"Il demone neo-liberista dell'UE ha sede a Berlino", e ancora "chiunque voglia riformare l'Europa non si deve trasferire a Bruxelles ma a Berlino", scrive il grande economista tedesco. Flassbeck non ha dubbi: il vero fallimento in Europa non è la Brexit, ma la leadership politica tedesca, troppo dogmatica per poter salvare la moneta unica. Come sempre un ottimo Heiner Flassbeck da Makroskop.eu
In questi giorni in Germania e altrove molti cosiddetti "amici dell'Europa", con il solito ditino puntato verso il Regno Unito, ci spiegano perché non si riesce a portare a termine la tanto indicibile Brexit e perché il paese si sta rendendo ridicolo in ogni modo possibile - in verità anche il partito laburista e Jeremy Corbyn non sono da meno. Ora è chiaro che non è cosi' semplice voltare le spalle all'Europa senza doverne subire le conseguenze, sostengono i conservatori. Ed è evidente che è necessario affrontare seriamente il tema di una riforma fondamentale dell'UE, invece di continuare a sperare in una rottura dell'Europa, ci dicono invece le sinistre. (...)
Io stesso non ho mai avuto una grande opinione della Brexit, perché era chiaro sin dall'inizio del processo di separazione che sul lato del Leave c'erano idee estremamente ingenue in merito a quello che si poteva ottenere con l'uscita dall'UE. C'era inoltre un governo conservatore che sostanzialmente non voleva fare politiche diverse rispetto a quelle della maggioranza dei paesi dell'Europa continentale. La campagna del Leave, ad esempio, mirava all'esaltazione del libero commercio e alla limitazione della migrazione di manodopera dall'UE. Ma ciò non era né realizzabile né poteva costituire un serio programma di politica economica.
I soliti resoconti sulla Brexit grondanti Schadenfreude, tuttavia, sono solo un'altra faccia della profonda ignoranza tedesca nei confronti delle preoccupazioni europee. Continuo a pensare che sia giusta l'analisi che individua le principali ragioni del voto britannico nel fallimento dell'Europa e dell'eurozona sui temi economici e in particolare nell'egemonia tedesca esercitata sin dall'inizio della crisi dell'euro. Se la crescita economica dopo il 2009 fosse stata anche solo la metà di quello degli Stati Uniti, e se alla Grecia fosse stato riservato un trattamento ragionevole e al tempo stesso umano, nulla lascia pensare che si sarebbe comunque arrivati alla Brexit.
Ritengo inoltre che un secondo referendum possa essere l'unica onesta via d'uscita da questa situazione complessa. All'epoca del voto sulla Brexit il popolo britannico ha deciso in una situazione di "errore oggettivo" perché nessuno gli aveva spiegato cosa sarebbe realmente accaduto in caso di uscita e quali condizioni potevano essere realisticamente negoziabili con il resto d'Europa. Ora che è stato redatto un progetto di accordo, in ogni caso è molto più facile farsene un'idea ragionata. L'argomento secondo il quale un altro referendum sarebbe una ferita per la società britannica è poco convincente. Un nuovo referendum sarebbe invece l'unico modo per riportare la società britannica su un percorso costruttivo, indipendentemente da come finirà.
Il vero fallimento
Ma le posizioni sull'UE presenti nel dibattito tedesco, fra di loro contrapposte, non riescono a individuare la vera posta in gioco. L'UE non può essere né santificata - indipendentemente da come appare e da come si comporta -, né lo scioglimento dell'Unione europea da solo può risolvere tutti i problemi. Albrecht Müller sulle Nachdenkseiten giustamente sottolinea che gli abusi neo-liberisti in Germania vengono perpetrati in maniera completamente indipendente dall'UE. Di solito non si dà sufficientemente evidenza al fatto che in Europa sotto la "leadership" tedesca le cose vadano oggettivamente molto male e che questo fatto sia tutt'altro che una coincidenza.
