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lunedì 10 dicembre 2018

Lafontaine: l'elezione di AKK è il proseguimento del merkelismo con un altro volto

Oskar Lafontaine si rallegra per la mancata elezione di Friedrich Merz alla presidenza della CDU e avverte: l'elezione di Annegret Kramp-Karrenbauer rappresenta il proseguimento del merkelismo, con un altro volto. Oskar Lafontaine dal suo profilo FB.



È positivo che il lobbista degli squali finanziari, Friedrich Merz, non sia stato eletto. La sua "Agenda per le persone laboriose" non era un programma per i molti che lavorano nel settore a basso salario, nelle costruzioni, nei macelli, nella raccolta degli asparagi, nella pulizia degli esercizi commerciali, o nella consegna dei pacchi, da Amazon, ecc. Chi, come Merz, è contrario ad un salario minimo decente, sostiene Hartz IV e consiglia alle persone povere di fare previdenza sociale investendo in azioni, non conosce le preoccupazioni e le difficoltà di queste persone realmente laboriose.

Annegret Kramp-Karrenbauer rappresenta la continuazione della politica di Angela Merkel. La politica di Merkel viene considerata dal mainstream giornalistico come la "socialdemocratizzazione della CDU". E' evidente: i commentatori sono vittime della loro stessa propaganda, altrimenti non scriverebbero tali assurdità. In effetti, a parte la Linke, tutti i partiti negli ultimi anni sono diventati neoliberisti. La CDU ha perso la sua corrente sociale e la SPD per questa ragione sta morendo.



Fare politica socialdemocratica un tempo significava: costruire, non smantellare lo stato sociale


Mentre Schröder si inchinava davanti alle associazioni dei datori di lavoro e imponeva il "più grande smantellamento dello stato sociale del dopo guerra" (FAZ), la CDU di Merkel rafforzava ulteriormente le sue "leggi di riforma".

Fare politica socialdemocratica un tempo significava: buon vicinato in Europa

Il nazionalismo dell'export ampiamente presente in tutti i partiti, unito al Sacro Graal dello Zero Nero, divide l'Europa e ci porta ad una situazione in cui dopo la Brexit ora viene minacciata anche l'uscita dell'Italia dall'Unione Europea.

La politica socialdemocratica si basava sulla pace e il disarmo.

Il suo punto forte è stata la Ostpolitik di Willy Brandt. Merkel ha invece permesso che le truppe tedesche tornassero a ridosso del confine russo. Lei è il fedele vassallo dell'imperialismo americano, che circonda la Russia e la Cina, è uscito dal trattato ABM, vuole sospendere unilateralmente il trattato INF e con le guerre commerciali, le operazioni segrete delle sue forze speciali e le guerre a suon di bombe destabilizza tutto il mondo.

Il neoliberismo praticato da Merkel - "democrazia conforme al mercato" - distrugge la coesione della società, porta al rafforzamento di AFD e alla fine mina le basi della democrazia.



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mercoledì 5 dicembre 2018

Egemonia à l'allemande

Secondo un'analisi della prestigiosa Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) le responsabilità tedesche nella attuale crisi francese sarebbero molto chiare. Sono infatti le élite politiche ed economiche della Repubblica Federale che da anni tramite i volenterosi burocrati di Bruxelles fanno pressione per implementare anche in Francia un programma di riforme ispirato da Berlino. Ma il giovane Macron è in grande difficoltà, non solo sul fronte interno, ma anche sulla riforma della governance europea, dove ha disperatamente bisogno di portare a casa un risultato concreto in vista delle europee del prossimo anno. I tedeschi nel frattempo preferiscono temporeggiare. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy.




Solleciti da Berlino

Che le misure di riforma che il presidente francese Emmanuel Macron ha iniziato ad attuare sin dal suo insediamento, il 14 maggio 2017, e che ancora oggi continua a portare avanti, corrispondano in larga parte a quelle stesse riforme richieste dalla Germania, lo sottolineava già la scorsa primavera in un breve documento di analisi la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Macron nel settembre 2017 ha "approvato una riforma del mercato del lavoro che tra le altre cose riduce la tutela e rafforza gli accordi contrattuali aziendali e di settore" scriveva la DGAP. [1] Inoltre, "i contributi dei datori di lavoro sono stati ridotti ed è stato aumentato il contributo sociale generale (CSG)"; fatto che "fra i pensionati ha causato un certo malcontento". In seguito poi è stata affrontata "la riforma della società ferroviaria pubblica SNCF". Se fosse per Macron 'nessun elemento dello stato sociale francese dovrebbe restare intatto' si legge nell'analisi, sempre secondo il documento, il corso di "riforme interne" di Macron in Germania sarebbe particolarmente apprezzato dai liberali e dai conservatori: alla fine è stata proprio "la Germania a sollecitare l’attuazione delle riforme strutturali raccomandate dalla Commissione europea".



Elementi inseparabili

Il DGAP sottolinea che Macron ha iniziato il suo duro corso di riforme "à l'allemande" nella speranza che Berlino gli possa andare incontro sui temi della politica europea. Non da ultimo le sue misure erano finalizzate a presentare la Francia come un "partner affidabile" - "soprattutto in Germania" - "un paese che mantiene i suoi impegni e che quindi ha la legittima pretesa di aspirare alla leadership nell'UE", sostiene l'analisi della DGAP. [2] Tuttavia, come indicato dallo stesso piano di Macron, la riforma della governance "dell'UE dovrebbe contribuire al successo delle riforme interne". Perché il popolo francese "sarà disposto ad accettare ulteriori riforme solo se si convincerà che queste sono un bene per il futuro della Francia ..." - e che l'UE, che è ben nota per la sua insistenza su queste riforme, "non solo sostiene la liberalizzazione e l'indebolimento dello stato sociale ma è anche a favore della difesa e del miglioramento delle condizioni di vita". A tale riguardo, "le riforme interne e quelle della governance europea", che Macron persegue contemporaneamente, "dovranno essere considerate elementi inseparabili in cui il successo dell'una influenzerà anche l'altra". Che ora nonostante l'elevato "ritmo politico [...] delle riforme interne", nella politica europea non si muova nulla, "per il presidente francese ... si tratta di un problema serio".

