sabato 4 febbraio 2012

I tedeschi non capiscono la crisi

I tedeschi non capiscono la crisi, dichiarano gli economisti e i politici anglosassoni. Come arrivano a queste conclusioni? Da Zeit.de
Lo scorso lunedi l'Europa è diventata un po' piu' tedesca, almeno sulla carta. Ad eccezione della Repubblica Ceca e della Gran Bretagna, tutti gli stati d'Europa hanno accettato di  sottoscrivere il patto fiscale ideato dal governo tedesco. Con un trattato internazionale si impegnano ad inserire dei limiti all'indebitamento secondo l'esempio del governo di Berlino.

Una vittoria per la Cancelliera ed un passo in avanti nella lotta contro i debiti pubblici. Così la si vede da Berlino, dove l'accordo di Brussels viene definito un capolavoro. L'Europa rimane una preoccupazione, dichiara invece la Casa Bianca da Washington, poche ore dopo la fine del vertice. E il primo ministro britannico David Cameron invita la cancelliera ad essere finalmente "audace e coraggiosa".

Il motivo di questo dissenso: la visione dei critici della Merkel - che non sono solo nei governi centrali ma anche nelle università - è che la crisi dei debiti sovrani non è una crisi di debito pubblico.

Allora che cos'è?

Paul de Grauwe dice di saperlo. E' un economista molto conosciuto e stimato. Il suo governo voleva nominarlo fra gli esperti per un posto nel direttorio della BCE. Ma Berlino era contraria e il governo Belga non è riuscito ad imporlo.  
In un pomeriggio nell'autunno 2009 ha tenuto una conferenza a Francoforte.  Gli oratori precedenti avevano parlato dell'eccesso di debito pubblico e sulla necessità di ridurre i deficit di bilancio pubblico. Dopo il pranzo è il turno di De Grauwe e già alla seconda frase è chiaro ciò che lui pensa: si tratta di un clamoroso errore. Molti degli scettici della sig.ra Merkel si rifanno alle analisi del Proff. De Grauwe di allora.

Al fine di comprendere le loro obiezioni, si deve andare indietro ai tempi prima dell'Euro. I cambi delle monete del Sud Europa si indebolivano costantemente, perché le loro banche centrali stampavano troppa moneta. Per questa ragione gli interessi nell'Europa del sud erano molto alti. Gli investitori prestavano il loro denaro, solo se ricevevano un compenso adeguato per il rischio. Per il finanziamento di un immobile in Spagna, la banche chiedevano piu' del 10% di interessi annui. Le persone prendevano poco a prestito, si costruiva e si consumava poco. 

Quando circa dieci anni fa è stata introdotta la moneta unica, questa situazione è cambiata radicalmente: i tassi di interesse sono scesi velocemente. Ancora negli anni '90 gli italiani dovevano pagare per un credito a 10 anni il 10%, mentre ora sono poco sopra il 5%. Simile era la situazione in Spagna, Irlanda e Portogallo. Il motivo per il crollo dei tassi di interesse:  non c'è piu una moneta nazionale in Europa e l'offerta di moneta è controllata dalla BCE che è modellata sui principi di stabilità della Bundesbank. Chi investe i suoi risparmi in Spagna o Italia, non si deve piu' preoccupare del rischio di perderli per il rischio cambio o per l'inflazione. 
Molti hanno sfruttato questa situazione. Le banche e le assicurazioni in Germania e Francia hanno mosso sempre piu' soldi verso sud. La gioia per l'arrivo dei capitali era molto grande:  le istituzioni  finanziarie hanno concesso crediti con facilità e il prezzo degli immobili è schizzato in alto. Il boom è stato finanziato con il capitale proveniente dal nord Europa. Nel 2009 gli spagnoli avevano debiti esteri pari al 97 % del PIL.