Il riferimento ai trattati europei e in particolare al trattato di Maastricht, firmato da tutti gli Stati membri, non aiuta a chiarire la questione. I trattati europei sono lo sbocco naturale del neoliberismo tedesco, spinto dalla CDU e dalla FDP dopo il "cambiamento spirituale e morale" nei primi anni '80. La maggior parte dei partner europei ha firmato i trattati europei nella speranza che alla fine "nulla venga servito cosi' caldo come è stato cotto". Bisogna andare incontro ai tedeschi per indurli, almeno formalmente, ad aderire all'unione monetaria, o meglio queste erano le aspettative prima della firma del Trattato di Maastricht. Piu' avanti poi, in qualche modo, si riuscirà ad includere la Germania in un quadro di interpretazione piu' pragmatica dei trattati.
Ed era un'aspettativa del tutto realistica data l'interpretazione flessibile che oggi viene data del ruolo della politica monetaria - e le critiche che ad essa vengono mosse. La BCE in maniera relativamente elegante si è sottratta all'ingessatura tedesca sul divieto di finanziamento agli stati attraverso una sua interpretazione della politica monetaria, che nel frattempo, su insistenza della Corte costituzionale tedesca, è stata piu' volte confermata anche dalla Corte di Giustizia Europea. Il Quantitative Easing era ed è una misura che si muove nella zona grigia dei trattati, chiaramente ragionevole, ma che dalla Germania è sempre stato attaccato con forza.
Quando si parla di politica monetaria, bisogna anche tenere presente che solo vent'anni fa in Germania, persino nominare la banca centrale in una dichiarazione politica era considerato un tabù politico. Oggi invece, ogni principe della provincia bavarese può criticare violentemente la BCE senza che a nessuno al Ministero delle Finanze o alla Cancelleria venga in mente di chiedere piu' moderazione alle parti nel criticare un'istituzione politicamente indipendente. Anche questo è un pezzo di normalità europea che si allontana in maniera positiva dal dogmatismo tedesco.
La vera disgrazia europea è avvenuta proprio nel momento in cui, dopo la crisi finanziaria globale, la grande, ma non ancora cosi' potente Germania è diventato il principale paese creditore e investitore. E a tal fine è stata decisiva la posizione di avanzo commerciale con l'estero dei tedeschi, ottenuta nei primi dieci anni dell'euro grazie al suo dumping salariale. Poiché per quei paesi che stavano perdendo l'accesso ai mercati finanziari la Germania restava la nazione creditrice più importante, il paese è finito in una posizione di potere che non era affatto in grado di gestire.
E poiché la Germania in termini economici sta andando ancora relativamente bene, negli ultimi anni è emersa una tipica mentalità da professorone tedesco che sta appesantendo l'Europa più di ogni altra cosa. Da un lato non c'è la volontà di prendere atto della difficile situazione in cui si trovano gli altri paesi. E quando questa viene presa in considerazione, allora ti viene immediatamente detto che gli altri non hanno fatto i "compiti a casa". Proprio a nessuno in Germania viene in mente che fra nazioni civili non è affatto comune che ci sia un paese che distribuisce i compiti da fare agli altri paesi?
Ma il dogmatismo tedesco non avrebbe mai potuto giocare un ruolo decisivo nella crisi se la BCE avesse agito come una normale banca centrale. Se avesse trattato gli stati membri dell'unione monetaria come degli stati che hanno delle difficoltà sul mercato dei capitali, come del resto avrebbe dovuto fare la propria banca centrale. Tuttavia ha scelto di non farlo, mal giudicando i propri compiti, e li ha trattati allo stesso modo in cui il Fondo Monetario Internazionale tratta gli stati in crisi - inclusa la condizionalità neoliberista che ha aperto porte e portoni al dogmatismo tedesco.
Spirito tedesco ...
Non c'è nulla da minimizzare: il demone neo-liberista dell'UE ha sede a Berlino. Accanto alla politica salariale e al mercato del lavoro, la questione centrale resta quella del finanziamento agli stati da parte della banca centrale, questione che prima o poi porterà a una rottura. Nel lungo periodo un'unione monetaria può funzionare solo se la banca centrale in ogni situazione si considera come la banca centrale di ogni singolo paese. Ma qui, ancor più che nel quantitative easing, la BCE dal punto di vista tedesco è vincolata dal divieto di finanziamento agli stati previsto dal Trattato di Maastricht.