Eurozona senza governo

Berlino intanto a livello europeo continua la sua politica di blocco nei confronti di Parigi, soprattutto in due ambiti di fondamentale importanza per Macron. Uno è la riforma della zona euro. Macron mira in linea di principio a standardizzare quanto piu' possibile un'area valutaria estremamente eterogenea, attraverso un determinato livello di redistribuzione. Ciò darebbe alle economie nazionali più deboli, specialmente quelle del sud dell'Eurozona, la possibilità di sperare in una ripresa. A beneficiarne sarebbero tuttavia anche i paesi del nord: una ripresa nel sud potrebbe aiutare a condurre la moneta unica in maniera duratura fuori dalla crisi. Macron spinge quindi per l'introduzione di un bilancio unitario, un ministro delle finanze dell'eurozonza e di altre misure analoghe, che in realtà Parigi chiede da sempre. Già nell'ottobre 2008 infatti il presidente Nicolas Sarkozy aveva chiesto di formare all'interno dell'Eurogruppo un "governo economico" per l’eurozona [3]. Il suo successore François Hollande aveva poi ripreso la stessa proposta nel luglio 2015. [4] Entrambi non vi sono riusciti a causa dell'opposizione di Berlino. Lo stesso ora vale per Macron. Il governo tedesco subito dopo il suo insediamento all'Eliseo lo aveva inizialmente tenuto in attesa con il pretesto della campagna elettorale federale; poi in seguito durante la lunga fase di formazione del governo la scusa era stata quella di uno spazio politico insufficiente per una riforma della zona euro. In questo modo Berlino è riuscita ad annacquare cosi' tanto i piani di Parigi che di fatto non è rimasto quasi nulla [6].



PESCO Versus IEI

Se la fiducia della popolazione francese nei confronti della riforma della zona euro, e quindi della possibilità di partecipare alla ridistribuzione delle risorse a favore del Sud, è venuta meno, allo stesso modo Berlino ha negato a Parigi anche un successo parziale su altri aspetti che Macron avrebbe potuto utilizzare per migliorare un po' la sua immagine tra i francesi. Si tratta della militarizzazione dell'UE. Vi è accordo tra i governi di entrambi i paesi sul fatto che l'UE dovrà avere una forza armata comune. Vi sono, tuttavia, controversie sull'ancoraggio istituzionale da dare alle truppe e sul calendario per la loro istituzione. Parigi ha fretta: per le missioni future, in particolare nella sua sfera di influenza africana, ha bisogno di ricevere il più rapidamente possibile sostegno e di non essere frenata da quei paesi che - come i paesi dell'Europa orientale - nel continente africano non hanno alcun interesse strategico. Macron pertanto sostiene con forza l'Iniziativa di Intervento Europeo (IEI), che dal punto di vista formale potrebbe operare in maniera del tutto indipendente e già ora sarebbe in grado di elaborare dei piani per eventuali missioni [7]. Berlino, invece, chiede con forza un ancoraggio "dell'esercito degli europei" all'interno della UE e un sistematico ricongiungimento delle truppe alle basi militari per avere a disposizione a lungo andare una forza militare per quanto possibile grande e potente. Lo strumento scelto è la PESCO. [8] Sebbene la Repubblica Federale partecipi all'IEI, iniziativa fondata da Parigi, Berlino in questo ambito agisce principalmente da freno e continua a negare a Macron quel successo in termini di immagine di cui tanto avrebbe bisogno.

Scaricato

Già ad aprile, la DGAP avvertiva che Berlino deve tener conto "del grande rischio a cui Macron sta andando incontro con il suo processo di cambiamento": "Le riforme impopolari devono essere legittimate ... tramite un rapido successo "; se questo venisse a mancare, Macron sarebbe in pericolo. [9] Non a caso il 10 maggio di quest'anno il presidente francese ha ricevuto il prestigioso premio Carlo Magno ad Aachen. Tuttavia il breve momento di splendore politico ottenuto con la cerimonia di premiazione non può essere considerato un ragionevole sostituto di un duraturo successo politico. La scorsa settimana la DGAP ha nuovamente avvertito: Macron ha disperatamente bisogno che "il successo nell'UE sia credibile per poter andare avanti con le sue riforme in Francia"; da ciò dipende - non da ultimo in considerazione delle prossime elezioni del Parlamento europeo - anche "la sua autorità come fonte di ispirazione e leader del campo pro-europeo" all’interno dell'Unione [10]. Berlino tuttavia non è disponibile a fare qualsiasi concessione. Per il suo profitto immediato, la potenza egemone dell'UE è pronta a mettere a repentaglio anche il benessere del suo alleato più stretto.





[1], [2] Claire Demesmay, Julie Hamann: Der gebremste Präsident. DGAPstandpunkt Nr. 11, April 2018.
[3] Berlin: Sarkozy könnte die EU spalten. faz.net 24.10.2018.
[4] Albrecht Meier: Unions-Fraktionsvize Friedrich erteilt Hollandes Vorschlag Abfuhr. tagesspiegel.de 20.07.2015.
[5] S. dazu Zuverlässig ausgebremst.
[6] S. dazu Das Eurozonen-Budget.
[7] S. dazu Die Koalition der Kriegswilligen und Die Koalition der Kriegswilligen (II).
[8] S. dazu Der Start der Militärunion und "Eine echte europäische Armee".
[9] Claire Demesmay, Julie Hamann: Der gebremste Präsident. DGAPstandpunkt Nr. 11, April 2018.
[10] Claire Demesmay: Macrons Kampfruf für den Progressivismus. Frankreich vor der Europawahl. DGAPstandpunkt Nr. 23, November 2018.

giovedì 29 novembre 2018

Die Welt: "il Migration Compact è un invito a tutti, un programma di immigrazione senza precedenti"

A scriverlo non è il solito foglio di estremisti dell'est ma la liberale e liberista Die Welt tramite la penna del direttore Stefan Aust il quale si è preso la briga di analizzare il testo del famoso Global Compact for Migration dell'ONU ed insieme al collega, il giornalista investigativo Helmar Büchel giunge ad una conclusione drastica: dopo il voto di approvazione del Bundestag la Cancelliera farebbe meglio a dimettersi per non dover assistere agli effetti dell'accordo. Ne parla Epoch Times



I giornalisti vicini ad AfD e gli altri critici del Migration Compact delle Nazioni Unite vengono continuamente accusati dai partiti politici tradizionali di diffondere inconsistenti teorie allarmiste e complottiste. 

Tuttavia anche il direttore di "Die Welt" Stefan Aust e il suo collega giornalista investigativo Helmar Büchel, dopo un'analisi approfondita del documento consigliano apertamente alla cancelliera Angela Merkel di ritirarsi dalla politica subito dopo l'entrata in vigore del controverso accordo:

"se la Cancelliera è intelligente, allora dovrebbe ritirarsi dalla politica attiva il prima possibile, così da non farsi trovare in carica quando ci sarà da gestire le conseguenze del Migration Compact".

Nonostante le rassicurazioni in merito alla natura non vincolante dell'accordo, i due professionisti dei media sostengono che dopo il

"flusso dei richiedenti asilo, arriverà presto un altro flusso, quello dei migranti per motivi economici ".

E non dovranno nemmeno aspettare troppo prima di vedere riconosciuto il loro status.

