Visualizzazione post con etichetta Hans Werner Sinn. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Hans Werner Sinn. Mostra tutti i post

mercoledì 23 maggio 2018

Hans-Werner Sinn: l'Italia non ha fatto nulla per rilanciare la propria competitività

Dopo aver ascoltato e letto le nuove idee sull'euro in arrivo dall'Italia, la stampa tedesca lancia la Strafexpedition. La FAZ schiera subito un pezzo da novanta come Hans Werne Sinn il quale non ha dubbi: il boom dei partiti eurocritici è dovuto al fatto che in Italia si è fatta poca austerità e poca moderazione salariale. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung


La spettacolare ascesa dei partiti radicali in Italia, e il loro tentativo di mettersi in mostra promettendo incredibili benefici economici, sarebbe una conseguenza degli errori commessi durante gli euro-salvataggi. E' questa la tesi sostenuta dall'economista Hans-Werner Sinn, l'ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco, nella sua ultima analisi sullo sviluppo del sud-europa dall'inizio dell'eurocrisi che verrà pubblicata a breve dal Ces-Ifo come documento di lavoro dal titolo"The ECB’s Fiscal Policy“.

I risultati di questo studio, pubblicati in anticipo dalla FAZ, sono spiazzanti: la relazione fra la forte crescita dei partiti estremisti nell'Europa meridionale e le difficoltà economiche dovute alla crisi dell'euro è piu' un'illusione che una verità. La colpa di quanto accaduto, secondo Sinn, sarebbe invece degli stati europei e della Banca Centrale Europea (BCE) i quali si sarebbero addentrati sempre piu' in una "spirale interventista" fino ad arrivare al QE e all'acquisto dei titoli di stato da parte della banca centrale, uscendo quindi dal campo della politica monetaria per entrare in quello della politica fiscale. 

Solo la Grecia, la Spagna e la Francia hanno fatto progressi

La ripresa che a partire dall'eurocrisi puo' essere osservata nell'Europa meridionale, Sinn la definisce un "Flash Keynesiano";  un fuoco di paglia creato dai salvataggi, dalle misure di sostegno, dall'abbassamento artificiale dei tassi di interesse e dai diversi programmi di acquisto titoli della BCE. Questo stimolo economico avrebbe portato ad una certa ripresa nell'Europa del sud, soprattutto nel settore dei beni non commerciabili e dei servizi locali. Cio' tuttavia avrebbe impedito l'aggiustamento verso il basso dell'eccessivo livello salariale e in parte avrebbe garantito anche degli aumenti salariali. Al contrario, in questi paesi il settore internazionale dei beni commerciabili e l'industria non ne avrebbero affatto beneficiato. Non è vero che in questi paesi ci sarebbero al momento delle difficoltà, nonostante la falsa ripresa - le difficoltà persistono, in parte, proprio per questa ragione.

"I problemi di competitività restano", scrive Sinn. Lo mostra un confronto tra i tassi di cambio reale, cioè il prezzo dei beni auto-prodotti in questi paesi in rapporto al resto dell'eurozona. "Italia e Portogallo in 10 anni non hanno fatto nulla di concreto per migliorare la loro competitività", dice Sinn. Solo la Grecia e la Spagna - "e in parte anche la Francia" - avrebbero fatto qualche passo in avanti. "Per la Grecia e la Spagna tuttavia lo sforzo per l'adeguamento è particolarmente grande e il percorso particolarmente lungo", afferma Sinn. Entrambi i paesi, sotto l'influenza dei programmi di aiuto, avrebbero cessato ogni sforzo per diventare piu' competitivi.

L'Irlanda è un caso eccezionale

Se si confronta il prodotto interno lordo reale di oggi e quello di prima della crisi, l'Italia con un meno 5% è al penultimo posto in Europa prima della Grecia. La Germania è cresciuta del 13%, la Francia è a un piu' 8%, la Spagna al 4% e il Portogallo intorno allo zero %.

Considerando solo la produzione dell'industria e del settore manifatturiero („Manufacturing output“) nei rispettivi paesi rispetto a prima della crisi dell'euro, il dato per l'Italia sarebbe ancora peggiore con un meno 17%. La Germania in questo confronto avrebbe un piu' 9%, la Francia segna un meno 9%, Grecia e Spagna addirittura un meno 20% ciascuna. "Queste cifre gettano una luce sui problemi economici che hanno portato al violento e drammatico aumento dei partiti estremisti in questi paesi negli ultimi anni", afferma Sinn.

Un caso notevole è l'Irlanda, sottolinea l'economista. L'Irlanda è stato il paese con la maggiore svalutazione reale e allo stesso tempo è riuscita a ripristinare la propria competitività. "Non è successo grazie agli aiuti, ma perché il paese è entrato in crisi già alla fine del 2006, non ha ricevuto nessun aiuto ed è stato costretto a tirare la cinghia - con una riduzione dei prezzi e dei salari", dice Sinn. Quando nel 2011 sono arrivati i salvataggi,  l'auto-aiuto irlandese è cessato immediatamente: "fortunatamente il lavoro era già stato fatto".

lunedì 21 maggio 2018

L'accorato appello dei 154 professori tedeschi

La Frankfurter Allgemeine Zeitung pubblica l'accoratissimo appello con il quale 154 professori tedeschi mettono in guardia dalla trasformazione dell'eurozona in una unione fondata sul debito e sulla condivisione della responsabilità, come previsto dai piani di Macron e Juncker. Fra i firmatari alcuni nomi molto noti: Hans Werner Sinn, Thomas Mayer e Jürgen Stark (ex BCE) e tanti altri. Il timing sembra perfetto per rispondere alle nuove proposte in arrivo dall'Italia. Dalla FAZ.net  


Noi - 154 professori di economia - mettiamo in guardia da un ulteriore sviluppo dell'unione monetaria e bancaria europea in direzione di una unione basata sulla messa in comune della responsabilità. Le proposte del presidente francese Macron e del presidente della Commissione Europea Juncker, menzionate nell'accordo di coalizione di Berlino, comportano dei grandi rischi per i cittadini europei.

1 Se il meccanismo di stabilità ESM, come previsto, dovesse essere utilizzato come una riassicurazione per il risanamento delle banche, verrebbe meno per gli istituti di credito e per le autorità di controllo ogni incentivo a ripulire i bilanci dai crediti inesigibili. Questo a spese della crescita e della stabilità finanziaria.

2. Se come previsto l'ESM dovesse essere trasferito all'interno del quadro legislativo dell'UE sotto forma di un Fondo Monetario Europeo (FME), il fondo finirebbe sotto l'influenza di paesi che non sono membri dell'eurozona. Poiché i singoli paesi perderebbero il diritto di veto sulle decisioni urgenti, i paesi creditori potrebbero essere messi in minoranza. Cosi' ad esempio il Bundestag tedesco perderebbe il suo diritto di controllo.

3. Se il sistema di garanzia dei depositi bancari, come previsto, venisse messo in comune, verrebbero socializzati anche i costi degli errori che le banche e i governi hanno commesso in passato.

4. Il previsto "Fondo europeo per gli investimenti per la stabilizzazione macroeconomica" e il "Fondo per il sostegno delle riforme strutturali" porteranno ad ulteriori trasferimenti e prestiti a favore di quei paesi della zona euro che in passato hanno evitato di fare le riforme necessarie. Sarebbe un errore premiare una condotta sbagliata. La Germania, all'interno del sistema di pagamento interbancario Target 2, ha già accettato piu' di 900 miliardi di euro di passività della BCE, sui quali non vengono pagati interessi e per i quali non è prevista alcuna scadenza o rimborso.

5. Un Ministro europeo delle finanze dotato di una capacità di bilancio e con un ruolo di interlocutore della BCE contribuirebbe ad una ulteriore politicizzazione della politica monetaria. Gli ingenti acquisti di obbligazioni da parte della BCE (2.550 miliardi di euro fino a settembre 2018) già ora possono essere equiparati a una monetizzazione del debito da parte della banca centrale.

