martedì 25 settembre 2018

Peter Bofinger: quei quattro saggi non sono molto saggi

L'UE perde pezzi, la Große Koalition va verso l'implosione, ma il consiglio dei cosiddetti esperti economici, i famosi saggi consiglieri di Merkel dal loro bunker di Berlino continuano a sfornare regole sull'austerità e sul deficit come se non ci fosse un domani. Peter Bofinger, membro del consiglio dei saggi, prende le distanze dai suoi colleghi e critica l'ultima proposta firmata da quattro dei cinque esperti volta ad esportare a livello europeo il famoso Schuldenbremse tedesco, vale a dire un pareggio di bilancio, un temibile "Schwarze Null" da applicare in maniera rigida secondo dei criteri meccanici. Un ottimo Peter Bofinger da Makronom.de


Sul portale VoxEU la settimana scorsa sono state pubblicate due proposte per la riforma dell'Eurozona: una di queste preparata dei miei quattro colleghi del Consiglio tedesco degli esperti economici, e un'altra da un gruppo di economisti francesi che fanno parte del Conseil d'analyse economique francese. La proposta di Lars Feld, Christoph Schmidt, Isabel Schnabel e Volker Wieland è modellata sul "freno all'indebitamento" tedesco (Schuldenbremse) e cambierebbe radicalmente le regole fiscali dell'Eurozona. Un'alternativa interessante la forniscono invece Zsolt Darvas, Philippe Martin e Xavier Ragot il cui modello si basa su di una regola di spesa derivata da un obiettivo di indebitamento pubblico di medio termine.

Entrambe le proposte contengono una regola di spesa, ma differiscono fra loro in maniera fondamentale. Come ancoraggio per la regola sulla spesa, Feld e colleghi preferiscono un criterio di spesa bilanciato meccanicamente. Questo concetto deriva dal Fiscal Compact europeo e impone agli Stati di perseguire un equilibrio di bilancio prossimo al pareggio. Per contro, la proposta francese declina elegantemente la regola del pareggio di bilancio, ancorando la regola di spesa a un obiettivo di indebitamento a medio termine per il quale esiste un margine di discrezionalità. Questa flessibilità può anche essere criticata, ma si può senza dubbio argomentare che è meglio fare affidamento su una propria valutazione piuttosto che su una regola meccanica priva di una ragionevole base teorica.

Nessuna evidenza di un "deficit bias"

Le regole del patto di stabilità e crescita (SWP) sono indubbiamente molto complesse e opache. Tuttavia ciò non significa necessariamente che le regole fiscali della zona euro "non fossero sufficientemente efficaci per limitare il deficit bias dei governi" e che siano state applicate in maniera troppo debole, come ritengono invece i miei colleghi del Consiglio degli esperti economici.

Un confronto internazionale dei saldi strutturali di bilancio mostra che nell'eurozona non vi è stata alcuna "distorsione del disavanzo" (Feld et al.) - al contrario: per molti anni, i disavanzi strutturali nell'eurozona sono stati chiaramente inferiori rispetto a quelli delle altre economie avanzate.


Cio' è stato particolarmente vero dopo la grande recessione. Rispetto al Giappone, al Regno Unito, agli Stati Uniti e all'OCSE nel suo complesso, nell'eurozona la risposta fiscale è stata estremamente debole, fatto che potrebbe essere considerato come una spiegazione decisiva per gli sviluppi macroeconomici estremamente sfavorevoli nell'area euro in quegli anni.

Dal 2014 il saldo strutturale dell'area euro è rimasto più o meno costante, e ciò riflette il fatto che il processo di consolidamento si è fermato. Si può criticare questa situazione in quanto ad esempio, i disavanzi di Francia e Spagna sono stati vicini o addirittura superiori al limite del 3% del Trattato di Maastricht. Ma guardando al passato si può dire che la combinazione fra la politica monetaria espansiva della Banca centrale europea e una politica di bilancio più rilassata ha portato a una ripresa economica piu' sostenuta nell'eurozona. In altre parole: la flessibilità offerta dal patto di stabilità e crescita, soprattutto a partire dal 2014, non è stata uno svantaggio, ma un vantaggio.

Non è affatto ovvio quindi che il principale problema delle regole fiscali dell'eurozona sarebbe "il ben noto deficit bias", come scrivono Feld e gli altri. Piuttosto gli sviluppi dopo la grande recessione hanno mostrato che il problema principale è la mancanza di coordinamento fiscale che durante una recessione molto lunga ha portato a politiche fiscali non sufficientemente espansive nei 19 stati membri. La questione è stata ulteriormente elaborata nel 2015 anche nella cosiddetta relazione dei 5 presidenti e ha portato alla creazione dell'European Fiscal Board, il quale ha il compito di consigliare la Commissione europea al fine di comprendere se la politica fiscale è appropriata sia a livello nazionale che per l'area dell'euro nel suo complesso.

Differenze e somiglianze con il patto di stabilità e crescita

Le norme sulla spesa e la riforma delle regole esistenti proposte da Feld et altri differiscono dalle altre recenti proposte di riforma in quanto intendono mantenere la regola del pareggio di bilancio contenuta nel Fiskalpakt. A tale riguardo, il meccanismo sottostante alla loro proposta non differisce dallo status quo all'interno del quadro fiscale dell'Eurozona che sin dalle riforme del Six Pack del 2011 include un benchmark di spesa pubblica. Questa regola di spesa è concepita per  un percorso di spesa che consenta di raggiungere nel medio termine l'obiettivo di un bilancio strutturalmente in pareggio. Così dice il corrispondente regolamento UE:

"per gli Stati membri che non hanno ancora raggiunto il loro obiettivo di bilancio di medio termine, la crescita della spesa annua sarà inferiore rispetto al tasso di riferimento a medio termine della crescita potenziale del PIL, a meno che il superamento di questa soglia non sia compensato da misure discrezionali di pari importo sul lato delle entrate; il divario tra il tasso di crescita della spesa pubblica e il tasso di riferimento di medio termine della crescita potenziale del PIL è fissato a un livello che garantirà un aggiustamento adeguato verso l'obiettivo di bilancio di medio termine;"

Rispetto al patto di stabilità e crescita, la regola sulla spesa pubblica non rappresenta quindi la principale innovazione della proposta tedesca - l'innovazione consiste nell'introduzione di una sorta di "memoria" all'interno del PSC. Fino ad ora gli stati membri non erano tenuti a compensare i precedenti disavanzi con delle eccedenze corrispondenti: a dover soddisfare i requisiti del patto ci sono solo il disavanzo corrente e le previsioni sul suo corso futuro. La seconda grande innovazione è l'eliminazione delle deroghe per gli scostamenti dagli obiettivi di medio termine (o dai percorsi di aggiustamento per il loro raggiungimento) nel caso di riforme strutturali che comprendano anche investimenti pubblici.

La proposta dei miei colleghi pertanto non è esclusivamente volta a rendere le norme esistenti "più semplici" e "più trasparenti". Con l'introduzione della funzione di memoria il PSC si trasformerebbe in un sistema più o meno identico allo Schuldenbremse tedesco - il che avrebbe conseguenze di vasta portata. Come mostrano le simulazioni di Feld et al. sarebbe la Francia in particolare a dover compensare attraverso pesanti tagli alla spesa il non raggiungimento a partire dal 2013 del parametro di riferimento dello 0,5% nel disavanzo strutturale. La necessità di compensare le deviazioni del passato porterebbe non solo ad una politica pro-ciclica, ma diventerebbe anche un onere molto pesante per un nuovo governo costretto a pagare per gli errori dei suoi predecessori.