Aust e Büchel si riferiscono alle rassicurazioni fornite da Angela Merkel durante il congresso CDU di Essen nel dicembre 2016, secondo cui l'apertura delle frontiere nell'estate del 2015 in seguito ad una sua decisione unilaterale, sarebbe stata una "scelta irripetibile dettata da motivi umanitari", un'eccezione non valida per i cosiddetti migranti economici.

Il Migration Compact rende tutto cio' obsoleto, perché 

"di fatto estende i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati di guerra, a tutti coloro che, per ragioni economiche - comprensibili - lasciano i loro paesi d'origine e cercano fortuna nelle regioni ricche del mondo, specialmente in Europa"

L'Austria con le sue preoccupazioni ha ragione 

Anche gli autori dell'analisi, come del resto il governo federale austriaco, che ha  giustificato allo stesso modo la decisione di non firmare il patto, ritengono che il patto non crei una legge vincolante direttamente applicabile, ma la cosiddetta "legge soft" che ne emerge, tuttavia, svilupperà nel tempo la propria dinamica e i propri effetti. Le potenti ONG potrebbero utilizzarlo in futuro come metro di giudizio per valutare l’operato dei governi e gradualmente il testo potrebbe anche entrare nei corrispondenti procedimenti legali in materia di asilo e di respingimento.

Per quanto riguarda la "candida" rassicurazione fornita dal governo tedesco, secondo il quale l'accordo sarebbe "politicamente, ma non giuridicamente vincolante", Aust e Büchel hanno un messaggio chiaro: "alla fine potrebbe non esserci alcuna differenza". Alcuni membri della Fondazione Wissenschaft und Politik (SWP), il "think tank" vicino al governo federale, come ad esempio Steffen Angenendt e Nadine Biehler, avevano bollato la bozza dell'accordo nell'aprile del 2018 come "non sufficientemente ambiziosa".

A livello mondiale il numero dei rifugiati e dei migranti è in aumento, ed entrambi i gruppi finiscono sempre più per mescolarsi fra loro. Ciò rende molti governi incapaci o non disposti a rispettare i loro obblighi di protezione nei confronti dei rifugiati. "Crescono le divisioni e l'unilateralismo nazionale - con il risultato che la protezione globale dei rifugiati si sta erodendo", proseguono dalla SWP. La conseguenza in questa situazione per loro sembrerebbe essere solo una: immigrazione illimitata e diritti uguali per tutti. Di fatto "l'eccezione umanitaria" del 2015 si trasformerebbe in uno stato permanente.

Merkel, scrivono gli autori su "Die Welt", ha de facto sostituito l'articolo 16 della Costituzione tedesca, il quale intendeva limitare il diritto di asilo ai  perseguitati politici – con delle restrizioni peraltro per chi entra in Germania da paesi terzi:

"sebbene anche in passato nessuno fermava i richiedenti asilo che senza autorizzazione si dirigevano verso la Germania, Merkel di fatto ha concesso a questa immigrazione illegale di massa la  benedizione del governo".

Heusgen è stato premiato dall'ONU con un posto per la moglie

Il governo federale si vanta anche di aver guidato i lavori di preparazione del Migration Compact delle Nazioni Unite dal punto di vista del "contenuto politico, del personale e del finanziamento", con l’intento di sottolineare il "ruolo di regista internazionale in materia di asilo e migrazione" del governo di Berlino. Il riferimento fatto da "Die Welt" agli sforzi del rappresentante permanente della Germania presso le Nazioni Unite, Christoph Heusgen, per fornire anche a sua moglie una posizione ben pagata presso l'ONU - sforzo in cui alla fine ha avuto successo - chiarisce che l'atteggiamento moralmente buonista spesso ripaga anche sul piano personale.

Il Patto per i rifugiati (GCR) ha come obiettivo, secondo il governo federale, quello di una più equa suddivisione delle responsabilità internazionali nei grandi movimenti dei profughi, il Migration Compact (GCM), dovrebbe invece rappresentare la base giuridica per una gestione globale della migrazione, in maniera sicura e regolare. E la Germania, come viene sottolineato con un certo orgoglio, ha attivamente contribuito a modellare il progetto dei due patti con delle proposte sul contenuto di entrambi i documenti.

Anche in questo ambito ci si augura che "am deutschen wesen soll die welt genesen" (tutto il mondo dovrà imparare dai tedeschi) e alla fine anche gli altri stati potranno introdurre le stesse norme tedesche in materia di politiche migratorie - con una conseguente riduzione della pressione migratoria verso la Germania. Altri paesi, persino la Danimarca e la Svezia, che non la pensavano in questo modo, hanno rispedito una parte dei rifugiati verso la Germania.

A cio' si aggiunge il "Piano delle grandi autorità mondiali" - per molto tempo considerato una teoria complottista di destra - per così dire, "un piano dall'alto verso il basso", e cioè compensare attraverso le migrazioni il declino demografico, la contrazione della forza lavoro e l'invecchiamento generale della popolazione. Dal 1995 al 2050 solo la Germania avrebbe bisogno di un'immigrazione netta di 25,2 milioni di persone.

Il corrispondente studio è stato pubblicato nel 2000 dalla divisione delle Nazioni Unite che si occupa di popolazione, allora guidata da Antonio Guterres, oggi segretario generale dell'ONU, il quale considera il Migration Compact come una "opportunità senza precedenti per i responsabili politici," per affrontare "i miti dannosi nei confronti dei migranti e sviluppare una visione comune attraverso la quale la migrazione potrà funzionare per tutte le nostre nazioni ... "

Se tutta l'immigrazione diventa legale, non vi sarà piu’ alcuna immigrazione illegale

Il patto dovrebbe quindi servire anche ad educare la gente. La logica sottostante dell'ONU è quella secondo la quale il modo più efficace per combattere l'immigrazione clandestina è legalizzare tutti gli attraversamenti di confini.

Cosa dovremmo pensare delle rassicurazioni relative al patto per la migrazione, secondo le quali i singoli paesi anche in futuro potranno continuare a definire le loro politiche migratorie, lo chiariscono gli avvertimenti di Guterres. Egli considera infatti come "politiche controproducenti" tutte quelle politiche che intendono limitare l'immigrazione, aumentando la "vulnerabilità dei migranti".

Il patto stesso contiene anche formulazioni auliche, secondo Aust e Büchel, con molte frasi e riferimenti alti – in particolare quando il testo parla degli obiettivi su cui i membri delle Nazioni Unite si sono impegnati. Al contrario non vengono menzionati i possibili problemi e conflitti che potrebbero derivare dalla migrazione stessa: conflitti culturali e religiosi, diversità di valori, potenziali oneri a carico dei sistemi sociali o problemi di sicurezza interna.

Gli articoli del patto includono anche alcune ovvietà, come l'obbligo di salvare vite umane, la "gestione coordinata delle frontiere ", la lotta contro i trafficanti, o "il miglioramento della disponibilità e della flessibilità dei percorsi per la migrazione regolare", la "promozione del reclutamento etico e ragionevole dei lavoratori" o " il rafforzamento della certezza del diritto e della prevedibilità nelle procedure di migrazione".

