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domenica 10 settembre 2023

Rivalità franco-tedesche per il controllo della Romania

 Germania e Francia si contendono l'influenza sulla Romania: un paese che da sempre è luogo di scontro fra le potenze europee in quanto tassello fondamentale per controllare il sud-est europeo e contenere le ambizioni russe e neo-ottomane sulla regione. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy

scontro franco-tedesco per il controllo della romania

Le rivalità franco-tedesche accompagnano il rafforzamento militare della Romania nella lotta di potere contro la Russia. La Bundeswehr infatti già da anni collabora strettamente con le forze armate rumene: ha sostenuto la sorveglianza aerea rumena con gli Eurofighter all'inizio dell'anno scorso e sta inviando soldati per costruire il Corpo multinazionale Sud-Est in Romania, attualmente in fase di costituzione. La Francia, da parte sua, sta guidando un gruppo tattico della NATO nel Paese dell'Europa sud-orientale - e sta ora considerando, come recentemente riportato il quotidiano francese Le Monde, di inviare altrii soldati in Romania in caso di un ulteriore ritiro delle truppe dall'Africa occidentale, al fine di rafforzare non solo le posizioni della NATO contro la Russia, ma anche la propria posizione in loco. La rivalità europea per l'influenza sulla Romania è antica. Risale ai primi decenni del XIX secolo, quando ancora non esisteva uno Stato rumeno. Oltre alla Francia e all'economia tedesca o, dal 1871, all'Impero tedesco, anche la Russia e la Gran Bretagna sono state coinvolte nella rivalità. Le lotte di potere si sono poi trascinate fino alla fine della Seconda guerra mondiale.

Protettorato russo

In seguito alla Convenzione russo-ottomana di Akkerman del 1826, lo Zardom russo fu in grado di stabilire un protettorato de facto sui due principati ancora nominalmente ottomani di Valacchia e Moldavia, nell'attuale Romania. Due anni dopo, la Russia occupò i due principati danubiani. [1] Nel 1829, la pace di Adrianopoli pose fine all'ottava guerra russo-ottomana (1828-1899) e garantì alla Russia la possibilità di occupare la Valacchia e la Moldavia per altri anni ancora. I due principati danubiani divennero così protettorati russi per un lungo periodo. Come forma di resistenza al sistema imposto dall'Impero zarista, fiorì il nazionalismo rumeno. [2]

Interessi britannici

Negli anni Quaranta del XIX secolo, il commercio britannico con la regione del Mar Nero subì un cambiamento fondamentale. Fino ad allora, infatti, i commercianti britannici avevano acquistato grano soprattutto in Russia, ma a partire da questo decennio la loro attenzione si spostò sulla Valacchia e sulla Moldavia. In quanto principati autonomi de jure dell'Impero Ottomano, vi si applicavano gli stessi trattati di libero scambio dell'impero ottomano. [3] In Europa occidentale, la domanda di grano aumentava a causa dell'industrializzazione, dell'urbanizzazione e della rapida crescita demografica. Le élite politiche della Gran Bretagna volevano quindi assicurarsi il territorio dell'attuale Romania in quanto fornitore per la popolazione britannica. [4]

Sogni tedeschi

Parallelamente all'incipiente lotta russo-britannica per l'influenza in Valacchia e Moldavia, iniziarono i piani tedeschi per influenzare quella che sarebbe poi diventata la Romania. Nel 1845, sull'Augsburger Allgemeine Zeitung, il più importante quotidiano politico tedesco dell'epoca, apparve un articolo in cui un autore chiedeva che i principi tedeschi fossero elevati al trono principesco della Moldavia e della Valacchia. [5] Anche l'influente professore di economia di Gottinga Wilhelm Roscher (1817-1894) sostenne in un articolo del 1848 che i due principati danubiani avrebbero dovuto diventare "in futuro (...) patrimonio della Germania". Concentrando gli emigranti tedeschi nella regione, "una nuova Germania potrebbe emergere attraverso una loro conquista pacifica". [6] Anche prima della fondazione di un Impero tedesco unificato, c'era l'ambizione di assicurarsi la Romania come retroterra tedesco.

Consiglieri francesi

Nel 1859, la Valacchia e la Moldavia si unirono per formare la Piccola Romania (ufficialmente "Principato di Romania"). Appena un anno dopo, l'imperatore francese Napoleone III decise di inviare una missione militare nel neonato principato, L'obiettivo, secondo un diplomatico di Baden, era quello di trasformare il Paese dell'Europa sud-orientale in un "[terribile] [strumento] alle spalle dell'Austria". [Nel 1865, un consorzio franco-britannico fondò la Banca di Romania, che divenne una delle banche più importanti del Paese. [9] Gran Bretagna e Francia si trovavano anche in competizione per l'accesso alle materie prime rumene. [10] Insieme alla Russia, due potenze dell'Europa occidentale si stavano contendendo l'influenza nel Paese dell'Europa sud-orientale.

Monarca tedesco

Nell'aprile del 1866, Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen assunse la corona principesca rumena e si fece chiamare Carol I. Dopo il suo arrivo in Romania, dichiarò di essere d'ora in poi romeno; politicamente, tuttavia, rimase fedele alla Germania. [11] Il principe Carol I era considerato il "bastione prussiano in Oriente", al quale la Romania eveniva solitamente annoverata nel XIX secolo. [12] Con la trasformazione del principato in regno nel 1881, Carol I salì al rango di re. Il reggente di origine tedesca del Paese dell'Europa sud-orientale cercò continuamente di stringere relazioni con l'Impero tedesco, fondato nel 1871 sotto la guida della Prussia. [13] Nel 1883 la Romania aderì alla Triplice Alleanza con la Germania e l'Austria-Ungheria. Il governo e il re rumeno, tuttavia, mantennero segreto l'accordo, poiché la maggior parte dei politici e dell'opinione pubblica del Paese era favorevole alla Francia. [14]

Prima guerra mondiale

Dopo l'inizio della Prima Guerra Mondiale, il governo tedesco cercò di portare la Romania dalla parte delle Potenze Centrali. Al governo di Bucarest fu promesso che la Romania sarebbe stata autorizzata ad annettere la Bessarabia; in futuro, un Granducato di Ucraina sarebbe servito da cuscinetto per il Paese nei confronti della Russia. [15] Tuttavia, ciò non fu sufficiente per l'élite politica di Bucarest e nell'agosto del 1916 la Romania entrò nella Prima guerra mondiale al fianco dell'Intesa. Una missione militare francese guidata dal generale Henri Berthelot (1861-1931) raggiunse la Romania e addestrò le truppe rumene. [16] Le offensive dell'esercito rumeno e le controffensive delle Potenze Centrali si conclusero con un disastro per la Romania; già nel dicembre 1916, le Potenze Centrali riuscirono a occupare tutta la Valacchia, compresa Bucarest. [Nel dicembre 1917, con l'armistizio di Focșani, la Romania uscì dalla Prima guerra mondiale. [18] Le ostilità terminarono e iniziarono i negoziati per un trattato di pace. Nel maggio 1918, i rappresentanti di entrambe le parti conclusero il Trattato di Bucarest, che tuttavia fu successivamente annullato.

Periodo interbellico

Dopo l'armistizio della fine del 1918, il Ministero degli Esteri sviluppò una strategia secondo la quale l'Ucraina e la Romania avrebbero dovuto formare un blocco filotedesco sul Mar Nero. Questo era il modo con il quale Berlino intendeva mantenere la propria influenza nella regione. [19] Dopo la perdita delle colonie tedesche a seguito della prima guerra mondiale, l'economia tedesca si concentrò più di prima sul raggiungimento dell'egemonia economica nell'Europa sud-orientale.[20] Nei primi anni del dopoguerra questa strategia non ebbe successo, ma già a metà degli anni Venti la situazione cambiò. Nel 1925, il rappresentante diplomatico tedesco in Romania dichiarò che "le possibilità economiche dell'industria tedesca in Romania" erano "maggiori (...) che in qualsiasi altro Paese dell'Europa orientale"[21].