Le cifre di Paul de Grauwe parlano chiaramente: la maggior parte del nuovo debito non lo ha fatto lo Stato, ma i soggetti nell'economia privata. Mentre i deficit nel settore pubblico sono caduti negli anni precedenti la crisi, il debito delle famiglie è cresciuto rapidamente. Spagna e Irlanda avevano dei debiti piu' bassi di quelli della Germania. "Ad eccezione della Grecia, la radice del problema è nell'eccessivo indebitamento del settore privato, e non nell'indebitamento pubblico" sostiene il premio Nobel per l'economia Paul Krugman, uno dei critici piu' accesi di Angela Merkel. 
Al contrario, gli accordi politici negli scorsi anni hanno peggiorato la situazione, secondo l'interpretazioen di Krugman. Normalmente le banche centrali nei periodi di boom aumentano gli interessi e frenano l'indebitamento. Questo pero non è successo. E la BCE ha lasciato i tassi relativamente bassi. Secondo il suo mandato doveva occuparsi di tutta l'Eurozona e non solamente del Sud Europa.

Soprattutto in Germania la congiuntura non era buona. Era il momento in cui la Germania veniva considerata il malato d'Europa. Piu' di 5 milioni di disoccupati e il Presidente parlava di una crisi dello Stato. Il presidente di allora della Banca Centrale, J.C. Trichet si mise a ricercare una via di mezzo - con il risultato che i tassi nel sud europa rimasero troppo bassi alimentando ulteriormente il boom, mentre nel nord rimasero troppo alti approfondendo la crisi. 

Ma anche i governi hanno fallito. Hanno permesso che i salari andassero fuori controllo. Nel sud sono aumentati bruscamente in modo da far spendere alla gente ancora piu' soldi. E poiché a causa dell'aumento dei salari anche i costi delle imprese sono saliti, le merci spagnole e italiane sono diventate piu' care in rapporto ai prodotti di altri paesi. Per questo motivo gli italiani e gli spagnoli hanno acquistato molto dall'estero e i debiti esteri sono cresciuti. 

Il contrario è successo in Germania: le aziende hanno mantenuto i salari bassi, cosa che è riuscita molto facile grazie alle riforme del mercato del lavoro della cosiddetta Agenda 2010. Come risultato, i prodotti tedeschi sono sono diventati internazionalmente piu' economici e all'estero hanno avuto un grande successo. I tedeschi stessi acquistano troppo poco dall'estero. Producono piu' di quanto consumano, e sono diventati uno dei piu' grandi creditori del mondo. I crediti verso l'estero crescono costantemente e si avvicinano al trilione di Euro.
Si può anche dire questo: una parte significativa della ricchezza tedesca è investita all'estero dove viene utlizzata di nuovo per l'acquisto di prodotti tedeschi. Gli alti risparmi nel nord e il boom nel sud Europa sono da questo punto di vista 2 facce della stessa medaglia. 

Ma i vincitori non amano riconoscere questo ciclo bizzarro. Presto ci si accorge che la crescita non è sostenibile. Quando la bolla scoppia, gli Stati del sud Europa devono accorrere per sostenere le banche e i cittadini troppo indebitati. Così aumentano i debiti degli stati, e sono necessari i fondi per il salvataggio. Gli stati del nord al contrario sono preoccupati per i loro piu' importanti clienti, e per i loro soldi investiti all'estero che con un fallimento sarebbero a rischio. 

Paul Krugman vede nei flussi di capitale dal nord al sud la causa principale della crisi dell'Euro. L'agenzia di rating Standard & Poor ha recentemente dichiarato che i problemi finanziari dell'Unione monetaria sono "una conseguenza dei crescenti squilibri esterni tra il nucleo dell''Unione monetaria e la cosiddetta periferia".

Se questo sia vero ne discutono gli esperti, ma è cruciale: chi condivide la diagnosi di Krugman, ritiene che gli appelli di Angela Merkel vadano nella direzione sbagliata, se l'obiettivo è prevenire crisi future. Invece di porre limiti al debito pubblico, dovrebbero essere inseriti dei limti all'indebitamento privato e agli avanzi commerciali con l'estero. 