Media controllati come prezzo per la governance globale

Agli stati nazione vengono inoltre date delle linee guida, come ad esempio quella di "usare la detenzione degli immigrati come extrema ratio" oppure quella di impegnarsi a "sradicare tutte le forme di discriminazione e promuovere un discorso pubblico basato su fatti dimostrabili per modellare la percezione della migrazione ".

Questo include ovviamente il controllo sui media:

Nel pieno rispetto della libertà di stampa "i media dovranno essere gestiti con l’obiettivo di sensibilizzare sui temi della migrazione", "investendo in standard di rendicontazione etica" oppure "cessando il finanziamento pubblico o il supporto materiale ai media che incentivano l'intolleranza sistematica, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione contro i migranti ".

Aust e Büchel si pronunciano in maniera molto chiara sugli obiettivi e gli obblighi definiti dal patto:

"I regolamenti descrivono essenzialmente un debito da parte del paese di destinazione, cioè quello di garantire ai migranti uno status che non differisce affatto da quello di un richiedente asilo riconosciuto o di un rifugiato di guerra. In molte parti del documento il testo dà l'impressione che la migrazione sia un diritto umano universale, elenca così tante regole di protezione e cosi' tanti impegni per il sostegno ai migranti regolari e illegali che gli stati di destinazione in pratica dovranno fornire, proteggere e intrattenere ogni persona che si presenta alle frontiere”.

I paesi di destinazione avranno quindi un debito: quello di rendere il più confortevole possibile l'immigrazione.

Quello che il governo federale austriaco vuole evitare e quello che, almeno secondo i sostenitori del patto, non ne è mai stato l'obiettivo esplicito, vale a dire istituire un "diritto umano alla migrazione" sarebbe, se non nell'intento, almeno il risultato dell'accordo. I diritti della popolazione del paese di arrivo non vengono presi in considerazione, i doveri degli immigrati non vengono mai menzionati. Il patto, secondo Aust e Büchel, è stato modellato sulle esigenze dei paesi di emigrazione africana.

I 2 giornalisti si aspettano pertanto che l'effetto del documento sarà almeno pari a quello della cultura del benvenuto dell'autunno 2015, compresi i selfie con la Cancelliera. Le ragioni principali delle pressioni migratorie, come i regimi corrotti, le lotte di potere, le guerre civili e i cambiamenti di regime, che raramente hanno portato a dei miglioramenti, restano ampiamente ignorati.

"Il patto si basa sull’uguaglianza e il livellamento dei costumi, delle abitudini, delle forme giuridiche, della comprensione della democrazia e delle forme di comportamento culturale e sociale fra i paesi ospitanti e quelli di origine dei migranti. Nella sua foga regolamentatrice, il documento nasconde la realtà della migrazione odierna e i suoi svantaggi "
.
il patto è

"un invito ai paesi di origine a risolvere i loro problemi interni come la disoccupazione, la carenza di alloggi, la violazione dei diritti umani, la crescita della popolazione, la corruzione, la mancanza di valuta estera e così via, esportando una parte della loro popolazione".

Nel patto, dove peraltro sfuma ogni distinzione tra rifugiati di guerra, perseguitati politici e migranti economici, la mania pianificatrice delle Nazioni Unite si unisce al pio desiderio di un mondo perfetto per i migranti. Gli interessi dei paesi di destinazione non hanno nessuna rilevanza.

"[...] non è menzionato nemmeno il numero totale di immigrati o di coloro che arrivano da determinate regioni oppure il livello di integrazione, le possibilità di formazione professionale, le opportunità di lavoro o la disponibilità di prestazioni sociali o di alloggi. È un programma di immigrazione senza precedenti e senza limiti, un invito a tutti. "

Merkel si erige un memoriale per l'eternità

Il paragrafo 1, comma 1, della legge tedesca sul diritto di soggiorno attualmente in vigore ha come obiettivo il "controllo e la limitazione dell'immigrazione di stranieri in Germania". In futuro tuttavia l’immigrazione non potrà piu' essere controllata o limitata, ma solo accettata e gestita. Ciò elimina efficacemente anche il controverso limite - già poroso - dei 200.000 richiedenti asilo all'anno concordato dalla Grande coalizione.

Nel patto, "legalmente non vincolante" ma "con una rilevanza politica", secondo le conclusioni di Aust e Büchel sarannno i paesi destinatari a farsi carico del fenomeno visto che nelle 32 pagine del Patto vi "si impegnano" per almeno 87 volte. Tutto ciò però dovrà anche essere controllato. I paesi firmatari del Patto dovranno quindi "sviluppare al più presto ambiziose strategie nazionali  per l'attuazione del Migration Compact". Ogni due anni, il Segretario generale delle Nazioni Unite dovrà riferire all'Assemblea generale, ogni quattro anni dovranno tenersi delle "discussioni globali" con la partecipazione di "tutti i soggetti interessati" per analizzare il livello di attuazione del patto.

Angela Merkel non si stanca di sottolineare che il controverso accordo è soprattutto "nell'interesse nazionale" della Germania. E in considerazione del ruolo di supporto garantito alla stesura del patto, l'auto proclamato studente modello in materia di democrazia, la Germania appunto, ha voluto segnare il territorio secondo il percorso già tracciato dall'ex presidente federale Joachim Gauck il quale aveva parlato della necessità di una "maggiore assunzione di responsabilità a livello internazionale da parte della Germania".

I critici, d'altra parte, sospettano che il Patto delle Nazioni Unite potrebbe essere un indimenticabile regalo d'addio lasciato dalla "Cancelliera del mondo" ad un paese con il quale sembra avere una relazione distante e ad una nazione a lei profondamente estranea.


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sabato 24 novembre 2018

Perché il bilancio dell'eurozona è un compromesso al ribasso che non serve a nessuno

Per German Foreign Policy l'accordo franco-tedesco sul bilancio dell'eurozona è un compromesso al ribasso, che servirà a poco, ammesso che prima o poi si materializzi, e che soprattutto conferma ancora una volta l'egemonia tedesca in Europa e il fallimento dell'offensiva di Macron. Un'analisi molto interessante di German Foreign Policy


Il fallimento di Macron

Il bilancio della zona euro, sul quale Germania e Francia la scorsa settimana dopo una lunga trattativa hanno trovato un accordo e che lunedi hanno presentato all'eurogruppo, è considerato dal presidente francese Macron come una delle questioni piu' importanti del suo mandato. Nel suo tanto apprezzato discorso tenuto alla Sorbona nel settembre 2017, Macron aveva chiesto l'introduzione di un ministro delle finanze dell'eurozona e di un bilancio dell'eurozona per contrastare le spinte centrifughe nella zona euro e ridurre gli squilibri socio-economici. Le risorse finanziarie che i paesi dell'eurozona avrebbero dovuto versare nel bilancio comune erano stimate da Macron in diversi punti percentuali di PIL; si parlava quindi di diverse centinaia di miliardi di euro. Berlino invece sin dall'inizio ha sempre cercato di diluire e ritardare questo vasto progetto di riforma. L'attuale proposta è molto meno ambiziosa, infatti, ed è limitata, come il ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire, ha ammesso, a circa lo 0,2 % del PIL della zona euro: dai 20 ai 25 miliardi di euro. [1] Si tratta di numeri molto vicini a quanto proposto dal commissario tedesco al bilancio Guenther Oettinger, il quale già a fine 2017, in risposta all'ambiziosa incursione di Macron, aveva parlato di riservare all'interno del bilancio UE al massimo 20 miliardi di euro per la ulteriore stabilizzazione dell'eurozona.

