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giovedì 22 novembre 2018

La tragedia italiana secondo Hans Werner Sinn

Hans Werner Sinn, anche se ormai da qualche anno in pensione, non si fa sfuggire l'occasione per commentare sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung la situazione italiana. Per il brillante economista tedesco gli italiani con i loro ricatti cercheranno di spillare quanti piu' soldi possibili ai "partner europei", ma l'ultimo atto di questa tragedia sarà l'uscita dalla moneta unica. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (prima parte)

Hans Werner Sinn
Hans Werner Sinn

Si può discutere dell'attuale disputa fra UE e Italia in chiave moraleggiante e condannare i presunti eccessi italiani. Questo conflitto tuttavia può anche essere interpretato come il risultato di azioni sconsiderate di messa in comune che hanno causato dei gravi danni all'integrazione europea.

Il debito pubblico italiano è da sempre elevato e nelle banche italiane sonnecchiano da tempo delle enormi riserve di crediti deteriorati. La Commissione europea già da molti anni avrebbe dovuto regolare le banche in maniera più' severa e limitare i titoli del debito pubblico, ma non lo ha fatto. Che ora improvvisamente si agiti per un rapporto deficit/pil del 2,4 % è dovuto piu' che altro al fatto che i nuovi partiti euro-scettici in Italia si sono profilati come i concorrenti del vecchio establishment politico. E ora si vuole fare del paese un esempio per educare tutti gli altri. Dopo il rifiuto da parte del governo italiano di ridurre il deficit di bilancio, la Commissione europea potrebbe imporre delle multe pesanti. L'Italia tuttavia non sembra avere alcuna intenzione di pagare per queste sanzioni e cerca invece lo scontro aperto. Non viene piu' nemmeno invocata una soluzione amichevole. Il governo italiano è stato eletto per adottare misure radicali. E dalla popolazione italiana sarà valutato in base alla capacità di essere all'altezza di queste aspettative.

La storia dell'Italia nell'euro è una storia di crediti e garanzie pubbliche, di garanzie messe in comune e di sovvenzioni attraverso le quali il paese è stato tenuto a galla. Tutti questi aiuti hanno agito come farmaci che calmavano i mercati finanziari e la popolazione. Ma non hanno contribuito a risolvere i problemi strutturali del paese. Hanno invece distrutto la competitività dell'Italia e aumentato la dipendenza del paese dal debito.

Già nei primi anni '90 lo stato italiano si è trovato vicino alla bancarotta. Il debito pubblico si attestava infatti al 120% del PIL e l'Italia doveva pagare più del 12% di interessi sui titoli di stato decennali. L'onere per gli interessi era insopportabile, il collasso dello stato sembrava inevitabile. Si faceva nuovo debito per pagare i vecchi debiti e anche una parte degli interessi. L'euro è stato quindi introdotto per ridurre l'onere sugli interessi. I tassi di interesse italiani infatti in previsione dell'introduzione dell'euro in quegli anni diminuivano di circa cinque punti percentuali, avvicinandosi al livello tedesco. Senza dare troppa importanza alla clausola di no-bailout del Trattato di Maastricht, gli investitori erano convinti che i paesi della zona euro sarebbero stati comunque protetti contro una bancarotta dello stato. Si presumeva che l'Italia avrebbe potuto stampare da sé il denaro per estinguere i propri debiti o che gli altri paesi avrebbero aiutato direttamente l'Italia, cosa che poi è accaduta realmente in seguito.

Per lo stato italiano l'euro è stato almeno inizialmente una benedizione. La valuta comune ha fatto risparmiare così tanti interessi che con quei soldi l'Italia avrebbe potuto tranquillamente eliminare l'IVA. Se l'Italia avesse usato i bassi tassi di interesse risparmiati per rimborsare i propri debiti, il rapporto debito/PIL oggi sarebbe ben al di sotto del 60%. Ma l'Italia ha agito diversamente. Lo stato non solo ha speso tutto il taglio dei tassi d'interesse, ma ha sfruttato anche l'opportunità per fare altro debito. Il doppio incremento della spesa pubblica ha generato una domanda aggregata che ha fatto aumentare i prezzi italiani più velocemente rispetto a quanto accadeva nel resto dell'area dell'euro. Dal 1995, anno in cui si è deciso di introdurre l'euro, fino allo scoppio della crisi Lehman di dieci anni fa, l'Italia, compreso un apprezzamento iniziale della lira, è diventata del 40 % più cara rispetto alla Germania, usando come indice i prezzi dei beni auto-prodotti, rilevante nelle questioni relative alla competitività. Nessun paese può sopravvivere a un simile "apprezzamento reale" senza subire dei danni.

L'apprezzamento è stato sostenibile fino a quando il mercato dei capitali è stato disponibile a finanziare il crescente deficit di conto corrente italiano. Ma quando il mercato dei capitali dopo la bancarotta di Lehman ha smesso di farlo, i tempi apparentemente buoni sono finiti, e l'Italia è crollata. La perdita di competitività è emersa senza pietà. La disoccupazione è salita a circa il 12% e la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli superiori al 40%. Al netto, dopo aver dedotto le nuove società, un quarto delle imprese attive nell'industria manifatturiera è fallita. E' comprensibile che i nervi degli italiani oggi siano scoperti e non ne vogliano sapere piu' nulla dell'UE: solo il 43% vuole rimanere ancora nell'UE, meno che in qualsiasi altro paese.

Anche negli altri paesi dell'Europa meridionale l'euro non ha funzionato molto bene. Come mostra la tabella qui sotto, nell'ultimo decennio, nessun paese dell'Europa meridionale è riuscito a riportare la produzione industriale al livello raggiunto all'inizio della crisi finanziaria. Mentre i paesi di lingua tedesca hanno superato la crisi rapidamente e ora sono del 9 % (Germania) e del 18 % (Austria) al di sopra del livello pre-crisi, l'Italia ha perso il 17 %. La Francia, i cui mercati di sbocco si trovano nel sud e le cui banche hanno prestato molto denaro in quei paesi, ha registrato un calo del 9% rispetto ai livelli pre-crisi.


Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, come riferito dall'ex direttore della BCE Lorenzo Bini Smaghi, già durante la recessione del 2011 aveva condotto dei negoziati segreti per far uscire l'Italia dalla zona euro. Lo stesso aveva fatto all'epoca il primo ministro greco Papandreou, come da lui confermato nel 2016 a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera. Entrambi volevano far tornare competitivi i loro paesi tramite una svalutazione. Ma sono stati costretti dalle banche e dalle presunte forze dell'UE ad abbandonare i loro incarichi prima che potessero realizzare i loro progetti. Entrambi si sono dimessi nella stessa settimana alla fine del 2011. In Grecia, poi è andato al potere un governo di sinistra. In Italia i presidenti del consiglio Monti, Letta, Renzi e Gentiloni hanno provato a fare le riforme, ma hanno ottenuto poco o nulla - comunque niente che abbia potuto far voltare pagina all'industria italiana.

La politica europea durante la crisi non si è fondata sulle riforme strutturali dell'Eurosistema, ma sui salvataggi finanziari. Con tali salvataggi, infatti, sono state salvate in primo luogo le banche e gli investitori francesi, tedeschi e degli altri paesi. I salvataggi sono iniziati con gli scoperti di conto sui saldi Target, che Banca d'Italia ha approvato come se si trattasse di un'azione di auto-aiuto. Poi è arrivato il "Securities Markets Program" della BCE, che a partire dall'estate del 2011 ha costretto le banche centrali del nord ad acquistare titoli di Stato italiani. Poiché  per i mercati questo non sembrava essere abbastanza, nel 2012 è arrivata la promessa da parte del presidente della BCE Mario Draghi („Whatever it takes“), promessa che ha trasformato implicitamente i titoli di stato dell'eurozona in eurobond e ha spostato sui contribuenti europei il peso delle garanzie senza chiedere la loro opinione. Il fondo di salvataggio permanente ESM ha completato la promessa di protezione. Nel 2015 poi è arrivato il programma di "quantitative easing" della BCE, all'interno del quale sono stati acquistati titoli di Stato dei paesi euro per un valore di 2.100 miliardi di euro, dei quali il 17 per cento è attribuibile al riacquisto di titoli di stato italiani da parte di Banca d'Italia. Questa azione ha catapultato il saldo target di Banca d'Italia al valore di 490 miliardi di euro.

