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martedì 8 agosto 2023

Fabio De Masi - Cosi' la Ampelkoalition e i Verdi peggiorano la crisi economica della Germania

L'OPPORTUNISMO POLITICO DEI VERDI E L'AUSTERITA' DEL MINISTRO DELLE FINANZE LINDNER NON FANNO ALTRO CHE PEGGIORARE UNA SITUAZIONE GIÀ DIFFICILE A CAUSA DELLA RECESSIONE IN CORSO. L'OTTIMO FABIO DE MASI SULLA BERLINER ZEITUNG CI SPIEGA PERCHÈ LE AMBIGUITÀ DEI VERDI IN MATERIA DI POLITICA DI BILANCIO E' UNA DELLE PRINCIPALI CAUSE DELLA CRISI ECONOMICA DELLA GERMANIA. DALLA BERLINER ZEITUNG

Selfie durante le consultazioni per la formazione del governo

La recente politica economica dei Verdi tedeschi, all'interno della cosiddetta Ampelkoalition, sembra contraddittoria e potenzialmente dannosa per l'economia tedesca. Mentre il mondo si sta riprendendo dall'incertezza economica causata dalla pandemia, le decisioni prese dai Verdi da quando sono al potere stanno suscitando dubbi e preoccupazioni sul futuro economico della Germania.

La più recente previsione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) indica una crescente ripresa dell'economia globale. Negli Stati Uniti, l'"Inflation Reduction Act" sta stimolando notevoli investimenti nelle tecnologie del futuro. Una svolta storica nella politica economica. In Cina, secondo lo storico economico Adam Tooze, si sta costruendo più capacità solare di quanto la Germania abbia fatto in un quarto di secolo. Anche l'economia russa sta crescendo. Il Cancelliere Olaf Scholz aveva recentemente promesso un nuovo "German Tempo" e tassi di crescita paragonabili all'era del miracolo economico grazie alla trasformazione verde. Tuttavia, la realtà è diversa: recentemente la Germania è finita in recessione e secondo il FMI il nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) quest'anno dovrebbe contrarsi.

Questa situazione tuttavia è aggravata dalla coalizione Ampel, che sembra voler tagliare ulteriormente la spesa pubblica in piena crisi economica. Questo approccio è non solo irrazionale ma suscita anche preoccupazioni a livello internazionale. La Germania è ancora la quarta economia del mondo in termini di Pil. Tuttavia, l'Ampel sta facendo di tutto per cambiare questa situazione.

Un esempio eloquente è la proposta di tagliare i finanziamenti per la digitalizzazione amministrativa da 377 milioni a 3 milioni di euro. Una riduzione drastica dal 100% a meno dell'1%. Questo equivale a un vero e proprio massacro alla velocità tedesca nei confronti dell'infrastruttura digitale. Ma questo fa anche sorgere una domanda: presto ci chiederanno di tirare fuori i nostri fax dal seminterrato?

Andamento della spesa pubblica secondo il documento di programmazione


Ridurre la spesa pubblica equivale a ridurre le entrate del settore privato, sia attraverso minori commesse nel campo delle costruzioni che attraverso salari più bassi, influenzando le aspettative economiche e la volontà di investire. Rimane un mistero in che modo una riduzione degli investimenti e della domanda interna possa rilanciare l'economia di una grande nazione. La quota del commercio estero della Germania (la percentuale di esportazioni e importazioni rispetto al PIL) è già pericolosamente alta per un'economia delle dimensioni della Germania, con un gran numero di consumatori.

Ovviamente, negli anni passati si è voluto puntare su una politica di dumping dei prezzi (bassi investimenti, maggiore disoccupazione, bassi costi salariali rispetto alla produttività) per espandere l'eccedenza commerciale e "scroccare" domanda estera. Questo presuppone che gli altri paesi siano disposti ad indebitarsi e a comprare da noi piu' di quanto noi compriamo da loro. Tuttavia, in tempi di crisi globali e rivoluzioni tecnologiche, dalla fornitura di energia all'intelligenza artificiale, sembra irragionevole voler creare ancora più dipendenza dall'economia mondiale. Soprattutto dato che la strategia del governo tedesco nei confronti della Cina suggerisce che la Germania potrebbe perdere quote significative in un mercato cruciale in oriente a causa della crescente tensione tra USA e Cina.

Il Ministro delle Finanze è un economista spericolato. 

Il Ministro delle Finanze Lindner sostiene che la recessione sia il risultato di anni di perdita di competitività tedesca, che ora invece starebbe emergendo improvvisamente. Se esistesse un rilevatore di menzogne economiche, il Ministro delle Finanze dovrebbe finire immediatamente in prigione, come nel gioco da tavolo Monopoly. Lindner sta praticamente agendo come un macellaio nel macello, che si lamenta del troppo sangue versato.

Il surplus commerciale tedesco è sempre stato elevato negli ultimi anni e proprio per questo la Germania è stata criticata a livello internazionale. Tuttavia, il vero problema è che abbiamo investito troppo poco negli ultimi anni, vivendo sugli introiti o esaurando il capitale pubblico. Questo ci rende più vulnerabili alle crisi globali. I dati parlano chiaro: il PIL è diminuito a causa della domanda debole.

Un alto surplus con l'estero è indice di una notevole competitività a livello dei prezzi, ottenuta ad esempio attraverso un vasto settore a basso salario. Il cosiddetto "costo unitario del lavoro" (ovvero la quantità di salario nei nostri beni e servizi), infatti, in Germania è cresciuto meno rispetto a quanto accaduto ad altri paesi negli ultimi anni. Gli stipendi dovrebbero aumentare ogni anno di circa il 2% in più della produttività media, per soddisfare il tasso d'inflazione obiettivo di circa il 2% e preservare la quota dei salari sul reddito nazionale. Se gli stipendi rimangono indietro rispetto alla produttività, non c'è domanda per il surplus dei beni prodotti. Questo è stato regolarmente il caso nelle ultime decadi, specialmente prima della crisi dell'euro.

Sebbene questa tendenza si sia in parte corretta piu' di recente, i vantaggi competitivi cumulati non sono stati eliminati. Nonostante il basso livello di disoccupazione prima della pandemia e dell'eurocrisi, gli stipendi non hanno registrato una crescita adeguata, a causa anche delle riforme del mercato del lavoro attuate dai precedenti governi. Un quarto dei lavoratori tedeschi guadagna meno di 14 euro lordi l'ora, approssimativamente il valore di riferimento tedesco per la direttiva europea sul salario minimo. L'attuale dinamica dell'inflazione non è dovuta a salari troppo alti, ma al temporaneo shock dei prezzi dell'energia, alla rottura delle catene di approvvigionamento e all'inflazione causata dai profitti, come riconosciuto anche dalla Banca Centrale Europea.

La Ampel ora si trova in una posizione difficile, poiché ha rinunciato alla possibilità straordinaria di non rispettare lo Schuldenbremse, che avrebbe consentito investimenti finanziati a debito. Nel settore della difesa, è stato creato un fondo speciale per aggirare il freno al debito, ma non è stato fatto nulla di simile per gli investimenti cruciali per rilanciare la nostra economia. Ma questo era già prevedibile prima delle elezioni federali, quando il governo federale aveva stabilito che i miliardi stanziati per la pandemia dovessero essere restituiti entro 20 anni. A titolo di paragone, l'Austria ha emesso obbligazioni statali a 100 anni, sfruttando i bassi tassi di interesse.

Fabio De Masi


Le Bugie di Habeck

Il Ministro dell'Economia Habeck, che è stato individuato come figura simbolo della crisi economica tedesca, ora sta cercando di dissociarsi dal Ministro delle Finanze Lindner, fingendo che i Verdi siano vittime di un ricatto da parte del loro partner di coalizione più piccolo, la FDP. Ma questa è una falsità.

I Verdi, infatti, il 16 marzo 2022, nel Consiglio dei ministri federale, hanno approvato senza grossi ostacoli i parametri del bilancio per il 2023 e la pianificazione finanziaria fino al 2026. Già in quell'occasione era evidente che porre fine alla situazione straordinaria dello Schuldenbremse sarebbe stato completamente irrazionale. Mentre per il buco nero della corruzione negli appalti delle forze armate è stato creato un fondo speciale da 100 miliardi di euro al di fuori dello Schuldenbremse, il quasi totale divieto di indebitamento sta nuovamente limitando drasticamente la flessibilità per gli investimenti a lungo termine. Lo sviluppo dell'industria tedesca non sarebbe mai partito senza i prestiti bancari. Fin dall'inizio, la Ampel ha gestito la politica finanziaria tedesca ad un livello paragonabile ad una setta degli Amish!