Finanziamento non chiaro

I dettagli resi noti in merito all'accordo, peraltro molto vaghi, mostrano anche che nella resa dei conti tenutasi dietro le quinte, Berlino ha largamente prevalso su Parigi. I numeri sulla dimensione del bilancio comune non sono ancora vincolanti e il modo in cui dovrà essere finanziato non è ancora chiaro. Il bilancio dell'eurozona dovrebbe inoltre essere integrato all'interno del bilancio ordinario dell'UE. Il compromesso franco-tedesco è pertanto ben lontano dalle idee originali di Macron. Per la parte tedesca era molto importante integrare il futuro bilancio della zona euro all'interno del bilancio UE in modo da garantire che questo "fosse coerente con le politiche generali dell'UE e con le regole di bilancio", è scritto nelle motivazioni. Ed è proprio sulla scia della crisi dell'euro che queste regole sono state modellate sulle esigenze di Berlino. [2] Un altro punto di controversia tra Parigi e Berlino è la tassa sul digitale fortemente voluta da Macron, con la quale si vorrebbe far passare dalla cassa le società Internet statunitensi. Secondo i piani francesi questa tassa dovrebbe aiutare a finanziare il bilancio dell'eurozona. Il governo tedesco tuttavia è alquanto scettico riguardo a questo progetto perché l'industria automobilistica tedesca, che negli Stati Uniti ha un grande mercato, è vulnerabile alle rappresaglie americane. Le case automobilistiche francesi, che hanno una limitata presenza negli Stati Uniti, non hanno molto da temere da eventuali dazi punitivi statunitensi.

Divisi dall'euro

Gli osservatori ritengono che questo progetto di bilancio dell'eurozona non meriti nemmeno questo nome [3]. È poco più di un "simbolo" della capacità di raggiungere un compromesso fra entrambi i paesi; il governo federale avrebbe "smontato" le idee di Macron. Inoltre, non è nemmeno chiaro, "se il successore di Angela Merkel" vorrà ancora sostenere il progetto. E' fondamentale il fatto che ancora una volta è stata mancata l'opportunità di correggere un "difetto di fabbricazione" dell'area euro. Di fatto a causa della scomparsa dei tassi di cambio e della politica monetaria unica della BCE, le differenze economiche tra i paesi dell'euro non possono essere adeguatamente tenute in considerazione e ciò ha portato ai noti squilibri interni all'eurozona, favorevoli alla Germania. Un bilancio complessivo per l'eurozona sarebbe stato il "modo piu' giusto" per garantire "che le divergenze nelle condizioni di vita all'interno dell'unione monetaria non continuassero ad ampliarsi", affermano i critici; l'attuale compromesso, imposto da Berlino, non lo fa e presenta addirittura un ulteriore punto di rottura decisivo, in quanto "promuove la divisione tra stati dell'euro e non-euro". Inoltre, l'integrazione del bilancio dell'eurozona all'interno del bilancio UE, imposta da Berlino, significa che a decidere saranno congiuntamente tutti gli Stati dell'UE. Non è del tutto chiaro perché gli stati che non fanno parte dell'eurozona dovrebbero essere d'accordo sul progetto. In pratica, Berlino ha fatto in modo che Parigi con il suo bilancio dell'Eurozona vada a scontrarsi anche con i paesi dell'UE al di fuori della zona euro.

"Nessuna funzione anticiclica"

Gli esperti finanziari si aspettano che l'ampio fallimento delle proposte di riforma francesi, che prevedevano una maggiore integrazione europea in risposta alla crisi dell'euro e alla crescita dell'estrema destra, nel medio periodo non aiuteranno a rimuovere le cause della fragilità dell'economia europea. In considerazione dell'imminente rallentamento economico è particolarmente "deplorevole" che la riforma dell'area monetaria sia così "modesta", si sostiene [4] . L'accordo tra il presidente francese Emmanuel Macron e la Cancelliera Angela Merkel non può soddisfare la "ambiziosa funzione anticiclica", per la quale servirebbero invece massicci programmi di investimento che contribuiscano a ridurre gli squilibri e a prevenire le recessioni economiche. Al contrario la Commissione europea continua a discutere con Roma in merito al deficit di bilancio italiano, senza un prevedibile compromesso che "fornisca lo spazio finanziario per fare le riforme strutturali". (...)


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1] Deutschland und Frankreich einig bei Eurozonen-Budget. faz.net 16.11.2018.

[2] Eric Bonse: Eurobudget wird abmoderiert. taz.de 19.11.2018.

[3] Alexander Mühlauer: Das Euro-Zonen-Budget hat seinen Namen nicht verdient. sueddeutsche.de 20.11.2018.

[4] Editorial Board: The eurozone recovery continues to falter. ft.com 21.11.2018.

[5] S. dazu Paradebranche in Gefahr.

[6] Editorial Board: The eurozone recovery continues to falter. ft.com 21.11.2018.



giovedì 15 novembre 2018

Il documento segreto del ministero degli interni: nel 2015 il governo tedesco avrebbe potuto chiudere i confini

Dal ministero degli interni spunta un documento segreto redatto all'epoca da funzionari di alto livello secondo il quale la chiusura delle frontiere nell'estate del 2015 sarebbe stata perfettamente legale, a differenza di quanto Merkel sin da allora ha sempre sostenuto.  Ne parlano RT Deutsch e Die Welt



Il governo tedesco ha sempre motivato la scelta di non aver voluto chiudere i confini prima dell'arrivo in massa dei rifugiati nell'autunno del 2015 adducendo presunte "preoccupazioni legali". Ora invece si viene a sapere: in un documento segreto alti funzionari ministeriali dichiaravano il contrario.

Le frontiere tedesche nell'autunno 2015 potevano essere chiuse senza alcuna preoccupazione di carattare legale. Lo riporta la "Welt am Sonntag" sulla base di un documento segreto del Ministero degli Interni in suo possesso. Il documento includeva un piano elaborato dagli alti funzionari del ministero per chiudere i confini durante l’ondata migratoria innescatasi nel settembre 2015.