Le differenze tra la proposta tedesca e quella francese

A prima vista, si potrebbe pensare che la proposta tedesca sia molto simile a quella del Conseil d'analyse economique, pubblicata nello stesso periodo. In effetti, entrambi i concetti implicano una regola di spesa. Ad un esame più attento, tuttavia, ci sono differenze fondamentali.

In sostanza, gli economisti francesi propongono un modello basato su decisioni politiche discrezionali, mentre i tedeschi propongono un approccio ampiamente basato su delle regole meccaniche. Questa differenza è dovuta al fatto che la proposta francese si astiene completamente dalla definizione di una norma per individuare il disavanzo strutturale. Il loro concetto non ha quindi un ancoraggio quantitativo implicito nell'impegno a raggiungere il pareggio di bilancio.

L'àncora delle regole francesi è invece l'obiettivo di ridurre il rapporto debito / PIL. Gli autori sottolineano esplicitamente che questo obiettivo, ancora una volta non dovrebbe essere determinato da una formula, ma dalle decisioni dei governi. Il percorso per lo sviluppo della spesa è quindi derivato dall'obiettivo di debito e deve essere determinato dalle autorità fiscali nazionali. Se le spese si discostano dal loro percorso obiettivo, dovrebbero essere registrate in un conto di aggiustamento. E se questo conto dovesse superare un valore di riferimento, sarà allora rilevata una violazione delle norme sul debito. Per una tale condotta non è tuttavia prevista una successiva compensazione da effettuarsi con una riduzione della spesa.

"Golden rule" Vs."Schwarze Null"

Per l'ulteriore sviluppo delle regole fiscali europee ci sono quindi due concetti completamente diversi. La proposta tedesca è caratterizzata dalla semplice idea che una politica fiscale ottimale è caratterizzata da un bilancio in pareggio. Da questo ideale, noto come "Schwarze Null", emerge il percorso della spesa pubblica. La proposta francese presuppone invece che gli obiettivi a medio termine della politica fiscale debbano essere determinati in un complesso processo decisionale, e non con delle semplici formule. Tutto sommato, la proposta francese è più vicina allo status quo rispetto a quella tedesca.

Le regole semplici possono avere i loro benefici, ma devono essere ben motivate - e tuttavia non è il caso dello Schuldenbremse tedesco che Feld et al. ora vorrebbero espandere all'intera Eurozona. Nella teoria della politica fiscale tradizionale la "regola d'oro" si trova solo come punto di riferimento per il livello ottimale di debito pubblico da raggiungere. Essa afferma che un aumento del debito pubblico può essere tollerato solo nella misura in cui coincide con almeno un aumento altrettanto consistente della ricchezza netta dello stato. Di conseguenza, finanziare gli investimenti pubblici ricorrendo all'indebitamento avrebbe senso. In effetti, il Consiglio tedesco degli esperti economici diversi anni fa ha pubblicato uno studio sulle regole di bilancio in cui ha espressamente dato il benvenuto alla "regola d'oro" sostenendo "che introdurre un divieto generale di indebitamento(...) [sarebbe] economicamente insensato, come vietare ai cittadini o alle imprese private di prendere denaro a prestito".

Si può criticare la discrezionalità prevista dalla proposta francese. Ma questa offre almeno la possibilità che gli obiettivi di indebitamento consentiti possano essere determinati in un ampio dialogo tra scienza economica e politica, tra economisti nazionali e stranieri, sulla base della teoria economica e delle prove scientifiche disponibili. Soprattutto la proposta potrebbe almeno fornire un margine minimo per gli investimenti finanziati a debito. In questo caso, le probabilità di realizzare una buona politica fiscale negli Stati dell'eurozona saranno sempre maggiori rispetto alla possibilità di mettere tale politica nelle mani di una semplice regola meccanica.

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lunedì 24 settembre 2018

Un paese dominato dalle élite

Bellissima intervista della Rhein Neckar Zeitung al grande sociologo tedesco Michael Hartmann il quale ci spiega perché a dominare l'economia e la politica tedesca è un gruppo molto ristretto di persone appartenenti alle élite storiche del paese e perché l'ondata populista e anti-establishment potrebbe cambiare lo stato delle cose. Dalla Rhein-Neckar-Zeitung


RNZ: prof. Hartmann, quando sentiamo parlare di "elite", pensiamo "ai migliori". E‘ una definizione corretta?

Hartmann: no. Per gli scienziati sociali le élite sono le persone che in virtù del loro ufficio o dei loro averi sono in grado di influenzare in maniera significativa gli sviluppi sociali. Il termine "significativo" non è chiaro al cento per cento. Ci sono opinioni diverse, ma in Germania si tratta al massimo di 4.000 persone.

RNZ: nelle sue considerazioni si concentra sulla politica e l'economia. Sono sempre queste le due aree piu' importanti?

Hartmann: sì. I due settori più importanti e influenti sono sempre stati l'economia e la politica. Ma anche la magistratura è molto influente. Quando la Corte costituzionale federale emette delle sentenze, la politica e l'economia non possono sottrarvisi. Anche le élite amministrative fanno parte delle quattro élite centrali.

RNZ: che la politica e l'economia siano decisive per lo sviluppo di un paese, sembra abbastanza plausibile. Tuttavia nel suo libro "Die Abgehobenen" lei lo problematizza e osserva una crescente alienazione dalla popolazione.

Hartmann: attualmente stiamo vivendo una fase - e non solo in Germania - in cui le élite si stanno allontanando sempre più dalla popolazione. Le loro condizioni di vita e il loro reclutamento sono diventati ancora più esclusivi dal punto di vista sociale, specialmente nella sfera politica. Due terzi dei membri delle élite tedesche appartengono al 4% piu' ricco della popolazione. Hanno conosciuto la ricchezza e la prosperità nelle loro famiglie di origine. I loro padri erano già in posizioni di potere. A questa eredità iniziale ora si aggiunge anche un reddito elevato, e una posizione elevata. Da questo punto di vista la differenza con la popolazione è notevole e continua a crescere.

RNZ: non è forse vero che 80 anni fa in Germania sono stati distrutti tutti i modelli precedenti, e quindi non abbiamo piu' delle elite chiaramente definite?

Hartmann: si è sempre creduto che dopo la seconda guerra mondiale per la Germania ci sia stata l'ora zero. C'è stata invece un'enorme continuità in termini di persone fra l'epoca nazista e l'inizio della Repubblica Federale, che è durata fino alla fine degli anni '60. Nell'élite economiche non ci sono stati dei cambiamenti significativi, situazione simile nel sistema giudiziario e amministrativo. L'élite politica è quella che ha subito i maggiori cambiamenti. I politici nazisti non erano piu' presentabili. Dopotutto erano conosciuti - a differenza delle élite amministrative, economiche o giudiziarie. Nel complesso, tuttavia, le élite restano incredibilmente stabili.

RNZ: da dove arriva questa stabilità?

Hartmann: chiunque sieda in una posizione di potere crede di essere l'uomo giusto al posto giusto. Perché dovrebbe cercare un tipo di uomo diverso come successore? Se guardiamo ai vertici delle 100 aziende tedesche più grandi, da decenni domina la stessa immagine: quattro persone su cinque arrivano dalla "borghesia". La politica in teoria è il polo opposto. Perché devi essere eletto e passare attraverso tutte le istanze di partito. Ma anche lì il sentiero si è fatto sempre piu' stretto: i lavoratori in passato erano rappresentati molto meglio di quanto non accada oggi, perché l'accademizzazione dei partiti si è spinta molto in avanti. Al Bundestag il 90 per cento dei deputati ha un diploma universitario, nella popolazione sono solo il 15 per cento.