Il principio di responsabilità è una pietra miliare dell'economia sociale di mercato. L'unione fondata sulla messa in comune della responsabilità mina la crescita e minaccia la prosperità di tutta l'Europa. Cio' è evidente nel livello salariale sempre piu' basso, soprattutto fra i piu' giovani. Pertanto chiediamo al governo federale di tornare ai principi di base dell'economia sociale di mercato.

Invece di creare nuove linee di credito e incentivi verso cattive condotte economiche è importante promuovere riforme strutturali. Il privilegio garantito ai titoli di stato nella gestione del rischio delle banche deve essere abolito. L'eurozona ha bisogno di una procedura di insolvenza ordinata per gli stati e di una procedura per l'uscita ordinata. L'unione del mercato dei capitali deve essere completata - anche perché i movimenti di capitale compensano gli schock asimmetrici. Nel consiglio BCE è necessario collegare i diritti di voto con le responsabilità. I Saldi Target devono essere compensati con regolarità. Gli acquisti di titoli di stato devono cessare rapidamente.




Alle 154 Unterzeichner


Hanjo Allinger, Rainer Alt, Peter Altmiks, Niels Angermüller, Gerhard Arminger, Philipp Bagus, Hartwig Bartling, Christian Bauer, Alexander Baumeister, Dirk Baur, Hanno Beck, Peter Bernholz, Norbert Berthold, Dirk Bethmann, Ulrich Blum, Christoph Braunschweig, Gerrit Brösel, Martin-Peter Büch, Walter Buhr, Rolf Caesar, Ronald Clapham, Erich Dauenhauer, Frank Daumann, Dietrich Dickertmann, Leef Dierks, Gerd Diethelm, Alexander Dilger, Juergen B. Donges, Norbert Eickhof, Alexander Eisenkopf, Mathias Erlei, Rolf Eschenburg, Stefan Felder, Robert Fenge, Cay Folkers, Siegfried Franke, Jan Franke-Viebach, Michael Frenkel, Andreas Freytag, Wilfried Fuhrmann, Werner Gaab, Gerhard Gehrig, Thomas Glauben, Frank Gogoll, Robert Göötz, Christiane Goodfellow, Rüdiger Grascht, Alfred Greiner, Heinz Grossekettler, Andrea Gubitz, Gerd Habermann, Hendrik Hagedorn, Gerd Hansen, Rolf Hasse, Klaus-Dirk Henke, Henner Hentze, Thomas Hering, Bernhard Herz, Stefan Hoderlein, Stephan Hornig, Guido Hülsmann, Jost Jacoby, Hans-Joachim Jarchow, Thomas Jost, Markus C. Kerber, Henning Klodt, Michael Knittel, Leonard Knoll, Andreas Knorr, Manfred Königstein, Ulrich Koester, Stefan Kooths, Walter Krämer, Dietmar Krafft, Rainer Künzel, Britta Kuhn, Werner Lachmann, Enno Langfeldt, Andreas Löhr, Tim Lohse, Helga Luckenbach, Reinar Lüdeke, Dominik Maltritz, Gerald Mann, Thomas Mayer, Dirk Meyer, Renate Ohr, Michael Olbrich, Werner Pascha, Hans-Georg Petersen, Wolfgang Pfaffenberger, Ingo Pies, Werner Plumpe, Mattias Polborn, Thorsten Polleit, Niklas Potrafke, Bernd Raffelhüschen, Bernd-Thomas, Ramb, Richard Reichel, Hayo Reimers, Stefan Reitz, Rudolf Richter, Wolfram F. Richter, Gerhard Rösl, Roland Rollberg, Alexander Ruddies, Gerhard Rübel, Karlhans Sauernheimer, Stefan Schäfer, Wolf Schäfer, Malcolm Schauf, Bernd Scherer, Jörg Schimmelpfennig, Ingo Schmidt, Dieter Schmidtchen, Michael Schmitz, Gunther Schnabl, Jan Schnellenbach, Bruno Schönfelder, Siegfried Schoppe, Jürgen Schröder, Christian Schubert, Alfred Schüller, Peter M. Schulze, Thomas Schuster, Christian Seidl, Hans-Werner Sinn, Fritz Söllner, Peter Spahn, Jürgen Stark, Wolfgang Ströbele, Stefan Tangermann, H. Jörg Thieme, Stefan Traub, Dieter Tscheulin, Ulrich van Suntum, Roland Vaubel, Stefan Voigt, Hermann von Laer, Hans-Jürgen Vosgerau, Adolf Wagner, Heike Walterscheid, Gerhard Wegner, Rafael Weißbach, Heinz-Dieter Wenzel, Max Wewel, Hans Wielens, Otto Wiese, Rainer Willeke, Manfred Willms, Dietrich Winterhager, Michael Wohlgemuth, Hans-Werner Wohltmann, Achim Zink

domenica 18 marzo 2018

Hans Werner Sinn: la coalizione Jamaika è fallita a causa di Macron

Il Prof. Hans Werner Sinn, ormai in pensione, nei giorni scorsi è stato ospite di Markus Lanz sulla ZDF per parlare di Trump, dell'UE e dell'unione di trasferimento prossima ventura. Anche questa volta non ha deluso le aspettative e ha spiegato ai tedeschi la vera ragione dietro il fallimento della coalizione Jamaika. Ne parla epochtimes.de


Giovedì sera tardi, il più famoso e illustre economista tedesco è stato ospite di Markus Lanz.

Quello che il prof. Hans Werner Sinn ha detto, senza peli sulla lingua  e sempre in pieno accordo con il segretario della FDP Christian Lindner, anch'egli in studio, viene riportato di seguito.

Trump ha ragione con le sue accuse contro l'UE

Le auto americane, secondo il professore, partito subito in quarta, vengono importate nell'UE con dazi del 10%, le nostre auto vengono esportate negli USA solo con il 2.5% di dazio. Allo stesso tempo pero' l'UE accusa Trump di voler isolare gli Stati Uniti aumentando le tariffe doganali. In realtà accade il contrario, ha spiegato Hans Werner Sinn.

L'UE in realtà cerca di proteggersi applicando tariffe doganali molto alte con l'unico scopo di difendere gli interessi di una specifica lobby economica Tutto questo accade a spese dei consumatori europei e a spese degli Stati Uniti, ma anche del terzo mondo. Nella narrazione della stampa tedesca tuttavia i fatti vengono completamente travisati.

A spese dei consumatori europei, in particolare tedeschi

Lo stesso vale per i prezzi agricoli dell'UE. A causa delle barriere doganali i prezzi dei beni alimentari sono del 20% superiori rispetto ai prezzi presenti sul mercato mondiale e piu' alti rispetto ai prezzi degli Stati Uniti. Chi se ne avvantaggia e chi invece ci guadagna? A trarne vantaggio sono gli agricoltori europei che usano le loro lobby per convincere l'UE a proteggerli mediante alte tariffe doganali. E questo naturalmente a scapito dei consumatori tedeschi, che devono pagare di piu' per il cibo che comprano.

La carne bovina quando viene importata è sottoposta a un dazio del 69%, la carne di maiale al 26%. Negli Stati Uniti il cibo è molto piu' economico.

In un normale scambio libero da dazi, i consumatori ordinari, specialmente la gente comune, avrebbero enormi benefici. Spendendo gli stessi soldi, il loro tenore di vita sarebbe nettamente superiore, perché con prezzi alimentari piu' bassi potrebbero fare la spesa a prezzi decisamente piu' vantaggiosi.

La colpa è chiaramente dell'UE che ha una politica protezionista. E gli americani si sono stancati. Per questo Trump ha minacciato: se non la smettete tasseremo le vostre auto con un dazio piu' alto.

Perchè l'UE si comporta in questo modo? Cosa c'è dietro?

La risposta corretta sarebbe quella di non fare come vorrebbe fare l'UE, e cioè imporre tariffe punitive sulle Harley Davidson. La risposta giusta  sarebbe piuttosto quella di ridurre le proprie tariffe doganali e impegnarsi a praticare un commercio libero ed equo. Hans Werner Sinn ha spiegato anche perchè l'UE vuole elevate tariffe protezionistiche o punitive e addirittura ipotizza una guerra commerciale. 