Nel documento dal titolo "Possibilità di respingere coloro che cercano protezione alle frontiere tedesche", i funzionari discutevano le modalità per chiudere i confini e impedire ai rifugiati di attraversare il confine fra Austria e Germania. In alcuni atti non destinati alla pubblicazione i funzionari ministeriali erano arrivati alla conclusione: il respingimento sarebbe stato possibile e perfettamente legale.

A partire dal 2015 il governo tedesco ha sempre parlato di "preoccupazioni legali" come elemento cruciale per motivare la sua decisione di mantenere i confini aperti ai rifugiati. La rivelazione della WamS dimostra che si è trattato piuttosto di una decisione puramente politica. Ciò dovrebbe rendere ancora più difficile lo sforzo dell'Unione di lasciarsi definitivamente alle spalle la questione dei rifugiati. Ancora in ottobre, prima di dare l'annuncio del suo ritiro dalla corsa per la segreteria del partito, Merkel durante il congresso CDU della Turingia aveva detto:

"Se vogliamo passare il resto del decennio ad occuparci di cosa è accaduto nel 2015 e di come sono andate le cose, e a sprecare il tempo in questo modo, allora finiremo per non essere piu’ un partito di massa".


La pubblicazione del documento del Ministero dell'Interno spinge almeno una parte dell'opposizione a rianalizzare gli eventi del 2015. Il leader della FDP Christian Lindner chiede "un chiarimento complessivo sul tema":

"Le rivelazioni gettano una luce abbagliante sulle pratiche di governo della signora Merkel. Le questioni centrali per il paese vengono dibattute in circoli chiusi e oscuri. La decisione relativa alla necessità da parte del nostro paese di accogliere rifugiati al di là di quanto previsto dal quadro normativo, tuttavia, doveva essere discussa in pubblico e in parlamento."

Anche Oskar Lafontaine valuta l'argomento in maniera simile a Lindner. Il leader della Linke nel parlamento della Saar ha detto che è necessario discutere quanto accaduto nel 2015:

"Né il Bundestag né gli stati federali, né i vicini europei furono adeguatamente coinvolti in quelle decisioni. Fino ad oggi è mancata la necessaria trasparenza, che è il prerequisito indispensabile per una decisione democratica".



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sabato 29 settembre 2018

La favola del paese ricco

Siccome alle favole non crede piu' nessuno è arrivato il momento di smontare la narrazione Merkeliana del paese ricco e felice e cercare di capire qual'è la vera eredità dei 13 anni di dominio incontrastato della Cancelliera. Ci prova Daniel Stelter, brillante economista e commentatore, che dal suo blog e nel suo nuovo libro ci spiega perché dietro di sé Merkel lascia molte macerie e un paese messo peggio di quanto potrebbe sembrare. Da Beyond the Obvious un ottimo Daniel Stelter


Congratulazioni Ralph Brinkhaus. Finalmente abbiamo la speranza che il dramma di questa Cancelleria e di questo governo possano finire presto.

In Germania abbiamo bisogno di un cambiamento. Lontano dalla politica degli ultimi dodici anni, che non solo ha danneggiato in maniera massiccia la democrazia, ma ha anche distrutto la nostra ricchezza in una dimensione che si muove nell'ordine dei trilioni di euro. (...)

E dietro tutto ciò c'è la donna che con l'unico obiettivo di preservare il proprio potere ha fatto a meno di qualsiasi principio, e invece di cercare una soluzione duratura ai problemi, talvolta dolorosa, ha sempre cercato di occultarli e nasconderli ricorrendo a scorciatoie di breve periodo. Sì, non è la sola ad esserne responsabile. E' stato possibile anche grazie a noi elettori che piu' volte abbiamo appoggiato e votato una politica che ha messo i consumi davanti agli investimenti. Ma la politica della signora Merkel per troppo tempo ha impedito una vera discussione anche all'interno del suo stesso partito e in questo modo ha danneggiato non solo l'Unione, ma l'intero paese.

L'elenco delle colpe è lungo:

Riforme: mentre pretendiamo a gran voce che gli altri paesi facciano le riforme, la Germania si trova nella parte bassa della classifica OCSE. Anche  Francia e Italia ne hanno fatte piu' di noi. Dopo il cambio di governo di tredici anni fa, la politica è rimasta ferma alle riforme fatte dal governo Schröder.

Debito pubblico: ci piace celebrare lo „Schwarze Null“, ma se volessimo fare un calcolo veramente corretto del debito pubblico, scivoleremmo sempre piu' in basso. Tenendo conto dei costi futuri dovuti all'invecchiamento della società, avremmo un debito pubblico significativamente piu' alto rispetto alla tanto rimproverata Italia.

Pensioni: mentre paesi come l'Italia negli ultimi anni hanno riformato i loro sistemi pensionistici in modo da ridurre gli oneri futuri, il nostro governo, accecato dalla attuale buona congiuntura, ha ulteriormente aumentato il peso dei contributi. Parole chiave: pensione a 63 anni, pensione per le mamme etc.

Infrastrutture: mentre un paese come la Francia continua ad investire in infrastrutture pubbliche, noi abbiamo lasciato che le nostre andassero in rovina. Nell'ultimo decennio gli investimenti sono stati inferiori rispetto al minimo necessario per il mantenimento delle infrastrutture. Il governo giustifica il collo di bottiglia negli investimenti con la mancanza di capacità di pianificazione. Tuttavia, queste strutture sono state smantellate proprio a causa di questa stessa politica.

Schwarze Null: mentre il governo rivende lo "schwarze Null“ come un proprio successo, in realtà dovremmo ringraziare la politica della BCE. Negli ultimi anni solo lo stato tedesco ha risparmiato 240 miliardi di euro di interessi. Non è davvero una grande impresa politica quella di presentare un bilancio in pareggio.

Eurocrisi: mentre la politica criticava a gran voce la BCE per la sua politica monetaria - anche se lo stato tedesco era fra i principali beneficiari di questa politica - ci piace rimuovere dalla nostra mente il fatto che è stata proprio la politica fallimentare dello stare fermi a guardare la crisi che in primo luogo ha reso necessarie le misure della BCE. Fino ad oggi la politica tedesca si è rifiutata di riconoscere che l'euro è una costruzione totalmente sbagliata, che ha portato ad un enorme aumento del debito pubblico e privato nei paesi attualmente in crisi. Per risolvere la situazione è necessaria una pulizia dall'eccesso di debito, in maniera diretta attraverso un taglio del debito, e indirettamente attraverso una ricapitalizzazione del sistema bancario ancora insolvente. Inoltre, i paesi in crisi non sono riusciti a colmare il divario competitivo con la Germania. Ciò significa o un'unione di trasferimento permanente senza la speranza di un miglioramento o, più realisticamente, la fine della zona euro. Solo una cosa a lungo termine non puo' funzionare: stare fermi a guardare.