Tutti questi programmi hanno fatto in modo che gli investitori francesi e del nord Europa non perdessero i loro soldi rendendo la vita nel Sud appena sopportabile, ma allo stesso tempo hanno anche danneggiato l'industria italiana, in quanto hanno reso possibili dei salari troppo elevati in rapporto alla produttività, salari cresciuti durante la bolla pre-Lehman. Chi ritiene che il nuovo surplus delle partite correnti italiano possa dimostrare che il paese ha superato la fase piu' difficile trascura il fatto che questo surplus è dovuto quasi esclusivamente al crollo delle importazioni causato dalla crisi e dalla riduzione dei tassi di interesse sul debito estero.

La bugia sul "tempo per fare le riforme" che si sarebbe potuto comprare con gli aiuti finanziari si è rivelato per quello che era fin dall'inizio: un trucco di pubbliche relazioni pensato da politici con una visione di breve periodo che avevano come obiettivo quello di rinviare le dolorose ma necessarie riforme dell'eurosistema. Il fallimento dei programmi di aiuto mostra molto chiaramente il fallimento dell'idea secondo la quale la politica europea avrebbe potuto generare più disciplina in materia di debito rispetto ai mercati. Gli investitori privati ​​possono frenare la corsa all'indebitamento quando questo diventa eccessivo. Possono bloccare il flusso di credito o chiedere tassi di interesse così elevati che i debitori perdono l'appetito.

Questo è il principio di fondo dell'economia di mercato e dei sistemi federalisti che funzionano allo stesso modo. Basti pensare ai problemi finanziari dei singoli stati degli Stati Uniti, che iniziano già con un indebitamento al 10 % del PIL, oppure alla disciplina richiesta dal mercato dei capitali ai cantoni svizzeri. La BCE e la comunità internazionale hanno indebolito questo principio, abbassando gli spread dei paesi altamente indebitati con i vari sistemi di messa in comune delle garanzie, sistema avviato con l'euro stesso, nella speranza che poi si sarebbe riusciti a tenere sotto controllo gli stati membri con dei mezzi legali. L'ingenuità di questa convinzione si è inesorabilmente rivelata nella nuova crisi italiana.


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giovedì 18 ottobre 2018

FAZ: Scholz vuole aiutare chi se ne frega delle regole, fermatelo!

Il ministro delle finanze Scholz nei giorni scorsi ha aperto alla possibilità di sostenere insieme ai francesi un'assicurazione europea contro la disoccupazione. E' stato immediatamente impallinato dai colleghi di governo della CDU, da Merkel e da buona parte della stampa. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Manfred Schaefers nel suo dottissimo pistolotto ci spiega perché i tedeschi non devono aiutare chi se ne frega delle regole, cioè gli italiani. 


L'Italia se ne frega delle regole. La proposta di Scholz per un'assicurazione europea contro la disoccupazione arriva nel momento sbagliato, crea dei falsi incentivi e fa delle promesse sbagliate.

Come fanno a stare insieme le cose? Ogni giorno è sempre piu' chiaro che il governo italiano se ne frega delle regole europee. Allo stesso tempo il ministro delle finanze tedesco lavora ad un concetto che porterebbe gli stati membri a non essere piu' responsabili del loro operato.

A Olaf Scholz si può sicuramente attribuire il merito di aver sviluppato a un livello astratto un bellissimo modello teorico: i paesi dell'UE in crisi ricevono dei prestiti in modo da non dover aumentare i contributi sociali nelle fasi economiche piu' difficili, fatto che aggrava ulteriormente ogni recessione.

Ma ogni teoria notoriamente è grigia. L'idea non funzionerà: se l'aiuto esterno è prevedibile, nel paese diminuisce ogni spinta a provvedere con le proprie forze a organizzare il mercato del lavoro nazionale in modo da poter affrontare autonomamente una crisi. E se la situazione dovesse davvero superare le possibilità nazionali, già oggi ci sono gli aiuti europei - anche se a determinate condizioni.

Applicando quanto suggerito da Scholz, Roma avrebbe ancora meno motivi per ridurre il suo indebitamento eccessivo. In breve: momento sbagliato, incentivi sbagliati, promesse sbagliate. L'Unione deve fermare la SPD.



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sabato 29 settembre 2018

Thomas Mayer: la capitolazione tedesca

Sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung Thomas Mayer, professore di economia, commentatore ed ex capo-economista di Deutsche Bank, spiega ai tedeschi perché le notizie che arrivano dall'Italia e le richieste dei sud-europei testimoniano la totale capitolazione dell'ideologia tedesca. E' probabile che l'ordoliberalismo tedesco stia serrando i ranghi per lanciare una controffensiva. Thomas Mayer dalla FAZ.net


Francia e Germania, quando si tratta di interpretare il ruolo che lo stato deve avere nell'economia e nella politica monetaria sono separate da una profonda "fossa renana". Mentre in Francia prevale la convinzione che lo stato abbia il diritto di dirigere l'economia, in Germania dopo la seconda guerra mondiale prevalse l'opinione che lo stato dovesse restare fuori da questo ambito. La "fossa renana" durante tutti gli euro-salvataggi ha piu' volte causato un forte attrito, fino a quando il governo federale non ha deciso di annacquare la posizione tedesca rendendola irriconoscibile.


Ciò è dimostrato dal sostegno dato alla trasformazione della Banca centrale europea di Mario Draghi nel prestatore di ultima istanza per gli stati e dalla dichiarazione di Meseberg concordata insieme ai francesi, con la quale in sostanza si mira a mettere in comune la responsabilità sui debiti delle banche e degli stati. Si potrebbe pensare che con questa capitolazione la disputa sulle diverse idee in merito all'architettura dell'unione monetaria  sia finalmente terminata. Sarebbe un errore.

Fossa renana e barriera alpina

Alla fossa renana che divide Francia e Germania corrisponde una "barriera alpina" che separa Germania e Italia. E' sicuramente vero che le opinioni dei politici e degli economisti in Italia non sono così omogenee come accade in Francia. Ma c'è ampio consenso lungo tutto lo spettro politico sul fatto che le politiche monetarie e fiscali svolgano un ruolo cruciale nel creare crescita economica e occupazione. Ogni giorno le élite italiane si lamentano per la sofferenza del loro paese causata delle regole di politica fiscale ispirate dalla Germania e insistono sul fatto che la politica monetaria estremamente espansiva avviata dal presidente della BCE Draghi sarà indispensabile anche in futuro. Il nuovo governo italiano, che si è presentato come avversario delle élite, non fa eccezione.

Ciò emerge chiaramente anche da una recente presa di posizione di Paolo Savona, il Ministro per gli affari europei, a cui la mia collega Agnieszka Gehringer ha fatto riferimento poco tempo fa. Savona, che originariamente era stato indicato dai partner di coalizione come Ministro delle Finanze, ma la cui nomina in questo ruolo era stata bloccata dal Presidente Mattarella, parla di una riunione del 5 luglio a cui hanno preso parte il ministro Salvini, il ministro delle finanze Tria e il ministro Di Maio. L'occasione dell'incontro era stata la formulazione di una posizione italiana nei negoziati per l'ulteriore sviluppo dell'Unione Europea. La squadra dei ministri tra le altre cose in quell'occasione aveva chiesto un ampliamento dello statuto della BCE. Oltre alla stabilità dei prezzi, la BCE dovrebbe impegnarsi anche a promuovere la crescita economica, come già avviene negli Stati Uniti. Inoltre sempre la BCE dovrebbe essere in grado di controllare il tasso di cambio dell'euro intervenendo sul mercato dei cambi, e agire come prestatore di ultima istanza per gli stati al fine di impedire gli "attacchi speculativi" dei mercati finanziari. I ministri vorrebbero inoltre introdurre una "politica europea per gli investimenti" al fine di aumentare la non soddisfacente crescita economica e ridurre le differenze in termini di sviluppo e produttività tra i paesi dell'euro. Questa politica dovrebbe "sfuggire ai vincoli finanziari del bilancio europeo" e non essere piu' soggetta alle limitazioni del patto di stabilità e crescita.

