità richiesta, fatto che ha portato ad un ulteriore aumento dei saldi Target.

Scambio fra i titoli di debito pubblico cartolarizzati e debiti Target

Il procedimento tecnico di cui la BCE in questo contesto parla volentieri implica che nel portafoglio degli investitori di tutto il mondo una grande quantità di titoli di stato del sud-Europa sia stata sostituita da attività di ogni tipo provenienti dalla Germania, mentre i venditori residenti in Germania, incluse le banche, che hanno messo a disposizione dei loro clienti i conti bancari hanno ricevuto in cambio dei pagamenti in euro dalla Bundesbank, la quale a sua volta è stata compensata con dei crediti Target nei confronti dell'eurosistema. Si tratta di una enorme azione di ristrutturazione del debito a cui la Bundesbank ha dovuto partecipare forzosamente.

I paesi sovra-indebitati dell'Eurozona hanno potuto sostituire il loro debito pubblico cartolarizzato verso investitori privati, i quali a volte possono anche diventare noiosi, con dei comodi debiti Target nei confronti dell'eurosistema e quindi sostituire indirettamente i creditori privati con la Bundesbank. Allo stesso tempo gli investitori di tutto il mondo hanno avuto la possibilità di scambiare i loro titoli di stato del sud-Europa con delle azioni, delle aziende, delle partecipazioni o altre attività. Certamente fra i portafogli salvati ce n'era anche qualcuno tedesco, cosa che avrà sicuramente fatto rallegrare alcuni gestori di fondi tedeschi. Questi tuttavia avrebbero potuto essere salvati in maniera diretta risparmiando molto denaro, se solo lo si fosse voluto. Non era certo necessario salvare tutti i fondi pensione investiti nell'Europa del sud. Il giubilo che il programma di QE ha scatenato a Wall Street e a Londra dovrebbe destare qualche preoccupazione.

Draghi: l'Italia deve saldare per intero il debito Target

In particolare il pericolo si materializzerebbe se un paese o piu' paesi dovessero lasciare l'eurosistema. Se l'eurosistema nel complesso dovesse collassare, la parte tedesca dell'area valutaria si troverebbe su di un enorme montagna di moneta creata dalla banca centrale, troppo grande per un solo paese e con enormi rischi di inflazione. La Bundesbank dovrebbe quindi avviare una riforma monetaria oppure incassare il denaro per poi bruciarlo, ad esempio vendendo titoli pubblici che in precedenza aveva ricevuto in regalo dal tesoro tedesco. Questo scenario è la minaccia con l'aiuto della quale la Germania nei prossimi anni potrebbe essere costretta ad entrare in una unione di trasferimento. Le perdite in quel caso si manifesterebbero nel bilancio dello stato.

Sarebbe molto scomodo anche se un singolo paese come l'Italia dovesse minacciare l'uscita. In una lettera a 2 deputati Cinque Stelle Mario Draghi ha dichiarato che l'Italia in caso di uscita dalla moneta unica avrebbe dovuto saldare interamente il suo debito Target. Secondo Martin Hellwig, tuttavia, non vi è alcuna base giuridica per fare cio', e anche se fosse obbligata a farlo, di fatto Banca d'Italia potrebbe anche non adempiere ai suoi obblighi perché i suoi attivi sarebbero costituiti da lire svalutate e sul lato del passivo del bilancio ci sarebbero i debiti Target in euro. In un modo o nell'altro la Germania dovrebbe sopportare una perdita in proporzione pari al 31% del debito Target italiano mentre non sarebbe possibile annullare né l'acquisto dei titoli di stato fatto da Banca d'Italia né il trasferimento di merci e attività tedesche agli stranieri.

Che lo stato italiano in questo caso sia solvente o meno, contrariamente all'opinione di Hellwig, non ha alcuna importanza, perché i titoli di stato italiani che Banca d'Italia ha acquistato appartengono solo a lei, e non sono garantiti dall'eurosistema. Si tratta in primo luogo degli stessi saldi Target.