Economia dell'export: anche se crediamo di essere i "principali beneficiari dell'euro", in realtà siamo fra i perdenti della moneta unica. In primo luogo l'introduzione dell'euro all'inizio del millennio a un tasso di cambio eccessivo sul Marco ha favorito la recessione, forzando una successiva svalutazione interna tramite la moderazione salariale. Dopodiché l'euro è diventato sempre più un programma di sussidi a carico di tutti i cittadini del nostro paese a favore dell'industria dell'export, dei suoi azionisti e dei dipendenti. Cosa che andrebbe anche bene se nei confronti dei paesi esteri stessimo accumulando dei crediti esigibili. Ma non è così, ed è per questo che dal punto di vista economico sarebbe lo stessa cosa se le nostre auto le regalassimo.

Garante e finanziatore: mentre crediamo di essere quelli che in Europa dettano la linea, ogni giorno che passa in realtà siamo sempre più ricattabili. I crediti TARGET2 della Bundesbank hanno raggiunto un altro record. Stiamo finanziando la continua fuga di capitali dai paesi in crisi. Ogni cittadino in pratica ha concesso più di 10.000 euro a titolo di prestito senza interessi, senza rimborso e senza alcuna garanzia. Se un paese dovesse uscire dalla zona euro, secondo la BCE questi crediti dovrebbero essere rimborsati. In realtà cio' non accadrà mai. Al piu' tardi nel 2019 l'Italia potrebbe minacciare sia un'insolvenza su tali crediti che l'uscita dalla zona euro e quindi ricattare con successo la politica tedesca, fino ad ora basata sull'immobilismo e sulla rimozione dei problemi, al fine di assicurarsi un trasferimento permanente. Nel frattempo anche Macron vuole i nostri soldi. In sostanza, anche se nascosto dietro molti concetti astratti ("bilancio della zona euro", "ministro europeo delle finanze", "Fondo monetario europeo"), si tratta solo di fare strada a un modo per redistribuire un po' piu' di denaro (a spese della Germania) e soprattutto per fare nuovo debito.

Istruzione: mentre in Asia sta crescendo una nuova élite ben istruita, gli studenti della grande nazione esportatrice altamente dipendente dall'high tech continuano a peggiorare proprio nell'istruzione. Non solo non si è ancora riusciti a stabilire un sistema scolastico uniforme a livello nazionale. Ancora peggio, perché secondo gli standard internazionali il livello scolastico nella migliore delle ipotesi è mediocre. Alcune eccezioni come la Baviera e la Sassonia e il leggero miglioramento dei risultati nei test PISA non dovrebbero illuderci. Il confronto internazionale si basa soprattutto sui risultati raggiunti nelle materie matematiche e scientifiche. Queste materie e i programmi di laurea basati su di esse determinano in ultima analisi le prestazioni tecnologiche di un paese. Al vertice ci sono i paesi asiatici come Singapore e la Cina. Anche in Svizzera, la percentuale dei top performer in matematica è di 43 ogni 1.000 studenti, in Germania invece solo 26. Se la politica chiede che "l'istruzione non costi nulla, ma solo lo sforzo", mostra un atteggiamento particolarmente cinico. 

Controllo dell'immigrazione: mentre altri paesi cercano di indirizzare l'immigrazione a vantaggio della propria economia, noi ci rifiutiamo di farlo. L'Australia e il Canada sono i più coerenti nella selezione degli immigrati sulla base della qualifica ed hanno quindi i migliori risultati nell'integrazione. La Germania, invece si basa sul principio del "chi riesce ad arrivare da noi, puo' anche rimanere", che unito ad uno stato sociale molto generoso rappresenta un incentivo perverso ad intraprendere un viaggio pericoloso. Le frontiere aperte e lo stato sociale - come sapeva già il premio Nobel Milton Friedman - non sono fra loro compatibili. Una legge sull'immigrazione giusta sarebbe una legge sul modello canadese associata a un rigoroso rimpatrio di coloro che non hanno diritto all'asilo.

Finanziamento dell'immigrazione: mentre altri paesi come ad esempio la Svizzera traggono dei vantaggi enormi dall'immigrazione economica, il tipo di immigrazione che arriva da noi causa una duratura pressione finanziaria sulla spesa sociale. In Germania l'aumento generale della povertà degli ultimi dieci anni può essere attribuito in buona parte ai cambiamenti nella struttura della popolazione. I migranti provenienti dai paesi extra-UE guadagnano molto meno e hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro inferiore rispetto alla popolazione senza un background migratorio e sono quindi chiaramente anche a rischio povertà. Se oggi avessimo la stessa proporzione di migranti di dieci anni fa, il rischio povertà in relazione alla popolazione totale sarebbe rimasto invariato.

Emigrazione dalla Germania: mentre si continua a parlare di immigrazione, ignoriamo che ogni anno circa 140.000 tedeschi lasciano il nostro paese e tendenzialmente si tratta di persone ben istruite e altamente produttive. Sono sempre meno coloro che devono farsi carico di sorreggere il peso della società. Sono sempre di meno i lavoratori che devono pagare per gli assegni scoperti dovuti all'invecchiamento della società e per un'immigrazione economicamente sbagliata. È quindi probabile che l'emigrazione anche nei prossimi anni continui ad aumentare indebolendo ulteriormente la posizione economica della Germania

Automazione: mentre alcuni paesi come il Giappone per poter gestire il cambiamento demografico sono impegnati nello sviluppo dell'automazione, da noi domina la paura. Non c'è modo migliore di rispondere al cambiamento demografico che farlo con lo sviluppo dell'automazione. I robot sono un'opportunità, non sono un rischio, perché non portano via il lavoro, ma sostituiscono i lavoratori che vanno in pensione. L'immigrazione - e in particolare il tipo di immigrazione praticato nel nostro paese - non colmerà questa lacuna. Chi oggi si affida all'automazione e alla digitalizzazione può occupare una posizione di forza nei mercati importanti del futuro. Il Giappone lo fa.

Politica industriale: mentre altri paesi fanno affidamento sui punti di forza della propria industria, noi invece continuiamo a danneggiare la nostra. Prima abbiamo spinto la nostra industria automobilistica verso la tecnologia diesel, soprattutto in considerazione dei cambiamenti climatici, poi in una indicibile collaborazione tra governo e produttori abbiamo abbellito i valori sulle emissioni, per poi infine attaccare l'industria che più di ogni altra è la colonna portante della nostra prosperità. Impensabile che ciò possa accadere in altri paesi. Dopo la politica energetica affrettata (le stime dei costi  anche qui sono nell'ordine dei 1.000 miliardi di euro) siamo ora minacciati da un cambiamento altrettanto precipitoso nella politica dei trasporti che aumenterebbe ancora il danno. Ciò è sintomatico della politica degli ultimi anni, una politica determinata dalle emozioni degli elettori che non è stata affatto "saggia, prudente e decisa", come invece ripete la CDU.