Semplicemente perchè i dazi doganali finiscono nel bilancio dell'UE e costituiscono una parte importante del bilancio UE. Il Moloch-UE  grazie ai dazi doganali si finanzia autonomamente e perciò ha interesse ad aumentare le proprie entrate, ma a spese della propria popolazione, che deve pagare prezzi piu' alti.

Ma tutto cio' si spinge ancora piu' avanti. Tutti i regolamenti e le prescrizioni in cui i prodotti alimentari vengono descritti con esattezza, (come ad esempio la curvatura dei cetrioli, o le dimensioni delle mele e delle patata etc) servono ad un solo scopo: il mercato UE deve essere chiuso verso l'esterno a favore di determinate aziende e produttori (pura politica di lobby). E questo sempre a spese dei consumatori europei.

Il protezionismo dell'UE danneggia il terzo mondo più di ogni aiuto allo sviluppo

Alla domanda di Lanz, se tutto cio' non avvenga a scapito del Terzo Mondo, ad es. del piccolo contadino africano, l'economista ha risposto: si', certo. Un economista canadese ha fatto i calcoli.

Conclusione: gli aiuti allo sviluppo verso il terzo mondo sono molto inferiori rispetto al danno, causato al terzo mondo, dal fatto che i paesi sviluppati non facciano entrare i loro prodotti nei loro mercati, cioè che il commercio estero sia fortemente limitato. Questo vale soprattutto per i prodotti agricoli in cui il terzo mondo ha un vantaggio commerciale (di prezzo).

La discussione pubblica è completamente distorta. Si cerca di imporre ogni tipo di discorso moralizzeggiante per giustificare le tariffe protettive, che in realtà pero' finiscono per colpire solo la gente comune.

La vera ragione del fallimento della "Jamaica"

Il prof. Sinn ha quindi rivelato la vera ragione dietro il fallimento della coalizione Jamaica.

In verità si tratta dell'unione di trasferimento. Il  presidente francese Macron voleva un ministro delle finanze europeo, voleva le tasse europee, voleva la possibilità di mettere in comune il debito, un'assicurazione comune contro la disoccupazione, e un'assicurazione comune sui depositi etc.

Perchè Macron lo vuole e perché molti altri nell'UE lo vogliono?

Perché in questo modo potrebbero prosciugare il contribuente tedesco e il popolo tedesco. I quali sarebbero poi chiamati a rispondere dei debiti fatti dagli altri, a pagare per i disoccupati degli altri, e a garantire ogni volta per le loro banche pericolanti etc.

Macron: se Lindner entra nel governo, sono morto

Si tratta di grandi oneri a carico del contribuente tedesco. E Macron avrebbe anche detto: 

"Se Lindner entra nel governo, sono morto. "

E questo secondo Sinn sarebbe il vero motivo del fallimento della coalizione Jamaika: la Francia non avrebbe mai voluto la FDP al governo, perchè avrebbe ostacolato la trasformazione socialista dell'UE. 

L'Italia è a terra

In verità, afferma il Prof. Sinn con una certa decisione, la domanda finale che dobbiamo porci è questa: la Germania aprirà il portafoglio per sostenere i paesi non competitivi del sud attraverso una unione di trasferimento?

E su questo tema la FDP dice: Nein, non lo faremo. I contribuenti tedeschi non possono permetterselo. Non possono farlo, servirebbe una cifra troppo grande. Ognuno deve prendersi cura di se stesso.

E allo stesso tempo questi paesi, in particolare la Grecia, continuano ad avere una disoccupazione di massa perché non sono competitivi, perchè sono costretti a restare nell'euro.

Un problema ancora più grande della Grecia è l'Italia. In Italia, la frustrazione è al massimo. Il paese è a terra. La produzione industriale italiana è del 20% inferiore rispetto al livello di dieci anni fa. Un quarto delle aziende è fallito. Oggi gli italiani dicono: fuori i soldi oppure ce ne andiamo.

Il Professore non sa come se ne esce. Perché l'Italia non è la Grecia (oltre 60 milioni di abitanti rispetto a nemmeno gli 11 milioni della Grecia). In Grecia si è cercato di coprire tutto con il denaro, la causa dei problemi tuttavia non è stata rimossa. Il denaro per salvare l'Italia, come è stato fatto con la Grecia, semplicemente non c'è.

Dopo la Brexit è saltato l'equilibrio di potere fra nord e sud, il sud ora puo' fare quello che vuole

Il maggior problema della Brexit non è, come molti credono, il fatto che le esportazioni verso la Gran Bretagna potrebbero diminuire drasticamente, ma la scomparsa del pensiero liberista britannico all'interno dell'UE. Questa forma di pensiero e questa cultura economica sono invece decisivi. E a causa della Brexit potrebbero uscirne fortemente danneggiati.

In termini concreti: nel Consiglio Europeo c'è una minoranza di blocco per la quale è necessario avere il 35% della popolazione dell'UE. Fino ad ora abbiamo avuto un equilibro fra il nord (Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Austria, Paesi scandinavi ...) e Sud (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia ...)

I paesi del nord fino ad ora avevano il 39%, i paesi del sud il 38 % della popolazione UE. Entrambi avevano una minoranza di blocco, il sud e il nord. Quando pero' la Gran Bretagna sarà uscita, il nord avrà solo il 30% della popolazione - e quindi non avrà piu' la minoranza di blocco - il sud avrà però il 43%. Cio' significa che in futuro il sud potrà fare ciò' che vuole.

I tedeschi si accorgeranno che i loro conti sono stati saccheggiati quando ormai sarà troppo tardi

Ma non potrà funzionare, secondo il Prof. Sinn. Lo spostamento dei rapporti di forza, verso un dominio del sud, è estremamente preoccupante. Stiamo andando verso una unione di trasferimento, dalla quale non potremo piu' difenderci, perché non avremo piu' una minoranza di blocco.

E tutto ciò è stato messo nero su bianco nell'accordo di coalizione fra CDU e SPD. Le crisi degli ultimi anni, a partire dal 2010, sono state "risolte" usando sempre lo stesso principio: in sostanza hanno messo il portafogli del contribuente tedesco sul tavolo e hanno detto: non abbiate paura, ci saranno sempre i tedeschi a pagare i debiti, anche se gli altri non dovessero essere in grado.

Ma cosa accadrà fra 15 anni, chiede Sinn, quando i baby boomer andranno in pensione e vorranno avere la loro pensione di vecchiaia dai figli, che in realtà non sono mai nati. Allora tutte le garanzie promesse all'interno dell'eurozona ci cadranno sui piedi. Che succede in Germania, chiede l'economista. Che i loro conti vengono saccheggiati, i tedeschi se ne accorgono sempre quando ormai è troppo tardi.


sabato 17 marzo 2018

Il piano di emergenza per l'uscita dall'euro

Mentre Merkel e Macron a Parigi cercano un accordo per riformare la zona euro, a Berlino alcuni economisti tedeschi di spicco si riuniscono per discutere la stesura di un piano di emergenza da usare per gestire l'uscita di uno o piu' paesi dalla zona euro. Segno tangibile che le richieste di Macron, ma anche il risultato delle elezioni italiane, in Germania non fanno dormire sonni tranquilli. Ne parla Die Welt


Hans-Werner Sinn è tornato e parlare, e lo fa con una certa rabbia. Agita con forza le mani, si potrebbe pensare che stia quasi per decollare. Sta parlando di una cifra - 914 miliardi di euro. Il cosiddetto saldo del sistema Target-2 ha raggiunto questa incredibile cifra. Si tratta dei crediti che all'interno dell'eurosistema nel corso degli anni la Bundesbank ha accumulato nei confronti delle altre banche centrali del sud. 914 miliardi equivalgono a circa un terzo del PIL tedesco. "Sono davvero tanti soldi", dice Sinn. "Io non so se l'euro sia sostenibile, ma il sistema che sta dietro l'euro sicuramente non lo è", dice l'ex presidente dell'Ifo davanti al pubblico.