La rinnovata concorrenza francese

Come i due principati danubiani di Moldavia e Valacchia nel XIX secolo, anche la Francia cercò di espandere la propria influenza in Romania. Negli anni Venti, infatti, diversi governi rumeni si orientarono politicamente verso la Francia e la Gran Bretagna come pilastri dell'ordine di pace di Versailles. [22] Il Paese faceva allora parte della Piccola Intesa anti-revisionista con la Jugoslavia e la Cecoslovacchia. Nel 1925, gruppi francesi parteciparono alla fondazione del gruppo rumeno Industria Aeronautică Română (IAR), punto fermo nello sviluppo dell'industria aeronautica rumena. [23] Soprattutto nelle forze armate rumene, la Francia acquisì un'"influenza onnipresente (...)".[24] 

Influenza offensiva

In una dichiarazione governativa del 1928, il cancelliere tedesco Hermann Müller (SPD) dichiarò che era un "compito essenziale" del governo della Repubblica di Weimar dell'epoca sviluppare le relazioni della Germania con i paesi dell'Europa sudorientale, compresa la Romania. [Nel 1931 iniziò una metamorfosi dell'organizzazione lobbistica Mitteleuropäischer Wirtschaftstag (MWT), che si concluse con la nascita di "una nuova organizzazione con il vecchio nome". [26] Da quel momento in poi, l'MWT gettò le basi per una "politica (fascista) dell'Europa sudorientale di grande successo". [27] Nell'MWT, i principali rappresentanti dell'economia lavoravano insieme al personale del Ministero degli Esteri. Per garantire l'approvvigionamento alimentare tedesco, a partire dal 1933 la IG Farben iniziò a coltivare sempre più soia in Romania. [28] Il Reich tedesco continuò a espandere la propria influenza in Romania.

L'"ariete" tedesco

Il giorno dopo il ritiro dell'esercito rumeno dalla Bessarabia e dalla Bucovina settentrionale, nell'estate del 1940, il governo rumeno dichiarò ad Adolf Hitler che la Romania cercava una "stretta collaborazione con la Germania in tutti i campi". [29] Sempre nell'estate del 1940, la Kontinentale Öl-Aktiengesellschaft tedesca iniziò a rilevare l'industria petrolifera rumena. [30] Sebbene il governo rumeno fosse inizialmente riuscito a mantenere gran parte dell'economia del Paese sotto il controllo rumeno, [31] le società tedesche potevano essere utilizzate come "ariete" per accrescere l'influenza tedesca: Dopo l'annessione dell'Austria e la disgregazione della Cecoslovacchia, le società tedesche rilevarono le aziende e le banche del Paese assumendo quindi il controllo su parti importanti dell'industria pesante rumena. Inoltre, il governo di Berlino esercitò pressioni affinché il governo rumeno vendesse l'industria pesante alle società tedesche. [32]

"Operazione Barbarossa

D'ora in poi, il Reich tedesco poteva contare sulla Romania non solo economicamente, ma anche militarmente: il Paese dell'Europa sud-orientale fornì il secondo contingente di truppe più grande dopo la Germania per l'invasione dell'Unione Sovietica, l'Operazione Barbarossa. [33] Le truppe rumene riconquistarono la Bessarabia e presero anche la Bucovina settentrionale e la regione di Odessa. Quest'ultima divenne una colonia rumena con il nome di Transnistria. In essa, le truppe rumene commisero vari crimini di massa e uccisero oltre 200.000 ebrei rumeni. [34] Insieme ai soldati tedeschi, i soldati rumeni combatterono anche a Stalingrado. [35] Dopo le ritirate del 1943 e della prima metà del 1944, un colpo di Stato pose fine al governo del primo ministro filofascista Ion Antonescu; la Romania passò agli Alleati. Da quel momento in poi, l'influenza tedesca si ridusse al minimo. Solo a partire dalla fine dell'era del socialismo reale la Repubblica Federale è riuscita a riconquistare una maggiore influenza in Romania.


Leggi gli altri articoli sulla crisi dell'asse franco-tedesco-->>


[1] Barbara Jelavich: Russia and the Formation of the Romanian National State, 1821–1878, Cambridge 1984, S. 28.

[2] Victor Taki: Russian Occupation of Moldavia and Wallachia and the Plans for a “People's War” in the Balkans, in: Candan Badem (Hg.): The Routledge Handbook of the Crimean War, London 2023, S. 85–102 (hier: S. 97).

[3] Paul Hehn: Capitalism and the Revolutionary Factor in the Balkans and Crimean War Diplomacy, in: East European Quarterly, Jg. 18 (1984), Nr. 2, S. 155–184 (hier: S. 158).

[4] Ebenda, S. 155/156.

[5] Klaus Thörner: »Der ganze Südosten ist unser Hinterland« – Deutsche Südosteuropapläne von 1840 bis 1945, Freiburg 2008, S. 46.

[6] Klaus Thörner: „Der ganze Südosten ist unser Hinterland“ – Deutsche Südosteuropapläne von 1840 bis 1945, Diss., Oldenburg 2000, S. 21.

[7] Jonathan A. Grant: Rulers, Guns, and Money – The Global Arms Trade in the Age of Imperialism, Cambridge (MA) 2007, S. 39.

[8] Martin B. Winckler: Bismarcks Rumänienpolitik und die europäischen Großmächte 1878/79, in: Jahrbücher für Geschichte Osteuropas, Jg. 2 (1954), Nr. 1, S. 53–88 (hier: S. 58).

[9] Keith Hitchins: A Concise History of Romania, Cambridge 2014, S. 110.

[10] Ebenda, S. 87.

[11] Sorin Arhire: The Russian-Romanian Diplomatic Negotiations between 1914 and 1916 for Romania’s Entry into the First World War, in: Russian Historical Journal Bylye Gody, Jg. 54 (2019), Nr. 4, S. 1907–1917 (hier: S. 1912Fn1).

[12] Winckler: Bismarcks Rumänienpolitik und die europäischen Großmächte 1878/79, S. 59.

[13] Mayerhofer, Lisa: Zwischen Freund und Feind – Deutsche Besatzung in Rumänien 1916–1918, München 2010, S. 23–28.

[14] Hitchins: A Concise History of Romania, S. 149.

[15] Arhire: The Russian-Romanian Diplomatic Negotiations between 1914 and 1916 for Romania’s Entry into the First World War, S. 1910/1911.

[16] Glenn E. Torrey: Romania in the First World War: The Years of Engagement, 1916–1918, in: The International History Review, Jg. 14 (1992), Nr. 3, S. 462–479 (hier: S. 465).

[17] Glenn E. Torrey: The Entente and the Rumanian Campaign of 1916, in: Rumanian Studies, Jg. 4 (1976–1979), S. 174–191 (hier: S. 174).

[18] Glenn E. Torrey: Romania Leaves the War: The Decision to Sign an Armistice, December 1917, in: East European Quarterly, Jg. 23 (1989), Nr. 3, S. 283–292.

[19] David X. Noack: Germany’s Influence along the Black Sea Rim in the Wake of the First World War: Official German foreign policy views on the Black Sea Region in the “Shadow of Versailles“ November 1918–March 1921, in: Sorin Arhire/Tudor Roşu (Hgg.): The Paris Peace Conference (1919–1920) and Its Aftermath: Settlements, Problems and Perceptions, Newcastle upon Tyne 2020, S. 133–158 (hier: S. 142/143).

[20] Thörner: »Der ganze Südosten ist unser Hinterland«, S. 320/321.