Ma ancora una volta la posizione tedesca è più che discutibile. Perché resta una questione completamente aperta decidere se ciò che dovrebbe fare la BCE in una situazione di crisi può essere ancora considerato come un qualsiasi finanziamento agli stati nel senso di quanto previsto dal Trattato di Maastricht. Ciò a cui il trattato si riferisce è senza dubbio il finanziamento a lungo termine della spesa pubblica, in quanto ci si aspettava che questo avrebbe potuto portare all'inflazione. Abbiamo dimostrato in piu' occasioni che ciò è sbagliato; ma durante una crisi non si tratta mai di questa eventualità, ma di qualcosa di completamente diverso.
Una grave situazione di crisi significa che il mercato dei capitali si aspetta che un paese non sarà più in grado di rimborsare i prestiti contratti in euro. Se la banca centrale vuole bloccare queste aspettative, come del resto fanno ogni giorno molte banche centrali in caso di speculazione sulla valuta, deve acquistare titoli di stato del paese interessato. Poiché nell'unione monetaria non ci sono piu' le diverse valute, il rendimento dei titoli di stato funge da surrogato per la valutazione del movimento di una valuta, in quanto fa riferimento al prezzo di un titolo scambiato a livello internazionale.
Se la BCE in una situazione estrema dovesse operare una "gestione dei corsi" si metterebbe di traverso alle aspettative dei mercati poiché ha deciso che queste sono sbagliate o eccessive. Allo stesso modo la Banca nazionale svizzera (BNS) da anni gestisce il corso del franco e contemporaneamente "finanzia" gli eurostati dato che invece di mantenere in contanti il denaro convertito in euro acquista obbligazioni governative. Perché la BCE non dovrebbe fare ciò che invece è naturale per la banca centrale svizzera? Ovviamente finanziare gli stati della zona euro non è un obiettivo della BNS, si tratta piuttosto di una politica per contrastare i movimenti irrazionali del mercato e nient'altro.
... il demone tedesco
Tuttavia la "legalizzazione" di queste semplici operazioni di politica monetaria, lo si può già immaginare, è sicuramente destinata a fallire a causa del demone tedesco degli ultimi dieci anni. Perché non solo non abbiamo imparato nulla, ma anche perché in programma ci sono dei concreti passi indietro. Nell'ambiente degli economisti e dei politici conservatori tedeschi viene generalmente accettato il fatto che per rendere l'unione monetaria "a prova di futuro" sia necessario un totale divieto di intervento della BCE. E ciò significa nient'altro che proprio il principale paese responsabile della miseria vuole ritirare dal commercio i farmaci per la sua cura. Per i paesi partner ciò significava dover vivere con un trattato che nessuno avrebbe mai voluto fosse in questa forma, perché nessun paese con la firma del trattato di Maastricht intendeva rinunciare ad avere una banca centrale. Nessuna persona ragionevole lo può desiderare e con un tale errore di costruzione l'unione monetaria non può certo sopravvivere. Uscire potrebbe essere una follia, ma anche restare dentro certamente lo è.
Posso solo ripetere quello che ho già detto in piu' occasioni: chiunque voglia riformare l'Europa non si deve spostare a Bruxelles ma a Berlino. Chi come tedesco mette in discussione l'unione monetaria perché non vuole prendere in considerazione il giudizio di Bruxelles sui problemi strutturali della costruzione, deve immaginare la follia senza limiti con cui dovrebbe confrontarsi nel caso in cui ci fosse un governo tedesco non piu' legato all'Europa. Chi come me, con consapevolezza dei fatti, ha vissuto il modo in cui una coalizione permanente (non eletta) fra una Bundesbank tedesca "indipendente" e quasi ogni governo di ogni colore nel corso dei decenni ha preso una decisione sbagliata dietro l'altra, avrà i brividi ad immaginarsi un governo tedesco finalmente "liberato" dai vincoli europei.
Un 'grande economista' che si intervista da solo e pochi conoscono.
RispondiEliminaPS. Comunque la dottrina tedesca non è neoliberista. Ma qiesto è argomento per accademici.
Mi permetto solo di far notare che il curriculum del signor Flassbeck parla da solo e quindi non c'è bisogno che io lo difenda. Aggiungo che se hai delle posizioni in contrasto con gli interessi dei poteri e delle lobby dominanti ci metti poco a sparire dai media cosiddetti di qualità, da sempre allineati e conformisti, compresa la centrale delle fake news, Der Spiegel.