Il fallimento italiano dall'inizio della crisi finanziaria

Il dispiacere dei ministri è comprensibile in quanto l'economia italiana non è stata in grado di adattarsi ai vincoli imposti dalla moneta unica europea. Il fallimento è diventato particolarmente evidente negli ultimi dieci anni a partire dalla crisi finanziaria. Oggi la produzione industriale è del 15% inferiore rispetto ai livelli del 2008 e il prodotto interno lordo reale del 3,4% inferiore rispetto al 2008. Dieci anni di crescita negativa sono difficili da tollerare in qualsiasi società. Dal punto di vista tedesco, che influenza anche le istituzioni dell'UE, le rigidità strutturali dell'Italia impediscono il necessario adattamento dell'economia alle esigenze create dalla moneta unica. Dal punto di vista italiano, tuttavia ad essere responsabile è la fine della politica di svalutazione della moneta e della spesa pubblica finanziata a debito, che ora invece dovrebbe essere applicata all'unione monetaria.

Venti anni di unione monetaria hanno evidenziato che la capacità di aggiustamento strutturale dell'Italia è molto limitata. Otto anni di crisi dell'euro hanno al contrario rivelato che il quadro istituzionale dell'unione monetaria è estremamente flessibile. Dal punto di vista italiano, è ben chiaro il modo in cui la barriera alpina può essere superata: eliminando ciò che resta delle posizioni tedesche.

venerdì 20 luglio 2018

Hans Werner Sinn sui saldi Target (seconda parte)


Il prof. Hans Werner Sinn dalle pagine della Frankfurter Allgemeine Zeitung torna ad infiammare il dibattito tutto tedesco sulla natura dei saldi Target e rilancia la sua versione dei fatti: la Germania sarebbe ormai un self-service dove gli europei si riforniscono di merci senza saldare il conto mentre i sud-europei grazie alla liquidità illimitata garantita dalla banca centrale hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi. A pagare il conto alla fine saranno i tedeschi, amen. Parte seconda, si arriva da qui



Cosi' la Bundesbank, ad esempio, ha dovuto eseguire gli ordini di addebito in arrivo dalla banca centrale spagnola, i quali avevano l'obiettivo di riportare a casa i titoli di stato spagnoli riacquistati dagli assicuratori sulla vita tedeschi. Ha dovuto creare nuovo denaro e darlo al venditore del titolo affinché il titolo potesse tornare nelle mani della banca centrale spagnola, una istituzione dello stato spagnolo. Si è trattato sicuramente di un buon affare per la Spagna, in quanto un titolo di debito pubblico nelle mani di un investitore privato, che in alcuni casi puo' anche diventare problematico, veniva comodamente sostituito da un semplice debito contabile nei confronti dell'eurosistema e indirettamente verso la Bundesbank. Un debito contabile senza scadenza e al momento senza nemmeno un tasso di interesse. Per la Germania l'affare sicuramente non è stato molto vantaggioso. Non c'è dubbio che i venditori tedeschi siano stati pagati con il denaro della Bundesbank, ma questo in realtà è solo un credito nei confronti di un'istituzione dello stato tedesco che in cambio ha ricevuto un credito Target nei confronti dell'eurosistema.

La Bundesbank ha inoltre aiutato i sud-europei a liberarsi dai loro debiti verso gli investitori di tutto il mondo e a sostituirli con un debito contabile verso l'eurosistema, che ha sua volta costituisce un debito contabile nei confronti della Bundesbank. Per restare sullo stesso esempio: se la banca centrale spagnola riacquista i titoli di stato spagnoli da un investitore di Shanghai il quale poi, dato che questa transazione ha portato ad una svalutazione dell'euro, con i proventi realizzati dalla vendita acquista un'azienda tedesca, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un buon affare per gli spagnoli. Un debito cartolarizzato nei confronti di un investitore privato cinese è stato sostituito da un debito contabile verso l'eurosistema. L'investitore cinese per la cessione del titolo spagnolo è stato ricompensato con l'azienda tedesca, mentre il venditore dell'azienda tedesca ha ricevuto degli euro che rappresentano tuttavia un credito nei confronti della Bundesbank per il quale la Bundesbank è stata ricompensata a sua volta con un credito Target.

Naturalmente si tratta solo di esempi. Puo' anche darsi che l'investitore straniero abbia acquistato azioni o altri titoli o immobili tedeschi, dato che come accadeva nel sistema di Bretton Woods la Germania resta a buon mercato e offre buone merci e buone possibilità di investimento. Oppure l'investitore straniero ha trasferito il proprio denaro sui conti bancari tedeschi in attesa di opportunità di acquisto favorevoli. Anche il denaro affluito in questo modo rappresenta tuttavia un credito nei confronti della Bundesbank coperto solo dai saldi Target. Assurdo è invece il fatto che questa volta sul banco non venga messo dell'oro.

I rischi

I crediti Target significano oneri e rischi per lo stato tedesco, il quale è il proprietario della Bundesbank e ha il diritto di incassare all'infinito gli interessi sui saldi target. Cosi' come accadrebbe ad un'azionista in caso di mancato pagamento dei dividendi, lo stato tedesco in caso di una perdita sui crediti Target dovrebbe sopportare gli stessi oneri nei confronti dell'eurosistema. Cio' è indipendente dal fatto che lo stato tedesco debba ricapitalizzare o meno la Bundesbank.

Il rischio di una perdita diventa concreto nel momento in cui le altre banche centrali, a causa dei loro debiti Target, non possono piu' far fronte ai loro impegni di pagamento all'interno dell'eurosistema. Cosi' ad esempio un fallimento dello stato italiano, insieme ai suoi effetti indiretti sul sistema bancario a causa dell'elevato debito Target della Banca d'Italia, quasi mezzo trilione di euro, anche nel caso di pignoramento degli utili provenienti dal signoraggio, oppure di utilizzo di tutte le riserve disponibili, si trasformerebbe in una perdita per diverse centinaia di miliardi di euro per il resto dell'eurosistema, di cui la Germania dovrebbe sostenere il 31%. La situazione sarebbe molto simile se l'Italia dovesse uscire dall'euro e smettesse di onorare i suoi debiti Target. 

Si spera che questi scenari estremi non si materializzino mai, tuttavia sono rilevanti per l'ulteriore sviluppo dell'eurozona nella misura in cui forniscono ai paesi in crisi una potenziale arma di minaccia finalizzata alla creazione di una unione di trasferimento. Il nuovo governo italiano ha giocato apertamente questa carta. O i paesi del nord mettono mano al borsellino oppure dovranno farlo con l'uscita dalla moneta unica, se necessario tramite il fallimento della propria banca centrale.

Ad un esame più attento, tuttavia, questo minaccia potenziale non è così forte come potrebbe sembrare inizialmente, perché i crediti Target della Bundesbank, anche in normali circostanze, non manterranno il valore con il quale sono stati iscritti a bilancio. Un normale istituto finanziario privato dovrebbe svalutare completamente un credito con un interesse pari a zero e che forse solo in un secondo momento potrà generare un tasso di interesse reale determinato dagli stessi debitori. Da questo punto di vista la metà delle attività nette sull'estero della Germania, accumulate tramite gli avanzi delle partite correnti, già oggi probabilmente dovrebbero essere considerata come un banale pro memoria.

In considerazione della crescita continua dei saldi Target di Italia e Francia è arrivato il momento per la politica di entrare in azione e porre fine alla strategia del silenziatore e della banalizzazione. Anche molti giornalisti non dovrebbero farsi imbrigliare da questa strategia. La Germania, a differenza della Francia, dovrà affrontare dei gravi problemi demografici che comunque a partire dagli anni '30 causeranno serie difficoltà finanziarie. Non puo' restare ferma a guardare la dissoluzione del suo patrimonio causata dal sistema Target.