[21] Thörner: „Der ganze Südosten ist unser Hinterland“, Diss., S. 372.

[22] Hitchins: A Concise History of Romania, S. 160.

[23] Alexander Statiev: Antonescu's Eagles against Stalin's Falcons: The Romanian Air Force, 1920–1941, in: The Journal of Military History, Jg. 66 (2002), Nr. 4, S. 1085–1113 (hier: S. 1086).

[24] Ebenda, S. 1089.

[25] Hans-Jürgen Schröder: Deutsche Südosteuropapolitik 1929–1936 – Zur Kontinuität deutscher Außenpolitik in der Weltwirtschaftskrise, in: Geschichte und Gesellschaft – Zeitschrift für historische Sozialwissenschaft, Jg. 2 (1976), S. 5–32 (hier: S. 10).

[26] Martin Seckendorf: Entwicklungshilfeorganisation oder Generalstab des deutschen Kapitals? Bedeutung und Grenzen des Mitteleuropäischen Wirtschaftstages, in: 1999 – Zeitschrift für Sozialgeschichte des 20. und 21. Jahrhunderts, Jg. 8 (1993), Nr. 3, S. 10–33 (hier: S. 13).

[27] Ebenda, S. 25.

[28] Roswitha Berndt: Wirtschaftliche Mitteleuropapläne des deutschen Imperialismus (1926–1931) – Zur Rolle des Mitteleuropäischen Wirtschaftstages und der Mitteleuropa-Institute in den imperialistischen deutschen Expansionsplänen, in: Gilbert Ziebura (Hg.): Grundfragen der deutschen Aussenpolitik seit 1871, Darmstadt 1975, S. 305–334 (hier: S. 333).

[29] Alexander Statiev: When an army becomes ‘merely a burden’: Romanian defense policy and strategy (1918–1941), in: The Journal of Slavic Military Studies, Jg. 13 (2000), Nr. 2, S. 67–85 (hier: S. 75).

[30] Anand Toprani: Germany’s Answer to Standard Oil: The Continental Oil Company and Nazi Grand Strategy, 1940–1942, in: Journal of Strategic Studies, Jg. 37 (2014), Nr. 6–7, S. 949–973 (hier: S. 961).

[31] R. J. Overy: Göring’s ‘Multi-national Empire’, in: Alice Teichova/P. L. Cottrell (Hgg.): International Business and Central Europa, 1918–1939, New York (NY) 1983, S. 269–298 (hier: S. 279).

[32] Richard J. Overy: German multinationals and the Nazi state in occupied Europe, in: Alice Teichova/Maurice Lévy-Leboyer/Helga Nussbaum (Hgg.): Multinational enterprise in historical perspective, Cambridge u.a. 1989, S. 299–325 (hier: S. 311).

[33] Grant T. Harward: “To the End of the Line”: The Romanian Army in Operation Barbarossa, in: The Journal of Slavic Military Studies, Jg. 34 (2021), Nr. 4, S. 599–618 (hier: S. 617).

[34] Wolfgang Benz: Der „vergessene Holocaust“ – Der Sonderfall Rumänien: Okkupation und Verfolgung von Minderheiten im Zweiten Weltkrieg, in: Mariana Hausleitner/Brigitte Mihok/Juliane Wetzel (Hgg.): Rumänien und der Holocaust – Zu den Massenverbrechen in Transnistrien 1941–1944, Berlin 2001, S. 9–13 (hier: S. 10).

[35] Grant T. Harward: Romania’s Holy War – Soldiers, Motivation, and the Holocaust, Ithaca (NY)/London 2021, S. 161–168.




domenica 9 febbraio 2020

Piccole guerre franco-tedesche

Oltre alla condivisione dell'atomica francese, gentilmente declinata dal presidente Macron, Parigi e Berlino si scontrano su diverse questioni scottanti ancora aperte: l'asse franco-tedesco non è poi così saldo come potrebbe sembrare. Ne scrive il sempre ben informato Lost in Europe


Gli inglesi sono fuori, e ora tocca ai due paesi piu' grandi dell'UE, Germania e Francia, mandare avanti la baracca. Ma invece di procedere uniti, Berlino e Parigi si mettono a litigare. Stanno persino combattendo una piccola e pericolosa guerra.

La prima controversia riguarda il futuro bilancio dell'UE. La Germania vorrebbe ridurlo, per contenere i costi post-Brexit. La Francia, invece, vuole abolire sia lo sconto tedesco che lo sconto britannico, che ora del resto non sarà più applicabile.

Non si tratta solo di soldi, ma anche di definire ciò di cui l'UE in futuro si dovrà occupare: della vecchia politica agricola, che rappresenta ancora la parte principale del bilancio europeo, o dei nuovi programmi come la protezione del clima e l'uscita  graduale dal carbone.

Berlino vorrebbe essere moderna e chiede un taglio degli aiuti agricoli "francesi" (di cui peraltro beneficiano anche le grandi aziende agricole tedesche nel Meclemburgo-Pomerania) - ma non vuole pagare un centesimo in più per l'eliminazione graduale del carbone ...

Il secondo argomento di discussione riguarda l'allargamento dell'UE. A prima vista si tratta solo di due candidati, l'Albania e la Macedonia settentrionale: la Germania vuole avviare i negoziati di adesione , la Francia li sta bloccando e chiede riforme.

Ma in verità si tratta della cosiddetta "finalità": l'UE deve comunque essere ampliata anche se questo indebolisce la coesione interna - oppure si tratta piuttosto di costituire prima un "nucleo duro" per far funzionare la baracca?

La cancelliera Merkel è per l'allargamento senza limiti, alla fine, in questo modo si amplia anche il mercato dell'export tedesco. Il presidente Macron, invece, chiede di fare prima le riforme per rafforzare la coesione e l'efficacia dell'UE ...

Il terzo argomento di scontro riguarda la Libia, Merkel appoggia il governo di unità di Tripoli, Macron l'autoproclamato generale Haftar. Al vertice di Berlino le due parti hanno comunque cercato di trovare un accordo sulla stessa linea.

Ma è proprio la Turchia ad accendere lo scontro - mentre continua ad inviare navi e combattenti dalla Turchia verso Tripoli. Il Sultano Erdogan si rifiuta apertamente di rispettare l'accordo di Merkel sulla Libia, critica Macron - ma la Cancelliera tace.

E questo non solo infiamma ancora di piu' le relazioni franco-tedesche, ma potrebbe portare ad una grave crisi nel Mediterraneo orientale e quindi nella UE e nella Nato. Erdogan continua a provocare la Grecia e Cipro con le trivellazioni per la ricerca del gas.

Conclusione: proprio dopo la Brexit le controversie franco-tedesche tornano ad inasprirsi. La piccola guerra franco-tedesca mette in ombra anche le negoziazioni dell'UE con il premier Johnson per un accordo commerciale.

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martedì 22 gennaio 2019

L'arma invisibile della Francia in Africa: il franco CFA (seconda parte)

"Fino a quando l'Europa appoggerà la politica francese nella zona CFA, l'Europa dovrà anche sopportare le conseguenze di questa politica. Dovrete pertanto continuare a vivere subendo gli effetti delle migrazioni di massa provenienti dalle zone francofone dell'Africa" dice a Deutschlandfunk.de l'ex ministro delle finanze della Costa d'Avorio Koulibaly. Seconda parte dell'ottima inchiesta di Deutschlandfunk sull'arma invisibile dei francesi in Africa, il franco CFA. Si arriva da qui (prima parte)

"L'Africa è stata resa povera"

"Si dice sempre che l'Africa è povera. Non è vero. L'Africa è stata resa povera", dice Moona Ya. La giovane ha poco più di 30 anni e si considera parte di una nuova generazione che finalmente vuole farla finita con l'eredità coloniale. Insieme ai colleghi di tutta l'Africa occidentale, la musicista ha registrato una canzone di protesta. "Sept Minutes contre le Franc CFA". È convinta che i tempi siano maturi per il cambiamento.