EliminaSe usi il tag Flassbeck o Heiner Flassbeck noterai poi che questo umile blog lo traduce fin dal lontano 2012. Il punto è che grazie al web, se hai argomenti e idee, come il sig. Flassbeck, te ne puoi altamente fregare delle solite interviste dei giornalisti prezzolati e conformisti, ti fai il tuo bel sito web, come ad es Makroskop e da lì parli al mondo. Mi pare chiaro che senza il web non avremmo mai avuto il fenomeno Farage, il M5S e tanti altri etc etc
Prova con Google Scholar... :)
EliminaConsiderando il livello di ciarlataneria e vassallaggio raggiunto da una parte della scienza economica, direi che il basso livello di citazioni raggiunto da Flassbeck sia decisamente un punto a suo favore
EliminaC'è poco da essere accademici...in Germania (ed anche negli altri Paesi della UE), come previsto dal Trattato di Lisbona, si applica la cosiddetta "Economia Sociale di Mercato", chè è di provenienza della Scuola di Friburgo ed è influenzata dall'ideologia ordo-liberista.
EliminaIn pratica l'economia chiede allo Stato garanzie per poter agire liberamente sul mercato, con normative e provvedimenti che tengano sotto controllo l'inflazione, il deficit di bilancio, che preferiscano le privatizzazioni alle liberalizzazioni e che infine, garantiscano quel minimo di sussidio alla popolazione in difficoltà, utile ad evitare problemi sociali (ricorda Hayek?).
A.
Sì, qualcosa l'ho letta mentre trascorsi un mese presso l'università di Friburgo per preparare la tesi sull'Economia Sociale di Mercato e la sua influenza sulla rinascita dell'economia tedesca. All'epoca internet era agli albori e nelle biblioteche c'era poco materiale, mica come oggi che è pieno di blog.
EliminaComunque non c'entra nulla con il termine neoliberismo che di per sé è utilizzato come contenitore per tutto ciò che non piace ai critici del liberismo.
L'Economia Sociale di Mercato è comunque una costola del liberismo in quanto influenzata dall'ideologia ordo-liberista.
EliminaDiciamo che ne è una variante meno romantica,in quanto il liberista o liberalista puro è convinto della naturale tendenza del mercato ad equilibrare ogni squilibrio, senza nessun tipo di intervento statale. Invece gli ordo-liberisti lo vogliono eccome l'intervento dello Stato, ma solo per quello che serve ai loro scopi e per acquietare i bisogni primari di base della popolazione.
A.
Certamente Flassbeck e' piu' competente di uno che si occupa di piante.
RispondiEliminaCalzolaio non andare oltre le scarpe. Soprattutto se si tratta di matematica.
Il dott. Cocucci importa scarpe dalla Germania? Non ci credo dai...
EliminaLa sua lettura della Brexit e' completamente sbagliata. Personalmente in qualita' di persona che vive nel regno unito devo contraddire pienamente quel che dice. Prima di tutto se si facesse un secondo referendum ci sarebbe un crollo della fiducia da parte dell'elettorato verso la politica, crollo gia' drammatico vista la riluttanza di un governo e parlamento prevalentemente remainer al contrario dell'elettorato. Ancora piu' importante e' l'eventuale risultato di un secondo referendum che vederebbe ampliarsi la vittoria dei brexiter, non solo per l'evidente bullismo europeo, ma sommandosi alla questione di principio di chi non vede rispettato il proprio voto e quindi la democrazia stessa. Il secondo referendum e' un qualcosa di meno desiderabile per i remainer che per i brexiter, la vera opportunita' di sabotare l'uscita del regno unito e' proprio il compromesso con l'UE, il famoso deal. Sicuramente vero che la leadership tedesca e' la principale causa del declino dell'UE, ma l'utopia di riformare l'UE e' una presa in giro per fregare ulteriormente gli europei. L'UE e' stata idealizzata fin dalla sua fondazione come garanzia di pace e prosperita', ma nella realta' dei fatti s'e' dimostrata semplicemente uno strumento di controllo per l'egemonia di pochi a spese di tutti. Nel momento stesso in cui questo strumento di controllo fosse realmente sottoposto ad una riforma seria che ne cambi questa sostanziale utilita' saranno le stesse elite' che l'hanno utilizzato fino ad oggi