Esistono delle possibilità per contenere i saldi Target. Si potrebbero rimuovere le cause sopra indicate da individuare nella eccessiva creazione asimmetrica di credito all'interno dell'eurosistema, ma ciò presuppone che i potenti debitori Target all'interno del consiglio BCE siano disposti a rinunciare ai loro privilegi. Sarebbe invece piu' efficace se i tribunali e i parlamenti affrontassero il tema e mettessero in piedi un sistema per il rimborso annuale dei saldi Target, come accade fra i 12 distretti della banca centrale americana. Si potrebbe anche introdurre un massimale senza necessariamente dover limitare i pagamenti in quanto le banche potrebbero effettuare fra di loro, attraverso le clearing house private, i trasferimenti internazionali, oppure ricorrere a delle specifiche fusioni all'interno delle loro reti. Al fine di dare il tempo necessario per la costruzione di tali reti, il superamento del limite massimo dovrebbe essere consentito solo dietro il pagamento di una penalità. Le misure da adottare richiedono certamente ulteriori discussioni. Solo una cosa è chiara: non possiamo andare avanti in questo modo.

giovedì 19 luglio 2018

H.W. Sinn sui saldi Target (parte prima)

Il prof. Hans Werner Sinn dalle pagine della Frankfurter Allgemeine Zeitung torna ad alimentare il dibattito tutto tedesco sulla natura dei saldi Target e rilancia la sua versione dei fatti: la Germania sarebbe ormai un self-service dove gli europei si riforniscono di merci senza saldare il conto mentre i sud-europei grazie alla liquidità illimitata garantita dalla banca centrale hanno potuto vivere al di sopra dei propri mezzi. A pagare il conto alla fine saranno i tedeschi, amen. Dalla FAZ.net, H.W. Sinn.



Il saldo Target tedesco è un credito di natura contabile della Bundesbank nei confronti dell'Eurosistema. Questo credito è cresciuto in quanto la Bundesbank per conto di altre banche centrali ha creato denaro e coerentemente con le richieste dei committenti stranieri lo ha messo a disposizione per l'acquisto di merci o attività, per il rimborso dei debiti oppure per la creazione e lo sviluppo di riserve di liquidità, allo stesso tempo  le altre banche centrali hanno ottenuto denaro per un importo corrispondente. Si tratta di una linea di credito pubblica fra le banche centrali che ha garantito alle altre economie della zona euro un afflusso netto di beni, servizi e asset tedeschi senza che queste dovessero ricorrere al credito privato. I crediti Target concessi dalla Bundesbank (Decisione BCE 2007 NP10) vengono remunerati delle banche centrali debitrici al tasso di rifinanziamento principale della BCE, tasso che attualmente è pari a zero.

I saldi Target nelle statistiche della bilancia dei pagamenti tedesca sono registrati come una componenti degli attivi esteri, cresciuti sulla base delle precedenti eccedenze di conto corrente. Con un valore di 1.929 miliardi di euro a fine 2017, le attività nette sull'estero tedesche sono le più grandi al mondo dopo quelle del Giappone. I Crediti Target della Bundesbank a metà 2018 rappresentavano il 51% dell'attivo estero netto.

I trasferimenti fra i paesi, come mostrato dal sistema di clearing di Londra, non devono necessariamente passare attraverso le banche centrali. Anche le banche private possono scambiarsi ordini di pagamento transfrontalieri e in questo modo stabilire rapporti di credito rendendo quindi possibile lo scambio di merci e il movimento dei capitali. In nessun paese pertanto a tale scopo viene raccolto o immesso nuovo denaro in circolazione da parte della banca centrale e anche i saldi Target non si modificano. I trasferimenti al di fuori del sistema Target implicano crediti privati fra i sistemi bancari, mentre i trasferimenti all'interno del sistema Target sono crediti di natura pubblica. Le due forme di credito sono diverse in quanto il rischio default in un caso è presso il contribuente e nell'altro resta presso gli azionisti delle banche, ma entrambi contribuiscono all'indebitamento netto o accreditamento netto di ogni paese. Insieme agli altri flussi di capitale pubblici e privati si riflettono nei saldi delle partite correnti.

Uno sguardo al sistema di Bretton Woods

Anche nel sistema di Bretton Woods, il sistema internazionale dei cambi fissi del dopoguerra, a causa dei trasferimenti che arrivavano alla Bundesbank dall'estero, esisteva già qualcosa di simile ai saldi Target. Le banche centrali americane e dei paesi europei vicini fornivano alle rispettive economie un eccesso di liquidità che permetteva ai cittadini, come accade oggi con i saldi Target, di fare acquisti in Germania. Con la moneta auto-stampata acquistavano merci, aziende, azioni e immobili e molte altre cose, alla Bundesbank spettava poi il compito cambiare la valuta estera in D-Mark. In un secondo momento tuttavia la Bundesbank poteva pretendere che la valuta non-americana venisse convertita in dollari o oro e poiché il prezzo di mercato dell'oro era inferiore rispetto alla parità fissata, riceveva in cambio per lo piu' oro. Fino al 1968 la Bundesbank aveva accumulato oltre 4.000 tonnellate di oro, che all'epoca equivalevano al 3,4% del prodotto interno lordo tedesco. Allo stesso tempo, aveva riserve in dollari pari all'1,6 % del PIL.

A confronto i crediti Target della Bundesbank a metà 2018 erano pari al 30% del PIL tedesco del 2017. Se la Bundesbank dovesse convertirle in oro, al prezzo corrente riceverebbe 28.277 tonnellate di oro.

Self-service nell'eurosistema

Nell'ambito del sistema di pagamento di Bretton Woods, la necessità di rimborsare il debito in valuta estera con degli attivi che non potevano essere creati dal nulla, manteneva i saldi entro limiti ristretti. Nell'eurosistema invece non è previsto alcun rimborso. Questo spiega l'enorme aumento dei saldi Target. In effetti la Germania è diventato un enorme negozio self-service nel quale puoi far segnare sul conto a tuo piacimento, senza che il proprietario del negozio possa chiedere il pagamento dei suoi crediti.

Ci sono essenzialmente cinque accordi istituzionali che hanno consentito la creazione asimmetrica di credito all'interno dell'eurosistema nei primi anni della crisi finanziaria, diciamo fino al 2012 circa. Il primo è il sistema Target stesso. Il Trattato di Maastricht non dice nulla a proposito. Questo sistema è stato creato dalle banche centrali stesse, senza chiedere nulla ai parlamenti. L'eurosistema avrebbe potuto essere basato anche su trasferimenti privati. La seconda regola consiste nella politica della liquidità illimitata per il rifinanziamento dei crediti. In base a questa politica le banche commerciali di qualsiasi paese possono ottenere prestiti illimitati dalla propria banca centrale e in questo modo effettuare trasferimenti illimitati verso gli altri paesi. Devono ovviamente depositare una quantità sufficiente di titoli in pegno. La qualità minima di queste garanzie, e questa è la terza regola, in seguito è stata abbassata fino al rating BBB-, vale a dire fino al livello spazzatura. Di titoli spazzatura in giro ce n'erano tuttavia a sufficienza per far funzionare la macchina stampa denaro locale.

Il quarto elemento consiste nei cosiddetti prestiti d'emergenza ELA, che consentono a ciascuna banca centrale di creare a piacimento tutto il denaro di cui ha bisogno a meno che i due terzi del consiglio BCE non voti contro. Dal momento che i paesi in crisi del sud più l'Irlanda negli anni decisivi avevano in seno al consiglio BCE un voto in piu' del terzo necessario, nessuno ha potuto impedire che questi paesi si concedessero crediti ELA per centinaia di miliardi. Il quinto punto consiste nel cosiddetto accordo segreto Anfa, alla cui pubblicazione la BCE è stata costretta da un dottorando di Berlino. Secondo l'accordo una banca centrale puo' acquistare titoli stampandosi il denaro in proprio. Cosi' Banca d'Italia neò qiadrp dell'accordo Anfa ha potuto acquistare titoli di stato per 105 miliardi di euro. Tutti questi crediti creati con la macchina stampa denaro sono andati a ruba fra le banche commerciali in quanto sono stati offerti a condizioni molto piu' economiche rispetto ai crediti disponibili sul mercato dei capitali.

L'eccessiva creazione di credito nei paesi in crisi, che ha consentito trasferimenti netti verso i paesi dell'europa settentrionale, è stata compensata da un corrispondente declino nella creazione di credito in Germania in quanto il trasferimento di denaro dalle altre banche centrali ha reso superfluo l'indebitamento nei confronti della propria banca centrale. Negli anni 2012 e 2013 in Germania non vi è stato alcun ricorso al credito della Bundesbank. In Germania circolava solo il denaro delle rimesse che le altre banche centrali avevano commissionato.