I "realisti" verdi stanno collaborando con Olaf Scholz per diffondere la leggenda secondo cui Lindner avrebbe insistito per diventare Ministro delle Finanze durante i negoziati di coalizione. Tuttavia, personalmente ritengo che sia un mito creato da Robert Habeck e Annalena Baerbock per distrarre dall'effettivo obiettivo dei Verdi, vale a dire ottenere il Ministero degli Esteri, eliminando l'ala del partito orientata alla politica sociale e non supportando adeguatamente la Ministra per la Famiglia Lisa Paus durante i negoziati per la definizione del bilancio. Non è forse Annalena Baerbock quella che ha giustificato l'approvazione della vendita di armi alla dittatura saudita al congresso dei Verdi, sostenendo che altrimenti non ci sarebbe stato abbastanza denaro per il "reddito minimo per i bambini" di "Lisa"? E anche se Lindner avesse voluto affermarsi in modo aggressivo e diventare Ministro delle Finanze, dopo il fallimento dei negoziati per la coalizione Giamaica, la sua posizione era comunque precaria. I Verdi si sono fatti sfuggire il ministero chiave.

Non solo i Verdi sono sempre stati in prima fila quando si è trattato di chiedere sanzioni più severe, nonostante i dubbi legittimi sull'efficacia delle sanzioni per contenere la guerra in Ucraina. Inoltre, il bilancio non viene approvato solo dai Verdi, ma dai 3 partiti della coalizione di governo, giusto? Se Habeck vede cinque anni difficili per l'economia tedesca a causa della politica dei tagli al bilancio, e teme la deindustrializzazione, come ha dichiarato di recente, allora non dovrebbe minacciare di votare contro il bilancio e, se necessario, di abbandonare la coalizione per responsabilità verso il Paese? Quando la Ampel ha deciso di non fare più affidamento sul regime provvisorio dello Schuldenbremse, cosa che sarebbe stata giustificata alla luce della guerra in Ucraina e della recessione, non c'è stata una protesta significativa da parte dei Verdi.

In realtà, Habeck si è inizialmente opposto a un limite sul prezzo del gas e ha cercato di agevolare i consumatori con una sovrattassa sul prezzo del gas, invece di opporsi con fermezza a questa politica finanziaria folle. Il Ministro dell'Economia e dell'Energia non ha davvero toccato i profitti straordinari dei beneficiari della crisi, come RWE ad esempio. E prima delle elezioni, Habeck aveva scritto un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung contro una tassa patrimoniale per i multimilionari e i miliardari, solo per poi riscoprire la questione dopo le elezioni, quando il Ministro delle Finanze Lindner è entrato in carica, evitando così che l'1% più ricco della popolazione dovesse fare sacrifici. Un approccio simile era già stato adottato per l'imposta di successione e i privilegi eccessivi per chi ereditava un'impresa, che la Corte Costituzionale Federale ha ripetutamente criticato. Chiunque erediti una casa in affitto deve pagare l'imposta di successione. Tuttavia, chi eredita più di 300 appartamenti e li trasforma in una società immobiliare, è agevolato da un decreto del Ministro delle Finanze Scholz. I Verdi nel Consiglio Federale, guidati dal Ministro-Presidente del Baden-Württemberg Winfried Kretschmann, hanno approvato senza alcun motivo questo accordo sleale sulle eredità aziendali. E questo ha causato tensioni tra i ministri verdi e Robert Habeck, allora ministro dello Schleswig-Holstein, il quale ha sostenuto Kretschmann nonostante avesse dei "dubbi".

La strategia dell'opportunismo verde si sta ritorcendo contro di loro. Nel frattempo, i deputati verdi cercano di convincere il pubblico della necessità di fare sacrifici. Non sorprende quindi che i Verdi non stiano riscuotendo simpatie. Habeck ha sostenuto prima delle elezioni che la giustizia fiscale non fosse un argomento valido, affermando che la questione principale era riformare lo Schuldenbremse. La critica corretta allo Schuldenbremse è stata scoperta da Habeck solo quando le richieste di una tassa sul patrimonio sono diventate più forti, date le restrizioni imposte da questa regola di bilancio assurdamente rigida.

Non dimentichiamo che è stato un gruppo di influenti politici in materia finanziaria dei Verdi vicini a Habeck, tra cui la sua sottosegretaria di stato ad Amburgo Anja Hajduk, che hanno contribuito a far sembrare che la politica finanziaria tedesca fosse paragonabile alla cassa di un club di appassionati di colombi viaggiatori o alla "casalinga sveva" alquanto parsimoniosa. Nel 2007, la Hamburger Abendblatt citava la sottosegretaria di stato di Habeck nel seguente modo:

"La situazione dovrebbe funzionare come in una casa privata. Lì si guarda innanzitutto a quanto denaro c'è, prima di decidere come spenderlo. (…) E chiede l'introduzione di un "freno al debito che colleghi le spese alle entrate" Sette anni dopo, la Frankfurter Allgemeine Zeitung titolava: "I Verdi vogliono risparmiare più di Schäuble". Un gruppo di politici finanziari verdi del filone di Habeck ha richiesto in un documento della Fondazione Heinrich-Böll, vicina al partito, non solo il rispetto dello Schuldenbremse, ma addirittura la generazione di un surplus di bilancio permanente. Volevano abbandonare i concetti di Jürgen Trittin, ex candidato alla Cancelleria dei Verdi, come la tassa patrimoniale. In quel periodo, i presunti "realisti" verdi cercarono infatti di attribuire il fallimento del partito alle elezioni federali del 2013 ai piani fiscali di Trittin, nonostante la campagna elettorale fosse stata oscurata da una discussione sull'approvazione dell'abuso sui minori.

Se i Verdi saranno ritenuti responsabili della miseria dell'economia tedesca nella prossima campagna mediatica da parte del gruppo Axel Springer & Co., ciò avrà a che fare anche con la "strategica ambivalenza" costante che Habeck ha reso la sua cifra distintiva. Questa può a volte nascondere delle contraddizioni interne, ma si rivela una strategia fallimentare quando un paese deve prendere decisioni cruciali e affrontare conflitti distributivi.

I Verdi dovrebbero riflettere sul fatto che ora è proprio il sindaco di Berlino  della CDU, Kai Wegner, a sostenere la sospensione dello Schuldenbresme, dando in questo modo una spinta sia all'Ampel tedesca che al proprio leader di partito, Friedrich Merz. I Verdi non fanno che sottolineare il loro disagio per le decisioni del proprio governo. Forse la prossima coalizione progressista dovrebbe invece essere chiamata "coalizione del disagio"? Quasi quasi vorrei regalare una borsa d'acqua calda ai Verdi, Robert e Annalena, mentre si trovano a disagio sui banchi del governo. Sarebbe in linea con le pompe di calore e con la legge sul riscaldamento e ci risparmierebbe questa insopportabile autocommiserazione.


domenica 6 agosto 2023

Martin Sonneborn - Vi spiego perché il sud del mondo non ne vuole piu' sapere di essere sfruttato dagli europei

"UNA PARTE CRESCENTE DELLA POPOLAZIONE AFRICANA (SOPRATTUTTO QUELLA PIÙ GIOVANE) NON VEDE AFFATTO PUTIN COME UN CATTIVO, MA ANZI, COME IL CAMPIONE DI UN MOVIMENTO GLOBALE PER LA LIBERAZIONE DALLO SFRUTTAMENTO E DALLA SOTTOMISSIONE - SOTTO LA MASCHERA DELLA "DEMOCRAZIA" - OPERATA DAGLI ATTORI DELL'OCCIDENTE GEOPOLITICO NELLA LORO REGIONE", SCRIVE MARTIN SONNEBORN, DEPUTATO EUROPEO DEL PARTITO TEDESCO DIE PARTEI. SULLA BERLINER ZEITUNG L'OTTIMO SONNEBORN CI SPIEGA PERCHÈ IL SUD DEL MONDO NON NE VUOLE PIU' SAPERE DI ESSERE SFRUTTATO DAGLI EUROPEI.


In Francia non c'è una sola miniera d'oro attiva. Eppure questo (ex) Stato coloniale criminale con 2436 tonnellate di oro ha le quarte riserve d'oro più grandi del mondo.