RNZ: quindi le scuole d'élite, i college, i club non contano?

Hartmann: no. Non in Germania. L'istruzione svolge solo un ruolo di "filtro grossolano": raramente si arriva nelle posizioni di vertice senza un diploma universitario. Anche nei sindacati e nella Bundeswehr c'è una percentuale di laureati che va dal 50 al 60 percento . Il secondo filtro è il dottorato di ricerca. Ma non esiste una singola istituzione che aumenti esponenzialmente la possibilità di raggiungere una posizione di vertice - come accade con la scuola amministrativa francese ENA, oppure "Oxbridge", le università britanniche di Oxford e Cambridge.

RNZ: in particolare lei per cercare di capire l'alienazione delle élite dalla popolazione si è concentrato sugli anni del governo Schröder e sullla svolta neo-liberista. Perché?

Hartmann: basta solo guardare cosa è successo in Germania in termini di sviluppo dei redditi. Dalla fine degli anni novanta fino ad oggi c'è stato un cambiamento netto e duraturo: i redditi si sono allontanati fra loro in maniera significativa. E nonostante una buona congiuntura, nonostante la bassa disoccupazione, non vi è stato un effettivo riavvicinamento. Nel decennio e mezzo che termina nel 2015, il decile superiore in Germania in termini reali ha guadagna il 17% in piu' rispetto a quindci anni prima . Sempre in termini reali il decile piu' basso nello stesso periodo ha perso il 14 per cento.

RNZ: lei dà la colpa alle origini borghesi dei politici e fa riferimento, per esempio, alla figlia dell'imprenditore e presidente regionale Ursula von der Leyen. Ma quale sarebbe l'interesse della "figlia di un pastore" come Angela Merkel nel fare politica per le classi superiori?

Hartmann: è vero che c'è una certa differenza fra avere un padre pastore, insegnante o un padre grande imprenditore. Ma fondamentalmente nella generazione del padre c'era un ambiente borghese relativamente chiuso, in cui su certe questioni sociali c'era un ampio consenso. Ciò include, ad esempio, una gestione piuttosto rilassata delle questioni fiscali - anche se non tutti hanno poi evaso le tasse.

RNZ: e Angela Merkel ...

Hartmann: Angela Merkel a causa del suo passato della DDR a prima vista potrebbe essere ricondotta ad altri ambienti. Ma guardando più da vicino: nella DDR c'erano solo due gruppi professionali che sostenevano le tradizioni borghesi - i pastori e i medici. Di conseguenza il fatto di avere un legame con l'ambiente della Repubblica Federale ha svolto un ruolo importante nella loro rapida ascesa. Sarebbe stato qualcosa di completamente diverso se suo padre fosse stato un metalmeccanico in fabbrica. Nonostante i lunghi anni della DDR, l'integrazione di queste persone provenienti da questo piccolo ambiente borghese è stata sicuramente piu' facile.

RNZ: avremmo un'altra democrazia e un'altra coesione sociale se ci fossero più figli della classe lavoratrice in posizioni influenti?

Hartmann: non è un'equazione che necessariamente funziona in questo modo. Argomento parlando di probabilità. Nel 2012 abbiamo intervistato circa 1.000 persone nelle posizioni più importanti. Non tutti i figli della classe operaia percepivano la giustizia sociale in maniera diversa rispetto al figlio del miliardario. Ma statisticamente parlando, i figli della classe operaia - in tutte le aree - hanno una sensibilità molto maggiore nei confronti dell'ingiustizia sociale rispetto ai figli della classe borghese. Si potrebbe dire che più una persona è cresciuta nella ricchezza, meno percepirà la disuguaglianza sociale come un problema. In questo contesto è ragionevole presumere che la composizione dell'élite politica abbia naturalmente un'influenza sull'azione politica.

RNZ: non è ingiusto negare il fatto che i politici abbiano la capacità di agire bene anche a favore degli interessi degli altri?

Hartmann: ho un bell'esempio attuale di come la percezione influenzi le decisioni: il ministro della Sanità Jens Spahn ha presentato una proposta di legge secondo la quale la profilassi dell'AIDS deve essere coperta dalla cassa mutua. Poi realizzi che lui stesso appartiene al gruppo di persone più colpite (gay). Ha una sensibilità completamente diversa su questo problema rispetto al suo predecessore Hermann Gröhe. Così accade anche su altre questioni che sono per me piu' importanti: ingiustizia sociale, tasse, disoccupazione. Pertanto sono convinto che una rappresentanza maggiore dei due terzi più in basso della popolazione avrebbe certamente un impatto sulle decisioni politiche.

RNZ: è provato un tale effetto?

Hartmann: ci sono molti studi negli Stati Uniti che hanno monitorato questo fenomeno per lunghi periodi di tempo. Non su ogni decisione, ma nella maggior parte dei casi, i politici delle classi superiori mettono in pratica una politica a favore della classe superiore. Anche nella bozza del rapporto del governo tedesco sulla povertà veniva riconosciuto questo punto: tutti gli obiettivi politici che avevano un elevato grado di accettazione nella parte inferiore della popolazione non avrebbero avuto la minima possibilità di essere messi in pratica, e viceversa.

RNZ: non è forse sconcertante: in una democrazia non dovrebbe avere piu' successo una politica che serve alla maggioranza della popolazione?

Hartmann: le persone nella parte piu' bassa della società hanno minori opportunità di imporsi. Sono chiaramente sottorappresentate nei partiti. Non esistono equivalenti delle associazioni mediche, o delle associazioni dei proprietari di case. Al massimo potrebbero esserlo i sindacati. Ma anche loro si sono concentrati sempre di più sui loro membri core - vale a dire gli operai dell'industria metalmeccanica molto forte nelle esportazioni. E i sindacati hanno anche molti problemi nel cercare di costruire un forte rappresentanza nel settore dei servizi. Il risultato non è la ribellione, ma la rassegnazione. La politica per queste persone è un'arma spuntata: "Quelli lassù non sono comunque interessati a noi - quindi non dobbiamo votare". Più povera e meno istruita è la popolazione di un'area, maggiore sarà l'astensione dal voto. Oppure sceglieranno gli slogan populisti di destra.

RNZ: nel suo libro si riferisce a Karl-Theodor zu Guttenberg: nobile, incredibilmente ricco - e ancora molto popolare. Perché c'è tanta fascinazione per un politico del genere?

Hartmann: è lo stesso motivo per cui ci piacciono le trasmissioni televisive sulle famiglie nobili: un po 'di fuga dalla realtà. Tuttavia, anche la sua popolarità è diminuita rapidamente quando è venuto alla luce l'inganno della sua tesi di dottorato. Il glamour è bello e buono - ma poi tutti dovrebbero attenersi a certe regole.

RNZ: non siamo portati a pensare in generale che le persone che hanno avuto successo nel privato semplicemente sappiano come una società nel suo complesso puo' essere guidata al successo?

Hartmann: questo accadeva molto di piu' in passato. Margaret Thatcher e Ronald Reagan hanno ottenuto una grande accettazione quando negli anni '80 hanno messo in pratica le loro politiche neo-liberiste perché una parte non trascurabile della popolazione apprezzava molto questo tipo di decisori. Ma funziona solo fino a quando le misure vanno a beneficio della popolazione britannica. Nel lungo termine è venuta meno la fiducia nelle politiche neo-liberiste. Ora la sensazione più diffusa è un'altra: le persone di successo fanno sicuramente delle cose di successo - ma soprattutto per se stesse: quando un manager commette degli errori palesi, c'è una buonauscita enorme - il normale lavoratore invece deve pagare per ogni errore.