Le due ondate Target

Il saldo Target tedesco durante la crisi è aumentato in due ondate. La prima ha raggiunto il picco nell'agosto 2012 con un massimo di 751 miliardi di euro. Dopo il crollo di Lehman il mercato dei capitali si rifiutava di continuare a finanziare i disavanzi delle partite correnti dei paesi dell'Europa meridionale e dell'Irlanda. Gli investitori stranieri volevano avere indietro il prima possibile i soldi prestati e si rifiutavano di fornire prestiti aggiuntivi. Fra i residenti dei paesi in crisi, inoltre, chi aveva dei beni tentava di venderli e di portare i soldi all'estero. L'auto-aiuto con la macchina stampa soldi sopra descritto ha permesso alle diverse economie di ricorrere allo scoperto di conto corrente misurato dai saldi Target.

Negli ultimi 4 anni abbiamo invece assistito alla seconda ondata. E' stata innescata dall'aspettativa e dall'attuazione del programma di acquisto titoli della BCE con il quale fra il marzo 2015 e il giugno 2018 sono stati acquistati titoli per un valore di 2.4 trilioni di euro, di questi 2 trilioni di euro erano titoli governativi. Sebbene ciascuna banca centrale abbia riacquistato solo i titoli di stato del proprio paese, i saldi Target sono tornati a crescere. Cio' è dovuto da un lato al fatto che i venditori volevano mettere in sicurezza in Germania la liquidità ottenuta con la vendita. Si tratta di un aspetto che alla luce del grande ritorno in Italia dell'eurocrisi è diventato sempre piu' importante. La fuga di capitali dall'Italia ma anche dal sistema bancario francese è stata significativa.

Dall'altro lato è dovuto ad un aspetto tecnico: i titoli dei paesi euro del sud in precedenza erano stati venduti in tutto il mondo per finanziare gli enormi disavanzi di conto corrente, ora per riacquistare questi titoli erano comunque necessari dei trasferimenti verso l'estero. In entrambi i casi la Bundesbank è stata obbligata ad accreditare i riacquisti e quindi anche i vecchi disavanzi delle partite correnti dei paesi del sud tramite una gigantesca azione di ristrutturazione del debito retroattiva.  

(continua...parte seconda)

domenica 15 luglio 2018

Thomas Mayer: verso il Target 3

Thomas Mayer, professore di economia, ex capo-economista di Deutsche Bank nonché abituale commentatore sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, nella sua rubrica settimanale sulla FAZ getta altra benzina sul fuoco del ben noto dibattito sui saldi Target. Per Mayer la Bundesbank dovrebbe forzare un'uscita dal Target 2 e imporre un nuovo sistema Target 3 in cui i debitori del sud dovrebbero garantire con l'oro o altre riserve i trasferimenti fra le banche centrali dell'eurosistema.. Dalla FAZ.net


In quale altra banca i clienti possono ottenere un credito di qualsiasi importo senza nessuna garanzia, senza scadenza e a tasso zero? Si dovrebbe pensare, da nessuna parte. Ma invece questo è proprio quello che la BCE offre ai suoi membri. Nel sistema di pagamento interbancario Target2 i membri del sistema europeo delle banche centrali possono finanziare il loro paese per un tempo illimitato, senza alcun limite e a tasso zero. In questo sistema la Bundesbank tedesca si è involontariamente trasformata nel principale creditore: alla fine del mese scorso aveva prestato 976 miliardi di euro alla BCE. Banca d'Italia è invece il piu' grande debitore. A fine maggio aveva 465 miliardi di debito verso la BCE.

Le voci equilibrate della BCE cercano di calmare le acque. Secondo queste voci si tratterebbe solo di saldi contabili di compensazione senza alcun significato economico. Non è vero. I saldi Target riflettono i differenziali di tasso di interesse fra i paesi della zona euro, che sono molto piu' bassi rispetto alla valutazione del rischio data dagli investitori. L'Italia è il caso piu' evidente.

Poiché il livello dei rendimenti sui  titoli di stato italiani a 10 anni non compensa l'esposizione al rischio degli investitori, essi utilizzano il programma di acquisto della BCE per scambiare un rischio di credito italiano con uno tedesco. Per fare questo offrono un bond italiano alla BCE a Francoforte. Una banca tedesca accredita il denaro al cliente e in cambio del titolo ottiene il denaro della riserva della Bunesbank. La Bundesbank trasferisce quindi il titolo a Banca d'Italia. In cambio riceve un credito della BCE mentre per Banca d'Italia si crea un debito corrispondente, un debito che non fa male. L'investitore si è liberato del rischio italiano, che ora invece è in carico alla BCE. Poiché questa non ha abbastanza capitale proprio per coprire il rischio di un default italiano, il rischio resta in capo alla Bundesbank. All'interno dell'eurozona tramite il sistema Target 2 vengono quindi redistribuiti rischi per importi giganteschi a scapito della Bundesbank.

Il meccanismo di trasferimento del rischio incorporato nel sistema Target 2 è unico e probabilmente in un primo momento non è stato compreso a fondo da nessun politico tedesco. Perché altrimenti non si spiega come mai la parte tedesca abbia accettato che nel copiare il sistema di pagamento americano Fedwire sia stata omessa la parte che limita questi trasferimenti. Nel Fedwire infatti i saldi derivanti dai pagamenti fra le diverse regioni americane ogni anno devono essere saldati con trasferimenti di attività da parte delle banche centrali la cui regione ha accumulato un deficit. Questo incentiva le banche centrali regionali a fare in modo che le banche della loro area di responsabilità non prestino troppo facilmente denaro ai clienti a rischio.

La BCE non ha le risorse necessarie e non sarà in grado di incassarle dai propri debitori per poter estinguere i suoi debiti nei confronti della Bundesbank. Questa pertanto probabilmente resterà con il cerino in mano di tutti i crediti maturati in passato. Tuttavia c'è un modo per impedire alla montagna di continuare a crescere: in futuro dovrà insistere per ottenere un saldo annuale delle posizioni. A tal fine le banche centrali dei paesi della zona euro con un deficit delle partite correnti dovrebbero su base mensile impegnare presso la BCE riserve e capitale proprio per un valore equivalente al deficit. Per arrestare la fuga di capitali e per non perdere quanto versato in pegno, queste banche centrali dovrebbero fare in modo che le banche commerciali sotto il loro controllo aumentino il premio al rischio sui loro tassi di prestito e deposito. Gli investitori che oggi per i loro affari evitano alcune borse, perché li' possono scambiare solo obbligazioni rischiose in cambio di depositi bancari ancora piu' rischiosi, verrebbero attratti da un tasso di interesse piu' allettante. In altre parole sarebbe piu' lucrativo vendere titoli di stato italiani a Milano rispetto a Francoforte.

Sarebbe da ingenui aspettarsi che le altre banche centrali e i loro governi possano acconsentire volontariamente alla sostituzione del sistema Target 2 con un sistema esteso per la liquidazione dei saldi, chiamiamolo Target 3. Per poterlo imporre la Bundesbank dovrebbe dichiarare unilateralmente di voler uscire dal Target 2 e che i pagamenti futuri saranno gestiti solo attraverso il Target 3. Per fare cio' tuttavia ci sarebbe bisogno del sostegno della politica.

Nella loro "dichiarazione di Meseberg" la Cancelliera e il presidente francese hanno sproloquiato di un "meccanismo di riassicurazione", di una "garanzia congiunta sui depositi" e di un "budget per l'eurozona". Della piu' grande pentola finanziaria, Target 2 appunto, non se ne è parlato affatto. Di fatto non si puo' parlare di "condivisione del rischio" e di "solidarietà" all'interno dell'eurozona, senza prendere in considerazione questo polipo finanziario.

domenica 8 luglio 2018

Quella bomba politica da un trilione di euro

La prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung torna a pompare l'argomento dei saldi Target e del presunto trilione di euro di crediti della Bundesbank nei confronti dell'eurosistema. Lo fa anche per attaccare il ministro delle finanze Scholz, il quale non avrebbe preparato la Germania al caso dei casi, al worst-case, cioè alla fine dell'euro. La cosiddetta "stampa di qualità" cavalcando in chiave politica un argomento tecnico come quello dei saldi Target di fatto sta spianando la strada alla campagna elettorale di AfD, che ringrazia. Ne parla Manfred Schäfers sulla FAZ.net


Nel Bilancio della Bundesbank giace sopita una bomba politica - ma a Berlino non ne parla nessuno. Come è possibile? Se la tendenza dovesse continuare, sarebbe solo questione di poche settimane: il credito della Bundesbank nei confronti del sistema di pagamento Target 2 a breve supererà il trilione di euro, una somma difficile anche solo da immaginare. Perciò le domande da rivolgere al governo federale dovrebbero essere ancora piu' urgenti, dato che la Germania continua a concedere credito agli altri paesi dell'eurozona in maniera illimitata e senza interessi - e cioè senza garanzie reali.