Ma non c'è solo la Francia, ad essere responsabile è anche l'Europa. Fin dall'introduzione dell'euro, infatti, il franco CFA non è più agganciato al franco francese ma all'euro. Questo cambiamento nei fatti significa che da allora ogni euro-decisione presa dalla BCE a Francoforte colpisce direttamente 150 milioni di africani che non sono stati né inclusi né coinvolti nella decisione.

Moona Ya: "Ci è sempre stato detto che non ci potevamo gestire da soli perché siamo neri, perché siamo africani. Ci è stato detto che la democrazia non è per l'Africa, perché gli africani sono in un questo o in quel modo. Ma sono tutte sciocchezze! Ovviamente possiamo gestirci da soli il nostro denaro". Ci sono sempre più giovani che non vogliono più accettare il sistema creato intorno al franco CFA, dicono Moona Ya e i suoi colleghi. Quindi, perché il franco CFA non viene abolito?

Il franco CFA non è il solo responsabile

Ci sono diverse ragioni per la situazione attuale. In primo luogo, uno sguardo agli stati vicini mostra che l'abolizione del franco CFA è ben lungi dall'essere la panacea di tutti i mali. Un esempio è la Guinea. Il paese ha abolito il CFA nel 1960 sostituendolo con il franco della Guinea. Tuttavia, la situazione economica del paese è disastrosa almeno quanto quella nella maggior parte degli Stati CFA.

Dopo la riforma monetaria del 1960 la Francia ha fatto il possibile per punire la Guinea per aver lasciato l'Unione monetaria. Quella che per lungo tempo è stata solo una diceria ora può essere provata storicamente: la Francia all'epoca stampava moneta della Guinea contraffatta, inondando il paese di banconote e spingendo la moneta verso un'inflazione catastrofica. Una vergognosa espressione delle rivendicazioni coloniali francesi dell'allora capo di stato francese Charles de Gaulle. Tuttavia le ragioni degli odierni problemi economici del paese ricco di risorse naturali sono altre: la cattiva gestione, la corruzione e la svendita delle risorse minerarie hanno a lungo avuto un ruolo più importante in Guinea che nelle altre ex-colonie francesi.

Un altro caso è il Mali. Il paese dopo l'indipendenza del 1960 ha lasciato il franco CFA e poi vi è rientrato nel 1984. Ci sono anche paesi come la Guinea Bissau che non sono mai stati colonizzati dai francesi e che tuttavia alla fine hanno deciso volontariamente di essere parte dell'unione monetaria. Nonostante tutte le critiche legittime, il franco CFA ha un certo fascino: un'area economica comune, il commercio più facile con l'Eurozona e la stabilità monetaria restano argomenti convincenti

Anche le élite africane ne beneficiano

Ma c'è un'altra ragione se il franco CFA ancora oggi, più di mezzo secolo dopo l'indipendenza delle ex colonie, continua ad esistere. L'economista ed ex consigliere del FMI Abdourahmane Sarr dice: "potremmo riformare il Franco CFA domani. I capi di stato potrebbero incontrarsi e decidere di far rientrare le riserve dalla Francia. Il problema è che non abbiamo la giusta leadership politica. L'élite beneficia del CFA sopravvalutato. Queste persone non sono interessate ad alcun cambiamento del sistema che li ha resi ricchi. Non c'è nessuna pistola puntata alla tempia di nessuno. I nostri politici agiscono di loro spontanea volontà".

In effetti diversi presidenti francesi in passato hanno ripetutamente dichiarato di essere aperti nei confronti di una riforma del franco CFA. L'ultimo a dirlo è stato il presidente Emmanuel Macron nel novembre 2017 in un discorso agli studenti presso l'Università di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, "Nessuno obbliga gli stati a restare membri del franco CFA. Se il vostro presidente domani decidesse di lasciare l'Unione, il Burkina Faso domani sarebbe fuori dalla moneta. Gli stati  africani membri del franco CFA sono essi stessi padroni del loro destino. La decisione spetta a loro".

Continuità coloniale e corruzione

L'ex ministro delle finanze-Koulibaly è scettico, ha avuto esperienze diverse, e dice: "io stesso come ministro delle finanze già nel 2000 ho pubblicamente respinto il franco CFA annunciando l'uscita del mio paese. Ma l'allora presidente francese Jacques Chirac ha chiamato tutti i presidenti africani e ha fatto in modo che il generale Robert Guei, l'ex capo del governo militare in Costa d'Avorio, mi buttasse fuori dal governo. Alla fine sono stato espulso dal Ministero delle Finanze e spostato alla carica di Presidente del Parlamento ".

Questa storia non può essere verificata. Ma si inserisce in una lunga serie di interventi politici simili da parte della Francia nelle sue ex colonie: tentativi di colpi di stato segreti, omicidi e ricatti politici. Anche se solo la metà di questi fosse vera si tratterebbe di un business alquanto dubbio che non teme confronti con quello degli Stati Uniti in America Latina e in parti del Medio Oriente. E questa miscela di continuità coloniale e sfruttamento economico, da un lato, e di corruzione, cattiva gestione e svendita delle materie prime da parte delle élite locali, dall'altro, costituisce la base per la povertà delle ex-colonie francesi

L'ex ministro delle finanze della Costa d'Avorio Koulibaly è convinto: "fino a quando l'Europa appoggerà la politica francese nella zona CFA, l'Europa dovrà anche sopportare le conseguenze di questa politica. Pertanto dovrete continuare a vivere subendo gli effetti delle migrazioni di massa provenienti dalle parti francofone dell'Africa".
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lunedì 18 novembre 2013

La fine dell'amiciza franco-tedesca

Il tramonto della moneta unica corrisponde anche alla fine di un'amicizia che durava da oltre 50 anni e di una lunga fase di riconciliazione. Il segno tangibile è il ritiro della brigata franco-tedesca operato dai francesi: ufficialmente per motivi di bilancio, in realtà per una divergenza sempre piu' profonda fra i due paesi. Da German Foreign Policy
La stampa tedesca commenta con titoli canzonatori la recente visita della Cancelliera a Parigi: "la grande vincitrice incontra un Hollande impotente", titolava la stampa del gruppo Springer. Riferendosi alla drammatica situazione economica francese scriveva: "il paese si avvicina al baratro". Dall'altro lato gli esperti constatano una profonda divergenza fra l'economia tedesca e quella francese. Berlino con le riforme Hartz - riduzioni salariali e compressione della spesa sociale - ha garantito all'industria tedesca un vantaggio tangibile, si scrive nell'analisi. La resistenza contro i programmi di austerità in Francia è molto forte. Le differenze economiche fra Francia e Germania sono ormai molto ampie ed è sempre piu' forte il dubbio che vi siano ancora "basi sufficientemente solide per una cooperazione franco-tedesca", si scrive in una recente analisi della Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Come prova ulteriore dell'erosione dei legami fra Germania e Francia gli osservatori indicano la recente decisione del governo di Parigi di ritirare dalla Germania una parte importante della brigata franco-tedesca.

