mercoledì 11 settembre 2013

Le leggi Hartz, la svalutazione interna e il boom dell'export: ovvero, quando una diagnosi sbagliata diventa l'opinione dominante

Che ruolo hanno avuto le leggi Hartz nella svalutazione interna degli ultimi 15 anni? Risponde Gerhard Bosch, direttore dell'Institut Arbeit und Qualifikation dell'Università di Duisburg. La lunga fase di moderazione salariale è il risultato di un'analisi sbagliata, diventata poi opinione dominante. Da NachDenkSeiten.de, rivista on-line di analisi politica ed economica.


Quando una diagnosi sbagliata diventa l'opinione dominante

La Germania sin dagli anni '50, anno dopo anno e con pochissime eccezioni, ha registrato degli avanzi commerciali con l'estero. Prima dell'introduzione dell'Euro, gli squilibri commerciali venivano regolarmente corretti con la rivalutazione del Marco. Ma la moneta unica corrisponde, di fatto, all'impossibilità di utilizzare l'aggiustamento dei tassi di cambio come misura correttiva. L'industria dell'export tedesca in questo modo trae profitto dalla mancanza di una pressione verso una rivalutazione dell'Euro, conseguenza del consistente numero di paesi Euro in disavanzo con l'estero.

Protetta all'interno dell'Eurozona da ogni forma di rivalutazione, la posizione competitiva tedesca è migliorata ulteriormente a partire dalla seconda metà degli anni '90. E stato il risultato di una crescita salariale inferiore a quella media dell'Eurozona, equivalente ad una svalutazione interna. Cio' ha portato ad un aumento dell'avanzo con l'estero, nel 2012 pari al 6.5 % del PIL tedesco. In altre parole, in un periodo di 3 anni, la Germania deve reinvestire circa il 20% del proprio PIL all'estero. I surplus tedeschi sono lo specchio dei deficit negli altri paesi dell'Eurozona. E l'economia tedesca, per le dimensioni e l'importanza delle sue relazioni commerciali con l'estero, ha un ruolo unico all'interno dell'Europa. L'apertura dell'economia (export + import come percentuale del PIL) in Germania, Francia, Spagna e Italia nel 1995 era di circa il 50%. Ma nel 2008 il dato tedesco raggiunge il 90%, mentre negli altri paesi si ferma al 60%.


Uno dei paradossi nel dibattito economico tedesco è che le carenze piu' gravi sono percepite proprio in quelle aree in cui la Germania è particolarmente forte, mentre il rafforzamento della domanda interna è scomparso dall'agenda politica. Da 20 anni ormai la politica economica tedesca si  concentra unicamente sull'export e sul miglioramento della competitività. La potente ed influente associazione degli imprenditori è dominata dai rappresentanti dell'industria manifatturiera, il cui obiettivo è incrementare le quote di mercato tenendo bassi i salari. Una campagna mediatica su larga scala centrata sulla "Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft" (Nuova economia sociale di mercato) - finanziata sin dal 2000 dall'organizzazione dei datori di lavoro nella meccanica ed elettronica - ha diffuso con successo l'immagine di una Germania che soffre per un elevato costo del lavoro, e per un mercato eccessivamente regolamentato, e che di conseguenza non è competitiva.

La lista di coloro che hanno abbracciato questa visione comprende anche il primo governo rosso-verde. Le leggi Hartz del 2004 avevano infatti l'obiettivo di introdurre in Germania un settore a basso salario. Riducendo i sussidi di disoccupazione per i disoccupati di lungo periodo e ridefinendone i criteri di accesso, le leggi Hartz di fatto hanno aumentato la pressione sui disoccupati spingendoli ad accettare lavori con un salario inferiore del 30% rispetto alla media della zona. La deregolamentazione delle agenzie temporanee e i cosiddetti mini-job hanno permesso di sostituire i lavoratori dipendenti a tempo pieno mediante nuove assunzioni precarie. Nel caso delle agenzie interinali, ai contratti sono stati eliminati i vincoli temporali, e grazie ai nuovi accordi contrattuali i datori di lavoro hanno potuto eludere il principio dell'eguaglianza di trattamento economico fra interinali e dipendenti. Quanto ai mini-job, la soglia minima di reddito è stata aumentata, e ora i mini-job possono essere considerati un secondo lavoro, inoltre, il limite massimo di ore settimanali è stato aumentato, consentendo una riduzione del costo del lavoro. L'accettabilità politica di questi provvedimenti si basava sull'assunto secondo cui i lavoratori poco qualificati e a bassa produttività si sarebbero avvantaggiati dall'ampliamento del settore a basso salario. 