Digitalizzazione: mentre altri paesi investono nella digitalizzazione dell'economia, la politica tedesca promette - come nella campagna elettorale del 2013 - un vasto programma di digitalizzazione, senza peraltro averlo mai avviato. Nel frattempo nel confronto internazionale siamo passati dal 15 ° al 17 ° posto. Per l'accesso alla banda larga siamo alla posizione 28 su un totale di 32 paesi. Nel ministero competente ci si concentra piu' che altro sull'introduzione di un pedaggio autostradale, facendo affidamento magari su una tecnologia arretrata (vignetta), invece di una soluzione piu' moderna basata sulle App.

Queste sono le conseguenze di una politica tedesca che ha troppa fiducia in se stessa. Invece di riconoscere le conseguenze dei fallimenti e agire coerentemente, i nostri politici continuano a sproloquiare facendo riferimento a una "Germania ricca" senza nemmeno pensare per un solo secondo al fatto che le famiglie tedesche sono fra le più povere dell'Eurozona.

Tutti sanno che l'era della signora Merkel sta per finire. Tuttavia le sue dimissioni - come nella scena della morte all'opera - potrebbero prolungarsi ancora per mesi. Mesi in cui il paese continuerà ad andare incontro a dei seri problemi economici. Quindi il senso è solo uno: politici, fate finire il periodo di Merkel il prima possibile. Non si tratta delle persone, ma del paese. Abbiamo bisogno anche di una nuova politica. Una politica che garantisca il benessere e aumenti la ricchezza invece di sperperarla.

Ora vedremo se ci sono ancora dei politici che pensano davvero al benessere del paese.

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mercoledì 26 settembre 2018

Il tramonto di Merkel: c'è vita oltre la Groko

Con l'elezione del nuovo capogruppo dell'Unione al Bundestag Ralph Brinkhaus, la Cancelliera perde il controllo sul gruppo parlamentare e con questo strappo la maggioranza dei deputati della CDU/CSU segnala la volontà di andare oltre il merkelismo, ritenuto ormai da molti un'assicurazione sulla vita per AfD. Fino a quando Merkel e la Große Koalition restano al potere, Gauland & co. continueranno a guadagnare voti, molti deputati pertanto preferiscono preparare il terreno per la successione alla Cancelleria. Il nuovo capo-gruppo parlamentare dell'Unione è un politico molto critico nei confronti degli eurosalvataggi e decisamente contrario all'unione di trasferimento. Un commento di Sebastian Fischer su Der Spiegel


L'erosione del potere politico diventa evidente quando i leader perdono il fiuto e la capacità di sostituire i loro seguaci. Anche la perdita di autorità è strisciante. Perdita di fiducia, delusione, e rabbia continuano ad accumularsi per un po' di tempo, fino a quando poi tutto si rompe. 


Alla Cancelliera è già capitato due volte negli ultimi cinque giorni. Ed è notevole. 



La sconfitta del suo uomo di fiducia Volker Kauder nel voto per la presidenza del gruppo parlamentare dell'Unione di martedì ha colpito Angela Merkel trovandola completamente impreparata. Alla contro-candidatura di Ralph Brinkhaus, a malapena conosciuto oltre i confini dei gruppi politici, aveva reagito senza comprendere quello che stava accadendo. 



Solo pochi giorni prima, l'intenzione di rimuovere il capo del Verfassungsschutz Maaßen aveva scatenato un'ondata di sdegno nei partiti di governo. Merkel lo aveva completamente sottovalutato, e in seguito ha dovuto ammettere il suo errore. 

Per due volte un grande errore di valutazione. Due prove della perdita di autorità e controllo da parte di una Cancelliera un tempo cosi' potente 

Dopo il caos delle ultime settimane la rielezione di Kauder avrebbe almeno stabilizzato la situazione, la sua caduta invece ora causerà il contrario e tutti nel gruppo dell'Unione mentre davano il loro voto lo sapevano bene. 

In questi giorni inizia l'addio al potere di Merkel. Che cosa resta della ex Grande Coalizione? 

Con il venire meno del controllo sul gruppo parlamentare dell'Unione, Angela Merkel ha perso lo strumento di dominio più affidabile per un Cancelliere della CDU. Al suo fianco governa un partner di coalizione esasperato, una SPD che vorrebbe uscire dalla coalizione il prima possibile. E la CSU? Da 3 anni continua a minare l'autorità di Merkel, in tutti i modi possibili. 

C'è vita oltre la GroKo 

La perdita del centro di potere del gruppo parlamentare è davvero pesante. In verità Brinkhaus non è un anti-Merkeliano, è piuttosto un esperto economico e finanziario dai toni alquanto pacati, molto critico sul tema della riforma dell'eurozona. Subito dopo la sua elezione ha voluto chiarire: "il gruppo parlamentare è saldamente con Angela Merkel", tra il gruppo e la Cancelliera "non c’è la distanza nemmeno per far passare un foglio di carta". 

Il tempo di cui tali affermazioni in politica hanno bisogno per essere smentite è cosa nota. E anche se lo stesse dicendo in maniera sincera: l'elezione di Brinkhaus, contro la volontà della Cancelliera, rispecchia la nuova sovranità dei parlamentari dell'Unione e l'allontanamento dalla Cancelleria. 

In maniera simile al modo in cui la SPD la scorsa settimana sorprendentemente ha voluto mostrare la propria indipendenza dal suo segretario Andrea Nahles, ora a farlo è la maggioranza dei parlamentari dell'Unione. I gruppi parlamentari della SPD e della CDU/CSU in questo modo stanno anche segnalando la loro volontà di sopravvivere. C'è vita oltre la GroKo. Sì, c'è la democrazia all'interno del partito. 

E mentre Merkel per 13 anni ha potuto fare totale affidamento sul suo uomo di fiducia Kauder, ora su ogni provvedimento dovrà lottare per avere la propria maggioranza. Sembra quasi un governo di minoranza. 

A cio' si aggiunge l'aspetto simbolico: ironicamente è proprio il gruppo parlamentare dell'Unione ad abbandonare Merkel - probabilmente l'ultimo bastione rimasto della vecchia stabilità della Germania dell'ovest, dopo la fine del D-Mark tedesco. Passé. Altri cancellieri piu' impetuosi di Merkel probabilmente in una situazione simile avrebbero staccato la spina. 

Ma dopo la sconfitta Merkel si è presentata davanti alle telecamere da sola, con consapeolezza, senza Brinkhaus al suo fianco, e ha detto: questa è stata "l'ora della democrazia" e in democrazia ci sono "anche delle sconfitte". Poi se ne è andata 

In effetti, talvolta le sconfitte portano alla perdita del potere.
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