Un certo ritardo

Il diverso andamento economico registrato da Francia e Germania da quando Berlino si è imposta su Parigi nella battaglia per il potere all'interno dell'UE, viene definito dagli esperti francesi come un "disaccopiamento" ("decrochage") dell'economia del loro paese. Il tema è stato oggetto di una recente analisi che Henrik Uterwedde, direttore del Deutsch-Französisches Institut di Ludwigsburg, ha appena pubblicato presso la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Secondo il documento "la Francia sarebbe sempre piu' in ritardo". Mentre l'economia tedesca continua a crescere, quella francese è in stagnazione; mentre la disoccupazione in Germania è scesa fino al 5.4%, in Francia ha raggiunto l'11%. L'export tedesco è in una fase di boom, la Francia è in profondo rosso. [2] Inoltre, sempre secondo Uterwedde l'industria francese "sta perdendo di peso": "nel 2000 il valore aggiunto creato dall'industria francese era pari al 50% di quello tedesco; 10 anni piu' tardi il rapporto era scesa al 40%" [3]. I consulenti del governo tedesco constatano apertamente che "il peso relativo della Germania sta crescendo, mentre la Francia sta perdendo influenza".

Taglio salariale: "capacità di cooperazione"

Secondo Unterwedde "non c'è alcun dubbio" che le riforme Hartz realizzate dai governi rosso-verdi abbiano creato delle condizioni favorevoli per l'economia tedesca - condizioni che alla fine hanno permesso all'industria tedesca di imporsi contro la concorrenza francese. La situazione francese di oggi ricorda "sotto molti aspetti" la situazione in cui si trovava la Germania prima delle riforme Hartz, sempre secondo Uterwedde. Tuttavia Parigi fino ad ora avrebbe ritardato le "importanti riforme strutturali" - anche a causa delle "massicce proteste politiche".  In merito all'accettazione dei tagli salariali e delle riduzioni di spesa sociale da parte dei sindacati tedeschi, nell'ambito delle riforme Hartz [5], scrive l'autore "gli accordi aziendali per la difesa del lavoro e della competitività che il management e i consigli di fabbrica hanno siglato in numerose imprese di grandi dimensioni sin dagli anni '90" hanno avuto molto successo; l'elemento determinante è stato "la capacità di cooperazione per il superamento dei problemi, da sempre presente in Germania". Considerando la propensione alla lotta tipica dei sindacati francesi, sempre secondo il documento "in Francia tale capacità di cooperazione è molto limitata".[6]

Resistenza francese

Di fatto la critica alle riforme Hartz e alla loro impronta neoliberista, al loro effetto nell'ampliamento delle differenze fra ricchi e poveri, che in Germania hanno addirittura contribuito ad ampliare le differenze di aspettativa di vita fra ricchi e poveri, in Francia è molto diffusa.[7] In una "parte considerevole della società francese c'è una forte resistenza contro queste misure neoliberiste", ammette Uterwedde. "Oltre alla valutazione negativa della politica economica tedesca", si sono aggiunte nel frattempo "le critiche verso l'egemonia economica e la politica tedesca per l'Eurozona". Quest'ultima, si dice in Francia, è rivolta in "maniera univoca a una politica di austerità". Le speranze "di un cambiamento di governo a Berlino e di un nuovo corso nella politica europea" sono andate in frantumi; in Francia dalla Grosse Koalition si aspettano "solo dei cambiamenti marginali rispetto alla precedente linea politica". A livello governativo il tentativo di resistenza francese non ha avuto buon fine: "il tentativo del presidente francese di organizzare una maggioranza in Europa senza, oppure contro la Germania, è fallito, ed ormai appartiene al passato" [8 ]

Il cortile tedesco

Gli stessi dubbi vengono ora espressi non solo in ambito economico e di politica finanziaria, ma anche nel dibattito sulla politica estera e militare. Cosi' uno sguardo alla storia della politica estera e degli interventi militari dell'UE mostrano che sin dagli anni '90 sono serviti a difendere gli interessi tedeschi nell'Europa dell'est e del sud-est: con la guerra in Jugoslavia, l'allargamento ad est dell'UE e il "partenariato orientale", che a fine novembre dovrebbe essere incoronato da un accordo per una piu' stretta integrazione fra i diversi paesi dell'Europa orientale e del Caucaso con l'UE. Gli interessi francesi in Africa sono stati messi da parte, indimenticabile è l'intervista all'allora ministro della difesa federale Volker Rühe nel 1994: "L'Eurokorp non è un Afrikacorp"[9], oppure il fallimento pilotato da Berlino dell'Unione mediterranea proposta da Parigi[10]. La Francia nei suoi tradizionali bacini di influenza in Africa è sempre piu' debole, scrivevano già 2 anni fa i consiglieri del governo di Berlino; nel lungo periodo "la distanza fra Parigi e i paesi del Mediterraneo potrebbe diventare ancora piu' grande".[11] Il contrario accade invece per le posizioni tedesche nei suoi tradizionali bacini di influenza nell'Europa dell'est e del sud-est.

La brigata franco-tedesca

In questo contesto Parigi alla fine di ottobre ha deciso di ridimensionare drasticamente la brigata franco-tedesca. La sua fondazione risale ad un accordo tra Helmut Kohl e François Mitterrand nel 1987; nel 1989 è stata istituita come simbolo della riconciliazione franco-tedesca. La Francia ha piu' volte sollecitato l'utilizzo della brigata; la Repubblica Federale l'ha sempre impedito, non per ragioni pacifiste, piuttosto perché la Germania se avvia un'operazione militare lo fa nel suo interesse, non per difendere gli interessi francesi. La linea ufficiale di Parigi recita: a causa di risparmi inevitabili, il prossimo anno il 110° Reggimento di fanteria sarà ritirato dalla caserma di Donaueschingen in Baden-württemberg. Si tratta di una parte importante della brigata franco-tedesca. Di fatto, nella decisione di ritiro, la motivazione principale è stata il riconoscimento che la parte tedesca nel progetto binazionale segue solo i propri interessi e non è interessata ad un ribilanciamento. Gli osservatori confermano che la Francia, invece, nelle ex-colonie non ha sacrificato le sue basi militari. L'imposizione degli interessi  tedeschi ha condotto a tagli nei progetti bilaterali - anche nella brigata franco-tedesca.

Dubbi

Come scrive Henrik Uterwedde in riferimento alle questioni economiche e finanziarie, negli ultimi tempi "ci sono sempre piu' dubbi sul fatto che vi siano le condizioni minime per il proseguimento della cooperazione franco-tedesca" [12]. Dubbi di questo genere sono emersi anche in ambiti molto diversi - tutti risultati del tentativo di imporre un'egemonia tedesca.

[1] s. dazu Am längeren Hebel, Germanische Strenge und Ein Tabubruch
[2] s. dazu Hartz IV für alle
[3] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013
[4] s. dazu s. dazu Die Dominanz über Europa
[5] s. dazu Sparen für Deutschland
[6] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013
[7] Soziale Schere geht weiter auseinander - Arme sterben fünf Jahre früher als Reiche; www.rtl.de 10.10.2013
[8] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013
[9] s. dazu Ein Land am Abgrund
[10] s. dazu Kein Gegenpol
[11] s. dazu Kulturkämpfe

[12] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013

domenica 6 ottobre 2013

Anche i francesi nel loro piccolo si incazzano

Ogni tanto anche i francesi si arrabbiano, e dopo aver accumulato qualche centinaio di miliardi di disavanzo commerciale, il ministro dell'industria Montebourg ha il coraggio di dirlo: l'Euro è una guerra commerciale combattuta a colpi di moderazione salariale. Da Unternehmen-heute.de
Il Ministro dell'Industria francese Arnaud Montebourg ha criticato duramente la mancanza di un salario minimo in Germania. Il fatto che non sia previsto dalla legge ci danneggia, ha dichiarato  Montebourg in un'intervista all'agenzia di stampa AFP. Il primo ministro Jean-Marc Ayrault nel frattempo ha chiesto che l'occupazione giovanile e le politiche energetiche comuni diventino le priorità dell'asse franco-tedesco.