Il Mali, (ex) colonia francese, ha esattamente 0,0 tonnellate d'oro, sebbene abbia diverse decine di miniere (tra cui 14 ufficiali) nel Paese, che ne estraggono ben 70 tonnellate all'anno. Dei proventi delle quasi 60 tonnellate d'oro estratte da (circa) 600.000 bambini nella (ex) colonia francese del Burkina Faso, solo il 10% resta nel Paese, ma il 90% va alle multinazionali dell'estrazione dell'oro.

La Francia ha chiuso l'ultima delle sue 210 miniere di uranio nel 2001. Da allora, tutti i problemi legati all'estrazione dell'uranio, dannoso per l'ambiente e la salute, compresi i pericoli di contaminazione radioattiva, sono stati esportati altrove per precauzione. Circa un quarto delle importazioni europee di uranio e un terzo di quelle francesi provengono dal Niger, in Africa occidentale. Con 56 centrali nucleari, la Francia è uno dei principali esportatori di energia nucleare al mondo (con un margine di miglioramento). Il loro combustibile essenziale viene acquistato da parte del gigante nucleare statale Orano (ex Areva), che possiede l'edificio di granito più alto e (opportunamente) più nero fra i grattacieli del quartiere della Défense nella capitale Parigi, e arriva grazie ad accordi segreti, ad esempio dal Niger, dove l'azienda si è accaparrata tre enormi miniere di uranio e una partecipazione di maggioranza nella società statale nigerina per la lavorazione dell'uranio (Somaïr).

Martin Sonneborn
Martin Sonneborn


L'ex colonia francese del Niger possiede i minerali di uranio più pregiati dell'Africa ed è il settimo produttore di uranio al mondo, ma secondo la Banca Mondiale l'81,4% dei suoi cittadini non è nemmeno collegato alla rete elettrica. Il 40% vive sotto la soglia di povertà, un terzo dei bambini è sottopeso e il tasso di analfabetismo è del 63%. Solo la metà degli abitanti ha accesso all'acqua potabile e solo il 16% è collegato a servizi igienici adeguati.

Il bilancio statale complessivo del Niger, un Paese grande tre volte la Repubblica Federale Tedesca, non supera il fatturato annuo dell'azienda nucleare francese, pari a circa 4,5 miliardi di euro. Nonostante i suoi giacimenti di uranio e oro, il Niger si è classificato al 189° posto su 191 Paesi nell'indice di sviluppo. 

Nel corso della "decolonizzazione" degli anni Sessanta, la Francia ha reso formalmente indipendenti le sue ex colonie, ma ha lasciato loro sistemi statali e giuridici concepiti - come ai tempi delle colonie - per controllare la popolazione con il minor sforzo possibile, da un lato, e per esportare il maggior numero possibile di materie prime, dall'altro. Non basta che la Francia, attraverso il cosiddetto patto coloniale della Françafrique, abbia continuato ad assicurarsi il diritto di prelazione su tutte le risorse naturali e l'accesso privilegiato ai contratti statali; da allora, ha anche imposto agli Stati la sua folle moneta coloniale, il franco CFA, rendendo definitivamente impossibile qualsiasi politica monetaria, economica o sociale autonoma degli Stati (formalmente sovrani). I quattordici Stati del CFA non solo sono incatenati all'euro da un tasso di cambio fisso determinato esclusivamente dai discendenti dei messieurs coloniali francesi (che ha portato loro una svalutazione del 50% nel 1994), ma hanno anche perso l'accesso all'85% delle loro riserve monetarie, che sono costretti a depositare presso l'Agence France Trésor.

Tutti i Paesi CFA sono altamente ricchi di risorse e non meno indebitati. Burkina Faso, Mali e Niger sono tra i Paesi più poveri del mondo, nonostante le loro immense risorse minerarie. "La mia generazione non capisce", dice il 35enne capo di Stato del Burkina Faso, Ibrahim Traoré. "Come può l'Africa, che ha così tante ricchezze, essere diventata il continente più povero del mondo?".

Semplicemente, dice il politologo statunitense Michael Parenti. I Paesi poveri non sono "sottosviluppati" ma "sovrasfruttati".

Ci sono (quindi) delle ragioni per cui l'ambasciata francese a Niamey, la capitale del Niger, sta bruciando.

Per volgere a proprio favore l'umore" in Africa, l'UE sta cercando di coprire il continente con quella che immagina essere una "guerra dell'informazione" che, data la rinomata ingegnosità dei burocrati di Bruxelles, probabilmente equivarrà a un ciclo continuo dei 135 discorsi sui valori della Von der Leyen, compresi i crimini estetici nel campo dell'abbigliamento femminile. E a qualche nuova strofa della confusa poesia della giungla e del giardino di Sepp Borrell.

Tuttavia, ci sono delle ragioni evidenti che fanno sì che i cittadini nelle strade degli Stati dell'Africa occidentale e centrale non portino in giro il tricolore francese o la bandiera europea blu cobalto, ma la bandiera della Russia.

E che piaccia o meno a noi o all'UE, una parte crescente della popolazione africana (soprattutto quella più giovane) non vede affatto Putin come un cattivo, ma come il campione di un movimento globale per la liberazione contro lo sfruttamento e la sottomissione - sotto la maschera della "democrazia" - mantenuto dagli attori dell'Occidente geopolitico nelle loro regioni.

Tutto questo non sparirà nel nulla con le buone (o finte) parole, né cancellando il vocabolario "offensivo" dei romanzi per bambini, né con i maldestri "guerrieri dell'informazione" dell'UE e tanto meno con un bombardamento concertato, ma solo per il fatto che, dopo secoli, le reali relazioni dell'Occidente con il Sud globale stanno finalmente cambiando. E l'oppressione, il paternalismo, il saccheggio, il furto di materie prime e la prevaricazione attraverso accordi commerciali iniqui (di tipo mafioso) avranno la fine attesa.

Gli Stati Uniti - sotto questo e molti altri aspetti - sono noti per essere un caso senza speranza, l'UE forse non ancora. Più a lungo cercherà di eludere il cambiamento di paradigma che deve attuare (o addirittura lo affronterà con la violenza), peggio finirà.

Forse sarebbe un inizio se, in occasione del prossimo vertice con l'Africa (o con l'America Latina), l'UE lasciasse entrare i capi di Stato nel palazzo delle conferenze attraverso lo stesso portale principale che essa stessa utilizza, invece di far passare sempre i suoi ospiti stranieri-continentali attraverso il disadorno ingresso laterale.

PS: A proposito, lo stesso governo militare nigeriano dà una prima impressione della sua capacità di soddisfazione intellettuale. In risposta all'annuncio degli Stati Uniti di interrompere tutti gli aiuti al Niger, il regime - secondo fonti africane - ha detto che il leader mondiale della democrazia dovrebbe tenere per sè i suoi aiuti e utilizzarli per i milioni di senzatetto negli Stati Uniti: "La carità inizia a casa".

PPS: Ibrahim Traoré non è solo il capo di Stato del Burkina Faso, ma in quanto laureato all'Università di Ougadougou e all'Accademia militare locale, è anche un geologo e un ufficiale. In quanto capo di Stato più giovane e più intelligente del mondo, il 35enne minaccia quindi, a ragione, di diventare il faro della speranza della rivolta dell'Africa (occidentale) contro il neocolonialismo e il dominio occidentale. Traoré ha anche cacciato le truppe francesi e ha vietato l'esportazione di oro e uranio in Francia e negli Stati Uniti, stringendo un'alleanza regionale con Niger, Guinea, Mali e Algeria.

PPPS: Francia e Stati Uniti - da soli e attraverso i loro intermediari dell'ECOWAS - minacciano un intervento violento per ripristinare l'ordine "democratico" dello sfruttamento. A quanto pare i nostri clacson amanti della guerra dovranno presto scegliere se difendere il mondo occidentale in Ucraina (Team Blackrock) o in Africa occidentale (Team Atomstrom). Questo è il bello del capitalismo. Offre sempre l'imbarazzo della scelta.

Il Burkina Faso e il Mali hanno appena dichiarato che un intervento militare dell'asse USA-Francia-Gran Bretagna-ECOWAS in Niger sarebbe una "dichiarazione di guerra" contro loro stessi. Un'affermazione chiara, che il portavoce del governo maliano Abdoulaye Maïga ha ripetuto una seconda volta e (per chiarezza) una terza volta con le stesse parole per i tradizionalmente un po' ottusi democratici del nord-nord-ovest. La Guinea è dello stesso parere e l'Algeria, che ha un accordo di cooperazione militare con il Niger, "non rimarrà inattiva in caso di intervento straniero".

L'ultima cosa di cui ha bisogno l'Africa occidentale, guarda caso, è anche l'ultima cosa di cui noi e voi, guarda caso, l'ultima cosa di cui tutto il resto del mondo ha bisogno: un'altra guerra.