Avrei preferito che ad occuparsi dei saldi Target al posto dei tecnocrati dell'eurosistema almeno una volta nella storia dell'eurozona vi fossero stati dei rappresentanti eletti democraticamente affinché l'opinione pubblica possa finalmente capire cosa sta realmente accadendo.

domenica 1 luglio 2018

Da Meseberg verso l'unione di trasferimento

Sulla FAZ 4 economisti tedeschi di spicco, Thomas Mayer, Dirk Meyer, Gunther Schnabl e Roland Vaubel, consigliano di tenere gli occhi ben aperti sul progetto franco-tedesco di riforma dell'eurozona. Per i 4 economisti il documento di fatto aprirebbe la strada alla temutissima unione di trasferimento. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung


Il presidente francese Macron e la cancelliera Merkel durante la riunione al castello di Meseberg del 19 giugno 2018 hanno trovato un accordo sulle misure "per un ulteriore rafforzamento dell'area dell'euro e per la trasformazione in una vera unione economica". Le misure proposte vanno nella direzione di una ulteriore espansione dell'unione bancaria e monetaria europea e di una loro trasformazione in una unione fondata sulla responsabilità comune, come temuto dai 154 professori di economia nel loro appello pubblicato sulla FAZ.

Il documento prevede una trasformazione del meccanismo europeo di stabilità (ESM) in un Fondo Monetario Europeo (FME) sottoposto alla legislazione dell'UE. A tal proposito si afferma nella dichiarazione:

"Come primo passo abbiamo bisogno di cambiare il trattato intergovernativo ESM per migliorare l'efficacia degli strumenti di prevenzione e per rafforzare il suo ruolo nella valutazione e nel monitoraggio dei programmi futuri. In una seconda fase potremo garantire l'integrazione dell'ESM all'interno della legislazione dell'UE, mantenendo al contempo i suoi elementi di controllo centralizzati".

Se l'ESM dovesse essere recepito nel diritto UE, il ruolo dei parlamenti nazionali nella concessione degli aiuti per gli aggiustamenti strutturali verrebbe notevolmente indebolito. Poichè nel nuovo FME i singoli paesi nel caso di decisioni urgenti potrebbero perdere il diritto di veto, i paesi creditori potrebbero essere messi in minoranza. Cosi' ad esempio il Bundestag tedesco perderebbe il suo diritto di controllo. Inoltre, se il FME dovesse passare sotto il diritto europeo, finirebbe sotto l'influenza di paesi non appartenenti all'area dell'euro.

Ristrutturazione del debito degli stati membri

"Al fine di migliorare l'attuale quadro di sostenibilità del debito e aumentarne l'efficacia, dovremmo iniziare a lavorare sulla possibilità di introdurre clausole di ristrutturazione del debito con un solo livello di aggregazione".

La proposta sembra andare nella direzione di quanto da noi auspicato, vale a dire un nuovo quadro normativo per l'insolvenza degli stati. Cio' aprirebbe la possibilità di ristrutturare il debito degli stati insolventi. Tramite "l'aggregazione ad un livello" dei voti dei creditori (piuttosto che una maggioranza a due livelli per tutte le serie di obbligazioni e poi per le singole obbligazioni) si ridurrebbe la possibilità dei singoli investitori di bloccare la ristrutturazione del debito. L'esecuzione della ristrutturazione in questo modo sarebbe piu' facile. E questa è una buona cosa.