Nell'intervista comune rilasciata alla AFP, al canale LCP, a France Info e al quoditiano "Le Monde", Montebourg ha dichiarato che l'assenza di un salario minimo in Germania "danneggia i diritti dei lavoratori europei e in particolar modo di quelli francesi", poiché devono confrontarsi con una "concorrenza sleale". E' inaccettabile assistere ad "una guerra dei prezzi combattuta sulle spalle dei lavoratori", ha detto Montebourg.

Se la Germania non dovesse piu' trovare dei clienti per i suoi prodotti, poiché questi "sono in rovina oppure non hanno i mezzi per acquistare i prodotti tedeschi", sarebbe un problema anche per la Germania, mette in guardia il ministro, considerato un membro dell'ala sinistra del partito socialista. La ripresa dell'economia europea è legata al fatto che i surplus nel bilancio pubblico tedesco siano utilizzati "per il bene dell'Europa". E' indispensabile una "strategia cooperativa con benefici per tutte le parti".

Parigi da tempo accusa Berlino di danneggiare la competitività degli altri paesi europei ricorrendo a salari troppo bassi. Montebourg già alla fine del 2011, come uomo politico di opposizione, aveva accusato la cancelliera Angela Merkel di voler uccidere l'Euro e di voler costruire la ricchezza tedesca "sulle macerie degli altri paesi europei".

Il capo di governo Ayrault, invece, mercoledi sera ad un ricevimento presso l'ambasciata tedesca a Parigi non si è sbilanciato piu' di tanto: "la lotta contro la disoccupazione in Europa è una priorità", ha detto. Su questo tema il lavoro comune franco-tedesco ha già fatto progressi, ma non basta ancora. "Non possiamo accettare, che nei paesi in crisi ci possa essere una generazione perduta", ha dichiarato il primo ministro.

mercoledì 1 maggio 2013

Hartz IV varca il Reno?


Dopo le critiche arrivate da Parigi, la politica e gli economisti tedeschi replicano attaccando la situazione di stallo in Francia: o avviate le riforme oppure finirete come i sud-europei. Da Handelsblatt.com
Il governo è preoccupato per le condizioni del vicino francese. Gli economisti tedeschi temono il peggio, se Parigi non dovesse affrontare le riforme con coraggio.

Crescente perdita di competitività, esodo incontrollato di società verso l'estero, costo del lavoro per unità di prodotto troppo alto (dall'introduzione dell'Euro è cresciuto del 30%), oneri fiscali e previdenziali fra i piu' alti di tutta la zona Euro: le informazioni che il ministero dell'economia ha raccolto sulle condizioni economiche della Francia, per usare un eufemismo, non sembrano lusinghiere. In considerazione delle critiche recentemente arrivate da Parigi e rivolte alla politica europea della cancelliera Angela Merkel, si potrebbe pensare che i funzionari del ministro Philipp Rösler (FDP) intendevano solamente replicare attaccando la politica economica e industriale del vicino di casa. La verità è un'altra.

Anche gli economisti tedeschi di spicco giungono alla stessa valutazione fatta dal Ministero di Rösler. Descrivono una situazione ancora peggiore per la Francia, con possibili conseguenze per il resto dell'Eurozona, se la Grande Nation non dovesse affrontare le riforme con il vigore necessario. "La Francia a mio avviso dovrà aprire il piu' grande cantiere per le riforme d'Europa", dice Stefan Bielmeier, capo-economista della DZ Bank. Tuttavia il governo francese è ancora riluttante nel mettere in pista un radicale programma di riforme, poiché teme il conflitto con i sindacati.

E' un gioco con il fuoco - a spese di tutta l'Eurozona. "Se lo stallo politico in Francia dovesse continuare e la credibilità nella capacità di fare riforme dovesse indebolirsi ulteriormente, cio' potrebbe portare ad una nuova ondata di incertezza sui mercati finanziari europei", ipotizza Bielmeier. Se il paese dovesse iniziare a vacillare, gli stessi euro-salvatori si troverebbero sotto pressione. Perché gli strumenti anti-crisi esistenti, secondo l'esperto di DZ Bank, non sarebbero piu' sufficienti per salvare la seconda economia della zona Euro.

"Date le dimensioni della Francia, i meccanismi di salvataggio previsti non sarebbero sufficienti", continua Belmeier. "In un caso del genere avremmo allora bisogno della solidarietà degli altri grandi paesi della zona Euro, in particolare della Germania, per ripristinare la fiducia". E allora, teme Bielmeier, anche il passo verso gli Euro-bond non sarebbe piu' cosi' lontano. Ma allora come è possibile che la Francia sia finita in difficoltà? E perché il governo non fa niente? I principali istituti di ricerca economica tedeschi, nelle loro relazioni di inizio anno, hanno fatto una diagnosi amara del paziente francese.

Tipico del declino: le case automobilistiche

"La perdita di quote di mercato superiore alla media, combinata con una tendenza al peggioramento delle partite correnti, è alquanto preoccupante", scrivono gli economisti. Cio' non ha solo a che fare con la competitività di prezzo, peggiorata costantemente dal 2000 al 2008, ma che da allora sta migliorando di nuovo. Un problema ancora maggiore sembra essere l'orientamento regionale dell'export: "l'economia legata all'export non è riuscita a beneficiare del boom economico nei paesi emergenti, e dipende ancora in buona parte dai mercati di sbocco all'interno della zona Euro", sostengono gli esperti.

Il capo-economista di Commerzbank, Jörg Krämer, teme che i francesi possano finire in una situazione difficile molto simile a quella italiana: "La Francia dall'introduzione dell'Euro ha perso un terzo della sua quota sui mercati mondiali, le partite correnti sono peggiorate tanto quanto quelle italiane", ha dichiarato Krämer ad Handelsblatt Online.

E cio' ha naturalmente a che fare con il fatto che il costo del lavoro per unità di prodotto è troppo alto. Mentre un'ora di lavoro in Germania costa in media 30,4 €, sull'altra sponda del Reno il costo medio è di 34,2 € per ora. Tipica del declino è la situazione dei costruttori di auto. "Qui si condensano i problemi della Francia", ci dice Krämer. "Il paese produce il 40 % di auto in meno rispetto al 2005, la Germania al contrario il 15% in piu'".

Krämer trova positivo il fatto che il governo francese non stia piu' ignorando i problemi economici. Ma i primi passi verso le riforme sono stati troppo timidi, secondo l'economista di Commerzbank. Il governo intende ridurre il peso dei contributi sociali per le imprese, ma la procedura di rimborso è cosi' complicata che molte imprese non potranno farne uso. Inoltre Krämer critica il fatto che le imprese in crisi, con l'accordo dei sindacati, potranno non applicare i contratti collettivi: "tuttavia i sindacati potranno inviare i loro rappresentanti nei consigli di amministrazione delle imprese, fatto che potrebbe essere dannoso per la flessibilità delle imprese".

Per il direttore della ricerca in Economia internazioanale presso il Deutschen Institut für Wirtschaftsforschung (DIW), Christian Dreger, è arrivato il momento per la Francia di prendere contromisure per evitare il declino. "Il paese deve tornare urgentemente ad essere competitivo a livello internazionale e ha bisogno di ulteriori riforme strutturali nel mercato dei prodotti e del lavoro, come ad esempio una maggiore flessibilizzazione delle condizioni di lavoro", ha dichiarato Dreger in un'intervista ad Handelsblatt Online. I modelli vecchi e molto popolari come ad esempio la svalutazione della moneta, all'interno della zona Euro non sono piu' disponibili e poi non farebbero che nascondere i problemi sottostanti.

Alla fine saranno i mercati a decidere

"Senza la partecipazione dello stato tuttavia la conversione non potrà funzionare", avverte Dreger. "Il bilancio pubblico non potrà concentrarsi solamente sul consolidamento, ma piuttosto dovrà dare piu' che in passato un maggiore impulso alla crescita". Un ruolo importante dovrebbe essere svolto da una maggiore cooperazione fra le imprese e l'università.