L'ex presidente dell'Istituto Ifo, Hans-Werner Sinn, sin dall'inizio ha lanciato un segnale di allarme con il suo libro "La trappola Target: i pericoli per i nostri soldi e i nostri figli". L'allora ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, secondo le informazioni della F.A.Z., di fronte al peggioramento degli squilibri si era fatto consigliare ripetutamente dal Prof. Sinn. Anche il successore di Schäuble, Olaf Scholz (SPD), dovrebbe essere interessato al problema. Potrà fare qualcosa in piu' rispetto al suo predecessore della CDU per cambiare le cose? E' lecito avere qualche dubbio.

Tramite il sistema Target vengono gestiti i pagamenti transfrontalieri fra le banche centrali dell'area dell'euro. In parole povere, si ha un aumento del saldo negativo quando da un paese esce piu' denaro di quanto non ne entri. Nei primi anni dell'unione monetaria i saldi Target degli euro-stati oscillavano intorno allo zero. Durante la crisi finanziaria hanno iniziato a muoversi in direzione opposta. Al culmine della crisi dell'euro, nel 2012, hanno raggiunto un primo record, poi sono tornati indietro. Con l'inizio del programma di acquisto di obbligazioni da parte della BCE, ad inizio 2015, i saldi Target hanno ripreso a divergere.

Secondo molti economisti, tuttavia, questo non sarebbe sufficiente a spiegare il rapido aumento del saldo della Bundesbank - così come gli enormi deficit delle banche centrali di Italia e Spagna. Si cerca pertanto di spiegare il fenomeno facendo riferimento alla profonda incertezza nell'Europa meridionale, incertezza che avrebbe portato alla fuga di capitali. Quanto sia importante la fiducia per lo sviluppo dei saldi target lo dimostrano gli esempi di Irlanda e Grecia. Per un periodo di tempo l'Irlanda ha avuto il maggior deficit Target in rapporto al PIL. Ora il paese ha un avanzo.

In Grecia, al culmine della crisi, quando era addirittura in discussione l'appartenenza del paese alla zona euro, un terzo dei depositi era già fuggito all'estero, con le dovute conseguenze per i saldi Target. Secondo i dati appena pubblicati dalla Bundesbank tedesca, il saldo target tedesco è salito a 976,3 miliardi di euro. A fine maggio erano 956,1 miliardi di euro. In Italia al contrario continua a crescere il saldo negativo: con 480.9 miliardi di euro, a giugno era di circa 16 miliardi superiore rispetto al mese precedente, secondo i dati forniti dalla banca centrale italiana.

Pensato tecnicamente, realizzato politicamente

Cio' che era nato come un sistema puramente tecnico per la gestione dei pagamenti fra le istituzioni finanziare dei diversi paesi della zona euro, ha evidentemente permesso agli italiani, agli spagnoli, ai greci di acquistare immobili, aziende e obbligazioni in Germania senza che a loro volta fossero stati venduti in precedenza beni o servizi al di là dei propri confini per un valore corrispondente - oppure senza ricorrere al prestito di una banca commerciale. C'è invece al loro posto un finanziamento forzoso a tasso zero garantito dal sistema della banche centrali.

L'opposizione al Bundestag nel frattempo ha aumentato la pressione politica. "Con la nuova coalizione di governo italiana, sul tema dei saldi Target il governo federale dovrà prepararsi anche allo scenario peggiore", ha detto il vicepresidente del gruppo parlamentare della FDP Christian Dürr alla FAZ. Olaf Scholz davanti a ciò purtroppo preferisce chiudere gli occhi. Dietro l'avvertimento di Dürr ci sono gli iniziali vagheggiamenti dei partiti della coalizione populista di Roma in merito all'uscita dell'Italia dall'area dell'euro.

E se dovesse esserci l'uscita dall'euro?

Con l'uscita dall'unione monetaria i crediti diverrebbero esigibili. Ma cio' supererebbe di gran lunga le riserve della banca centrale di Roma. Il nuovo ministro degli affari europei Paolo Savona aveva detto che l'Italia in caso di uscita dall'euro non avrebbe rimborsato i suoi saldi Target. In effetti nel caso peggiore difficilmente sarebbero recuperabili. "Se a minacciare il contribuente tedesco ci fosse una perdita miliardaria, per il ministro delle finanze tedesco sarebbe allora arrivato il momento di inserire il tema nell'agenda politica", avverte Dürr. Quando e in quale misura si verificherebbe esattamente un danno finanziario diretto per la Germania, fra gli esperti tuttavia è oggetto di discussione.

A metà maggio il parlamentare AfD Peter Boehringer nel dibattito al Bundestag sul bilancio del 2018 aveva criticato il fatto che il ministro delle finanze non avesse ancora preso alcuna misura preventiva in caso di inadempimento sui crediti Target. Il presidente della commissione bilancio al Bundestag ha definito i crediti Target della Bundesbank come irrecuperabili. La Bundesbank e quindi il contribuente tedesco semplicemente un giorno dovranno depennarli. Nel gruppo parlamentare dell'Unione tuttavia non ne vogliono sentire parlare. Nel loro ambiente si preferisce fare riferimento ad una prevedibile fine degli acquisti di obbligazioni da parte della BCE. E cio' avrà un effetto positivo sui saldi. A cio' dovrebbe aggiungersi un miglioramento del ciclo economico. Con il ritorno della fiducia nei paesi periferici, la situazione dovrebbe migliorare in maniera corrispondente.

Ma è sufficiente questo principio? O forse non sarebbe il caso di muoversi attivamente? E' sicuramente piu' facile a dirsi che a farsi. Sarebbe piuttosto ipotizzabile coprire i crediti con delle garanzie oppure corrispondere degli interessi. Ma le riserve auree e le altre riserve della banca centrale italiana sono tutt'altro che sufficienti per coprire i crediti tedeschi. La divergenza dei saldi attualmente è cosi' ampia che una compensazione dei crediti a fine anno è del tutto irrealistica. E con un tasso di interesse negativo all'interno dell'eurosistema, una valutazione dei crediti non è cosi' facile.

Oltre a queste domande tecniche ci sono ulteriori problemi. Puo' la politica intervenire nel sistema europeo delle banche centrali dopo averlo creato e avergli garantito il sigillo dell' indipendenza? Anche solo sollevare la questione, e cioè se i trattati su questo punto devono essere modificati, potrebbe causare delle tensioni sui mercati. Un vero dilemma per il ministro delle finanze. Se non fa nulla, i crediti Target della Bundesbank continueranno a crescere oltre il trilione di euro. E se nelle riunioni con i colleghi degli altri paesi dovesse anche solo porre la domanda su cosa si puo' fare per contrastarne la crescita, e se il tema diventasse di dominio pubblico - come sicuramente accadrebbe - ci sarebbe un uragano a minacciare i mercati finanziari.

giovedì 5 luglio 2018

Ciao Hallodri! Come i media tedeschi esorcizzano la minaccia italiana

Bellissima traduzione appena ricevuta da Edoardo che con grande piacere pubblichiamo. Nei giorni della formazione del governo Conte i cosiddetti "media di qualità" tedeschi hanno tirato fuori dal cassetto i peggiori cliché sull'Italia e gli italiani. L'obiettivo della campagna era chiaro: lanciare una spedizione punitiva contro chi osava mettere in discussione gli interessi del paese dominante. Ma i "primi della Klasse" sono abituati a vivere in un mondo ordinato e prevedibile e fanno fatica a capire cosa succede a sud delle Alpi. Per molti giornalisti l'Italia resta un paradiso di arte e cultura abitato da un popolo indisciplinato, incapace di pensare al futuro e che soprattutto dovrebbe prendere esempio dai laboriosi "primi della Klasse".  “Hallodri” è appunto un termine colloquiale tedesco usato per indicare una persona leggera, nullafacente e inaffidabile. Grazie Edoardo per l'ottima traduzione! Da Übermedien, un ottimo Sven Prange