RNZ: lei vede come un'opportunità per la democrazia il fatto che ci sia una svolta nello spirito del tempo. Nelle ultime elezioni generali tuttavia non sembra che i partiti piu' critici ne abbiano beneficiato in modo particolare.

Hartmann: negli Stati Uniti e nel Regno Unito per quattro decenni abbiamo visto all'opera politiche neoliberiste radicali. Ci sono due generazioni che hanno consosciuto solo questa politica. Ma queste promesse sono state tradite - ed è per questo che il sentimento della maggioranza si è capovolto. In Germania abbiamo una certa insoddisfazione. Ma le persone si guardano intorno e capiscono che nel confronto europeo stiamo andando ancora abbastanza bene. Le cose sono peggiorate molto anche da noi, ma in Spagna, in Italia o nel Regno Unito va molto peggio. Pertanto ci sembra di essere ancora lontani dal momento in cui lo spirito del tempo inizierà a cambiare. Ma in questo momento, con il populismo di destra, per la prima volta abbiamo la sensazione che qualcosa nel sistema dei partiti si stia seriamente muovendo.

RNZ: chi dovrebbe guidare un simile cambiamento politico?

Hartmann: almeno nell'ovest la responsabilità in materia di giustizia sociale è chiara. E questa si trova nele mani della SPD. Se la SPD segnala "facciamo qualcosa", allora il vecchio e deluso elettore socialdemocratico tornerà immediatamente indietro. Questo lo ha dimostrato la "campagna per la candidatura di Schulz". Ma la SPD non è stata in grado di portarla avanti in maniera credibile. Se Schulz avesse proseguito con convinzione il corso iniziale, il volo in alta quota sarebbe durato molto più a lungo.

RNZ: lei guarda con una certa benevolenza al cambio di paradigma dei laburisti nel Regno Unito. La Germania e la SPD sono pronti per un Corbyn?

Hartmann: non al momento. Jeremy Corbyn sotto due diversi punti di vista nasce da condizioni che in Germania non esistono. Uno è il voto a maggioranza. Se cambi qualcosa nel Labour, puoi cambiare le cose in tutto il paese, perché non ci sono pressioni da parte della coalizione. Il secondo: Corbyn è stato sottovalutato dall'intera leadership del partito laburista. Fondamentalmente, era stato creato come un personaggio di cartone. Poi invece ha fatto molto meglio di quanto qualsiasi osservatore si sarebbe aspettato. E ora è saldamente in sella.

RNZ: nessun confronto con la SPD?

Hartmann: nella popolazione osserviamo una simile perdita di fiducia nei confronti della SPD, ma nessuna comparabile perdita di appartenenza. Il Labour sotto Blair e Brown ha perso tre quarti dei suoi tesserati. Alla fine sono rimasti in 160.000. La SPD è ancora vicina a 460.000. Nella base della SPD, tuttavia, c'è ancora una grande voglia di posizioni socio-politiche di sinistra, che viene anche esternata. Poi, invece arrivano gli alti funzionari che illustrano quanto sia stata efficace la politica precedente. Al piano di sotto resta malcontento. Ma non c'è veramente la volontà di sostituire i vertici. L'intero personale dirigente della SPD è più o meno strettamente legato alla politica di Schröder. Scholz. Nahles, Heil. Tutti dovrebbero avere una rottura radicale con il proprio passato. E questo è improbabile che accada.

RNZ: le élite, i partiti, notano anche che il clima sociale sta diventando sempre più difficile. Pensa sia prevedibile in prospettiva un miglioramento?

Hartmann: per i prossimi tre anni, fino alle prossime elezioni federali, sono alquanto scettico. Tuttavia non si puo' mai essere sicuri. Nessuno pensava che fosse possibile il movimento studentesco del 1967/68. Nel 1961 ci fu uno studio ampio e ben fatto sugli studenti tedeschi sull'esempio di Francoforte. Il risultato: il 66 % era apolitico, il 16 % aveva un chiaro potenziale autoritario e il 9 % era chiaramente democratico. Sulla base di ciò non sarebbe stato nemmeno possibile prevedere anche a grandi linee il 1968. Anche ora c'è un'agitazione, un desiderio che qualcosa possa cambiare nella direzione di una maggiore giustizia sociale. Ma non sembra essere organizzato.

RNZ: ultima domanda: che ruolo giocano i media?

Hartmann: per le élite dei media - e sto parlando solo di pochi editori o redattori in capo - le assunzioni nel settore privato avvengono in maniera esclusiva cosi', come accade nel mondo degli affari. Nel settore pubblico la situazione è simile alla politica.

RNZ: la dura critica che fanno i populisti alla stampa è giustificata?

Hartmann: il termine "Lügenpresse" penso sia completamente sbagliato. "Lügenpresse" significa che nei media ci sono persone che mentono deliberatamente. Ma non è questo il punto. Il problema è che i giornalisti percepiscono una realtà filtrata dal loro background sociale e dalla loro posizione. Soprattutto nel giornalismo politico c'è una tendenza che vuole che tutto si svolga negli uffici editoriali centrali di Berlino. Lì ci si muove in cerchi molto ristretti. Questo plasma la percezione. A ciò si aggiunge la pressione economica. Manca il tempo per la ricerca.
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domenica 23 settembre 2018

Thomas Fricke: perché gli economisti tedeschi raccontano cosi' tante stupidaggini?

Un ottimo Thomas Fricke su Der Spiegel fa un parallelo con il caso Maaßen e si chiede perché gli economisti tedeschi che da anni raccontano stupidaggini e non ne azzeccano una non abbiano ancora perso le loro prestigiosissime poltrone, ma anzi continuino ad essere venerati dalla grande stampa. Da Der Spiegel


Certamente possiamo discutere se quanto dichiarato dal nostro povero capo del Verfassungsschutz sia così negativo. La questione del video falso, che evidentemente non era stato falsificato. La dichiarazione non è stata davvero felice, anzi una tesi alquanto traballante. Ad ogni modo, non così azzeccata da meritare una promozione al ruolo di Segretario di Stato.

Maaßen, con una tesi traballante che non può essere dimostrata, sorprendentemente ne è uscito bene. Per molti è fastidioso, ma non è certo un principio nuovo. Almeno nel campo della consulenza in materia di politica economica. Sembra anzi che le cose spesso vadano in questo modo.

Che qualcuno pur avendo delle tesi vacillanti riesca comunque ad uscirne bene, lo abbiamo appreso in un altro ambito: dai nostri economisti. Non importa che i papi dell'economia dominante come Hans-Werner Sinn abbiano già diagnosticato tutto o quasi in maniera erronea o almeno  traballante  - cio' non sembra aver danneggiato in alcun modo i grandi saggi. Almeno non a livello personale. Al contrario

Grazie alla madre di tutte le crisi che sarebbe dovuta arrivare, questi profeti di sventura sono riusciti ad ammansirci, senza che queste crisi poi siano effettivamente arrivate. Ed è per questa ragione che questi economisti non sono stati in grado di anticipare nessuna delle grandi crisi dei decenni passati. O almeno non hanno dato un contribuito significativo per poterle prevenire.

Ovunque assurdità 

Guardando in retrospettiva, una delle principali diagnosi errate dell'economia tedesca tradizionale sono state le grida ai tempi dell'Agenda 2010. A quel tempo la Germania, in quanto nazione esportatrice, sembrava essere minacciata nella sua stessa esistenza perché ormai era diventata troppo cara, e i tedeschi socialmente viziati e soprattutto pigri - questa era la tesi preferita dal maggior profeta di sventura dell'epoca, H. W. Sinn.