Gli esperti consigliano di coordinare i salari europei, in modo che le importazioni e le esportazioni fra i paesi non divergano troppo e non si creino risparmi in eccesso. Altri suggeriscono il controllo del credito bancario. In questo modo le autorità dei paesi in boom economico sarebbero in grado di imprimere una stretta creditizia - incentivando invece gli istituti dei paesi in crisi ad un'estensione del credito. In questo modo sarebbe possibile controllare gli eccessi economici che ci hanno portato nella situazione attuale. 

Se la crisi è il risultato di un eccesso di debito privato, generato dagli squilibri commerciali fra i paesi europei, e se questa è veramente la causa, per gli europei non è una buona notizia. Una crisi del debito privato è notoriamente piu' difficile da risolvere di una di debito pubblico. I debiti pubblici possono essere abbattuti attraverso un taglio della spesa pubblica oppure attraverso un innalzamento delle tasse. Non è cosi' facile da realizzare politicamente, ma in principio fattibile: il denaro è già nel paese, in teoria solo distribuito in maniera sbagliata. I debiti privati possono essere abbattuti, solo se un paese per un lungo periodo di tempo vende all'estero piu' merci di quante non ne importi. Questo significa: i nord europei dovrebbero spendere di piu', e le imprese del sud ridurre i salari e portare sul mercato dei prodotti innovativi. E' un processo difficile da avviare. In ogni caso dura molto. 5 anni dicono alcuni economisti, 20 anni dicono altri. 

Secondo i critici, invece, c'è solo un'altra alternativa: i paesi in crisi escono dall'Eurozona e reintroducono la loro propria moneta. Potrebbero svalutare la loro valuta e recuperare la competitività abbastanza rapidamente. Per i tedeschi sarebbe molto piu difficile esportare, e allo stesso tempo avremmo un periodo di caos finanziario.

E questo è quello che gli economisti anglosassoni profetizzano per l'Europa. Secondo il loro punto di vista è semplicemente logico.

venerdì 3 febbraio 2012

Il lato nascosto del Jobwunder


VER.DI (Vereinte Dienstleistungs Gewerkschaft), principale sindacato nel settore dei servizi, ci spiega cosa si cela dietro i dati sull'occupazione tedesca.



A prima vista i fatti parlano da soli: nonostante la crisi persista, il numero dei disoccupati  è  basso come mai fino ad ora. E anche adesso in inverno, quando i disoccupati crescono per le condizioni ambientali, restano sempre meno di 2 milioni. Dopo un lungo periodo nel quale abbiamo avuto 6 milioni di disoccupati, la situazione attuale è definita "Jobwunder", con un lato nascosto però. Quasi un lavoratore su 10 ha un secondo lavoro, perchè il reddito da lavoro principale non è sufficiente al sostentamento.

In cifre questo significa: 2.6 milioni di persone, ufficialmente occupate,  guadagnano attraverso un minijob 400 € al mese lavorando per 15 ore alla settimana. Sono 135.000 persone in piu' rispetto all'anno precedente. E la tendenza? Saranno sempre di piu'. Soprattutto nel commercio al dettaglio, nella pulizia degli edifici, e nella ristorazione. Anche nella sanità e nei servizi sociali lavorano sempre piu' spesso "Minijobber": nel 2011 sono stati in totale 272.000 occupati, quasi quanto nel settore della ristorazione.

Inoltre sempre piu' persone sono occupate a tempo parziale. Rispetto ai lavori full time che sono aumentati solamente del 1.4%, i lavori a tempo parziale sono aumentati del 7.3 %. Gerd Dielmann,  sindacalista attivo in  ambito sanità e professione infermieristica sa anche il motivo:  molte infermiere lavorano anche nella cura a domicilio dei pazienti perché nel loro ambito ricevono solo lavori parziali. Anche i prelievi del sangue negli ospedali spesso vengono svolti da assistenti che lavorano sulla base di un minijob di base.