"L'ESM avrà un ruolo maggiore nella progettazione e nel monitoraggio dei programmi in stretta cooperazione con la Commissione e in collaborazione con la Banca centrale europea (BCE) e sulla base di un compromesso da negoziare fra la Commissione e l'ESM. Dovrà essere in grado di valutare la situazione macroeconomica negli Stati membri e quindi contribuire a prevenire le crisi. Ciò dovrà essere fatto nel pieno rispetto dei trattati e senza riflettere il ruolo della Commissione"

L'integrazione dell'ESM con la politica monetaria europea contraddice con il mandato della BCE, vale a dire quello di definire la politica monetaria per l'area dell'euro nel suo complesso. Inoltre, l'ESM non avrà alcun interesse a sospendere i programmi in caso di non conformità delle condizioni, in quanto la concessione dei prestiti genera dei flussi di reddito.

"Ogni volta che uno Stato membro richiede l'assistenza finanziaria dell'ESM, potrà richiedere anche l'assistenza finanziaria del FMI".

Assistenza finanziaria del FMI solo quando il debito è sostenibile

Il sostegno finanziario da parte dell'FMI prevede che il debito del destinatario sia sostenibile. Al fine di garantire un'analisi politicamente neutrale, la richiesta di assistenza finanziaria al FMI non dovrebbe essere facoltativa, ma obbligatoria. 

"Come ulteriore sviluppo della linea di credito preventiva dell'ESM (PCCL,) il sostegno finanziario potrebbe essere invocato nel caso di problemi di liquidità, se vi è appunto il rischio che i membri del MES perdano l'accesso ai mercati, sebbene non vi sia la necessità di un programma completo".

In questo modo per un paese dovrebbe essere piu' facile ottenere la liquidità prevista da un "PCCL", senza dover quindi soddisfare tutte le condizioni necessarie per un programma completo. Inoltre un PCCL potrebbe aprire la porta del sostegno al paese attraverso il programma OMT della BCE. Tramite la cooperazione fra FME e BCE ciascun paese potrebbe ricevere un supporto illimitato di liquidità.

Il Bundestag perderebbe il controllo su oltre 60 miliardi di euro

Se il meccanismo europeo di stabilità (ESM) sarà utilizzato come una riassicurazione per il risanamento delle banche (Backstop) e avrà il diritto di prestare i 60 miliardi di euro previsti dall'ESM e tale importo dovrà essere rimborsato entro tre anni attraverso una tassa bancaria, sorgerebbero allora tre problemi seri:

1. L'ESM e quindi il Bundestag perderebbero il controllo su oltre 60 miliardi di fondi ESM.

2 Dato che la "tassa sulle banche" è tutt'altro che adeguata al rischio, le banche tedesche e i risparmiatori tedeschi dovranno sostenere gran parte dei costi di ristrutturazione delle banche greche, italiane e degli altri paesi

3. Poiché il Backstop dovrebbe entrare in vigore dal 2021, le banche in difficoltà e le loro autorità di regolamentazione avranno un incentivo a posticipare fino a quel momento la comunicazione e la ripulitura dei bilanci dai loro crediti inesigibili e la valutazione del rischio dei titoli di stato in loro possesso. Cio' a scapito della crescita economica e della stabilità finanziaria. 

Senza il backstop, la pressione per rafforzare i bilanci bancari e liquidare le banche insolventi sarebbe maggiore.

I negoziati potrebbero iniziare a giugno

"Il lavoro su una tabella di marcia per l'avvio delle trattative politiche sull'EDIS dovrebbe iniziare dopo il consiglio europeo di giugno".

Se il sistema di garanzia sui depositi bancari dovesse essere messo in comune come pianificato, ad essere socializzati sarebbero anche i costi degli errori che le banche e i governi hanno commesso in passato. 

"Siamo determinati a compiere progressi decisivi verso l'unione del mercato dei capitali in merito a tutti gli argomenti concordati dai nostri ministri delle finanze".

L'Unione del mercato dei capitali dovrebbe infatti essere completata, anche perché i movimenti internazionali dei capitali compensano gli shock asimmetrici.

"Proponiamo di istituire a partire dal 2021, nel quadro dell'Unione europea, un bilancio per la zona euro al fine di aumentare la competitività, la convergenza e la stabilizzazione nella zona euro."