A quel tempo in realtà la Germania era ancora campione del mondo dell'export. Le vendite tedesche nel mondo non erano mai aumentate tanto quanto in quegli anni di presunto declino. Un'assurdità grottesca.

Non c'è da meravigliarsi se poco dopo nessun grande economista tedesco ha profetizzato che la Germania, a partire dal 2006, sarebbe entrata in una lunga fase di ripresa. A quel tempo gli economisti alla Sinn per molto tempo provarono a far finta di nulla. Fino a quando poi negli anni successivi non hanno dovuto reinterpretare quel successo economico attribuendolo all'Agenda 2010, senza tuttavia riuscire a prevedere l'arrivo della crisi finanziaria, compresa la successiva crisi dell'euro.

Uno dei delitti ritenuti meno importanti è quello relativo alla fase in cui alcuni cosiddetti "veterani" dell'economia mettevano in guardia, secondo la bellezza e il romanticismo dettati dall'economia di mercato, dal pericolo di un intervento della banca centrale finalizzato alla messa in sicurezza della moneta durante la crisi dell'euro. Che comunque Mario Draghi ha realizzato nell'estate del 2012. Quello che ora, secondo gli allarmi lanciati nel nostro paese, viene interpretato come un salvataggio.

Perché gli studiosi del mercato ci hanno fatto perdere il senno quando in Germania è stato introdotto un salario minimo? Il paese sembrava di nuovo sull'orlo del baratro. Ancora una volta si è rivelato essere un racconto falso. Della crisi del lavoro nessuna traccia. Nel dubbio si puo' dire che il salario minimo abbia persino portato a un aumento dell'occupazione, perché da allora in Germania i lavoratori hanno piu' soldi da spendere. E questo è positivo per l'economia.

D'altra parte non sono certo mancati gli avvertimenti, come del resto è divenuto chiaro negli anni seguenti, in merito al fatto che il tanto amato commercio mondiale, con la sua concorrenza a basso prezzo anche da noi avrebbe generato dei perdenti frustrati. Persone che, come ora dimostrano gli studi, votano per Donald Trump. O AfD. I libri di testo ci dicono che il commercio internazionale a conti fatti è buono per tutti perché ci sono più vincitori che vinti. Peccato che questo non serva a confortare i perdenti.

Per anni gli opinion leader delle corporazioni ci hanno ripetuto che dobbiamo umilmente prepararci al declino demografico. Ora invece si organizzano i vertici per l'emergenza abitativa, perché i profeti di sventura non si aspettavano che il declino demografico in un'economia in costante crescita non è così rapido, e che quando l'economia va bene sorprendentemente ci sono più nascite e più persone in arrivo dall'estero.

In realtà in questi giorni non stiamo assistendo a quei drammi per i quali eravamo stati messi in guardia dai nostri economisti - né alla carenza di alloggi, né al divario di ricchezza, né all'insofferenza della classe media, né al protezionismo come risultato di importanti fratture economico-sociali.

La critica alle eccedenze commerciali tedesche è una cospirazione globale?

Ora si potrebbe pensare che proprio in questi tempi di ricambio, i  profeti al vertice avrebbero dovuto essere sostituiti da persone che potrebbero non essersi sbagliate così spesso, oppure essere più disposte ad imparare.

Non proprio.

- Hans-Werner Sinn nonostante tutte le diagnosi sbagliate è rimasto al vertice dell'Ifo fino al suo pensionamento per ragioni di età -  e due anni e mezzo dopo resta ancora il secondo più importante economista del paese, come scrive ad esempio la "Frankfurter Allgemeine".

- Christoph M. Schmidt, il capo dei gloriosi saggi economici, da quasi dieci anni ricopre la sua posizione all'interno del consiglio degli esperti economici - apparentemente senza alcun dubbio sul suo operato. Nel Consiglio dei Saggi, anche se non sono riusciti a comprendere la crisi del secolo, non è piu' stato chiamato nessuno che si sia fatto notare per aver criticato i vecchi dogmi sul mercato.

- Il successore di Sinn all'Ifo, Clemens Fuest, assomiglia ad una versione light di Sinn.

- E quando in palio ci sono delle nuove posizioni da consigliere per la politica, come è stato di recente con la poltrona di presidente presso il Kieler Institut für Weltwirtschaf, sembra che si voglia fare di tutto per dare il via a qualcosa di  nuovo. Ma il nuovo, Gabriel Felbermayr, arriva dall'Ifo - ooh! - e ha già dichiarato che considera le critiche mondiali alle eccedenze commerciali tedesche come una cospirazione globale nei nostri confronti.

"Non si può negare che il modello economico britannico è ingiusto"

Le cose possono andare anche diversamente. Due settimane fa nel Regno Unito ha fatto scalpore un piano in dieci punti redatto da una commissione i cui rappresentanti di spicco appartengono a diversi gruppi sociali, dagli accademici ai dirigenti aziendali, fino ad un arcivescovo; piano con il quale hanno lanciato una campagna per una "nuova economia". L'obiettivo: allontanarsi dalla dottrina Thatcher. "Che il modello economico britannico sia profondamente iniquo, fino a poco tempo fa era considerata una posizione radicale, oggi è indiscutibile", ha scritto il Guardian.

In Germania invece i principali economisti dubitano ancora che in questo paese ci sia ingiustizia sociale - o del fatto che la gente possa essere insoddisfatta.

Tali diagnosi cosi' errate potenzialmente possono fare molti danni. I lamenti per il declino delle esportazioni degli anni 2000 hanno contribuito in larga misura al fatto che la politica economica tedesca ha speso tutto il tempo nel cercare di costruire la nostra prosperità fondandola sul commercio estero. Oggi la nostra economia dipende troppo dalle esportazioni - e ora c'è un presidente degli Stati Uniti che contrattacca con i dazi doganali.

La resistenza nei confronti degli aiuti finanziari durante crisi dell'euro, fondata sulla fiducia nel mercato, probabilmente ha contribuito ad aggravare la spirale del panico. E senza le preoccupazioni tipiche dei vecchi dogmi economici, in Germania avrebbe potuto esserci un salario minimo molto prima, e quindi meno cittadini arrabbiati che nel loro lavoro si sentono sfruttati.

La prossima crisi arriverà sicuramente. Al momento, nulla lascia presagire che i profeti di sventura questa volta faranno una figura migliore. Soffriamo del principio di Maassen.

È arrivato il tempo dei nuovi pensatori. Ce ne sono abbastanza.

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venerdì 21 settembre 2018

La svolta a destra e la risorsa più scarsa

Sembra una banalità eppure nel clima di conformismo che domina il dibattito tedesco sui migranti nessuno ne parla: nelle regioni rurali dell'est e della Germania centrale da molti anni e in quasi tutte le fasce di età c'è un forte squilibrio demografico caratterizzato da un eccesso di uomini rispetto al numero di donne. Se poi il governo di Berlino nel giro di un paio di anni fa entrare in Germania piu' di un milione e mezzo di profughi e migranti composti in larga parte da individui di sesso maschile il risultato finale non dovrebbe sorprendere piu' di tanto. Der Freitag, testata liberal e cosmopolita, propone una riflessione sul tema. Da Der Freitag


(...) Dal Mecklenburg-Vorpommern fino al sud della Sassonia c'è un forte eccesso di uomini e questa situazione dura da quasi 30 anni. Nessun'altra regione in Europa è cosi' dominata dagli uomini come accade alle zone rurali della Germania dell'est. Il fenomeno non è nuovo - eppure poco presente nel dibattito sulle ragioni del rafforzamento della destra.