LEGGI IL PRECEDENTE ARTICOLO SUGLI EFFETTI DEL FRANCO CFA NELL'AFRICA FRANCESE ---->>

sabato 29 luglio 2023

I cinesi sono i veri vincitori: il loro export di auto verso la Russia è aumentato del 543% in un anno

I cinesi hanno rapidamente preso il posto dei tedeschi sul mercato automobilistico russo e ormai le importazioni di auto dalla cina rappresentano il 70% sul totale delle auto importate. Il settore di punta dell'export tedesco, quello automobilistico, si configura come il vero loser delle sanzioni economiche occidentali nei confronti della Russia, ne scrive la Berliner Zeitung

settore automobilistico cinese
Produttori di auto cinesi prendono il posto dei tedeschi in Russia

Le aziende automobilistiche occidentali e giapponesi hanno smesso di fornire auto alla Russia in risposta all'invasione dell'Ucraina e alle sanzioni, interrompendo anche la produzione nel Paese. Volkswagen ha già venduto lo stabilimento di Kaluga a un investitore locale.

Ora è diventato evidente in che misura i produttori cinesi ne stanno beneficiando. Secondo le ultime statistiche delle autorità doganali cinesi, le esportazioni di autovetture cinesi dalla Cina alla Russia sono salite fino a 4,6 miliardi di dollari nella prima metà del 2023. Ciò rappresenta un aumento del 543% rispetto alla prima metà del 2022, quando la Cina aveva esportato automobili in Russia per un valore di 715 milioni di dollari. Solo nel mese di giugno 2023, le consegne di auto cinesi in Russia hanno raggiunto 1,03 miliardi di dollari USA, il valore più alto fin dall'inizio dell'anno.


Con il ritiro delle società occidentali, la Russia è diventato il principale mercato di esportazione per le auto cinesi. Secondo le autorità doganali, nei primi mesi dell'anno la Cina ha esportato in Russia un totale di circa 325.800 autovetture, cinque volte in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. L'Associazione cinese dei produttori di automobili (CAAM) aveva già annunciato in passato che la Russia era diventata il più grande mercato di esportazione per le auto cinesi, seguita dal Messico. Il portale economico russo RBC, tra gli altri, aveva riportato questa notizia. I marchi automobilistici cinesi più popolari in Russia sono Chery Tiggo, Haval e Geely. Le auto più vendute sono a combustione e a idrogeno, ma anche le auto elettriche cinesi si stanno facendo conoscere in Russia.

Secondo i dati cinesi, le esportazioni di autovetture cinesi in Russia avevano totalizzato 1,5 miliardi di dollari nel 2021, rappresentando appena il 10% del mercato complessivo. Prima della guerra, il Giappone, con importazioni totali per 2,86 miliardi di dollari, la Corea del Sud, con 2,55 miliardi di dollari, e la Germania, con 2,19 miliardi di dollari, erano i maggiori fornitori di autovetture per il mercato russo.

Ora, i produttori cinesi rappresentano da soli oltre il 70% del mercato delle auto in Russia, come riferisce la Banca centrale russa in un rapporto di luglio sull'economia regionale. La produzione di autovetture in Russia nel 2022 è diminuita del 67% a causa delle sanzioni, che le autorità russe attribuiscono alla ritirata delle aziende straniere.

I produttori americani non possono esportare automobili in Russia già da molti anni a causa delle sanzioni; ai produttori europei era stato inizialmente vietato di esportare in Russia solo beni di lusso o automobili di lusso. L'undicesimo pacchetto di sanzioni dell'UE a giugno, tuttavia, ha ampliato significativamente questo divieto. Anche i produttori europei hanno aderito da tempo alle sanzioni per motivi morali e commerciali. Se le VW, le BMW, le Audi o le auto della Mercedes arrivano ancora in Russia, è attraverso quelle che l'Occidente considera importazioni grigie illegali, che ora per la Russia stanno diventando sempre più difficili.

Questo, a sua volta, favorisce gli importatori ufficiali cinesi. Secondo una precedente valutazione della società di consulenza Alix Partners, quest'anno i produttori di auto cinesi diventeranno per la prima volta i campioni mondiali dell'export. Nel primo trimestre di quest'anno, infatti, la Cina ha già superato il Giappone con 954.000 auto esportate (1,07 milioni), seguita dalla Germania (840.000), dalla Corea del Sud (750.000) e dal Messico (741.000).

lunedì 17 luglio 2023

Michael Every - "La Germania è sulla buona strada per diventare un'economia in via di sviluppo"

In una recente intervista pubblicata sulla Berliner Zeitung l'economista olandese Michael Every arriva ad affermare che fra inflazione, crisi energetica, crollo dell'export e i tanti problemi che affliggono l'economia tedesca "la Germania sarebbe sulla buona strada per diventare un'economia in via di sviluppo". Probabilmente un giudizio severo ma che sicuramente contiene importanti spunti di riflessione, ne scrive Sven Brajer su Manova.news, dato che l'intervista originale a Michael Every sulla Berliner Zeitung è dietro paywall.



Amministrazione, infrastrutture e sicurezza pubblica si trovano in una situazione difficile. L'esproprio causato dall'inflazione a danno di impiegati, lavoratori, risparmiatori e contribuenti tedeschi nel corso del 2023 è entrato nel vivo. E non a caso, l'esperto finanziario Michael Every ha recentemente affermato: "La Germania è sulla buona strada per diventare un'economia in via di sviluppo".

5 euro per una birra alla spina nella provincia della Germania dell'Est, 50 euro per un biglietto ferroviario a lunga percorrenza che l'anno scorso costava 30 euro. "Prosperità per tutti" - il credo dell'ex cancelliere Ludwig Erhard nel 1957 - ma era un'altra epoca. Proprio come l'affermazione di Norbert Blüm del 1997: "La pensione è sicura", oggi sembra una battutaccia.

Dall'inizio della "crisi dei rifugiati" del 2015, dall'improvvisa apparizione di una Giovanna d'Arco climatica svedese nel 2018, dalla "crisi pandemica" nel 2020 e dalla svolta di Scholz nel 2022, la maggioranza dei tedeschi si è abituata a fare da ufficiale pagatore per tutto e tutti. Con un ditino sempre puntato, una cricca di politici, che sembrano essere controllati da altri, governa dall'alto verso il basso, presumibilmente senza alcuna alternativa.

Nulla viene più spiegato in modo oggettivo, il motto per il cittadino è: mangia questa minestra o muori. Chi non sta al gioco viene considerato un pazzo, un "negazionista" o nel peggiore dei casi - a volte a ragione, a volte a torto - viene etichettato come nazista.

Tuttavia, questa situazione sembra spaventare un numero sempre minore di persone, perché in ogni momento vale il detto dell'ex presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln:

"Puoi ingannare alcune persone per sempre e tutte le persone per un certo periodo; ma non puoi ingannare tutte le persone per tutto il tempo".

Nell'est del Paese - a causa della diversa esperienza storica e di un materialismo piu' spinto - questo stato di cose attualmente sembra ancora più evidente che nel resto del Paese, che si è nutrito con il transatlantismo per piu' di quarant'anni. Ma anche lì si sta entrando nel vivo. Il vassallaggio della Germania nei confronti degli Stati Uniti, in difficoltà economiche e in politica estera, ora si sta vendicando aspramente.

La deindustrializzazione come un incubo

In un'intervista alla Berliner Zeitung, l'esperto di finanza Michael Every sottolinea che la malattia del sistema economico mondiale internazionale, dominato dal dollaro, che si trascina dalla crisi bancaria del decennio scorso, ora sta per scoppiare di nuovo. I sintomi sono  stati curati, ma le cause della malattia si sono intensificate:

"Ciò che sta accadendo negli Stati Uniti con la crisi bancaria non può essere visto separatamente dall'intera struttura dell'economia mondiale.(...) Nelle economie occidentali sono stati offerti tassi di interesse incredibilmente bassi per 15 anni e improvvisamente nel giro di un anno i tassi di interesse vengono aumentati in modo molto aggressivo. Questo ha causato immediatamente dei problemi. Ma è miopia intellettuale pensare che gli eventi attuali siano una sorpresa o uno shock.

Si tratta piuttosto di un graduale calo della domanda e di un graduale inasprimento degli standard legati ai prestiti. Se i tassi di interesse rimarranno così alti, l'economia potrebbe superare un punto di svolta. La struttura economica che abbiamo conosciuto dopo la crisi finanziaria del 2008 è stata costruita su una struttura economica molto inefficiente e iniqua. Si è sviluppata una forma economica costruita sulla sabbia, e le fondamenta stanno diventando sempre più fragili".