Un bilancio comune porterà ad ulteriori trasferimenti verso quei paesi della zona euro che in passato non hanno adottato le necessarie misure di riforma. Sarebbe sbagliato premiare la cattiva condotta. Attraverso il sistema di pagamento interbancario Target2 la Germania si è già fatta carico di oltre 900 miliardi di euro di passività della BCE, che non hanno interessi e senza una scadenza. Ci sono già dei fondi disponibili sottoforma del cosiddetto fondo per gli investimenti di Juncker (EFSI, 500 Miliardi di euro) oppure il Fondo Europeo di coesione. Dovrebbero essere gli stati nazionali a garantire per la stabilizzazione della congiuntura nazionale.

"Esamineremo il tema di un fondo europeo per la stabilizzazione della disoccupazione in caso di gravi crisi economiche, senza che questo si trasformi in una unione di trasferimento".

La disoccupazione ha principalmente cause interne la cui responsabilità di solito è dei paesi membri. I prestiti UE non fanno altro che ritardare l'adeguamento necessario. Inoltre, un fondo comune per le indennità di disoccupazione costituisce un passo ulteriore verso la messa in comune delle prestazioni sociali.

mercoledì 23 maggio 2018

Hans-Werner Sinn: l'Italia non ha fatto nulla per rilanciare la propria competitività

Dopo aver ascoltato e letto le nuove idee sull'euro in arrivo dall'Italia, la stampa tedesca lancia la Strafexpedition. La FAZ schiera subito un pezzo da novanta come Hans Werne Sinn il quale non ha dubbi: il boom dei partiti eurocritici è dovuto al fatto che in Italia si è fatta poca austerità e poca moderazione salariale. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung


La spettacolare ascesa dei partiti radicali in Italia, e il loro tentativo di mettersi in mostra promettendo incredibili benefici economici, sarebbe una conseguenza degli errori commessi durante gli euro-salvataggi. E' questa la tesi sostenuta dall'economista Hans-Werner Sinn, l'ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco, nella sua ultima analisi sullo sviluppo del sud-europa dall'inizio dell'eurocrisi che verrà pubblicata a breve dal Ces-Ifo come documento di lavoro dal titolo"The ECB’s Fiscal Policy“.

I risultati di questo studio, pubblicati in anticipo dalla FAZ, sono spiazzanti: la relazione fra la forte crescita dei partiti estremisti nell'Europa meridionale e le difficoltà economiche dovute alla crisi dell'euro è piu' un'illusione che una verità. La colpa di quanto accaduto, secondo Sinn, sarebbe invece degli stati europei e della Banca Centrale Europea (BCE) i quali si sarebbero addentrati sempre piu' in una "spirale interventista" fino ad arrivare al QE e all'acquisto dei titoli di stato da parte della banca centrale, uscendo quindi dal campo della politica monetaria per entrare in quello della politica fiscale. 

Solo la Grecia, la Spagna e la Francia hanno fatto progressi

La ripresa che a partire dall'eurocrisi puo' essere osservata nell'Europa meridionale, Sinn la definisce un "Flash Keynesiano";  un fuoco di paglia creato dai salvataggi, dalle misure di sostegno, dall'abbassamento artificiale dei tassi di interesse e dai diversi programmi di acquisto titoli della BCE. Questo stimolo economico avrebbe portato ad una certa ripresa nell'Europa del sud, soprattutto nel settore dei beni non commerciabili e dei servizi locali. Cio' tuttavia avrebbe impedito l'aggiustamento verso il basso dell'eccessivo livello salariale e in parte avrebbe garantito anche degli aumenti salariali. Al contrario, in questi paesi il settore internazionale dei beni commerciabili e l'industria non ne avrebbero affatto beneficiato. Non è vero che in questi paesi ci sarebbero al momento delle difficoltà, nonostante la falsa ripresa - le difficoltà persistono, in parte, proprio per questa ragione.