Cosa è successo dopo il 1989

Subito dopo la caduta del muro i rapporti fra i generi erano ancora in equilibrio, tra il 1990 e il 1995 tuttavia si verifica un vero e proprio esodo di giovani donne dall'est verso l'ovest. Secondo uno studio del 2007 dell'Institut für Bevölkerung und Entwicklung di Berlino, dal 1991 in poi a lasciare i nuovi Laender dell'est sono per due terzi donne. Il risultato: nel 2004 nei Laender dell'est nella fascia di età tra i 22 ei 32 anni c'erano meno di 90 donne ogni 100 uomini. Alcune regioni sono più maschili di altre: a Parchim nel Mecklenburg-Vorpommern ogni quattro giovani uomini ci sono solo tre giovani donne. Nel comune di Weißkessel nel distretto di Görlitz ogni 100 uomini ci sono solo 56 donne. Il più grande deficit femminile nel 2009 lo registrava la comunità di Schönbeck nel Mecklenburg-Strelitz con 17 uomini e nemmeno una donna in età compresa tra 20 e 24 anni.

L'est è quindi maschile, ma non solo quello. Anche le regioni più rurali della Bassa Sassonia, del Baden-Württemberg e della Baviera mostrano un surplus maschile. Nella Bassa Baviera si parla addirittura di "condizioni cinesi". Dove sono tutte le donne? La mappa della distribuzione di genere in Germania lo mostra chiaramente: nelle grandi città. Ad Amburgo, Monaco, Colonia o Berlino, ogni 100 donne ci sono tra i 93 e i 96 uomini.

Sovrapponendo la mappa della distribuzione di genere alla mappa degli elettori di AfD, la copertura in gran parte coincide: maggiore è il rapporto fra il numero di uomini e donne in una determinata regione, maggiore sarà la percentuale di voti presi da AfD. Che forma assume questa relazione? Gli studi sull'eccesso di uomini forniscono alcune risposte, ad esempio in rapporto alla sensazione di ingiustizia. Mentre nelle regioni dell'est il 20,8% degli uomini senza una partner ritiene di essere vittima di ingiustizia sociale, fra gli uomini in una relazione solo il 15% dichiara di essere insoddisfatto nella stessa misura, secondo i dati dell'Institut für Bevölkerung und Entwicklung.

L'autrice di uno studio del 2016 sull'emigrazione delle donne realizzato presso l'Università di Scienze Applicate di Zittau/Görlitz, Julia Gabler, evidenzia gli effetti sulla società civile causati da una carenza di donne: "nelle aree con una evidente mancanza di donne viene meno l'impegno civico", secondo la Gabler. Gli studi evidenziano inoltre una relazione indiretta tra eccesso di uomini e criminalità": cresce laddove il tasso di disoccupazione degli uomini sotto i 30 anni è alto - e dove ci sono molti nuclei composti da una sola persona.

Anche gli sviluppi nel mondo del lavoro giocano un ruolo nell'emigrazione femminile e nella crisi maschile: mentre vengono eliminate o "alleggerite" dalla radicale deindustrializzazione di intere regioni o dalla digitalizzazione le occupazioni in cui la forza del corpo maschile svolge un ruolo importante, nel settore dei servizi si creano di continuo nuovi posti di lavoro in cui per lo piu' sono impiegate le donne - e che si trovano soprattutto nelle città. Le donne si spostano in altre regioni, gli uomini restano fermi in provincia e svalutati.

I diversi livelli di istruzione hanno poi l'effetto di un acceleratore. Secondo lo studio dell'Institut für Bevölkerung und Entwicklung di Berlino, le donne laureate in media hanno delle qualifiche scolastiche decisamente migliori. A Löbau-Zittau ad esempio le donne sono solo il 35% di tutti i diplomati nelle scuole professionali, ma sono invece il 61% fra i diplomati nei licei. Julia Gabler giunge alla stessa conclusione: la ricerca di un guadagno piu' alto, un livello di istruzione superiore e la ricerca di condizioni di vita adeguate sarebbero le motivazioni principali delll'emigrazione femminile verso le città.

La paura dello straniero

Osservando questo sviluppo dalla prospettiva degli uomini rimasti nelle regioni di origine, i riflessi patriarcali e anti-femministi non possono essere certo giustificati, ma almeno spiegati. Perché alcuni uomini nelle regioni dell'est temono che "lo straniero" possa portasi via "le loro donne" - anche se i migranti sono solo fra il 3 e il 6% della popolazione? Forse bisogna pensare "allo straniero" in modo diverso. Prima era l'occidente ad attrarre le donne, ora a farlo sono le città cosmopolite con le loro offerte educative, di lavoro e culturali. Lo straniero: il cosmopolita (...)

La mancanza di donne in provincia non puo' essere certo l'unica causa della crescita della destra. Non si puo' spiegare allora perché i neo-nazisti a Dortmund sono così forti. Inoltre, anche nella Germania dell'Est non tutti gli uomini senza una partner votano per AfD. Tuttavia non si può negare una relazione fra una certa mascolinità tossica, la cultura patriarcale e il voto a destra. Cosa potrebbe fare la politica per combattere le cause del voto a destra in provincia? Invece di mettere al centro le preoccupazioni degli uomini patriarcali, ad esempio, si potrebbe favorire un ambiente maggiormente orientato alle donne con una redistribuzione decentralizzata delle scienze umane e sociali, ad esempio: le città universitarie Greifswald, Jena, Potsdam, Lipsia e Erfurt hanno un forte surplus femminile. Le infrastrutture potrebbero essere ampliate e anche nelle piccole città si potrebbe promuovere un'adeguata offerta culturale per le donne. La cultura patriarcale tradizionale dello Stammtisch, tuttavia contribuisce a perpetuare l'emigrazione delle donne. E se non ci sono più donne, che ne sarà del coniglio - e che ne sarà di quell'uomo che cosi' volentieri va a caccia di conigli?


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martedì 18 settembre 2018

Josef Ackermann e il disastro Deutsche Bank

Un'ottima inchiesta della ZDF prova a ricostruire il ruolo avuto da Josef Ackermann, il carismatico ex-capo di Deutsche Bank, nella crisi finanziaria iniziata nel 2007. Emerge il ritratto di un bankster senza scrupoli che nel tentativo di salvare la sua testa ha messo nei guai Deutsche Bank e l'intero settore bancario tedesco. Ne parla Handelsblatt.


(...) C'è un top manager che fin dalla grande crisi lavora con un certo impegno alla sua riabilitazione sociale: Josef Ackermann. Lo svizzero, dal 2002 al 2012 alla guida di Deutsche Bank, è indaffarato come non mai. Dal 2014 è presidente del consiglio di amministrazione della più grande banca di Cipro. Ha appena finito di fare consulenza sulle grandi fusioni bancarie europee. Recentemente, ha anche ribadito di aver consegnato ai suoi successori una Deutsche Bank "in buone condizioni", criticando l'attuale dirigenza.

A parlare è un manager purificato e in pace con se stesso - oppure un eterno impostore che lavora alla sua riabilitazione? Un documentario della ZDF ripercorre il ruolo di Deutsche Bank negli anni della crisi e arriva a un verdetto molto chiaro sul ruolo avuto dal suo ex amministratore.

"E' stato senza dubbio l'incendiario. Non era né onesto né decente. E' un uomo senza scrupoli che ha cercato di tenere lontani da sé i problemi", dice Ingrid Matthäus-Maier sul ruolo di Ackermann durante la Grande Crisi. L'ex capo della banca pubblica KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) ricorda ancora con emozione le riunioni tenute negli anni di crisi 2007 e 2008. Da allora si rifiuta di dare la mano ad Ackermann, ci spiega.