coloro che ne causeranno il crollo, lobbies tedesche in testa. Gli inglesi hanno percepito meglio di chiunque altro questa realta' e sono furbondi con la loro classe politica di traditori se non della nazione quantomeno del voto. Le presunte implicazioni negative che secondo Flassbeck all'epoca del voto del 2016 non erano chiare sono lo stesso disco rotto che si sentiva prima del voto, qui lo chiamano project fear. Il pensiero di Flassbeck incarna una delle principali spinte nazionaliste, quella del mancato rispetto di un voto non gradito, la presunzione che tale voto fosse sbagliato ed agli elettori finalmente educati sui loro errori andrebbe data una seconda possibilita'. Ricorda il suo connazionale tecnocrate che sosteneva solo pochi mesi fa che i mercati avrebbero insegnato agli italiani come votare, beh sondaggi alla mano oggi ci sono circa il 10% degli italiani in piu' che voterebbero per un governo che gia' godeva del 50% di consensi. La miopia tedesca e' seconda solo alla loro arrogante presunzione
RispondiEliminaGrazie per il commento, sulla Brexit temo che Flassbeck abbia preso un grosso abbaglio, è un Bremainer sin dai tempi del referendum e quindi non può perdere la faccia proprio ora. Ed ha alle spalle anche una carriera nelle istituzioni internazionali e una militanza nella sinistra tedesca che gli rende difficile ammettere di essere d'accordo con i Leaver sul lato conservatore. Ma l'analisi sulle responsabilità e l'ottusità della leadership tedesca in Germania è una rarità e quindi a mio modestissimo parere quasi sempre vale la pena impiegare 5 minuti di tempo per per leggere la sua opinione, IMHO
EliminaPer ragioni diverse io confido in una "hard Brexit" così poi vedremo chi aveva espresso le posizioni più autorevoli. Il Regno Unito vive ancora nel passato, impregnato di antiquate tradizioni. La sua economia si fonda sul mercato finanziario, come si esce da Londra si osserva una realtà del tutto diversa tranne poche eccezioni. Il settore manifatturiero incide meno del 10% sul valore aggiunto e ora molte aziende hanno già annunciato di trasferirsi in un Paese della UE. Manca poco comunque, sarebbe piacevole rileggerti tra qualche mese dicendoci come vedi le cose lassù dopo la scissione. Quanto agli italiani mi sa che stando molti anni all'estero (credo) hai scordato che è un popolo che domani fa l'esatto contrario di quello che faceva ieri. Anche qui manca poco... dopo le elezioni vedo difficile che l'attuale maggioranza rimanga al governo, facile che si vada a nuove elezioni e allora le carte saranno mescolate. E se vi sarà, come le prime avvisaglie sembrano prevedere, una recessione o comunque uno stallo dell'economia, allora il 60% sarà solo un ricordo. Come il 40% del PD.
Elimina@ Cocucci
EliminaProprio perchè l'economia britannica si fonda sulla finanza la UK DEVE uscire dalla UE! Vogliamo guardare per cortesia un minimo ai numeri invece di fare vuote chiacchiere? Vogliamo parlare dello Sprofondo rosso della bilancia dei pagamenti britannica? Con un disavanzo commerciale mostruoso?
La UK ha bisogno di svalutare la sterlina, in primis per rinfocolare la manifattura interna! Pensare come manifatturiero di andarsene proprio alla vigilia della Brexit è semplicemente demenziale! Poichè si prevede la svalutazione della sterlina (in parte c'è giàò stata) e conseguentemente le merci di provenienza continentale diventeranno molto meno convenienti... E quindi ciò darà una spinta alla manifattura nazionale. E' chiaro che il processo non sarà indolore! Ma non esistono errori senza castigo, e la UK dovrà pagare per gli errori commessi in passato. Fu lo FMI a denunciare il fatto che la UK è sopravvalutata rispetto alla Germania ben oltre il 20%, e d'altro canto la UK non può sostenere il flusso in entrata dei lavoratori continentali, spinti dalla disoccupazione sistemica nella UE a trazione tedesca...
Poi si potrebbe chiedere agli industriali bavaresi, quanto siano felici per'eventuale Hard Brexit che penalizzi l'export (molto abbondante) verso UK... La verità è che la UE fa la voce grossa, ma ha i piedi di argillissima.