"I problemi di competitività restano", scrive Sinn. Lo mostra un confronto tra i tassi di cambio reale, cioè il prezzo dei beni auto-prodotti in questi paesi in rapporto al resto dell'eurozona. "Italia e Portogallo in 10 anni non hanno fatto nulla di concreto per migliorare la loro competitività", dice Sinn. Solo la Grecia e la Spagna - "e in parte anche la Francia" - avrebbero fatto qualche passo in avanti. "Per la Grecia e la Spagna tuttavia lo sforzo per l'adeguamento è particolarmente grande e il percorso particolarmente lungo", afferma Sinn. Entrambi i paesi, sotto l'influenza dei programmi di aiuto, avrebbero cessato ogni sforzo per diventare piu' competitivi.

L'Irlanda è un caso eccezionale

Se si confronta il prodotto interno lordo reale di oggi e quello di prima della crisi, l'Italia con un meno 5% è al penultimo posto in Europa prima della Grecia. La Germania è cresciuta del 13%, la Francia è a un piu' 8%, la Spagna al 4% e il Portogallo intorno allo zero %.

Considerando solo la produzione dell'industria e del settore manifatturiero („Manufacturing output“) nei rispettivi paesi rispetto a prima della crisi dell'euro, il dato per l'Italia sarebbe ancora peggiore con un meno 17%. La Germania in questo confronto avrebbe un piu' 9%, la Francia segna un meno 9%, Grecia e Spagna addirittura un meno 20% ciascuna. "Queste cifre gettano una luce sui problemi economici che hanno portato al violento e drammatico aumento dei partiti estremisti in questi paesi negli ultimi anni", afferma Sinn.

Un caso notevole è l'Irlanda, sottolinea l'economista. L'Irlanda è stato il paese con la maggiore svalutazione reale e allo stesso tempo è riuscita a ripristinare la propria competitività. "Non è successo grazie agli aiuti, ma perché il paese è entrato in crisi già alla fine del 2006, non ha ricevuto nessun aiuto ed è stato costretto a tirare la cinghia - con una riduzione dei prezzi e dei salari", dice Sinn. Quando nel 2011 sono arrivati i salvataggi,  l'auto-aiuto irlandese è cessato immediatamente: "fortunatamente il lavoro era già stato fatto".

Le reazioni all'appello degli economisti

L'accorato appello dei 154 economisti trova divesi sostenitori nella politica e qualche scettico sia nella SPD che fra gli economisti. Ne parla la FAZ.net


L'appello dei 154 professori di economia contro la messa in comune delle responsabilità all'interno dell'area euro divide la coalizione di governo. Dall'Unione arriva approvazione, qualche critica invece dalla SPD. "Vogliamo piu' Europa, ma non al prezzo di dover annacquare e spostare le responsabilità", ha detto il portavoce sui temi di bilancio del gruppo parlamentare dell'Unione, Eckhardt Rehberg, alla FAZ. L'assunzione di rischi da parte di uno stato deve essere collegato alle responsabilità di quello stato membro. A questo proposito le valutazioni sulle promesse elettorali italiane di oltre 100 miliardi di euro, considerando il rapporto debito/PIL oltre il 130%, sarebbero contrarie alla razionalità economica. "L'Italia sta giocando pesante", ha detto il politico della CDU. "Evidentemente in alcuni stati europei l'ultima crisi del debito è già stata completamente dimenticata".

Il vicepresidente del gruppo parlamentare della SPD, Achim Post, ha cercato invece di abbassare i toni: "In un momento cosi' importante per il futuro d'Europa mi piacerebbe vedere appelli che abbiano anche la capacità di mostrare un progetto futuro per l'Europa, invece di accontentarsi di elencare preoccupazioni e dubbi di ogni tipo".