Il documentario affronta molto bene la storia della crisi finanziaria e il modo in cui le grandi banche confezionavano i mutui degli acquirenti di immobili poco affidabili, li mescolavano con dei prestiti migliori, ottenendo cosi' un buon rating e infine distribuivano i rottami cartolarizzati in tutto il mercato finanziario.

Deutsche Bank sempre in prima linea. Anche in Germania ha concesso molti mutui e rivenduto a terzi i prestiti a rischio insolvenza, come dimostra il video con il caso della città di Plauen. Un totale di 4,5 miliardi di euro fatturati dalla banca solo sul mercato tedesco, con un utile netto generato di 900 milioni di euro. Ma gli affari piu' grandi erano negli Stati Uniti, dove nel frattempo era stato creato un pacchetto di mutui di oltre 100 miliardi di dollari presso la sede di New York.

Come è potuto accadere che ad essere in prima linea ci fosse sempre Deutsche Bank? Il documentario ZDF presenta due importanti testimoni chiave: il precedente e l'attuale capo economista dell'istituto.

Thomas Mayer, capo economista fino dal 2012, ricorda una riunione interna del 2005, quando gli analisti di Deutsche Bank avevano messo in guardia dal rischio dei prestiti ipotecari cartolarizzati e avevano profetizzato un incidente a breve. La risposta del consiglio di amministrazione? La prassi da molti anni ormai è entrata nel mainstream, tutti i concorrenti fanno lo stesso. "Le cose sono rimaste come erano", dice Mayer.

"Sapevamo molto bene che il mercato dei mutui subprime sarebbe crollato. Solo che non sapevamo esattamente quando. Abbiamo creduto agli esperti che ci dicevano che prima di arrivare al crollo sarebbero stati necessari un paio di anni ancora", spiega David Folkerts-Landau, attuale capo-economista della banca. "Chi esce troppo presto, perde il posto. Chi esce troppo tardi, perde un sacco di soldi. La decisione del management fu: dobbiamo restare in gioco".

Il motore al vertice della banca, come è chiaro dal documentario della ZDF, era Josef Ackermann. La sua ambizione era illimitata: nel giro di pochi anni una banca tedesca di grande tradizione come DB, da sempre un po' noiosa, doveva essere catapultata nel club delle tre maggiori banche mondiali. Per fare cio' i profitti dovevano aumentare drasticamente - Ackermann aveva fissato un obiettivo del 25% di rendimento sul capitale proprio.

"L'espansione di Deutsche Bank a partire dal 2003 nelle diverse aree di attività è stata una crescita che la banca non è stata in grado di affrontare con le proprie forze", afferma Folkerts-Landau oggi. È stato possibile solo grazie ad una crescita finanziata a debito, in una situazione in cui la banca ha lavorato con leve enormi, prima di tutto per la sua presunta inviolabilità. "Gli americani dicevano: questa è Deutsche Bank, cosa dovrebbe mai accadere a Deutsche Bank?", cosi' dice Folkerts-Landau.

Nel 2007 la festa stava già volgendo al termine. La situazione sul mercato finanziario stava diventando tossica, perché nessuno poteva valutare il rischio di credito insito nei titoli garantiti dai mutui e le banche non volevano piu' prestarsi soldi fra loro. La prima vittima della crisi è stata la IKB (Deutsche Industriebank). Un tempo la banca piu' solida di Dusseldorf, con una grande esperienza nel finanziamento delle PMI, che negli anni prima della crisi aveva investito sempre piu' denaro sul mercato statunitense dei mutui e che alla fine, sotto il suo capo Stefan Ortseifen, aveva scommesso e perso una grande quantità di denaro.

Fino al 2007 Deutsche Bank era sempre stata pronta a vendergli tutta la sua spazzatura. Ma quando la IKB si è trovata in difficoltà e ha avuto bisogno di aiuto, il CEO di Deutsche Bank Ackermann, durante la notte, gli ha tagliato la linea di credito. L'ex presidente di KfW Ingrid Matthäus-Maier sostiene: "E' stato lui, solo lui ad innescare questa crisi, tutto per spingere le altre parti a risolvere la crisi, senza che i privati subissero delle perdite. Come consiglio di amministrazione di KfW ci sentimmo ricattati, in particolare da Ackermann". Nel giro di 24 ore il consiglio di KfW ha dovuto decidere se salvare IKB con i soldi pubblici.

Perché il CEO di Deutsche Bank ha agito in maniera cosi' spietata? L'ex presidente delle casse di risparmio tedesche, Heinrich Haasis, sospetta che Ackermann con il salvataggio dell'IKB volesse dare l'esempio per dissipare i crescenti dubbi sulla solidità del suo istituto. Fedele al motto: per Deutsche Bank, anche durante la crisi, è lo stato tedesco a garantire.

Ackermann stava comprando tempo per sé e per il suo istituto. Ancora nel febbraio 2008 credeva di essere all'apice del suo successo, tanto da festeggiare il suo 60esimo compleanno alla Cancelleria federale di Berlino su invito di Angela Merkel. Ackermann  da molto tempo era a conoscenza del pericoloso squilibrio che interessava l'intero sistema.

Come ha reagito il capo di Deutsche Bank quando la crisi con la bancarotta di Lehman nel 2008 si è aggravata? Il documentario della ZDF solleva una grave accusa: per salvare la sua testa, il topbanker ha agito di conseguenza comportandosi sempre di più come un frullatore.

L'inchiesta della ZDF, sulla base dei documenti della Federal Reserve americana, ricostruisce il modo in cui Deutsche Bank segretamente e sin dall'inizio aveva ottenuto dei prestiti governativi. Già ad inizio 2008 negli Stati Uniti la banca aveva preso in prestito 76 miliardi di dollari. Ufficialmente la banca tuttavia sosteneva di aver risolto i suoi problemi, mentre anche negli anni di crisi continuava a versare miliardi di dollari di bonus ai suoi vertici (71 miliardi di dollari dal 1995 al 2016). E mentre le altre grandi banche negli Stati Uniti sono state forzosamente nazionalizzate e ricapitalizzate con il denaro dei contribuenti - una ragione della loro forza attuale - Ackermann dichiarava che si sarebbe vergognato di accettare dei soldi pubblici.

L'attuale capo-economista Folkerts-Landau spiega: "Ero presente a questa teleconferenza quando Joe (Ackermann) ha detto quella frase. È stata una delle decisioni politiche più egocentriche che abbia mai visto prendere da un banchiere di vertice. Se avessimo preso i soldi, Joe avrebbe probabilmente perso il suo lavoro. Ma a quanto pare non l'aveva preso in considerazione".

Proprio a causa dei trucchi di Ackermann, degli occultamenti e per la sua volontà di posticipare la soluzione dei problemi, durante tutta la crisi è stata impedita una pulizia della banca proprio nel momento in cui sarebbe stata più necessaria. "È stato un errore politico così grave. È semplicemente incomprensibile che un membro del settore finanziario di alto rango possa prendere una tale decisione", dice Folkerts-Landau all'indirizzo dell'ex capo della banca.

Si tratta di un giudizio duro e anche molto comodo, poiché allevia le responsabilità di molti altri decisori. La domanda che il film non fa è un'altra: perché così tante personalità di alto rango si sono fatte abbagliare da Ackermann e dalla sua banca? Quali colpe portano con sé? "Potrebbe essere un uomo molto affascinante", spiega Matthäus-Maier in un'intervista su Ackermann. Come motivazione della loro debolezza nel riconoscere la gravità della situazione tuttavia non è abbastanza. (...)