Anche il ricercatore sulla congiuntura economica dell'Istituto IFO di Monaco, Kai Carstensen, consiglia alla Francia di continuare con l'aggiustamento appena avviato: "Se questo sarà fatto con determinazione e in tempi rapidi, la Francia potrà superare i suoi problemi macroeconomici", ha dichiarato Carstensen ad Handelsblatt Online. I mercati finanziari continuano ad avere fiducia nello stato francese, che ancora dispone di un certo spazio di manovra finanziario. "Tuttavia, se le riforme necessarie dovessero essere posticipate, anche per la Francia la situazione potrebbe farsi piu' difficile".

Alla fine potrebbero essere i mercati a decidere il destino della Grand Nation. Il capo-economista di Deka-Bank Ulrich Kater osserva invece che i mercati finanziari già da tempo discutono delle condizioni problematiche francesi. Tuttavia egli è convinto che sui mercati finanziari il paese non finirà in difficoltà come invece è accaduto a Spagna e Italia. La situazione non sarebbe ancora cosi' difficile, ha detto Krämer ad Handelsblatt Online. "Tuttavia per le riforme resta poco tempo, perché i loro effetti sono molto lunghi, come del resto stiamo vedendo anche nel sud-Europa", ha sottolineato l'economista.

Gli sforzi fatti fino ad ora dal governo francese non sono abbastanza, sottolinea Kater. Per avviare ampie riforme dovrebbe essere sufficiente l'argomento dell'alta disoccupazione. "Se nei prossimi due anni non accadrà nulla, allora sarà il mercato dei capitali a chiedere una cambiamento di rotta".

In questa direzione va anche la valutazione del capo-economista di DZ-Bank Bielmeier. Ritiene la pressione dei mercati finanziari sulla Francia per il momento contenuta, se misurata in termini di differenza di rendimento con i bund tedeschi. "E' come se il governo per dare il via alle riforme necessarie avesse bisogno di un cambio di percezione degli investitori", ipotizza Bielmeier e mette in guardia dalle conseguenze, se non dovesse accadere nulla. "Una duratura assenza di crescita in Francia potrebbe influenzare negativamente l'intera Europa e in questo modo rendere le riforme strutturali nei paesi del sud-Europa piu' difficili".


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sabato 19 gennaio 2013

L'amicizia incrinata


Il Trattato dell'Eliseo compie 50 anni e German Foreign Policy, osservatorio sulla politica estera tedesca, fa un'analisi sullo stato delle relazioni fra Francia e Germania: la finzione di due potenze di pari livello dovrà prima o poi finire, la moneta unica ha reso evidente l'egemonia tedesca.
Poco prima delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del Trattato dell'Eliseo gli esperti di politica estera di Berlino fanno un bilancio sullo stato delle relazioni franco-tedesche. Il rapporto fra Parigi e Berlino è caratterizzato da grandi tensioni, riportano numerose analisi. E non è solo per i vantaggi che la Germania sta traendo dalla crisi Euro, ma anche perché le posizioni politiche tedesche hanno largamente prevalso - a spese della Francia. Il presidente François Hollande ha cercato di resistere, ma fino ad ora non ha avuto grande successo. Parigi dovrà applicare i diktat di risparmio sul modello Hartz IV; se questi avranno successo o meno non è ancora chiaro, per l'opposizione dei sindacati francesi - diversamente da quanto è accaduto in Germania. A Berlino si guarda con scetticismo all'alleanza militare franco-britannica, chiaramente percepita come una minaccia per l'egemonia tedesca.  Nel complesso gli esperti consigliano di abbandonare la finzione di due potenze di eguale forza alla guida dell'EU e di accettare la situazione attuale: l'egemonia tedesca.

Nella crisi

Poco prima delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del Trattato dell'Eliseo, gli esperti di politica estera di Berlino fanno il punto sulla situazione delle relazioni franco-tedesche. Queste sarebbero in crisi, scrive chiaramente lo "Zeitschrift Internationale Politik": "Le cose non vanno bene tra Germania e Francia". Parigi è indebolita, Berlino sta guadagnando potere; l'egemonia tedesca porta a continue tensioni.

Lo squilibrio

Come ci ricorda un'esperta della Deutschen Gesellschaft für Internationale Politik (DGAP) "la preoccupazione" per gli "squilibri" fra Berlino e Parigi non è affatto nuova: sono presenti in "maniera piu' o meno latente dalla caduta del muro". Nel 1990 l'annessione della DDR, contro cui ancora nel 1989 il presidente francese François Mitterrand si era espresso, aveva notevolmente accresciuto il potenziale di forza di Bonn. Che cio' avrebbe avuto effetto sulla posizione della Germania in Europa, era abbastanza prevedibile. Parigi da allora "ha perso influenza politica e militare in Europa", fatto che ha "causato irritazione e frustrazione": nella capitale francese ci si è  regolarmente lamentati "per il nuovo tono del vicino tedesco, molto piu' sicuro di sé". Nel 2000 la Francia si è opposta alla richiesta tedesca di "concedere a Berlino un diritto di voto con maggiore peso all'interno del consiglio europeo": proposta motivata "con ragioni demografiche". Il governo francese aveva  allora respinto la proposta ipotizzando che cio' "avrebbe condotto ad un indebolimento della Francia nei confronti del vicino". E tuttavia non è stato sufficiente per impedire un'ascesa della Germania.

Deficit Record

Gli osservatori sono d'accordo: è stata la debolezza francese a garantire a Berlino il dominio nell'Unione Europea. Mentre la Germania ha avuto dei vantaggi dalla crisi, la Francia ne è stata colpita duramente. I dati piu' recenti mostrano che il paese alla fine del 2012 è entrato in recessione. La disoccupazione ha superato il 10% - il valore piu' alto degli ultimi 15 anni. 2 agenzie internazionali hanno abbassato il rating sul debito francese. La crescente distanza nei confronti della Germania è mostrata dai deficit commerciali: mentre le esportazioni tedesche verso la Francia sono cresciute fino a 101.6 miliardi di euro (2011), l'export francese verso la Germania nello stesso anno ha raggiunto un valore di soli 66.4 miliardi di Euro. Il deficit commerciale, che alla fine si ripercuote in maniera negativa sul bilancio pubblico francese, ha raggiunto in questo modo la cifra record di 35 miliardi di Euro. E questo "significa che entrambi i paesi non sono piu' sullo stesso livello", secondo gli osservatori. La Germania "non ha solo rafforzato la propria posizione economica", ma nel corso della crisi ha trasformato la forza economica in forza politica e "accresciuto il suo ruolo di leadership nella politica europea". "Il primo elemento" è diventato "la precondizione fondamentale per il secondo".

Vecchi demoni

"Questa doppia divergenza, in una parte della classe politica e fra gli intellettuali francesi ha risvegliato vecchi fantasmi e la paura di un vicino di casa egemonico" si dice ancora. Dopo il fallimento del suo predecessore Nicolas Sarkozy, nel maggio 2012 anche il presidente François Hollande ha rilanciato il tentativo "di riportare in equilibrio il rapporto nelle relazioni bilaterali" - attraverso le alleanze con Italia e Spagna contro i diktat di risparmio tedeschi. Anche lui tuttavia non ha avuto un grande successo. "In un periodo in cui l'economia è piu' che mai un fattore di potere", e l'arretramento economico riduce "l'influenza politica del paese", la Francia dovrà necessariamente recuperare posizioni da un punto di vista economico, secondo Claire Demesmay, esperta di politica estera del DGAP. E questo sarà possibile solo "con riforme profonde e difficili", visto che la Germania durante la crisi è riuscita ad imporre a livello europeo le sue politiche di austerità.