La performance emotiva di Sinn mostra che l'Eurozona è lontana dall'aver superato le difficoltà, come la politica e i media spesso vorrebbero far credere. A Berlino  alcuni economisti molto noti martedì si sono riuniti per discuterne. Il loro obiettivo era quello di sviluppare un piano di emergenza a cui ricorrere in caso di disintegrazione della moneta unica. Con il titolo „Is the Euro sustainable – and what if not“ alcuni importanti economisti tedeschi e internazionali si sono trovati per discutere i costi e le conseguenze di un possibile collasso dell'euro, le riforme che potrebbero facilitare l'uscita di un paese e le esperienze storiche relative alla caduta delle precedenti unioni monetarie.

L'invito a Berlino è arrivato dal'università privata ESMT e dal Max-Planck-Institut per il diritto fiscale e la scienza delle finanze. E' possibile che la  situazione nell'unione monetaria si sia stabilizzata grazie alla ripresa economica congiunta, ma i saldi Target in continua crescita evidenziano le fratture economiche all'interno della zona euro. E le elezioni italiane hanno mostrato che il pericolo di una dissoluzione dell'euro è tutt'altro che scomparso. In Italia il capo della Lega Italiana, il partito populista di destra - uno dei vincitori delle elezioni - ha  dichiarato che solo la morte è irreversibile, una moneta certamente non lo è. Mentre la politica si preoccupa di stabilizzare l'eurozona, gli economisti vorrebbero invece essere preparati nel caso in cui la moneta unica dovesse fallire.

"La probabilità che l'euro finisca non è pari a zero. Come economisti dobbiamo prenderla in considerazione", ha detto Kai Konrad, esperto di finanza presso il Planck-Institut. Ad assecondarlo c'era il presidente del Consiglio dei Saggi Economici (Sachverständigenrat), Christoph Schmidt: "bisogna essere preparati anche ad eventi alquanto improbabili".

E' necessario discutere una clausola di uscita

Secondo gli economisti presenti ci sarebbero tre scenari di uscita ipotizzabili: l'uscita di un paese senza il consenso degli altri, l'uscita con il consenso degli altri, oppure l'esclusione di un paese contro la volontà del paese uscente. Per tutti questi scenari non esiste un quadro giuridico chiaro, afferma Clemens Fuest, presidente dell'Ifo.

Sebbene l'eurozona con l'articolo 50 del trattato UE abbia previsto una clausola di uscita, l'abbandono della moneta unica nei trattati resta legato indissolubilmente anche all'uscita dall'UE. Non è desiderabile, dice Fuest: "al momento l'uscita di un paese non è all'ordine del giorno, proprio per questa ragione sarebbe il momento buono per discutere una clausola di uscita dall'euro", dice Fuest. Potrebbe essere incluso nei trattati nell'ambito dell'attuale processo di riforma. Fuest tuttavia non raccomanderebbe a nessun paese di uscire. Secondo Fuest una tale clausola potrebbe avere un'influenza disciplinante. "L'adesione all'euro è accompagnata dal fatto che il paese deve accettare le regole della zona euro", dice Fuest, riferendosi soprattutto all'Italia. Li' il capo della Lega Salvini ha chiesto che l'Italia ignori gli accordi di politica fiscale che l'Italia stessa ha sottoscritto. "Questo è incompatibile con l'appartenenza all'area dell'euro", dice Fuest.

Alcuni economisti vorrebbero far uscire dall'euro chi infrange in maniera seriale le regole comuni. I trattati al momento non contemplano la possibilità che alcuni paesi si difendano dall'obbligo di dover trasferire risorse agli altri paesi tramite una opzione di uscita, ma per il futuro non sarebbe da escludere.

E' necessario che ci siano regole per l'uscita

"I vantaggi derivanti dall'avere regole di uscita chiare consisterebbero nel ridurre i costi macroeconomici legati all'uscita, compresa l'incertezza, rendendo i conflitti fra gli stati meno probabili", afferma Fuest. Potrebbe esserci maggiore incertezza sul futuro dell'eurozona. "Tutto questo spinge verso la creazione di ostacoli procedurali elevati che rendano difficile l'uscita, ma non per un'assenza di una procedura di uscita", dice Fuest.

Le clausole di uscita potrebbero servire come protezione contro la redistribuzione delle risorse a spese dei singoli stati. Paesi piu' ricchi come la Germania o l'Olanda, grazie ad una clausola di uscita, potrebbero difendersi dalla trasformazione dell'eurozona in una unione di trasferimento. Una clausola di uscita potrebbe aiutare anche i paesi piu' deboli, come l'Italia, che con una loro moneta nazionale, potrebbero tornare nuovamente competitivi.

Quanto siano grandi le differenze lo ha illustrato chiaramente Sinn. Affinché i paesi piu' deboli possano raggiungere la Germania in termini di prezzi, la Germania dovrebbe avere un'inflazione del 4.5% piu' alta rispetto a quella degli altri paesi della zona euro per i prossimi 10 anni.



I migliori economisti su un terreno politico minato

L'uscita di un paese sarebbe costosa anche per la Germania. Se un paese dovesse uscire, la Bundesbank finirebbe per perdere i suoi crediti Target nei confronti del paese uscente. La sola Italia attualmente ha un debito verso l'eurosistema pari a 444 miliardi di euro.

Se ad uscire fosse invece la Germania, ad essere coinvolto sarebbe l'intero importo dei 900 miliardi di crediti Target. In questo caso sarebbe infondata la preoccupazione di una eccessiva sopravvalutazione del nuovo D-Mark: "la Bundesbank, secondo il modello della Banca Nazionale Svizzera, potrebbe intervenire con acquisti massicci per mantenerne basso il valore", ha affermato Fuest.

Ma gli storici dell'economia mettono in guardia dall'accettare con troppa semplicità uno scenario di rottura dell'euro. La storia mostra che il crollo di un'unione monetaria porta con sé delle turbolenze. "Di solito, il crollo di un'unione monetaria causa anche il crollo della corrispondente unione doganale", ha detto Albert Ritschl, storico economico della London School of Economics.

E questa è stata la quintessenza della euro-conferenza. Anche se un piano generale ancora non c'è: dopo tutto era il primo incontro fra economisti di alto livello a muoversi su di un terreno politicamente minato.

lunedì 18 settembre 2017

Hans Werner Sinn: "Romania e Bulgaria nell'euro sarebbero una Grecia al quadrato"

Hans Werner Sinn intervistato da Deutschlandfunk risponde a Juncker e va dritto al punto: se i paesi dell'Europa dell'est avessero la possibilità di entrare nell'euro avrebbero accesso "alla macchina stampa banconote" e inizierebbero ad accumulare saldi target negativi nell'eurosistema. Da deutschlandfunk.de


DLF: Quando il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker afferma che l'euro è stato pensato per essere la moneta unica dell'Unione Europea nel suo complesso, cioè di tutti gli stati membri, ha completamente perso il contatto con la realtà oppure è semplicemente un'ottimista di professione, il visionario di cui l'UE ha urgentemente bisogno?

Sinn: prima di tutto, è la situazione giuridica che lo prevede. La vera domanda invece è con quale rapidità l'Eurogruppo dovrebbe essere ampliato. Ci sono criteri di convergenza, che evidentemente Juncker vuole interpretare in maniera non rigida, e ora con degli incentivi finanziari vorrebbe aprire la strada verso l'euro ai paesi dell'Europa orientale. Trovo tutto cio' estremamente problematico. Voglio dire, se guardiamo a quello che è accaduto negli ultimi 10 anni, sappiamo che l'euro è troppo grande, ci sono troppi paesi che non riescono a venirne a capo. Dobbiamo iniziare a parlare della possibilità di una uscita temporanea dall'euro, come aveva proposto il ministro Schäuble nel 2015, in modo da poter rendere nuovamente competitivi questi paesi, invece di lasciarli nell'euro ed essere costretti a creare una unione di trasferimento, in cui i paesi del nord finanziano quelli meridionali per sopperire alla loro mancanza di competitività...