Questo tuttavia non è vero per tutte le regioni e gli Stati del mondo. Se non ci credete, date un'occhiata a Cina, Vietnam, Uruguay, Nigeria o Emirati Arabi Uniti (EAU). I "partner" europei degli Stati Uniti nell'UE invece sembrano esserne stati colpiti in maniera molto dura. In prima linea: la Repubblica Federale, sempre più deindustrializzata e senile, che ha perso i suoi grandi poeti e pensatori di un tempo.

La massiccia dipendenza politica ed economica rispettivamente dagli Stati Uniti e dalla Cina, nonché l'improvviso prosciugamento dell'afflusso di materie prime russe - per motivi ideologici - e gli anni in cui è stata accumulata una gigantesca montagna di debiti a causa di una politica da primo della classe di stampo tedesco, che si preoccupa essenzialmente di salvare il mondo, hanno portato il Paese sull'orlo dell'abisso economico.

Every afferma senza mezzi termini che:

"La Germania dipende dalle esportazioni verso la Cina, dalle importazioni dalla Russia e per le armi dall'America. Se la Germania continuerà a dipendere dagli Stati Uniti, è destinata a fallire perché l'economia americana non può reggere il ritmo delle spese militari necessarie per difendere l'Europa dalla Russia e mantenere la sua presa sulla Germania e sull'Asia. L'America non ha più la base industriale per poterlo fare".


Se l'Europa ha bisogno di essere "difesa" dalla Russia è un'altra questione, ma ciò che è certo è che il periodo in cui la Germania era campione del mondo dell'export sembra appartenere per sempre al passato:

"Per quanto riguarda le esportazioni verso la Cina, la Germania ha sbagliato a fare i conti. L'economia politica del Paese è stata valutata in maniera completamente sbagliata. I dati commerciali attuali lasciano già presagire che le esportazioni tedesche non faranno più grandi balzi in avanti e si ridurranno nel prossimo futuro. Le aziende tedesche  invece venderanno prodotti cinesi, entrando così in conflitto con gli Stati Uniti, subendo sanzioni, ecc. La Cina ha già superato la Germania come maggiore esportatore di automobili. Questo sviluppo era prevedibile da anni e ho cercato di spiegarlo ai miei clienti in Germania. Ma loro si sono limitati a sorridere e a dire: "Siamo imprenditori tedeschi, sappiamo cosa è meglio".

In Germania, inoltre, non avrebbero mai potuto immaginare che la fornitura di gas dalla Russia potesse crollare - ma è successo. E ora l'America ha messo all'angolo la Germania. I tedeschi devono acquistare gas naturale liquefatto molto costoso dall'America e spendere di più per la difesa. Questa è la dura verità".

Infine, Every descrive l'inizio della fine, cioè la situazione attuale, rispetto alla quale la politica federale sembra non avere più nulla in mano e si limita ad affidarsi al "business as usual":

"Ma il punto è che la Germania sta vendendo beni che non possiede nemmeno più, perché è stata privata dell'energia a basso costo. Allo stesso tempo, gli altri Stati imporranno dei dazi se ritengono che l'euro sia sottovalutato, e alla fine acquisteranno meno beni dalla Germania. In definitiva, l'euro si indebolirà e l'inflazione aumenterà. Per combattere l'inflazione, sarà necessario aumentare i tassi d'interesse di riferimento e la società ne risentirà. L'aumento delle esportazioni, inoltre, non sarà più in grado di generare ulteriori entrate. La Germania sarà declassata a economia in via di sviluppo".

Naturalmente, questa può essere una diagnosi shock solo per chi si fida degli economisti filo-governativi che da anni cercano di minimizzare la crisi permanente, sbagliando quasi sempre le loro previsioni, ma che non hanno più alcun nuovo concetto economico. Non sono in grado di impegnarsi in un nuovo ordine mondiale multipolare e di liberarsi dalle catene transatlantiche.

Pertanto, come spesso accade nella storia, le cose devono andare molto male prima di poter andare meglio.

Tuttavia, si pone la questione di quali basi politiche ed economiche debbano essere ricostruite, perché un nuovo "grande fratello" non sembra essere più in vista.


Sempre sul tema della deindustrializzazione tedesca:

E' l'inizio della deindustrializzazione?





lunedì 10 luglio 2023

In Germania c'è stato un eccesso di mortalità causato anche dalla campagna di vaccinazione?

Un recente studio mette nero su bianco i dati sull'eccesso di mortalità registrato in Germania relativamente agli anni 2021 e 2022, gli anni in cui sono stati somministrati in massa i vaccini anti-covid 19. I ricercatori discutono se tra questo eccesso di mortalità e la campagna di vaccinazione possa esservi un legame. Un articolo molto interessante su questo argomento tabù è stato pubblicato alcuni giorni fa dalla Berliner Zeitung

Il vaccino contro il Covid 19 ha causato un eccesso di mortalità?


È stato appena pubblicato un nuovo studio che in alcuni ambienti sta creando un certo scalpore. In altri, invece, non viene affatto notato, fatto che gli autori definiscono una grande omissione. Gli autori affermano che i risultati sono così eclatanti che dovrebbe essere nel più alto interesse di una società chiarirne il contesto. Si tratta della questione relativa all'eccesso di mortalità registrato durante la pandemia.

Lo studio "Estimation of excess mortality in Germany in the period 2020-2022" è stato pubblicato sulla rivista Cureus, del gruppo Springer Nature. Gli autori sono Christof Kuhbandner, professore di psicologia dell'educazione presso l'Università di Regensburg, e Matthias Reitzner, professore di matematica di Osnabrück. Entrambi sono da sempre alquanto critici nei confronti delle misure adottate durante la pandemia e si sono apertamente schierati contro di esse. Il che tuttavia non dovrebbe impedire di avere una visione puramente scientifica del loro studio.

Dopo la pubblicazione dello studio come anticipazione sulla piattaforma Researchgate nell'agosto 2022, ne era già nata un'intensa discussione con gli esperti del settore, spiegano gli autori. Prima della pubblicazione, inoltre, l'articolo è stato sottoposto a peer-review da parte di un totale di sette esperti anonimi. Cureus inoltre offre anche la possibilità di discutere ulteriormente gli articoli pubblicati dopo la loro uscita, affermano gli autori, aggiungendo che gli piacerebbe vedere un dibattito basato su solidi risultati scientifici.

In Germania sono stati registrati più di 174.000 decessi legati al Corona virus fino a fine maggio 2023. Ma la stima della mortalità in eccesso basata sul numero di questi decessi "si è rivelata difficile per diverse ragioni", scrivono gli autori. Tra l'altro, anche a causa dell'imprecisione diagnostica della diagnosi "morte da Covid 19". Inoltre, considerare il totale dei decessi registrati, potrebbe chiarire gli ulteriori effetti negativi causati dalla pandemia sulla mortalità. Per questo motivo sono stati presi in considerazione tutti i decessi, siano essi dovuti a cancro, attacchi cardiaci e polmonari, infezioni, incidenti e altro.



Le precedenti stime relative alla mortalità totale per i due anni pandemici 2020 e 2021 oscillano tra i 29.716 e i 203.000 decessi aggiuntivi, affermano gli autori, e questo nonostante il fatto che in Germania siano disponibili "dati molto affidabili sul numero di decessi totali anche a livello dei singoli giorni". Per l'anno pandemico 2020, affermano gli autori, sono stati osservati un numero inferiore di decessi per tutte le cause di morte rispetto a quanto normalmente previsto.

Quasi nessun eccesso di mortalità nel 2020, ma nel 2021 e 2022

La stima dei decessi normalmente attesi è relativamente complessa e richiede una serie di modelli matematici e parametri che possono portare a grandi differenze nei valori stimati, spiegano i due autori dello studio. Per i loro calcoli, infatti, hanno utilizzato il modello matematico dell'Associazione Attuariale Tedesca, un modello standard della scienza attuariale già utilizzato da Eulero e Gauss, scrivono. Il modello si basa "su tabelle di popolazione, tabelle di mortalità e tendenze di longevità"."Il contributo principale rispetto ad altri studi in questo campo è che, oltre a tenere conto della struttura per età della popolazione tedesca, gli autori utilizzano esplicitamente un trend di mortalità per calcolare il numero dei decessi previsti per coorte di età", scrivono gli statistici di Monaco Göran Kauermann e Giacomo De Nicola in una valutazione dello studio.