Pochi giorni fa il caporedattore di Der Spiegel, Klaus Brinkbäumer, ha partecipato a un incontro in cui si è confrontato con lettori e lettrici. Deve averne tratto davvero una straordinaria impressione, se nel numero successivo della rivista si è soffermato a parlarne per diverse righe nel suo editoriale. I lettori – ha spiegato ai suoi stessi lettori – non apprezzano quando i redattori di Der Spiegel “esprimono le proprie opinioni su dei fatti senza distinguere chiaramente le une dagli altri”, né gradiscono se eventuali voci discordanti vengono obliterate. A simili critiche Brinkbäumer ha agevolmente replicato che: “noi ovviamente continuiamo a vederla in modo diverso, dato che ogni settimana facciamo uscire Der Spiegel mettendoci tutta la coscienza e la passione possibili”. Subito dopo è cominciata – come se quei lettori non fossero mai esistiti – una settimana di cronaca sulla formazione del nuovo governo italiano che ha portato al numero di Der Spiegel con il cappio di spaghetti in copertina. Numero in cui la carente distinzione tra fatti e opinioni rappresentava tutto sommato il minore dei problemi.

Lavoro da più di dieci anni, perlopiù ricoprendo ruoli direttivi, nelle redazioni delle maggiori testate tedesche di informazione economica e da alcuni anni sono corrispondente dall’Italia. Credevo di aver vissuto più o meno tutti gli accidenti e le storture della vita quotidiana di redazione. Ho messo pepe su alcune tesi, ho semplificato, ai fini della comprensibilità, circostanze complesse, ho anche evitato di dare troppo spazio ad alcune voci. Ciò perché la semplificazione è uno strumento chiave per adempiere al compito del giornalista, che è quello di spiegare. E certamente ho pure scritto qualche marchiana sciocchezza. Eppure, mi pare incredibile ciò che la scorsa settimana – dopo giorni di evidente frenesia – è finito nel servizio di prima pagina di Der Spiegel. Non solo perché tale servizio pare confezionato in modo dubbio, ma anche perché esso rappresenta l’atteggiamento della maggioranza dei media tedeschi nazionali.

Negli ultimi anni ho potuto osservare come si sia fatta sempre più forte la polemica nei confronti dei giornalisti, specie dei giornalisti delle grandi testate nazionali. Ho sentito parlare di “giornalismo di branco”, “stampa pilotata”, “giornalismo delle élites”. Mi paiono esagerazioni, in alcuni casi da teoria del complotto. Ma penso anche questo: un giornalismo che affronti i temi legati all’Italia come lo fanno Der Spiegel, Süddeutsche Zeitung, Frankfurter allgemeine Zeitung, Die Welt, ARD e alcuni media di informazione economica, in parte perché incitati da economisti tedeschi, lobbisti finanziari e politici conservatori, rinfocola queste polemiche e scuote le fondamenta del proprio stesso lavoro.

Sia chiaro: in Italia si è formato un governo di coalizione in cui l’azionista di minoranza, la Lega, è, a mio parere, a tratti omofobo, xenofobo e chiaramente collocato troppo a destra nello spettro politico. Nondimeno è stato votato dal 17% degli elettori. C’è poi un partner di coalizione grande il doppio, i 5 Stelle, che non è più tanto semplice da inquadrare: un variopinto miscuglio di critici del sistema, ecologisti, economisti comportamentali e pasionari dei diritti umani – e tra di loro sono sicuramente presenti anche dei pazzoidi.

Tuttavia, dopo avere trascorso anni a lavorare come giornalista viaggiando per l’Italia e osservando con attenzione il Paese, ritengo che questo governo sia stato eletto in modo democratico. E credo che l’Italia sia una solida àncora in un’Europa che serve anche agli interessi tedeschi: ciò in ragione della forte consistenza della sua economia e del ruolo che essa finora ha ricoperto nell’Unione Europea e nell’Eurozona in qualità di contributore netto, terza economia, propulsore del processo di unificazione e, infine, di unico alleato che la Germania abbia avuto negli scorsi anni in materia di politiche migratorie.

Der Spiegel ha riassunto tutta questa situazione così complessa mettendo sulla copertina degli spaghetti disegnati a mo’ di cappio. Titolo: “Ciao Amore”. Quando lo vedo ho ancora in testa un articolo di Jan Fleischauer pubblicato pochi giorni prima sulla edizione online di Der Spiegel, nel quale gli italiani, che sono – nota bene! – contribuenti netti nel bilancio UE, vengono complessivamente dipinti come dei parassiti. O il testo di Hans-Jürgen Schamp, per il quale il Presidente Sergio Mattarella “invece di lasciare andare al potere i populisti ostili alla UE” ha per fortuna ostacolato la formazione del governo. Come se entrambi i partiti fossero “ostili alla UE” e come se fosse il Presidente, e non gli elettori, a conferire il potere di governare.


Per una settimana ho dovuto assistere a una campagna stampa orchestrata ad arte in cui veniva restituita l’immagine di un’Italia sull’orlo del caos economico a causa del governo che si profilava all’orizzonte. Finché la settimana non si è conclusa con una copertina del Der Spiegel che pronostica il fallimento del Paese, e ciò sulla base di un miscuglio di ignoranza dei fatti, paragoni fuorvianti e mistificazioni; tutti tesi a un solo scopo: privare questo governo, che intende opporsi – in parte a ragion veduta– alla politica tedesca in Europa, di ogni credibilità economica.

Ecco lo strabismo di questo dibattito: la parte del nuovo governo composta dalla Lega può senz’altro attirare critiche profonde sulla sua umanità, sulla sua concezione democratica e sul suo contegno in pubblico. E invece, a fronte di ciò, tutti i media tedeschi per giorni interi vanno agitando lo spettro di una imminente minaccia economica.

Tre esempi su tutti di come lavora Der Spiegel:

Il pezzo si apre muovendo dall’idea che il leader della Lega Matteo Salvini sia il nuovo uomo forte dell’Italia, a capo di un governo di destra. Eppure, la Lega è indubbiamente il partner di minoranza rispetto ai Cinque Stelle (cosa che peraltro viene ammessa altrove nel testo). È come se si volesse qualificare il governo tedesco di Grosse Koalition come un governo socialdemocratico, o come se si raffigurassero Olaf Scholz e Andrea Nahles come le figure politiche dominanti in Germania. Salvini e la sua Lega si prestano molto meglio ad attizzare le paure dei lettori di quanto non possano fare i Cinque Stelle e il vincitore delle elezioni Luigi di Maio, i quali hanno un programma che non è né di destra né assurdo.

Si afferma poi che verrebbe introdotto un reddito minimo garantito. Anche questo serve a comprovare il presunto avvicinarsi del caos finanziario. Peccato che nel contratto di coalizione non vi sia alcun piano nel senso di introdurre un reddito minimo garantito.

Infine, si può leggere una sorta di reportage dalla Sicilia, scritto in modo tale che sembra la descrizione del profondo entroterra di uno stato fallito. Ovviamente il fine è ancora una volta quello di dimostrare tutta la fragilità attribuita all’Italia. La tesi per cui il Paese verserebbe in condizioni disperate sarebbe avvalorata da un dato: il PIL pro capite in Sicilia (circa 18mila €) ammonta a meno della metà di quello delle più ricche regioni settentrionali (circa 40mila €).

Pare logico, no? Si tratta invece di un ragionamento ingannevole. Se si guarda ai rapporti tra i Länder tedeschi più forti e quelli più deboli il divario è ancora maggiore: il PIL pro capite qui parte da 20mila € per arrivare fino a circa 60mila €. Ma chi sosterrebbe mai che per questo la Germania è prossima al collasso?

Chi, dopo questo servizio dalla prima, non si fosse ancora del tutto convinto che questo governo italiano è un pericolo per la Germania, potrebbe leggersi Henrik Müller sulla edizione online di domenica di Der Spiegel . Qui, sulla base di quanto avvenuto col nuovo governo in Italia, si deplora il fatto che “popoli interi votano contro i propri stessi interessi”. Perché è ovvio che Henrik Müller dall’università di Dortmund conosca perfettamente gli interessi degli italiani. Perché egli sa che l’attuale governo è il primo governo dal 1994 senza ministri imputati o condannati; il primo governo dall’inizio degli anni Sessanta che non sia sospettato di avere contatti latenti con la mafia; il primo governo che abbia suggellato il proprio programma con un contratto di coalizione, seguendo così l’esempio tedesco e fornendo una base affidabile al proprio lavoro.