DLF: nel prossimo futuro lei preferirebbe quindi una riduzione dell'area dell'euro piuttosto che un suo ampliamento.

Sinn: direi di sì. Sarebbe opportuno, perché i paesi del sud-Europa sono in gran parte in una situazione in cui prima del 2008 a causa dell'euro si è formata una bolla inflazionistica e in cui i prezzi e i salari sono ancora troppo alti in rapporto al livello che sarebbe appropriato per questi paesi. Dovrebbero scendere, ma non possono scendere - se non fossero nell'euro potrebbero svalutare. Ora si vuole portare dentro l‘euro anche la Romania e la Bulgaria. Io lo ritengo estremamente problematico. Sarebbe una Grecia al quadrato, perché bisogna ricordare che i rumeni e i bulgari hanno già molti debiti denominati in euro che ora vorrebbero mettere al sicuro, in quanto riuscirebbero a conquistare il diritto di stamparsi gli euro di cui hanno bisogno, perché questa è l'essenza dell'Eurozona: ci sono delle banche centrali nazionali. Chiunque, secondo le regole dell'UE, puo' stampare il denaro di cui ha bisogno e che non puo' piu' prendere a prestito. Hanno contratto dei debiti in euro e vorrebbero mettersi al sicuro ottenendo l'accesso alla macchina per stampare il denaro. Io lo trovo estremamente problematico, perché in questo modo si vengono a creare delle relazioni di credito di natura pubblica all'interno dell'euro, che in definitiva sono a carico dei paesi piu' forti, in particolare la Germania.

DLF: ieri a Tallin i ministri delle finanze hanno confermato i progressi fatti dalla Grecia sul tema delle riforme, anche sul tasso di disoccupazione e cosi' via, e ci dicono che l'euro è stato addirittura salvato. Questo almeno è quello che emerge dal loro messaggio. I ministri si sbagliano completamente?

Sinn: questa è solo propaganda. E' necessario tenere presente: nella zona euro abbiamo dei prezzi relativi completamente sbagliati. Il sud è troppo costoso e ora si sta cercando di compensare questa situazione facendo ulteriore debito pubblico. Puro Keynesianismo. Questi sono fuochi di paglia che si accendono facendo sempre piu' debiti. Il livello di indebitamento di quasi tutti i paesi della zona euro ha continuato a crescere, invece di scendere, anche dopo l'introduzione del Fiskalpakt, avvenuta nel 2012 e che Merkel con un certo orgoglio aveva negoziato ed approvato. All'epoca tutti avevano solennemente promesso che anno dopo anno si sarebbero impegnati a ridurre il loro livello di indebitamento di un ventesimo del divario che li separava dal 60%, e cosa è successo: il debito è salito in tutti i paesi, con l'eccezione di soli 3 paesi - Irlanda, Malta e Germania -, in tutti gli altri è cresciuto. Bisogna sapere che è sempre possibile stimolare l'economia con un fuoco di paglia. Il problema tuttavia non viene risolto. Restano intatti i problemi di struttura salariale e di livello dei prezzi che minano la competitività.

DLF: anche l'economia italiana è in grande difficoltà. Di solito si parla solo della Grecia. L'economia è tenuta in piedi da molte piccole e medie imprese, specialmente nel nord del paese. Anche le banche sono in crisi, la politica è debole. E' l'Italia il prossimo candidato a lasciare l'euro?

Sinn: si', chiaramente. Agli italiani lentamente sta passando la voglia di restare nell‘euro. In Italia c'è solo un partito che si schiera ancora incondizionatamente per l'euro - il PD. Mentre il partito di Berlusconi, Forza Italia, parla già di una valuta parallela, la Lega Nord vuole uscire, anche i Cinque Stelle e Fratelli d’Italia vogliono uscire. L'Italia ribolle, e l'anno prossimo in Italia si dovrà votare.

DLF: se cade l'Italia, cade l'euro?

Sinn: no, e non spero che l'Italia esca, ma dico solo che la situazione è tesa. La produzione industriale italiana, cioè la manifattura, è ancora del 22% inferiore rispetto al livello del 2007. Bisogna riflettere. E' sempre possibile rafforzare l'economia domestica creando un po' di debito, costruzioni, ristoranti e cosi' via, ma cio' che non puo' essere stimolato è il settore manifatturiero. Tornando a Juncker: quello che mi irrita veramente è che ora vuole estendere l'area Schengen a Romania e Bulgaria. Voglio dire, cosa abbiamo imparato dalla crisi dei migranti: abbiamo imparato che siamo stati troppo aperti e che non avevamo sufficientemente assicurato i confini. Siamo poi riusciti a riprendere il controllo della situazione quando in Macedonia sul confine è stata costruita una recinzione. Dietro questa decisione c'erano gli ungheresi e il ministro austriaco Kunz, che ora si presenta alle elezioni, e hanno raggiunto l'obiettivo. Anche l'Ungheria grazie alla recinzione che ora viene tanto criticata, quella sul confine serbo, ha contribuito a fermare i flussi di profughi. E ora l'Ungheria vorrebbe costruire una recinzione verso la Romania. Per molti si tratta naturalmente di un pugno nell'occhio. Ovviamente non è bello avere delle recinzioni.

DLF: AfD resta la sola forza politica che in Germania, a differenza di Juncker, non vede nel futuro d'Europa una moneta unica?

Sinn: grazie a Dio, no. Non ho alcun dubbio su questo, ma in tutti i partiti ci sono voci critiche e direi io, anche ragionevoli, che capiscono che non puo' andare avanti in questo modo. Non possiamo continuare su di una strada che si è rivelata essere quella sbagliata, una strada segnata dall'accesso generale alla macchina stampa soldi, fatta di denaro a costo zero e con le frontiere troppo aperte, che ci dicono non potrebbero essere piu' tutelate, abbiamo bisogno di una correzione di rotta, perché il percorso che abbiamo intrapreso non ci porta all'Europa. Ci conduce da qualche parte nel caos, ma in ogni caso non verso una pacifica convivenza fra i popoli europei.

DLF: ma perchè la crisi dell'euro e del debito, ancora irrisolte, nella campagna elettorale tedesca non hanno alcun ruolo?

Sinn: c'è in gioco una grande riforma dell'eurozona, per la quale i francesi stanno facendo una grande pressione. Juncker lo ha ripetuto ancora una volta, e in Germania si parla di tutti gli argomenti possibili, ma non del tema principale. Non riesco a capire. I partiti dovrebbero esprimersi in campagna elettorale e dirci come pensano che dovrebbe essere la nuova Europa, come intendono uscire da questa grande confusione, e dirci come si posizionano per le elezioni. Invece si aprono scontri su temi totalmente irrilevanti e si tralascia il punto principale. Che genere di campagna elettorale è mai questa?

DLF: e quelli di AfD sono gli unici che su questo tema presentano delle risposte?

Sinn: quello lo dice lei. E non è vero. Anche negli altri partiti ci sono voci diverse. Solo che non riescono ad arrivare in superficie, e gli uffici stampa spingono le loro prese di posizione verso il basso. Non riesco proprio a capirlo. In tutti i partiti ci sono persone ragionevoli.

DLF: cosi' ha parlato l'economista Hans-Werner Sinn

domenica 20 agosto 2017

Hans Werner Sinn: il QE per la Germania è stato un disastro

Il Professor Hans Werner Sinn, anche se ormai in pensione, non molla e sulla FAZ torna ad attaccare il suo bersaglio preferito: la BCE a guida italiana. Per Sinn la Corte Costituzionale tedesca ha pienamente ragione: la BCE è andata oltre il proprio mandato e per la Bundesbank c'è il rischio concreto di incorrere in perdite che poi dovranno essere coperte dal contribuente tedesco. Per il professore il QE  è stato un disastro e in Germania urge una riflessione profonda sul senso dell'euro-esperimento. Da FAZ.net
La Corte Costituzionale tedesca non molla. Ancora una volta ha voluto ribadire la sua opinione: la BCE con il suo programma di acquisti ha superato i limiti del proprio mandato. E ancora una volta ha formulato una proposta di decisione per la Corte di Giustizia Europea che va direttamente al centro della questione. Questa volta la corte suprema tedesca ha criticato il programma della BCE usando gli stessi argomenti che la Corte Europea aveva formulato per respingere le preoccupazioni tedesche sull'OMT. Mentre il programma OMT è di fatto un'assicurazione gratuita offerta agli acquirenti dei titoli di stato, in quanto la BCE promette agli investitori di ricomprare i loro titoli tossici prima dell'arrivo della prossima crisi del debito sovrano, il programma QE prevede che le banche centrali dell'Eurozona acquistino effettivamente i titoli di stato sul mercato. Entro la fine dell'anno saranno stati acquistati titoli di stato, con del denaro fresco di stampa, per un valore di circa 1.8 trilioni di euro. 