Incerta volontà di riforme

Dalla fine del 2011 a Parigi le misure di austerità del governo rosso-verde di Schröder e Fischer sono diventate l'esempio da seguire. Mentre la loro applicazione in Germania è avvenuta con relativa semplicità, in Francia l'attuazione sembra piu' problematica: "sarà decisivo il comportamento dei sindacati", secondo Demesmay e secondo la stampa economica tedesca. Il governo potrà sicuramente "contare sulla volontà di collaborazione del sindacato CFDT, mentre sulle organizzazioni concorrenti CGT e Force Ouvriere ci sono ancora molti dubbi". Si dovrà inevitabilmente fare i conti con dimostrazioni di massa.

Diversi livelli di potere

Nel frattempo Parigi cerca di preservare almeno nella politica militare la sua posizione di influenza - attraverso un'alleanza con Londra. Come si dice negli ambienti della politica internazionale, la Repubblica Federale e la Francia "fin dall'inizio del processo di integrazione(...) dispongono di un proprio potere ma su due diversi livelli": la Repubblica Federale "ha un'economia fortemente orientata all'export, la Francia, una politica estera ambiziosa". Il presidente Sarkozy "ha guidato il ritorno della Francia verso un'integrazione militare nella NATO" negoziando gli accordi con Washington e Londra, ma non con Berlino. E alla fine ha avviato una cooperazione militare e politica con la Gran Bretagna. Gli accordi del 2010 vanno chiaramente "oltre la cooperazione franco-tedesca". Di fatto a Berlino l'alleanza franco-britannica viene osservata con crescente scetticismo: è stata la base per la guerra in Libia e ha plasmato gli attuali accordi per l'intervento militare in Mali.  

Nessun equilibrio

In considerazione delle difficoltà economiche della Francia, secondo l'esperta DGAP Demesmay, "ci si deve aspettare una duratura posizione di debolezza della Francia". Sarebbe quindi sensato "abbandonare il paradigma dell'equilibrio", e rinunciare alla pretesa di vedere Parigi e Berlino recitare il ruolo delle 2 potenze europee con eguali poteri. Diventa ora decisivo portare avanti insieme il processo di integrazione europeo. E per fare questo non c'è bisogno di sapere, scrive sempre l'esperta di Berlino in considerazione dell'egemonia tedesca, "chi fra i due porta i pantaloni".

martedì 11 dicembre 2012

Sinn: Francia come la Spagna


Hans Werner Sinn, su WirtschaftsWoche, prevede 10 anni di stagnazione per la Francia. Solo ispirandosi all'Agenda 2010 i francesi potranno tornare alla crescita: che la compressione salariale abbia inizio anche sull'altra sponda del Reno.
La Francia ha inizialmente beneficiato dell'Euro, come i paesi del sud Europa. Ed insieme a questi è entrata in crisi. Per tornare competitivo, il nostro vicino di casa deve diventare piu' economico del 20%. Il rifiuto di fare le riforme da parte di Hollande non potrà che prolungare la sofferenza.

Alla Francia in questo periodo non va per niente bene. Per il britannico Economist il paese è una bomba a orologeria. Il numero dei fallimenti oggi è del 14% piu' alto che nel 2008, l'anno della crisi Lehman. La quota del manifatturiero sul PIL è scesa al 9%. Meno che in UK (10%) e meno della metà rispetto alla Germania (20 %). Le stesse tradizionali case automobilistiche sono in pericolo. Già in luglio Peugeot ha annunciato la soppressione di 8000 posti e la chiusura di uno stabilimento vicino Parigi. Anche Renault sta considerando la chiusura degli impianti. Altrove le cose non vanno meglio. La società aerospaziale EADS ha annunciato licenziamenti. L'industria siderurgica è in declino.

Al contrario della Germania, dopo la grande recessione mondiale seguita alla crisi Lehman, la Francia non è riuscita a riprendere il passo. Mentre la disoccupazione tedesca con un tasso del 5.4 % è sensibilmente minore di quanto non fosse prima della crisi (2008), la disoccupazione francese con un 10.7 % supera di molto il suo precedente valore massimo raggiunto durante il rallentamento nell'inverno fra il 2005 e il 2006. La disoccupazione giovanile in Francia è oltre il 25%. In Germania solamente l'8%.

La crisi francese è paragonabile alla crisi tedesca seguita all'introduzione dell'Euro. Il valore massimo di disoccupazione tedesco dell'11.5 % nel 2005 non è stato ancora toccato, ma siamo sulla strada buona. La disoccupazione francese è piu' alta di un punto percentuale rispetto a quella tedesca nel marzo 2003, quando il cancelliere Schröder seguendo le proposte del Consiglio dei saggi introdusse l'agenda 2010, riducendo implicitamente i salari minimi del sistema sociale tedesco. 

Il presidente Hollande non è lontano dalla situazione in cui si trovava Schröder allora. Racconta fiabe, come la sinistra è solita fare, sulle politiche di crescita, riferendosi a misure keynesiane finanziate a debito per l'aumento della domanda. Tali misure sono un fuoco di paglia, che subito si spegne. Riducono la pressione per le riforme, minano la competitività, e aumentano il peso dello stato nell'economia del paese. Con il 56 %, la quota di economia pubblica sul totale è la seconda piu' alta fra i paesi sviluppati. La quota tedesca è solo del 45 %. Nessun paese dell'Eurozona è piu' vicino al socialismo di quanto non lo sia la Francia.

Dopo l'annuncio della moneta unica nel 1995 la Francia è cresciuta molto rapidamente e dal 2003 al 2009 (con eccezione del 2004) ha avuto un prodotto interno lordo per abitante piu' alto della Germania: dopo decenni di ritardo finalmente era in vantaggio. La Francia ha quindi partecipato al boom portato dall'Euro a tutta l'Europa meridionale: il rischio per gli investitori si era ridotto e nel paese stavano arrivando enormi flussi di capitale dalla Germania. Ne ha approfittato sia come importatore di capitali che come esportatore di merci nel sud Europa. Come negli altri paesi in crisi, in Francia si è creata una bolla inflattiva, scoppiata durante la crisi.

Secondo i calcoli di Goldman Sachs oggi la Francia è troppo costosa, come la Spagna. Entrambi i paesi devono ridurre i prezzi del 20% per tornare competitivi e raggiungere la sostenibilità del debito. Questo è uno dei motivi per cui le agenzie di rating Moody’s e Standard & Poor’s  hanno tolto alla Francia il  massimo rating.

Ma una svalutazione reale del 20% non è per niente facile. Per fare questo la Francia deve attraversare una stagnazione lunga 10 anni, durante la quale i tassi di inflazione dovranno restare indietro del 2% annuo rispetto alla media della zona Euro.

La Francia con una politica di crescita alla Hollande può temporaneamente rifiutare una svalutazione reale. Ma cio' renderà solo piu' lunga la sofferenza: primo perché viene impedita la riduzione dei prezzi e secondo perché si aumenta il debito, fatto che rende necessaria una svalutazione ancora maggiore per rendere di nuovo sostenibile il debito.

Sotto lo scudo

La Francia non ha tuttavia bisogno di chiedere la protezione del fondo di salvataggio. Non siamo ancora al punto in cui il mercato dei capitali teme un fallimento dello stato francese. In questo senso non considero probabile la grande crisi finanziaria che molti si aspettano nel 2013 in Francia. Inoltre, in qualche modo la Francia si trova già sotto la protezione dei fondi di salvataggio.

Poiché il capitale tedesco in gran parte è fluito verso i paesi del sud attraverso la Francia, in relazione alla dimensione dell'economia, l'esposizione delle banche francesi verso le misure di salvataggio è il doppio di quella tedesca. Con le decisioni dell'UE della scorsa settimana non è stata salvata solamente la Grecia, ma anche la Francia, di gran lunga il suo maggior creditore.