Il fatto che sempre piu' persone debbano cercarsi un secondo lavoro per integrare i guadagni, ha a che fare con il livello troppo basso degli stipendi. Secondo Elke Hannack, del comitato esecutivo del sindacato Ver.di (principale organizzazione sindacale nei servizi) "2.1 miloni di lavoratori lavorano per meno di 6 € l'ora, la metà di questi per meno di 5 € l'ora. Questo oggi non è piu' sufficiente per condurre un'esistenza dignitosa. Per questo motivo i lavoratori cercano opportunità di guadagno aggiuntiva per non dover chidere aiuto agli uffici pubblici"

E importante sottolineare che le paghe orarie basse di questi anni avranno un pesante effetto in futuro: "bassi stipendi portano ad una bassa pensione, e i minijob sono un biglietto di ingresso per una vecchiaia povera" continua Elke Hannack.  Già nel 2010 la pensione media per uomini e donne nella ex Germania ovest era di 713 €, nei nuovi Bundeslandern di 850 €. "Per combattere la povertà è necessaria una nuova legislazione del lavoro. Un inizio sarebbe l'introduzione di una paga minima oraria di 8.5 € l'ora in modo che tutti gli occupati possano vivere decentemente del loro lavoro".

Quello che rimane del Jobwunder.

I datori di lavoro sulla base delle leggi attuali possono assumere in maniera flessibile e licenziare rapidamente. Le riforme del lavoro avrebbero dovuto produrre un Jobwunder. Ma l'obiettivo era solo quello di abbassare il costo del lavoro. Le conseguenze sono gravi: gli atipici perdono il lavoro con estrema facilità. Soprattutto il lavoro in affitto ha avuto l'effetto di dividere i lavoratori. 

Il lavoro deregolamentato ha spinto sempre piu' persone a diventare lavoratori indipendenti. Il loro numero è cresciuto dal 2000 di mezzo milione ed ha raggiunto i 4 milioni. Il 60% di questi sono donne. Sicuramente non dovranno ascoltare nessun capo. Ma non hanno neanche i diritti e le protezioni sociali dei lavoratori dipendenti. Hanno bisogno di competere nel mercato e di farsi la concorrenza per ottenere un lavoro. Il 30 % di loro, ma fra le donne sono il 40 %, vivono  con meno di 1.100 € netti al mese.

 Se un rapporto di lavoro su tre si discosta dal cosiddetto lavoro normale, le cause sono da ricercare nelle riforme di mercato degli ultimi 10 anni. In particolare la cosiddetta "Agenda 2010" dell'allora governo Rosso-Verde ha avuto un ruolo importante in questo mutamento. Da allora i lavori a basso salario, come i Minijobbs, il lavoro in affitto e i finti lavoratori indipendenti sono  cresciuti massicciamente.

I salari di tutti questi lavoratori occupati sono in media significativamente piu' bassi di un normale rapporto di lavoro. Quasi la metà di questi lavoratori guadagna salari lordi al di sotto della soglia di basso salario - e la tendenza è in crescita. Ma anche condizioni di lavoro normali sono a malapena sufficienti per condurre un'esistenza dignitosa.
Le leggi vigenti fanno in modo che il dumping salariale sia ampiamente praticato. Ci sono inoltre circa mezzo milione di persone che guadagnano cosi' poco con il loro lavoro che per vivere devono richiedere i sussidi statali. Questo costa allo stato 11 miliardi di Euro all'anno che vanno a finanziare con il denaro dei contribuenti le deflazioni salariali dei datori di lavoro.

Il lavoro temporaneo in affitto - Lehiarbeit.