E' particolarmente significativo il fatto che la Corte Costituzionale abbia sottolineato che la BCE non è autorizzata a perseguire una politica che possa causare perdite nel bilancio della Bundesbank. Perdite che poi si trasformeranno necessariamente in un minor reddito da trasferire allo stato tedesco oppure in una ricapitalizzazione della Bundesbank da parte dello stato. Sono accettabili solo minusvalenze dovute alle variazioni del prezzo dei titoli acquistati e che difficilmente potevano essere prevedibili. La Corte Costituzionale si sta chiaramente pronunciando contro l'acquisto di titoli di stato tedeschi da parte della Bundesbank, nel caso in cui questi titoli abbiano a scadenza un rendimento negativo.

Cio' è molto importante perché fino ad ora era sempre stata sostenuta la tesi secondo cui non ci sarebbe nulla da obiettare se la BCE, acquistando titoli tossici, dovesse incorrere in perdite in conto capitale, visto che l'ottenimento di un profitto non appartiene al mandato della BCE. I sostenitori di questa posizione non hanno piu' a disposizione un argomento che fino ad ora avevano ampiamente utilizzato per mettere a tacere chi la pensava diversamente da loro.

Un aspetto che la Corte Costituzionale non discute, ma che prevedibilmente in futuro porterà a delle perdite, sono i saldi all'interno del sistema Target: a causa del programma di Quantitative Easing (QE) da 3 anni continuano a salire e i crediti Target della Bundesbank recentemente hanno raggiunto 857 miliardi di euro. Anche una insolvenza parziale su questi crediti potrebbe essere un multiplo di cio' che la Bundesbank puo' sopportare senza dover essere ricapitalizzata a spese del contribuente. Nel caso di una perdita sul capitale proprio, sempre secondo la Corte Costituzionale tedesca, una ricapitalizzazione pubblica sarebbe inevitabile in quanto è lo stato tedesco ad avere l'onere di ricapitalizzare la Bundesbank in modo da permetterle un adeguato svolgimento della sua attività, come previsto dalla legge.

I crediti Target della Bundesbank erano cresciuti drammaticamente fino ad agosto 2012, quando avevano raggiunto i 751 miliardi di euro, poi  pero' erano scesi fino a 444 miliardi di euro nell'estate del 2014. La risalita a quasi il doppio del valore non puo' che destare una profonda preoccupazione visto che si tratta di crediti probabilmente non del tutto recuperabili. 

Il rifiuto da parte dei mercati finanziari internazionali di continuare a finanziare i disavanzi delle partite correnti dei paesi del sud e dell'Irlanda è stata la ragione principale per l'aumento dei crediti Target fino all'estate 2012. In una tale situazione di emergenza i paesi in crisi hanno iniziato a stamparsi da soli il denaro di cui avevano bisogno per poter adempiere ai loro obblighi di pagamento. Cosi' hanno potuto continuare ad importare piu' merce di quanta non ne esportassero, rimborsare i debiti scaduti che i loro creditori esteri non intendevano piu' rinnovare, e permettere ai loro cittadini piu' abbienti di comprare immobili, titoli e aziende all'estero in modo da poter mettere al sicuro il loro patrimonio. I trasferimenti netti effettuati con il denaro fresco di stampa sono ben visibili nei saldi Target, nella misura in cui spiegano i rapporti debitorii fra le varie banche centrali nazionali.

Questo self-service con la macchina da stampa è stato reso possibile principalmente dal fatto che il consiglio direttivo della BCE ha abbassato al livello spazzatura i requisiti minimi per la qualità delle garanzie richieste in deposito alle banche per poter ottenere liquidità dalla BCE. Le banche centrali dei paesi in crisi hanno elargito a loro piacimento centinaia di miliardi di euro di prestiti di emergenza ELA e hanno sfruttato le possibilità offerte dall'accordo segreto ANFA. La sola banca centrale italiana ha acquistato piu' di 100 miliardi di euro di titoli di stato italiani con denaro auto-stampato.

Il self-service con la macchina da stampa è naturalmente un processo interamente elettronico. Nel concreto erano le banche centrali nazionali a prestare alle banche del loro paese il denaro fresco di stampa, denaro che metteva le banche e i loro clienti in condizione di realizzare ordini di pagamento all'estero senza correre il rischio di diventare illiquide. E' in questa situazione che la Bundesbank si è trovata a dover rifinanziare i crediti speciali elargiti originariamente dalle banche centrali nazionali. 

Con il programma OMT i mercati dei capitali si sono calmati e sono tornati a concedere nuovo credito ai paesi in crisi, fatto che ha riportato i trasferimenti privati alla normalità e causato una riduzione dei saldi Target.

La gioia per la caduta dei saldi Target tuttavia non è durata molto. Dall'estate 2014 i saldi sono tornati a salire costantemente. Come la BCE ha  piu' volte sottolineato, non si trattava piu' di una fuga di capitali, ma di un effetto voluto della sua politica di QE. Spiegazione che la BCE ripete ogni volta solo per calmare l'opinione pubblica. In realtà l'opinione pubblica avrebbe tutte le ragioni per essere preoccupata: la nuova crescita dei saldi Target è il risultato di un gigantesco programma di ristrutturazione del debito in cui i creditori privati sono stati sostituiti dalle banche centrali degli altri paesi.

Poiché ogni banca centrale acquista titoli in proporzione alla dimensione del paese ed è anche responsabile nei confronti dell'Eurosistema per la stessa cifra, a prima vista si potrebbe considerare l'operazione come non problematica. Tuttavia da un lato la Corte Costituzionale sottolinea che la responsabilità autonoma delle singole banche centrali, fortemente voluta dalla Bundesbank, puo' essere revocata in qualsiasi momento dal board della BCE, e dall'altro i titoli oggetto dell'acquisto non sono distribuiti uniformemente nel mondo. Cosi' i possessori dei titoli dei paesi in crisi risiedono in buona parte all'estero, in quanto questi paesi prima della crisi avevano finanziato i loro disavanzi commerciali vendendo le obbligazioni ad investitori stranieri. A causa di questa asimmetria, il riacquisto dei titoli da parte delle banche centrali dei rispettivi paesi di origine ha portato a nuovi trasferimenti netti fra i diversi paesi che hanno fatto nuovamente aumentare i saldi Target.

Per renderlo piu' concreto dobbiamo ipotizzare l'esempio del riacquisto dei titoli di stato spagnoli posseduti da un'assicurazione sulla vita tedesca che li aveva acquistati prima della crisi con i mezzi finanziari che la Germania si era procurata grazie ai suoi avanzi commerciali. Per riacquistare il titolo, la banca centrale spagnola dà alla Bundesbank l'ordine diretto di creare nuovo denaro per poterlo bonificare all'assicuratore. La Bundesbank è obbligata ad accreditare un trasferimento e per farlo ottiene un credito-Target. Questa transazione è uno scambio di beni che trasforma un debito della Spagna nei confronti di un creditore estero, in questo caso l'assicuratore tedesco, su cui maturano degli interessi e da rimborsare ad una certa scadenza, in un debito puramente contabile all'interno dell'Eurosistema e quindi nei confronti della Bundesbank; un debito contabile che non andrà mai a scadenza e su cui si paga un tasso di interesse pari al tasso di rifinanziamento principale della banca centrale. Questo tasso di interesse, con il voto della maggioranza del board della BCE, composta da paesi con una posizione debitoria verso l'estero negativa, è stato portato a zero.