La conclusione dell'ex ministro delle Finanze federale Wolfgang Schäuble non poteva essere piu' chiara: "Se si guarda all'attuale situazione di Deutsche Bank, per dirla in maniera educata, non hanno ancora superato il guado. Ecco perché, se in passato fossero stati un po' piu' umili, avrebbero potuto evitare un po' dei  danni che invece sono stati fatti".

Per il futuro gli addetti ai lavori fanno delle brutte previsioni. Folkerts-Landau dice: "Sarei sorpreso se nei prossimi tre-cinque anni non ci fosse un'altra crisi molto grave". Già oggi vengono scambiati più derivati rispetto a quanto non accadeva prima della crisi finanziaria, come se l'intera industria fosse drogata dal denaro a basso costo.

Alla fine del film è chiaro che quando "il sistema" fallisce, sono le persone a fallire. E anche se molti nella corsa verso la crisi finanziaria pensavano e si comportavano come lui, Josef Ackermann resta uno dei principali responsabili. Non può sfuggire a questa colpa, anche se, come in questo caso, continua a rifiutare tutte le richieste di rilasciare un'intervista.


Il Video completo: Geheimakte Finanzkrise – Droht der nächste Jahrhundert-Crash? 


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lunedì 17 settembre 2018

Die Welt: il destino dell'Europa nelle mani del governo italiano

Die Welt affida al prof. Friedrich Heinemann un commento decisamente critico sulla situazione italiana. Per il professore di economia di Heidelberg il destino del patto di stabilità e soprattutto la credibilità delle istituzioni europee è nelle mani del governo italiano. Se la Commissione dovesse cedere, allora i "populisti" dilagherebbero in tutta Europa. I primi della Klasse salgono in cattedra. Da Die Welt


Negli ultimi giorni un sospiro di sollievo collettivo ha attraversato l'Europa. Il motivo sono state le dichiarazioni dei rappresentati del governo italiano secondo le quali l'Italia intende rispettare il limite del tre per cento previsto dal Patto di stabilità. In precedenza i ministri del governo avevano ripetutamente fatto sapere che il paese, con un rapporto debito/pil di oltre il 130%, in futuro avrebbe ignorato le norme sul debito. Ciò che viene trascurato, tuttavia, è il fatto che il patto di stabilità è molto più di un semplice limite del 3%. Per buone ragioni questo limite nel patto di stabilità riformato ha perso gran parte della sua importanza.

Oggi ci sono altri due "guardrail" progettati per garantire che i paesi altamente indebitati riducano il loro debito e che per farlo utilizzino gli anni buoni del ciclo economico. Il primo requisito importante è il livello di indebitamento, che dal Trattato di Maastricht in poi per i paesi della zona euro dovrebbe essere inferiore al 60% del PIL. Su questo punto il patto prescrive che i paesi con un debito più elevato debbano ridurre la distanza da questo limite di un ventesimo ogni anno.

L'Italia ormai da molti anni, in maniera alquanto sfacciata, non rispetta questo criterio. Il secondo limite riguarda il disavanzo corretto per gli effetti del ciclo economico (il "deficit strutturale"), che per l'Italia dovrebbe essere pari a zero. Anche qui, con un deficit strutturale di poco inferiore al due per cento, il paese resta attualmente ben al di sopra del valore consentito. In caso di tali infrazioni, il patto prevede l'obbligo di ridurre ogni anno il deficit di circa mezzo punto percentuale fino al raggiungimento dell'obiettivo.

In parole povere tutto ciò significa: il patto impone all'Italia di ridurre l'attuale deficit in passi misurabili fino al raggiungimento dello zero per cento nello spazio di qualche anno. Ciò è ancora piu' valido in quanto il paese si trova di nuovo in una situazione economica normale. In anni in cui la congiuntura economica è normale o addirittura buona, a ragione il patto richiede delle forti misure di austerità. Questo è l'unico modo per avere margini di deficit più alti nelle fasi di rallentamento economico.

La strategia di Salvini è politicamente intelligente

Anche prima della formazione del nuovo governo, la Commissione europea aveva richiamato l'attenzione sul fatto che l'Italia potrebbe mancare gli obiettivi previsti dal patto per il 2019. Questo avvertimento era evidentemente legato alla politica di bilancio del precedente governo. Anche se il nuovo governo intendesse implementare solo una piccola parte delle sue nuove idee in merito all'aumento della spesa e alla riduzione delle tasse, la situazione si aggraverebbe ulteriormente.

Nell'interpretazione delle regole bisognerebbe prendere in considerazione anche il fatto che il governo di Giuseppe Conte ha già ritirato alcune riforme del mercato del lavoro e che intende abolire le riforme pensionistiche introdotte dai suoi predecessori. Sono state proprio queste riforme a fornire alla Commissione argomenti per concedere al paese "circostanze attenuanti".

È in linea con la logica simmetrica del patto secondo la quale i limiti di deficit devono essere applicati in maniera più stringente se le riforme vengono ritirate. Puoi trasformare il patto oppure girarlo a tuo piacimento, ma un deficit piu' alto, inferiore solo di alcuni decimali rispetto al limite del 3%, non è in alcun modo conforme alle regole. Un deficit massimo dell'1,5% nel 2019 potrebbe essere accettabile, ma solo con un po' di buona volontà. E comunque il bilancio dovrà muoversi con una certa rapidità verso l'obiettivo del pareggio fra entrate e uscite.

Che i ministri italiani come Matteo Salvini preferiscano concentrarsi sul limite del tre per cento e non ne vogliano sapere di osservare standard più rigidi, è politicamente intelligente. E' un argomento che sposta il punto di riferimento. Prima il governo minaccia di superare il limite del tre per cento, subito dopo però rivende un deficit del 2,9 % come un "successo" e un "rispetto delle regole". È inoltre in linea con l'esperienza fatta in molti anni con il patto di stabilità, e cioè: gli Stati  della zona euro fanno una scelta selettiva. Nella comunicazione  infatti, spesso viene utilizzato il limite più facile da raggiungere. Piuttosto è sorprendente che i media e la politica siano acritici nei confronti di questa strategia che invece sta passando nel silenzio generale.

Si tratta del futuro del patto di stabilità

Il guardiano del patto di stabilità e crescita è la Commissione europea. E' necessario un rapido chiarimento sul tema. Jean-Claude Juncker e il commissario per gli affari monetari Pierre Moscovici devono mettere in  chiaro che l'Italia senza una ulteriore riduzione del deficit violerebbe il Patto. Non sappiamo tuttavia se la Commissione alla fine dell'era Juncker avrà questo coraggio.

A Bruxelles il timore è quello di un importante successo elettorale dei gruppi populisti alle elezioni europee del maggio 2019. Un argomento comune è che una procedura di infrazione sul deficit nei confronti dell'Italia potrebbe regalare ancora più voti a Lega e Cinque stelle. Un handicap del patto è ora molto chiaro: l'ufficio di controllo in seno alla commissione ha un'autorità politica che non ha la neutralità sufficiente per l'applicazione pertinente delle regole del gioco.

L'attuale disputa sul bilancio con l'Italia riguarda quindi il futuro del patto di stabilità. È sicuramente complesso, tuttavia offre un insieme ben equilibrato di regole con una certa flessibilità e un senso per la politiche economiche congiunturali. Se la Commissione dovesse cedere, allora la credibilità del patto riformato sarebbe irreparabilmente danneggiata. E il calcolo di voler contenere in questo modo i populisti non sarebbe affatto convincente. Se la Commissione dovesse piegarsi, dimostrerebbe che i in Europa i governi possono far valere la propria volontà con strategie di confronto populiste. Difficilmente si potrebbe immaginare una pubblicità migliore per la campagna elettorale dei populisti alle europee.

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