Naturalmente le riforme devono essere attentamente considerate e ponderate in termini di rischi. Inoltre, non tutte le idee di riforma attualmente in discussione sono già abbastanza mature: "una maggiore coesione nell'eurozona non rappresenta un rischio per la sicurezza, al contrario, puo' e deve contribuire a rendere l'Eurozona ancora piu' a prova di crisi. E cio' sarebbe anche nell'interesse tedesco", ha detto il politico della SPD.

Il politico di AfD von Storch si rallegra

Il gruppo della FDP si sente confermato dall'appello. "Gli aiuti nell'eurozona devono essere sempre l'ultima ratio e non possono portare ad una messa in comune dei debiti", ha detto il vicepresidente  Christian Dürr. C'è il rischio di minare la sovranità fiscale nazionale e indebolire i criteri di stabilità, qualora le proposte di Macron e Junkcer venissero semplicemente applicate. "Il governo federale deve finalmente diventare l'avvocato dei contribuenti e dei risparmiatori", ha chiesto il politico della FDP.

Fra gli economisti ci sono state anche delle obiezioni. Marcel Fratzscher, il presidente del Deutsches Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW), ha twittato scrivendo che i firmatari dell'appello respingono la maggior parte delle riforme europee sulla base del fatto che creerebbero un "azzardo morale", una sorta di tentazione morale: "se a prevalere fossero queste posizioni, allora l'euro finirà e si arriverà ad una profonda depressione".

Il professore di economia di Francoforte Jan Pieter Krahnen ha parlato di "semplici argomentazioni in bianco e nero" definendo "sorprendente" che gli economisti vi si prestino. "Gran parte della mia professione non condivide queste posizioni", ha invece sottolineato la professoressa di economia di Bonn e membro del consiglio dei saggi economici, Isabel Schnadel. Dopotutto fra i firmatari c'era anche un ex presidente del Consiglio dei Saggi Economici, Juergen B. Donges.

Clemens Fuest, il presidente dell'istituto Ifo di Monaco ha dichiarato: "E' chiaro che nessuno vuole una messa in comune delle responsabilità - quello che secondo me manca all'appello è un piano convincente su come impedire l'estensione delle garanzie di solidarietà e su come si possano convincere gli altri stati ad appoggiare queste riforme". Il suo predecessore, l'ex presidente Ifo Hans-Werner Sinn, è fra i firmatari dell'appello. "Se si teme che le cose vadano sempre per il peggio e lo si considera anche probabile, allora si pone una questione esistenziale per l'euro - il documento lascia perplessi", scrive Michael Hüther, il direttore dell'Instituts der deutschen Wirtschaft (IW) di Colonia. Il macroeconomista Rüdiger Bachmann ha twittato che è significativo quali siano stati gli economisti a non firmare - ad esempio Fuest, Hüther e lui.

Gli ex politici di AfD nonché attuali parlamentari europei del gruppo dei Liberal-conservatori e riformisti, i professori di economia Bernd Lucke e Joachim Starbatty hanno appoggiato l'appello, sebbene in quanto politici non abbiano potuto firmare il documento. "Ci troviamo di fronte ad un importante momento di scelta nell'UE e il governo federale non si è ancora pronunciato in maniera sufficientemente chiara sul tema", ha affermato Lucke. E' "giusto e importante" che gli economisti mettano in guardia dai rischi di una euro-unione fondata sulla messa in comune delle responsabilità.

Starbatty, che a partire dal 1992 ha lanciato diverse azioni contro l'euro, ha peraltro espresso il suo scetticismo in merito alle prospettive di successo dell'attuale appello. "I professori non devono farsi alcuna illusione circa il successo dei loro appelli. Noi stessi siamo entrati in politica perché i nostri avvertimenti in merito ai pericoli dell'euro sono rimasti inascoltati". Il politico di AfD Beatrix von Storch ha twittato: "154 professori di economia chiedono urgentemente di votare per AfD - un po' tardi, ma è già qualcosa".