Non c'è dubbio che il debito pubblico spagnolo in quanto tale in questa transazione resta completamente invariato. Tuttavia il reddito da interessi generato dal titolo ed incassato dalla banca centrale sarà poi trasferito allo stato spagnolo. Se la mettiamo cosi' possiamo dire che il debito pubblico da un punto di vista economico è scomparso ed è stato trasformato in un debito contabile della banca centrale spagnola verso l'estero. In Germania l'assicuratore sulla vita ora avrà del denaro invece del titolo spagnolo, ma in realtà questo denaro è un credito nei confronti della BCE, garantito solamente da un credito all'interno del sistema Target. La Bundesbank è stata obbligata a finanziare in maniera retroattiva i precedenti disavanzi correnti della Spagna nei confronti della Germania.

Ma non c'è solo questo. La Bundesbank con il QE di fatto è stata obbligata a partecipare alla pulizia della situazione debitoria della Spagna nei confronti del resto del mondo. Quando ad esempio la banca centrale spagnola riacquista un titolo di stato da un investitore di Shangai e questo investitore con il ricavato acquista una società tedesca, la Bundesbank deve accreditare l'operazione. La Bundesbank resta con un credito Target verso l'Eurosistema, la banca centrale spagnola con un corrispondente debito Target. Il venditore tedesco ha incassato il denaro dalla Bundesbank, ha quindi un titolo nei suoi confronti. Tuttavia la proprietà dell'azienda tedesca ora è in Cina mentre il titolo di debito spagnolo si trova nuovamente in Spagna.

Questo è solo un esempio, tuttavia i venditori europei ed extra-europei dei titoli oggetto del QE spesso hanno scelto di acquistare beni in Germania. E questa è una delle principali ragioni dell'attuale surriscaldamento del mercato immobiliare, evidenziato dal valore record raggiunto dall'indice che misura gli ordini ricevuti dagli architetti e dall'aumento dei prezzi degli immobili. Il denaro creato dalla Bundesbank per coprire gli ordini di pagamento arrivati dall'estero ammonta al 30% di tutta la moneta creata dall'Eurosistema. 

Spesso si sente dire che in fondo le possibili perdite per l'economica tedesca derivanti dai saldi Target sarebbero trascurabili: si verificherebbero solo in caso di rottura dell'euro. Nel caso una banca centrale dell'Eurosistema dovesse diventare insolvente le perdite verrebbero condivise fraternamente. La Germania non si deve preoccupare.

Questa posizione tuttavia non vuole comprendere un elemento centrale: un credito che non ha scadenza e che attualmente e probabilmente per un periodo di tempo ancora molto lungo, definito a piacere dei debitori, corrisponderà un tasso di interesse pari a zero, di fatto non ha alcun valore. Una impresa privata lo metterebbe a bilancio con un valore probabilmente pari a 1 euro. In ogni caso l'obbligo collettivo dell'Eurosistema nei confornti della Bundesbank di corrispondere interessi pari a zero, di fatto non ha nessun valore.

La questione è ancora piu' problematica se si pensa che i saldi Target hanno ormai raggiunto un livello tale che le banche centrali di molti paesi in crisi non potrebbero sostenere nel caso di ritorno ad una normale politica monetaria e a tassi di interesse piu' alti. Se i crediti sottostanti dovessero diventare inesigibili, allora dovrebbero ricorrere al loro capitale proprio, ma non ne hanno abbastanza. In quel caso la garanzia delle singole banche centrali, prevista dagli accordi, non sarebbe molto utile: non si puo' mettere le mani nelle tasche di un uomo nudo. Anche gli stati nazionali non potrebbero fare molto perché una loro responsabilità diretta è esplicitamente esclusa dai trattati europei. E poi perchè dovrebbero farlo, come del resto lo stato tedesco, se l'obbligo di mantenimento delle banche centrali nazionali implica una quantità maggiore di risorse da trasferire ad un altro stato. Per questo io temo che né la banca centrale spagnola né quella italiana, con un debito target di circa 400 miliardi di euro a testa, sarebbero nelle condizioni di onorare i loro debiti nei confronti dell'Eurosistema nel caso in cui i titoli di stato acquistati dovessero perdere una parte del loro valore. E ovviamente all'interno dell'Eurosistema non potrebbero continuare a stampare denaro, visto che a stampare moneta potrebbero tranquillamente pensarci anche le banche centrali dei paesi creditori.

In un modo o nell'altro i crediti Target della Bundesbank già oggi sono solo dei numeri in aria e servono piu' che altro per un'operazione cosmetica sul bilancio, ma di fatto da tempo non riflettono piu' la realtà economica. Anche se l'euro dovesse continuare ad esistere, la Germania dovrebbe prepararsi a rinunciare ad una grossa parte dei suoi crediti Target. Dato che i crediti Target rappresentano la metà del totale delle attività nette sull'estero della Germania, saldo positivo creato grazie all'accumulo degli avanzi delle partite correnti con l'estero, è giusto porsi qualche domanda sul significato complessivo dell'euro-esperimento. La Germania deve finalmente riflettere su quanto dovrà restare aperto il negozio in cui invece di pagare si lascia un conto aperto, dove i crediti del negoziante non hanno mai una scadenza e in cui il proprietario del negozio non puo' pretendere il pagamento degli interessi.

venerdì 7 luglio 2017

Hans Werner Sinn: "il boom immobiliare tedesco potrebbe durare fino al 2025"

Intervista molto interessante ad Hans Werner Sinn su die Zeit: il professore, ormai in pensione, torna ad ipotizzare un lungo boom immobiliare per la Germania, potrebbe durare fino al 2025; torna a parlare anche della crisi dell'Euro e lascia trapelare un certo pessimismo per quanto riguarda l'Europa del sud, secondo Sinn la strada imboccata da Merkel  porta all'unione di trasferimento. Da Die Zeit


Le aspettative sono alte quando si incontra il professor Hans Werner Sinn per un'intervista. E’ senza dubbio l’economista tedesco piu' conosciuto nonché ex-presidente dell'Ifo e anche ora che è in pensione non perde occasione per scagliarsi contro gli eurosalvatori e i loro errori, per mettere in guardia dalle conseguenze fatali della Brexit, oppure per evidenziare i peccati del governo federale. Sinn non ha mai avuto paura di utilizzare parole come fallimento, rovina o bancarotta di stato. Per questa ragione alcuni lo chiamano "professor senza pietà". Altri dicono che è il "dr. Doom della Germania", il profeta del crollo economico. Di crisi ne ha profetizzate diverse - crisi dell'Euro, crisi del debito e crisi economiche. 

Per lo meno ci si aspetta un Hans Werner Sinn di buon umore e rilassato, che si dà la carica con un Espresso, che apre le finestre, in modo che nell'ufficio con i pannelli di legno anche 2 persone possano respirare con le alte temperature estive. E poi inizia dicendo: "la Germania va bene".

L'ha detto veramente? "Si' la congiuntura è ottima, l'indice Ifo è al livello piu' alto mai raggiunto dal 1991, la disoccupazione al livello piu' basso degli ultimi decenni. Anche l'export sta andando molto bene". Ma poi dice anche: "se continua cosi' ci avviciniamo ad una zona di surriscaldamento". La crisi è ancora qui, almeno come possibilità futura. Perchè dopo ogni surriscaldamento segue tradizionalmente una crisi, giusto? Sinn non vuole trarre delle conclusioni troppo scontate: "naturalmente non potrà andare avanti cosi' per sempre, niente dura in eterno. Per il momento tuttavia possiamo essere soddisfatti della buona situazione economica".