Vista la natura cangiante dei protagonisti il tutto potrebbe saltare più domani che domani l’altro – ma perlomeno se ne potrebbe dare notizia al lettore del Der Spiegel, il cui caporedattore tanto si cruccia per la mescolanza di fatti e opinioni e l’omissione di informazioni al fine di dar risalto a tesi forti.

Forse si potrebbe indulgere davanti a simili errori, se solo Der Spiegel non stesse come pars pro toto per tutti i grandi media tedeschi: si monta uno scenario di caos economico che mini la credibilità del governo italiano ancora prima che questi inizi a sfidare le posizioni, ormai immutate da anni, del governo tedesco nei confronti dei partner europei, reclamando riforme dell’eurozona per una gestione meno rigida del debito, un ridimensionamento del surplus commerciale tedesco e una vigilanza bancaria comune a Bruxelles.  

L’ex ministro greco delle finanze, Yanis Varoufakis, dopo il fallimento del suo tentativo di mutare dall’interno la politica UE, ha supposto che l’insuccesso fosse dovuto anche all’opposizione di una schiera (tedesca) di giornalisti economici, politici, burocrati UE e lobbisti finanziari. A tal proposito ha addotto i seguenti motivi: l’organizzazione di un fronte nordeuropeo di pubblicisti allineato contro gli europei del sud; la pretesa di avere l’esclusiva nel dire quali misure economiche potessero essere sensate (misure che poi coincidevano puntualmente con la politica economica dominante nella UE); la diffamazione di chiunque la pensasse diversamente e la rimozione di quanto avvenuto nell’Eurozona prima del 2010. 


Varoufakis ha talmente torto che, dopo alcune settimane di intense cronache dall’Italia, è possibile esemplificare ciascuna delle situazioni da lui denunciate. 

Entrambi i partiti di governo sono imperterritamente definiti come populisti. “I populisti ci riprovano”, titola ad esempio la Süddeutsche Zeitung. Sulla problematicità dell’impiego del concetto di “populismo” si è espresso tra gli altri lo storico Michael Wolffsohn il quale ha ritenuto il termine nient’altro che un “manganello diffamatorio” da usare in mancanza di altre argomentazioni. La definizione di populismo che al momento va per la maggiore l’ha data invece il politologo Jan-Werner Müller: “il populismo è una ben precisa concezione politica per la quale a un popolo omogeneo e moralmente puro si contrappongono sempre élites corrotte, immorali e parassitarie”. In Italia questa definizione potrebbe andare bene per la Lega, ma di certo non per i Cinque Stelle. Cionondimeno nessun termine relativamente all’Italia è stato impiegato dai media più di frequente. 

Sempre la Süddeutsche Zeitung titola il 18 maggio ciò che tuttora molti colleghi prendono per vero: “Lega e Cinque Stelle progettano un reddito minimo garantito di 780 €”. Con l’incessante ripetizione di questa notizia si vuole provare in modo sistematico l’incompetenza finanziaria del prossimo governo. Come già si è detto per Der Spiegel, vi è solo un piccolo problema: che non è affatto così! 

In effetti, i Cinque Stelle avevano sostenuto nel proprio programma elettorale un reddito minimo garantito. Tuttavia, la proposta non è stata neppure considerata nelle trattative per formare la coalizione; al suo posto il governo vuole introdurre una garanzia minima per i disoccupati, garanzia che al momento non esiste. Chi mai in Germania si metterebbe a equiparare l’Hartz IV a un reddito minimo garantito? Forse l’erronea interpretazione si deve alla parola “reddito” (Einkommen). Eppure, l’aggettivo “garantito” non è mai stato pronunciato. Questo fa la differenza. Ma mettiamo pure che fosse diversamente: in Germania perfino degli amministratori di grandi gruppi quotati in borsa si sono espressi in favore di un “reddito minimo garantito”. Tutti ammattiti?

Holger Steltzner, uno dei direttori della Frankfurter Allgemeine Zeitung, scrive: “La BCE dovrebbe regalare a Roma 250 miliardi di euro”. Anche questa una affermazione che compare ovunque negli articoli della stampa. La richiesta era effettivamente stata messa per iscritto in una delle prime bozze del contratto di coalizione, per poi scomparire immediatamente e non venire più ripetuta… tranne che dai media tedeschi. 

Handelsblatt da ultimo imposta la storia di copertina su questa tesi: “il declino politico ed economico dell’Italia minaccia l’intera Eurozona”. Anche qui l’immagine di un paese fragile dell’Europa meridionale che minaccia il benessere tedesco e l’Euro. Ma che vorrebbe poi significare declino politico? Che in Italia per la prima volta da anni nasce un governo che nelle urne ha trovato il consenso di più del 50% degli elettori? E che significa declino economico? Che tutte le istituzioni internazionali pronosticano, per la terza volta consecutiva, una crescita economica del Paese maggiore dell’1%? Che gli italiani sono campioni mondiali nelle esportazioni di autoveicoli, generi alimentari, prodotti di lusso e di alta moda? Frasi a effetto, che rimangono sempre nel vago e che sono soprattutto funzionali alla rappresentazione dell’Hallodri meridionale. 

È del tutto evidente che questa coralità di atteggiamenti e di toni non è dovuta a previ accordi, né siamo di fronte a una qualche congiura. Eppure le parole si assomigliano tra di loro, non solo quelle dei media, ma anche quelle dei media e dei politici. Quando  Handelsblatt scrive ad esempio che un governo tecnico nominato dal Presidente della Repubblica sarebbe stato più conforme alla “ragionevolezza economica” di quello attuale, ciò ricorda molto quanto detto dal Presidente del Consiglio bavarese, Markus Söder, che ha chiesto agli italiani di essere “ragionevoli”. 

Morale della favola: i giornalisti tedeschi di punta sono uniti nel voler difendere a ogni costo i presupposti delle politiche economiche europee dominanti. Come spiegare altrimenti il fatto che in nessuno di questi articoli si ricorda che la Germania ha a lungo ignorato, prima che lo facesse l’Italia, i limiti all’indebitamento previsti dal Patto Euro Plus? Che la Germania ha salvato le banche con soldi pubblici prima che lo facesse l’Italia? Che in Germania è stata licenziata una riforma delle pensioni molto più costosa di quella che si progetta ora in Italia?

Vi sono alcuni colleghi e colleghe che lo hanno rammentato nei giorni scorsi. Ad esempio, Petra Reski, che da anni lavora come corrispondente indipendente dall’Italia, e anche Markus Oetting, che segue con grande attenzione i Cinque Stelle. E non sono mancati neppure alcuni editoriali perspicaci, come quello di Giovanni di Lorenzo su Die Zeit di due settimane fa, che si sono mostrati più critici, pur senza impiegare queste stesse argomentazioni. Nondimeno, i toni non sono finora complessivamente mutati. 

Del resto, anche io nei mesi scorsi ho potuto partecipare ad alcune ricerche di mercato e a tavoli di discussione con lettori ed ex utenti dei media giornalistici. Ho incontrato, proprio come Brinkbäumer, lettori e lettrici perlopiù disgustati da un giornalismo a tesi univoche; che tengono per tradizionalistico il mescolare fatti a opinioni, come vorrebbe la vecchia scuola.; che rifiutano il giornalismo da campagna di opinione e che si sentono venduti come degli scemi quando vengono tenute loro nascoste determinate informazioni. 

L’impressione è che non si tratti di casi isolati: basta guardare su internet come hanno reagito molti lettori di Der Spiegel la settimana scorsa, dopo la pubblicazione della copertina con il cappio di spaghetti. Almeno Brinkbäumer nel suo pezzo ha anche aggiunto, circa l’incontro con i lettori, che: “se ne deve trarre come conclusione che dovremo riesaminare l’opinione che abbiamo di noi stessi”. C’è da augurare ai lettori del Der Spiegel che l’attuale titolo di copertina sia stato prodotto prima di questo riesame, e che non ne sia invece il risultato.