Fino al 2004 il lavoro temporaneo in affitto era un'eccezione. Gli imprenditori lo usavano per far fronte ai picchi di lavoro. Con le leggi HARTZ IV l'allora maggioranza di governo rosso verde ha deregolamentato il lavoro temporaneo. Da allora è in piena espansione. Le aziende hanno fondato le loro agenzie di lavoro in affitto per poter fare dumping sui salari. Ora anche gli infermieri lavorano con un contratto di lavoro in affitto. I servizi sociali come la Caritas hanno fondato le loro agenzie di lavoro in affitto. Nel settore del commercio al dettaglio, i lavoratori in prestito sono all'ordine del giorno. Anche i redattori nei giornali sono spesso lavoratori temporanei in affitto. 

In tutti questi settori i datori di lavoro con l'aiuto del lavoro temporaneo riducono il numero degli impiegati permanenti ed il costo del lavoro. Prima delle leggi Hartz erano circa 300.000, dopo sono saliti fino a 800.000. Durante la crisi sono stati i primi a perdere il lavoro. Poi poco dopo hanno avuto un boom. I lavoratori in affitto erano all'inizio del 2011 circa un milione.  Ogni 3 posti di lavoro vacanti, uno viene ricercato attraverso le agenzie di lavoro temporaneo.  Secondo uno studio del Instituts für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung, solo il 7 % di tutti i lavoratori temporanei riesce a fare il salto verso un posto stabile. Piu' di 2/3 di questi lavorano per un salario orario sotto la soglia del basso salario. La Germania è così diventato il paese occidentale con il piu' alto gap salariale tra lavoro temporaneo e quello regolare.

mercoledì 1 febbraio 2012

Wolfgang Münchau ci spiega perché il taglio del debito greco previsto non basterà.








L'inferno della democrazia greca:  Der Spiegel


La crisi in Grecia viene ancora considerata politicamente, non economicamente. Il taglio del debito, del quale si sta discutendo adesso, non sarà sufficiente. E' già chiaro: in autunno i creditori di Atene resteranno di nuovo delusi.


La diplomazia era un tempo l'arte di mandare qualcuno al diavolo in maniera cosi elegante, che lui non vedesse l'ora di partire per il viaggio. Questa è la cosa importante da sapere sulla partecipazione del settore privato in caso di insolvenza. Si dice al creditore che dovrà rinunciare a qualcosa, così alla fine sarà contento di non aver perso tutto. 


Nella sfortunata storia dell'imminente fallimento dello stato greco, i negoziati con i creditori vanno avanti. La scorsa settimana, nonostante le attese, non si è giunti a nessun accordo. Il tempo rimasto è poco. E ora anche il Fondo monetario internazionale (IMF) ha fatto sapere che tutto questo potrebbe non bastare. La BCE e attraverso di essa anche il contribuente dovranno partecipare ai costi del fallimento. Che ora è solo una questione di tempo.


Da quando in ottobre i politici e gli investitori si sono messi daccordo per un taglio del debito volontario del 50 %, la situazione economica in Grecia è peggiorata di molto. Siamo nel quinto anno della recessione e l'economia del paese continua a cadere in picchiata senza freni. La UE e il FMI pretendono ora dalle banche e dagli altri investitori una partecipazione volontaria di circa il 70 %. Siamo arrivati al punto  dove i capi della negoziazione delle banche non possono aspettarsi una piena accettazione dalle proprie truppe. Cosi molti investitori hanno assicurato i loro crediti verso la Grecia con prodotti assicurativi complessi. Le assicurazioni non scattano in caso di partecipazione volontaria alla ristrutturazione. Per questi investitori una caduta del 100 % è meglio di una partecipazione volontaria ed è anche relativamente poco importante, se si arriva ad un accordo tra i negoziatori e il governo greco. La rinuncia al debito si farà comunque, in un modo o nell'altro, volontario o no, se necessario anche con leggi retroattive.