E cosa è emerso dallo studio? Gli autori scrivono che nel 2020 si sono verificati circa 4.000 decessi in più. Si tratta di un numero vicino a quello previsto. Per il 2021 e il 2022, invece, hanno determinato cifre superiori alle aspettative. "Complessivamente, il numero dei decessi in eccesso è di circa 34.000 nel 2021 e di circa 66.000 nel 2022, per un totale cumulativo di 100.000 decessi in eccesso in entrambi gli anni".

La traiettoria dei decessi in eccesso non coincide con quella dei decessi Covid

Inoltre, Kuhbandner e Reitzner scrivono che l'elevato eccesso di mortalità in questi due anni è stato "principalmente dovuto a un aumento dei decessi nelle fasce di età tra i 15 e i 79 anni" e "ha iniziato ad accumularsi solo a partire dall'aprile 2021". Un modello di mortalità simile era stato osservato per i nati morti, con un aumento annuale di circa il 9,4% nel secondo trimestre e del 19,4% nel quarto trimestre del 2021.



"Questi risultati suggeriscono che nella primavera del 2021 deve essere accaduto qualcosa che ha portato a un aumento improvviso e sostenuto della mortalità, sebbene finora non siano stati osservati effetti di questo tipo sulla mortalità durante la prima pandemia da Covid 19", scrivono gli autori.

Leggi l'ultimo articolo sull'eccesso di mortalità nel 2021-22-->>





Le tabelle di Kuhbandner e Reitzner mostrano che nel 2021 in Germania sono morte 117 persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni in più rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato. Ci sono stati 227 decessi in più nella fascia d'età 30-39 anni, 1218 nella fascia d'età 40-49 anni, 8325 nella fascia d'età 60-69 anni e 14.504 nella fascia d'età 70-79 anni, per selezionare solo alcune fasce d'età più giovani e più anziane. 

Per il 2022, le cifre sono le seguenti: Tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, a livello nazionale sono morte 393 persone in più rispetto a quanto sarebbe stato statisticamente previsto. Tra i 30-39enni sono morte 636 persone, tra i 40-49enni 1155, tra i 60-69enni 8777 e tra i 70-79enni 19.805 persone.

Per poter stimare le relazioni: Nella fascia d'età 15-29 anni si registrano di solito poco meno di 4000 decessi all'anno, nella fascia d'età 30-39 anni circa 6600, nella fascia d'età 40-49 anni circa 15.000, nella fascia d'età 60-69 anni circa 119.000 e nella fascia d'età 70-79 anni circa 190.000. Con alcune fluttuazioni di anno in anno




martedì 18 aprile 2023

La guerra in Ucraina, il riarmo tedesco e lo straordinario successo di Rheinmetall

La guerra in Ucraina e il riarmo tedesco spingono Rheinmetall verso un incredibile successo.  Come al solito in tempi di guerra c'è chi piange e chi fa i soldi vendendo fazzoletti. Ne scrive la Berliner Zeitung



"La conservazione attiva della natura lega Rheinmetall all'impegno verso la regione nella quale l'azienda è il più grande datore di lavoro dopo la Bundeswehr. Il risultato è una vegetazione insolitamente ricca che attrae una rara varietà di insetti e uccelli e fornisce uno spazio a grandi popolazioni di animali selvatici. Sotto la protezione dell'area riservata - nel poligono di tiro vigono severe misure di sicurezza - continuano a insediarsi nuove specie. Il rumore dei fucili non spaventa la fauna selvatica".

Il leader della tecnologia ecologica di proprietà degli Stati Uniti

Cosi' si presenta il più grande fornitore della difesa tedesca. Nel suo sito più grande, in Germania, gestisce l'Erprobungszentrum Unterlüß (EZU), che con i suoi 54 ettari è il più grande stabilimento privato di test e addestramento militare in Europa, vicino al villaggio di Unterlüß, ai margini del Parco Naturale di Südheide, nella Bassa Sassonia. Con 2500 dipendenti, si tratta del più grande fra i 40 siti della più grande azienda ecologica tedesca.

Rheinmetall infatti preferisce non parlare di armi. "Il gruppo internazionale di tecnologia integrata" - così recita il sito web. "Con le nostre tecnologie, i nostri prodotti e i nostri sistemi, creiamo la base per la pace, la libertà e lo sviluppo sostenibile: vale a dire la sicurezza". E ancora: "Rheinmetall è un gruppo tecnologico integrato per una mobilità rispettosa dell'ambiente". E la nuova litania dei valori continua: "Entro il 2035 vogliamo essere neutrali dal punto di vista delle emissioni di CO₂".

Agli investitori viene quindi promesso un "investimento sostenibile". E questo paga. "Con il cambio dei tempi e la guerra in Europa, anche per Rheinmetall è iniziata una nuova era: utili ai massimi storici, portafoglio ordini da record", afferma l'amministratore delegato Armin Papperger nella relazione annuale del 2022. "Il gruppo tecnologico Rheinmetall AG sta salendo nel principale indice azionario tedesco DAX", ha annunciato il 20 marzo 2023. Negli ultimi due anni il prezzo delle azioni è quasi raddoppiato. All'assemblea generale annuale del 9 maggio 2023 agli azionisti è stato promesso un aumento del dividendo del 30% .

Chi sono gli azionisti? Rheinmetall non fa alcun nome

Dai portali di borsa e dalle comunicazioni della Securities and Exchange Commission (SEC) statunitense emerge che Rheinmetall ha 280 azionisti censiti. I più grandi sono Blackrock, Wellington, Fidelity, Harris Associates, John Hancock, Capital Group, Vanguard, EuroPacific Growth Fund, LSV. Come la maggior parte dei più piccoli, provengono dagli Stati Uniti. Rheinmetall quindi non è affatto tedesca. Metà dei 25.500 dipendenti lavora in Germania, l'altra metà in altri 33 Paesi. Ma i profitti affluiscono principalmente negli Stati Uniti.

Tecnologia militare all'avanguardia insieme a gruppi statunitensi


Rheinmetall gestisce il maggior numero di filiali al di fuori dalla Germania proprio negli Stati Uniti, dove ce ne sono dieci. Tutto è iniziato nel 2005 con la guerra permanente degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq. In quanto "partner di lunga data della Nato, Rheinmetall sostiene la strategia di difesa nazionale degli Stati Uniti".

Negli Stati Uniti Rheinmetall sta sviluppando le più moderne tecnologie militari, ad esempio la nuova generazione di veicoli da combattimento per fanteria supportati dall'intelligenza artificiale, insieme a società di difesa statunitensi come Textron, Raytheon e Allison. Questi veicoli dovranno operare, sia con equipaggio che senza, con un'elevata potenza di fuoco, un'alta protezione e un'elevata mobilità, con una capacità letale senza precedenti "non disponibile in nessun'altra parte del mondo".

Rheinmetall ora è stata autorizzata a costruire la sezione centrale lunga 6,5 metri tra la cabina di pilotaggio e la coda del caccia F-35 della più grande azienda di difesa del mondo, la Lockheed. Il Ministero della Difesa tedesco ha già ordinato alcuni F-35 come conseguenza della guerra in Ucraina, almeno per il momento. I membri europei della Nato devono quindi rinunciare a sviluppare un proprio caccia e acquistare i costosi aerei stealth statunitensi.

Rheinmetall sta sviluppando insieme al produttore statunitense di droni AeroVironment un piccolo drone senza pilota per le forze speciali. Il drone deve essere rapidamente dispiegabile, lanciabile a mano, pesare meno di dieci chilogrammi e avere una portata di 30 chilometri.

Sulla scia della strategia militare globale degli Stati Uniti

In Ucraina - l'ultimo generatore di profitti - il leader tecnologico vuole costruire una nuova fabbrica di carri armati. Perché la guerra per riconquistare tutto il territorio durerà a lungo, dice Papperger. Anche se un giorno Putin dovesse andarsene, una partnership con la Russia probabilmente non sarebbe possibile.

Secondo le sue stesse informazioni, Rheinmetall gestisce 133 siti in 33 Paesi, nei paesi della NATO ma anche nella "neutrale" Svizzera, in modo da garantire forniture tempestive e locali. Dopo la dichiarazione di ostilità nei confronti della Cina da parte del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, Rheinmetall ha finora sviluppato 18 siti in Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Nel 2014 Obama ha chiesto alle nazioni del Pacifico, in Australia, un riarmo guidato dagli Stati Uniti, contestualmente alla graduale eliminazione dell'"industria sporca" fossile. Da allora gli Stati Uniti hanno costruito quattro nuove basi militari nel continente. Rheinmetall è arrivata, ora è il più grande fornitore di carri armati per l'esercito australiano ed esporta il carro armato Boxer negli Stati asiatici. La fabbrica nel Queensland, con 600 dipendenti, è "il sito militare tecnologicamente più avanzato in Australia", secondo quanto riferito dalla stessa azienda.