"Non siamo ancora in una fase di boom"

Al momento. E quanto puo' durare ancora? Molti economisti vedono la crescita, ma siamo già nel boom? Il boom è il punto piu' alto, poi si torna a scendere. La Germania non è ancora arrivata a questo punto, almeno cosi' dice la maggior parte degli economisti, i salari restano ancora troppo bassi e i prezzi non sono ancora cresciuti abbastanza - se si fa un confronto con le fasi di ripresa del passato. "Comprendo questo argomento", dice Sinn. "Un boom in questo senso, probabilmente non lo abbiamo, siamo ancora nella fase di crescita. La congiuntura pero' è forte".

Come fa ad esserne cosi' sicuro? Dal basso livello della disoccupazione, dagli ordini degli architetti, che secondo i dati Ifo hanno già raggiunto i livelli massimi toccati durante il boom successivo alla riunificazione, e dalla forte crescita delle costruzioni nelle aree metropolitane. Sinn paragona il boom edilizio attuale con quello sperimentato dalla Germania negli anni '70. Inoltre, ci dice che aveva predetto la lunga fase di crescita immobiliare già all'inizio del 2010 "ma all'epoca nessuno voleva ascoltarlo. Nel frattempo abbiamo saputo che è iniziato proprio quell'anno". Recentemente anche la Bundesbank ha messo in guardia: nel mercato immobiliare si sta gonfiando una bolla immobiliare.

Nel complesso, secondo la statistica, un boom edilizio puo' durare anche 15 anni, "almeno la metà di questo periodo l'abbiamo alle spalle", secondo Sinn. Restano circa 7 anni. La ripresa economica tedesca in ogni caso "nel 2018 proseguirà a pieni giri". Cosi' almeno è previsto dall'istituto Ifo e dal Fondo Monetario Internazionale. Ma la Germania è veramente forte e stabile? E non ci sono già molti economisti che si sono sbagliati?

Sinn continua con i suoi avvertimenti.

Nel suo libro di maggior successo il professore si domandava se "La Germania puo' ancora essere salvata?”: i salari nel nostro paese sono troppo alti e la Germania a livello internazionale non è competitiva. Scriveva nel 2003. Negli anni successivi si è scagliato anche contro il salario minimo e contro gli avanzi commerciali con l’estero. Ancora oggi è d'accordo con quanto scriveva allora. Solo sul livello dei salari prova a relativizzare: "è passato molto tempo, ma era giusto", dice Sinn, "all'epoca eravamo il paese con il costo del lavoro piu' alto del mondo".

Negli anni successivi Schröder ha attuato le riforme previste dall'agenda 2010. Riforme che hanno portato ad una maggiore disuguaglianza salariale e ad una crescita ridotta delle retribuzioni. Negli anni successivi la disoccupazione di massa fra i lavoratori a basso salario ha iniziato a scendere. Lo dice spesso, e aggiunge: "Io credo che Schroeder all'epoca abbia imboccato la strada giusta, ma avrebbe dovuto proseguire con piu' convinzione. Perchè in realtà non dovremmo avere alcuna disoccupazione. Quando io studiavo, intorno all'anno 1970, nella Germania occidentale c'erano solo 150.000 disoccupati. Una piccola frazione del livello di oggi".

Nonostante cio' la Germania ha fatto i suoi compiti a casa, giusto? "E' stato fatto il necessario", secondo Sinn, "ma non tutto quello che c'era da fare. Abbiamo un gigantesco problema demografico, che non siamo in grado di risolvere. E abbiamo un problema con il sistema pensionistico - anche qui il treno è già passato". Inoltre la Germania esporta troppo. L'avanzo delle partite correnti è troppo grande a causa della sottovalutazione dell'Euro. "La Germania vende le sue esportazioni ad un prezzo troppo basso e per i suoi avanzi con l'estero ottiene dei titoli di credito che in futuro potrebbero non avere alcun valore. E una parte di queste esportazioni viene pagata solo con dei crediti contabili, di fatto è la Bundesbank che finanzia la metà del surplus".

E questo suona come uno dei tipici avvertimenti di Hans Werner Sinn quando si preoccupa seriamente per la competitività della Germania e dell'Europa. Il salario minimo nel complesso continua a considerarlo un errore. In uno studio di alcuni anni fa, al quale aveva preso parte anche un ricercatore dell'Istituto Ifo, era stato calcolato che l’introduzione di un salario minimo alla Germania sarebbe costato 900.000 posti di lavoro. In realtà dalla sua introduzione sono stati creati circa 5 milioni di nuovi posti di lavoro. Questo non smentisce la sua tesi?

 "Chi ci dice che senza il salario minimo non sarebbero stati addirittura di piu'?, domanda Sinn, "lo studio non conteneva nessuna previsione incondizionata, calcolava solo un effetto differenziale". La sua prova: nell'est, dove il salario minimo a causa di un piu' basso livello dei salari ha una maggiore efficacia, la dinamica occupazionale è stata piu' contenuta rispetto agli altri Laender. La sua conclusione pertanto è la seguente: "Il salario minimo non appartiene ad una economia di mercato. Nelle fasi di recessione diventa addirittura un ostacolo. Io abolirei il salario minimo e al suo posto introdurrei un sostegno al redditto con dei sussidi salariali per le fasce retributive piu' basse". Tutto il resto non è compatibile con le regole di una economia di mercato. "Ma a volte il paziente semplicemente non ne vuol sapere".

I problemi causati dal denaro a basso costo si stanno accumulando

O i medici, o in questo caso anche i politici, "che non sono degli economisti". Perchè non conoscono le leggi dell'economia di mercato e preferiscono moralizzare invece di lasciare al libero mercato e alla concorrenza la definizione del livello dei salari. La sua accusa piu' dura: "a causa della sottovalutazione dell'Euro e per mano di politici navigati stiamo consumando i nostri vantaggi competitivi. Di queste misure fanno parte il salario minimo, la chiusura delle centrali nucleari, la sistemazione di molti migranti economici da paesi non UE, il pensionamento anticipato e molto altro".

Dal suo punto di vista la causa del boom attuale è una sola, "la sottovalutazione dell'Euro". La bolla del credito nel sud Europa e il corso dell'Euro hanno contribuito ad inflazionare le economie del sud-Europa ed hanno reso la Germania relativamente piu' conveniente. L'espansione monetaria ha portato ad una svalutazione dell'Euro. "fino a quando noi continueremo ad investire e il sud continuerà a ricucire la mancanza di competitività con sempre piu' denaro, l'Euro starà in piedi". E fino a quando la BCE continuerà a inondare i mercati con sempre piu' liquidità, il corso dell'Euro resterà basso, "serve a tenere artificialmente alta la competitivà della Francia e del sud-Europa". Ma allora le esportazioni tedesche non sono una benedizione per noi? No, dice Sinn: "la Germania è il negozio nel quale il mondo si rifornisce di merci, dove pero' solo la metà delle merci viene pagata, perché la Bundesbank finanzia l'altra metà". E tutto cio' non è sostenibile.

Secondo Sinn non esiste un modo indolore per uscire dalla miseria attuale in cui si trova il sud-Europa - ci sono solo 4 possibilità: "Prima possibilità, si potrebbe creare una unione di trasferimento con il denaro tedesco. Seconda, l'Europa del sud dovrebbe accettare un trattamento drastico per ridurre i prezzi gonfiati e riportarli di nuovo ad un livello normale. Terza, si potrebbe inflazionare la Germania, per compensare l'inflazione eccessiva dei paesi del sud creata nel periodo precedente la crisi. Quarta possibilità, si potrebbe creare un'unione monetaria aperta con la possibilità di uscire per quei paesi che nell'Euro sono diventati troppo cari".

La sua scelta preferita ovviamente è la quarta opzione, ma è Angela Merkel ad averla esclusa, visto che tende molto di piu' verso una unione di trasferimento, come del resto anche il nuovo presidente francese Emmanuel Macron. Solo l'uscita dei singoli paesi potrebbe forse ancora impedire il loro fallimento. Fino a quando i politici e la Cancelliera non prenderanno in considerazione questo scenario, Hans Werner Sinn continuerà a scrivere e a discutere sul tema.

Nella situazione economica attuale Sinn è ottimista oppure pessimista? In sostanza è entrambi, dice: "Per la Germania sono ottimista - per l'Europa del sud, no".