Anche in questo modo il problema non sarà risolto. I combattenti a Berlino, Brussel e Atene non si sono nemmeno presi la briga di chiedere a chi in Argentina, Brasile o Cile ha dovuto affrontare gli stessi problemi. Ricevo molte emails disperate da ex ministri delle finanze o banchieri centrali del Sud America che mi chiedono perchè in Europa si vogliono ripetere tutti gli errori che loro hanno già fatto in passato. Il piu' grande errore degli Argentini nella loro crisi 10 anni fa è stata una partecipazione confusa dei privati alla ristrutturazione. La partecipazione dei privati che aveva caratteristiche simili a quelle della Grecia, accelerò il crollo totale dell'economia argentina nel 2001.


La strategia della UE è politica, non economica.


La Grecia ha debiti per quasi il 170 % del PIL. Anche se il debito rimane costante, cresce l'indebitamenteo in relazione al prodotto interno lordo perchè l'economia cade di anno in anno.  Il paese si trova in una classica trappola del debito. La Grecia non ha alcuna possibilità di uscire da una situazione di elevato indebitamento. 


La strategia dell'EU e del fondo monetario internazionale prevede che attraverso la partecipazione del settore privato i debiti si riducano dal 170 % al 120 %. Perché 120 %? Questa è una decisione politica, non economica. Con la strana logica europa si argomenta che , il 120 % di indebitamento/pil è la situazione italiana. E l'Italia è solvente. 


Se l'Italia con il 120 % è ancora solvente, dipenderà solamente dalla capacità di mantenre gli interessi sul debito bassi. Io ho molti dubbi in merito. Chiaramente la Grecia si trova in una situazione molto peggiore. La Grecia ha già dietro di sé un taglio del debito. Con le riforme non sta andando molto bene. Il governo di Lucas Papademos incontra difficoltà nella loro attuazione. Nelle elezioni parlamentari in primavera è grande il rischio che prevalga una maggioranza politica contraria alle riforme. Non conosco un singolo investitore che potrebbe aver fiducia in una Grecia con un rapporto debito pil del 120 %. Non piu' tardi dell'autunno del 2012 arriverà il prossimo taglio del debito.


Il taglio del debito dovrebbe essere fatto ora.


Ho sentito dire da voci provenienti da ambienti vicini alla troika che la situazione è molto piu' catastrofica di quanto non si ammetta all'esterno. La Grecia ha bisogno di un taglio che riduca i debiti al 60 % o al massimo 80% del PIL. In caso contrario, la Grecia non riuscirà a uscire dalla spirale verso il basso. Questo significa che la BCE e i governi europei dovrebbero cancellare una larga parte dei loro crediti verso la Grecia. In Germania arriverebbero le prime vere perdite dall'inizio della crisi dell'Euro. Poi si dovrebbe assicurare al paese del denaro fresco per farlo rimanere nella moneta unica. Oppure semplicemente tirare la corda fino a strapparla e assumere le conseguenze.


Allora un'uscita della Grecia dalla zona euro diventerebbe piu' probabile. Io sono daccordo con Thomas Mirow, il capo della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, sul fatto che un'uscita della Grecia dalla moneta unica potrebbe destabilizzare l'intera Europa. Chi guarda solamente al rischio Grecia nascosto nelle banche tedesche, sottovaluta la complessità della reazione che si potrebbe scatenare. Presumo che anche il Portogallo seguirebbe, che a sua volta porterebbe gli spagnoli sull'orlo del precipizio e che metterebbe in serio pericolo anche la Francia. 


L'alternativa a questo scenario da horror: la politica europea dovrebbe immediatamente provvedere a un taglio del debito greco che possa definirsi tale. Poi si dovrebbe stabilizzare economicamente il paese in modo da rallentare la recessione. 


Ma la diplomazia europea va in un'altra direzione. Così manda se stessa all'inferno. Ed è anche felice di fare il viaggio.