Rheinmetall ha anche acquisito una certa esperienza nell'aggirare i controlli sulle esportazioni di armi, come accaduto sotto il cancelliere Angela Merkel, ad esempio attraverso le sue filiali in Italia e negli Stati Uniti. Per questo nel 2017 il gruppo ha ricevuto il Black Planet Award dalla fondazione Ethecon. Papperger posiziona Rheinmetall a fianco del diritto internazionale ONU nell'"ordine internazionale basato sulle regole" definite dagli USA.

Verde in combinazione con civile e militare

Il Green Deal UE finanzia anche lo sviluppo di campi militari mobili: devono però essere indipendenti dall'energia fossile. Rheinmetall fa parte di un team di progetto dell'UE che deve rendere le tecnologie sviluppate a questo scopo utilizzabili anche per scopi civili.

Insieme ad Allison, ad esempio, Rheinmetall ha sviluppato il motore elettrico eGenForce, privo di emissioni di CO₂, per il piu' importante carro armato statunitense Abrams: il motore non fa rumore, non emette calore e non può essere rilevato di notte dai droni nemici. Per la fanteria ucraina, Rheinmetall sta costruendo torri di sorveglianza mobili con "celle solari che consentono un funzionamento sostenibile senza combustibili operativi". Insieme ad un produttore di autocarri, Rheinmetall sta anche lavorando sugli autocarri nell'ancora giovane campo della mobilità elettrica, sia militare che civile.

In questo modo si fondono la "sicurezza" militare e quella pubblica. Con il Survivor R, Rheinmetall sta costruendo per la polizia il "veicolo speciale altamente mobile della prossima generazione, ottimamente protetto e versatile". "Rheinmetall è da molti anni un partner delle forze di sicurezza in Germania e in Europa. Il portafoglio prodotti nel campo della sicurezza pubblica comprende componenti per attrezzature di protezione balistica, armi speciali per operazioni di polizia, ottica e optronica per la ricognizione e la sorveglianza diurna e notturna, sistemi per il rilevamento e la difesa dei droni e veicoli di emergenza blindati.

Lobbismo trasversale

Rheinmetall è membro delle tre associazioni di lobbying dell'industria della difesa: Förderkreis Deutsches Heer (FKH), Deutsche Gesellschaft für Wehrtechnik (DWT) e Bundesverband der Deutschen Sicherheits- und Verteidigungsindustrie (BDSV). Papperger è anche presidente della BDSV. Rheinmetall fa anche donazioni a tutti i partiti di governo.

Nel 2014, Rheinmetall ha portato l'ex segretario generale della FDP Dirk Niebel nella sua sede di Düsseldorf come responsabile per lo sviluppo della strategia internazionale e delle relazioni governative. In precedenza era stato membro del Consiglio federale di sicurezza. Ma soprattutto: Niebel è stato Ministro federale per la cooperazione e lo sviluppo economico dal 2009 al 2013. Ad esempio, il gruppo ha aperto filiali in Sudafrica, Malesia, India, Brasile, Messico, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Uzbekistan.

Alcuni legami con Rheinmetall sono meno evidenti. Henning Otte, CDU, rappresenta il collegio elettorale di Celle. È lì che si trova il più grande sito produttivo di Rheinmetall, Unterlüß. Con l'ascesa di Rheinmetall, nel 2014 Otte è diventato portavoce della politica di difesa del gruppo parlamentare CDU/CSU, nonché membro dell'Assemblea parlamentare della NATO.

Anche il nuovo ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) proviene dalla Bassa Sassonia. È qui infatti che Rheinmetall ha la maggior parte dei suoi siti. Il Land è diventato sempre più importante per l'espansione della NATO verso est. La base marittima di Wilhelmshaven, con 9500 uomini, è la più grande base della Bundeswehr, a disposizione delle forze militari statunitensi dirette verso l'Europa orientale e per le manovre della Nato, ma anche per le attività sempre più globali della Bundeswehr. Munster, vicino a Unterlüß, ospita la più grande area di addestramento della Bundeswehr. E Bergen-Hohne, nel distretto di Celle, è una delle più grandi aree di addestramento NATO in Europa, soprattutto per le esercitazioni con i carri armati.

Il ministro dell'Economia della Bassa Sassonia, Olaf Lies (SPD), sta cercando di ottenere nuove commesse da Rheinmetall per lo Stato, affermando che l'azienda ha già dato un "contributo alla politica di sicurezza" con la rapida costruzione del primo terminale per il GNL. Pistorius è stato uno dei politici della SPD che, nello spirito di Willy Brandt, ha sostenuto una politica di pace ed energetica con la Russia. Ma con l'inizio della guerra in Ucraina, si è dovuto pentire della sua "falsa speranza".

giovedì 16 luglio 2020

Ricordi da un'altra unione monetaria

Trenta anni fa, nel luglio del 1990, nella DDR veniva introdotto il D-Mark, una scelta precipitosa che distrusse l'industria della Germania orientale e stravolse la vita di milioni di tedeschi dell'est. Nei decenni successivi lo stesso copione si sarebbe ripetuto nell'Europa del sud, questa volta però con l'euro. Ne scrive Daniela Dahn sulla Berliner Zeitung


Le riflessioni condotte sulla riunificazione tedesca, sempre più di spesso ammettono che lungo il cammino sono stati commessi degli errori, a volte anche gravi. Ma questa ammissione di solito viene relativizzata dalla seguente affermazione: in considerazione della caduta del Muro, dell'emigrazione di massa, del declino economico e del desiderio generale di avere il D-Mark in tasca, non c'erano alternative. E' necessario opporsi a questa narrazione: chi non ha mai sperimentato alternative, difficilmente può risultare credibile quando afferma che  all'epoca non ce ne fossero.

Ciò vale in particolare anche per l'introduzione del D-Mark come mezzo di pagamento nella DDR. Ma cosa successe esattamente in quei giorni?

Dopo l'incontro del 6 febbraio 1990 con il presidente della Banca centrale della DDR, Horst Kaminsky, e il suo ministro dell'economia, Christa Luft, il presidente della Bundesbank Karl Otto Pöhl aveva rilasciato un comunicato stampa nel quale ribadiva che i piani per un'unione monetaria dovevano essere considerati prematuri. Il ministro federale dell'economia Helmut Haussmann aveva aggiunto che la DDR avrebbe gradualmente reso convertibile la sua moneta con un forte sostegno da parte dell'ovest. Anche un'analisi del Consiglio dei saggi economici confermava questo approccio.

Ma solo un giorno dopo, il cancelliere Kohl, dopo aver consultato a quattr'occhi il suo ministro delle Finanze Theo Waigel, senza averci riflettuto piu' di tanto, decise di offrire pubblicamente l'unione monetaria ai tedeschi dell'est. La Bundesbank non era stata consultata, e Pöhl in piu' occasioni in seguito se ne è anche lamentato. Il D-Mark è stata la promessa elettorale più difficile da mantenere. I sondaggi della CDU orientale per le elezioni della Volkskammer del 18 marzo, infatti, erano stati spiacevoli quanto i sondaggi personali sulla popolarità del Cancelliere in Occidente. L'eccellente istinto politico di Kohl per il potere, tuttavia, era stato poi premiato da una vittoria schiacciante ottenuta con il 48% dei voti dall'Alleanza per la Germania da lui creata.



L'ormai imminente introduzione del Marco dell'ovest aveva suscitato da un lato una grande cupidigia, dall'altro un'incertezza di fondo sul ritmo al quale questa riforma monetaria avrebbe potuto essere realizzata con successo. La bozza del trattato era rimasta sotto chiave, ma a metà aprile erano trapelate alcune indiscrezioni. Finalmente era chiaro quale prezzo sarebbe stato richiesto per impedire che la moneta pregiata  fosse usata per scopi riprovevoli: la DDR doveva accettare una restrizione della propria sovranità. I principi costituzionali più importanti della DDR dovevano essere abrogati, in particolare veniva messo in discussione l'ordinamento giuridico socialista, in modo da poter garantire l'acquisizione della proprietà privata di terreni e mezzi di produzione. Per la prima volta veniva introdotto il diritto di licenziare senza preavviso. Chiunque rinunci alla propria sovranità monetaria, del resto, non viene più considerato un partner contrattuale degno di essere preso sul serio.


La gioia dell'attesa era mista alla disillusione e alla paura per la propria esistenza: nelle fabbriche c'erano stati scioperi di avvertimento. La PDS aveva affisso migliaia di manifesti: "se il D-Mark arriva troppo presto, la ragione arriva troppo tardi". Ma le telecamere avevano preferito soffermarsi solo sugli slogan di senso opposto. Le elezioni locali del 6 maggio nella DDR, appena sette settimane dopo le elezioni della Volkskammer, con oltre un milione di elettori che hanno cambiato partito, avevano mostrato una perdita di fiducia dell'elettorato. La CDU aveva perso 800.000 voti, i piccoli partiti come i Verdi, gli attivisti per i diritti civili e gli altri partiti che erano contro la grande Germania, diventata molto in fretta la nuova Patria, insieme erano passati dal 20 al 30 %. Ma questa tendenza era stata comprata con il D-Mark e fermata anche dalla legge sui Treuhand approvata nello stesso periodo, legge che liberava la proprietà pubblica e ne rendeva possibile la privatizzazione.  



L'atto più importante della prima e ultima Volkskammer liberamente eletta, corteggiata dai consiglieri occidentali, è stato proprio quello di espropriare il popolo dell'est. Il politico della SPD Rudolf Dreßler ne ha parlato descrivendola come una "terribile omissione": "perché dopo l'unità dello Stato, c'era stata una chiara e unica opportunità storica di trasformare la ricchezza nazionale in una forma di proprietà del capitale produttivo ampiamente diffusa, in modo da rendere i tedeschi dell'est comproprietari di aziende sane e riorganizzate". Volker Braun aveva riassunto questo "affare poco trasparente" in poche parole: il popolo ha rinunciato alle sue proprietà e si è fatto consegnare la libertà.

La mattina del 1° luglio i cittadini della DDR hanno scambiato le loro monetine di alluminio con il ben piu' resistente D-Mark, e nei loro grandi magazzini hanno poi trovato le merci occidentali in tutto il loro splendore. L'ho sperimentato personalmente nelle abitudini di consumo del nostro villaggio. Non è vero che i beni dell'est non venivano piu' comprati, semplicemente erano completamente scomparsi dai supermercati. Non c'era piu' il solito dentifricio, e niente più pomodori prodotti sul luogo, quelli nuovi erano un po' piu' pallidi, ma almeno  arrivavano dall'Olanda. Anche l'edicola non era riconoscibile - accanto alla Bild e a Die Welt c'erano i tascabili Welt Goldmann. E la prima concessionaria di auto in città! La promessa fatta ai consumatori era stata mantenuta, nell'entusiasmo generale. I punti più importanti del trattato, in realtà, non erano mai stati mantenuti.

"Dentro c'erano davvero tutte queste sciocchezze?" aveva chiesto Karl Otto Pöhl, il presidente della Bundesbank, la cui opinione sulla riforma monetaria non era stata nemmeno ascoltata, due anni dopo mentre gli leggevo alcuni passaggi del Trattato. "All'epoca non l'avevo nemmeno letto, ero così arrabbiato che sapevo già che mi sarei dimesso". E' stata una scelta politica che andava contro l'economia. Se nella Repubblica Federale fosse stato introdotto da un giorno all'altro il dollaro, molto più forte, mi aveva spiegato, anche l'economia tedesca ne sarebbe uscita fortemente danneggiata. L'editorialista economico del Guardian descrisse l'impatto dell'unione monetaria con l'est come quello di una "bomba atomica economica".

Quello che ne seguì invece furono dei paesaggi politici alquanto appassiti. Dopo che il 95 % della proprietà del popolo era passata in mani occidentali, iniziò un periodo di siccità durato 18 anni, dopo il quale si riuscì di nuovo a raggiungere la produzione economica della DDR. Secondo i sondaggi rappresentativi della sociologa Yana Milev, tra il 1990 e il 1994 tre milioni di persone hanno manifestato contro i licenziamenti e contro le disparità di trattamento - il doppio rispetto alla "rivoluzione pacifica" - ma sono state ignorate. Parallelamente alla deindustrializzazione, anche il tasso di natalità è sceso del 70%, un barometro alquanto affidabile sull'andamento dell'opinione pubblica.

Il numero di persone emigrate ad ovest ha continuato a crescere. Ad est, invece le persone venivano spesso inserite in inutili programmi per la creazione di posti di lavoro, e alla fine hanno dovuto fare richiesta di assistenza sociale. Il fatto che la rete di sicurezza sociale esista, bisogna ammetterlo, ha anche a che fare con la ripresa che la riunificazione ha causato in occidente. Il 1990 è stato il miglior anno finanziario nella storia  centenaria della Deutsche Bank. E non solo per questa banca. E' diventato conveniente degradare i tedeschi dell'est facendoli diventare percettori permanenti di elemosine. "Viziare" è un termine accettabile in una economia di mercato, senza nascondere il suo sottofondo umiliante.

L'isolamento economico post-coronavirus, in confronto, è un gioco da ragazzi. Ancora oggi, i nuovi Länder federali dell'est non sono più così lontani dal riuscire a produrre completamente da soli quanto consumano. Tuttavia sono stati riconciliati con il paese grazie all'introduzione del D-Mark e poi con l'euro. Secondo il rapporto annuale del governo federale del 2019, due terzi dei tedeschi dell'est hanno dichiarato che la loro situazione personale è migliorata notevolmente rispetto al 1990. Finalmente sono stati in grado di viaggiare dove volevano e di migliorare le loro condizioni di vita, di creare delle piccole imprese e di consumare quasi quanto i loro compatrioti, che una volta si chiamavano fratelli e sorelle.

Già nel 1994, l'allora ministro degli Affari sociali, Regine Hildebrandt, lamentava che l'est socialmente egualitario si era allineato alla società dei due terzi occidentale. Ed è lì che è rimasto.

Secondo i "Glückatlas", quasi la metà dei tedeschi dell'est è preoccupata per la coesione sociale. La ricca Germania di oggi è un paese che tollera la nuova povertà, che ha una sottoclasse sociale creata grazie ad Hartz IV, che emargina i gruppi sociali, che spende poco per i richiedenti asilo, dove la salute costa tanti soldi e le opportunità educative sono ereditarie. E questi sono anche gli effetti tardivi di questa folle unione monetaria, che alla fine ha portato il costo netto dell'unificazione tedesca ben oltre i due trilioni di euro. Soldi che non sono stati pagati usando gli spiccioli e le monetine, ma in gran parte sono stati finanziati da prestiti ancora oggi lungi dall'essere estinti. Secondo la Corte dei conti tedesca, il debito federale oggi è quattro volte superiore rispetto a quello di 30 anni fa. Questo fardello non solo sarà ereditato dalle prossime generazioni, ma per anni ha imposto, a est come a ovest, lo Schwarze Null, sotto il cui ombrello dimagrante le politiche pubbliche per il clima, la salute, l'istruzione, i trasporti o la digitalizzazione hanno perso spessore.

Dove l'ottimizzazione per il mercato isola le persone e ogni forma di solidarietà ha il suo prezzo, dove la demolizione degli spazi abitativi lascia i giovani emotivamente senza casa, fioriscono la violenza, la xenofobia e l'estremismo di destra. Tutto ciò era senza alternative?

Un'introduzione graduale del D-Mark, anche se non così esitante come era accaduto nella Saarland, davvero non sarebbe stata possibile? I tedeschi dell'ovest non furono  nemmeno interpellati, ma i loro esperti erano pienamente consapevoli degli effetti che la frettolosa introduzione del D-Mark avrebbe causato. Il consulente di direzione Roland Berger aveva preparato una perizia nella quale prevedeva quattro milioni di disoccupati e l'intero disastro qui descritto. Ma lo studio era finito in una cassetta di sicurezza.

Perché questo rapporto è stato tenuto segreto? L'unica spiegazione è che delle persone consapevoli dei rischi alla fine avrebbero deciso diversamente. Se fosse stato pubblicato in tempo, non è affatto certo che i partiti che avevano elogiato questo rullo distruttore come un'offerta allettante, e che lo avevano fatto solo per mantenere il loro potere, alla fine sarebbero stati davvero rieletti. Così, questo accordo, che nelle sue promesse economiche non è mai stato mantenuto, era la continuazione di quella "irresponsabilità organizzata" che Rudolf Bahro una volta attribuiva all'economia della DDR.