Il settore a basso salario in Germania

Sin dalla fine degli anni '90 i salari tedeschi sono cresciuti piu' lentamente rispetto al resto dell'unione monetaria. La ragione principale è stata la rapida espansione del settore a basso salario, già in corso prima delle riforme Hartz. La quota di lavoratori con un basso salario (meno di 2/3 del salario mediano orario) è passata dal 17.7% nel 1995 al 23.1% nel 2010, passando dai 5.6 milioni del 1995 ai 7.9 milioni del 2010. Una particolarità del settore a basso salario tedesco è la sua dispersione verso il basso, dato che non sono previsti minimi salariali. Nel 2010, 6.8 milioni di tedeschi erano pagati meno di 8.5 € lordi, vale a dire il minimo salariale richiesto dalla federazione dei sindacati tedeschi, mentre 2.5 milioni guadagnavano meno di 6.00 € lordi l'ora.

La maggior parte della crescita in termini assoluti è stata nella Germania dell'ovest, in aree tradizionalmente protette da un'elevata adesione ai contratti collettivi. L'esame della distribuzione dell'evoluzione dei salari adeguati all'inflazione mostra come fin dal 1995 la concentrazione al centro tende a sgretolarsi, mentre molte attività in precedenza ben retribuite si muovono verso il basso. Il lavoro a basso salario non è distribuito ugualmente fra tutti i lavoratori dipendenti: nel 2010 ad essere particolarmente colpiti dai bassi salari erano i giovani sotto i 25 anni (50.8%), i lavoratori con contratto a tempo determinato (45.7%), chi è senza una formazione professionale (39.3%), le donne (30.0%), gli stranieri (31.9%). Nel 2010 il 30% di tutte le donne occupate riceveva un basso salario, ma rappresentavano quasi i due terzi di tutti i lavoratori a basso salario. Un'altra particolarità del settore a basso salario tedesco, rispetto a quello americano, è la bassa quota di lavoratori senza una qualifica professionale: circa l'80%  ha una formazione professionale o un'istruzione superiore. L'obiettivo che le riforme Hartz si ponevano, migliorare le opportunità di impiego per i lavoratori con basse competenze, non è stato raggiunto. 

Fattori che hanno causato l'espansione del settore a basso salario.

L'espansione del settore a basso salario è iniziata 10 anni prima delle riforme Hartz. La causa è stata la diversa politica dei datori di lavoro: da un lato i datori di lavoro hanno approfittato degli alti tassi di disoccupazione per uscire  dalle associazioni datoriali e non essere quindi piu' vincolati dai contratti collettivi. Dall'altro la liberalizzazione di molti servizi pubblici (poste, ferrovie, trasporto locale) ha portato sul mercato molti fornitori privati, non vincolati dai contratti collettivi, che hanno iniziato a fare concorrenza con pratiche di dumping salariale. 

Le riforme Hartz non sono state la causa di questo processo, ma hanno impedito una riduzione del numero di lavoratori a basso salario a partire dalla fase di ripresa del 2005. Le due forme di lavoro deregolamentate, interinale e mini-jobs, nel frattempo sono diventate sempre piu' diffuse: i lavoratori interinali sono cresciuti dai 300.000 del 2003 fino ai 900.000 del 2011,  nello stesso periodo il numero di persone impiegate con un mini-job è cresciuto da 5.5 milioni fino a 7.5 milioni. Fra gli occupati con un mini-job, la quota di lavoratori a basso salario nel 2010 era dell'86%, fra gli interinali era pari a due terzi. La quota elevata di lavoratori a basso salario fra i minijobber puo' essere spiegata dal fatto che in generale, chi lavora con questi contratti, contrariamente a quanto previsto dalla direttiva europea sull'uguaglianza di trattamento economico dei lavoratori a tempo determinato, viene pagato meno rispetto agli altri part-timer. Per i lavoratori interinali, invece, il principio della parità di retribuzione previsto dalla direttiva europea sul lavoro temporaneo, è stato abrogato dagli accordi collettivi, equiparabili a dumping salariale, sottoscritti dal Sindacato Cristiano, vicino alle imprese e praticamente senza iscritti.

Si pensava che la diffusione del lavoro a basso salario potesse rendere piu' facile l'ingresso nel mercato del lavoro ai disoccupati, ed accrescere le possibilità di impiego dei lavoratori meno qualificati. Alle metà degli anni '90, l'OCSE ancora lodava il mercato del lavoro tedesco per le buone opportunità di avanzamento che offriva ai lavoratori con basso salario. Analisi piu' recenti mostrano invece come il lavoro a basso salario sia sempre piu' una trappola. Kalina (2012) mostra come le possibilità di avanzamanto, nel periodo fra il 1975-76 e il 2005-06, siano scese. Mosthaf et al. (2011) mostrano come ogni sette lavoratori a basso salario nel 1998-9, solo uno era stato in grado di uscire da questo settore prima del 2007.

La deregolamentazione del mercato del lavoro non ha avuto effetto sui livelli occupazionali.

La copertura garantita dai contratti collettivi raggiungeva l'80% prima del 1990, ma nel 2010 era scesa al 60% nella Germania dell'ovest, e al 48 % nell'est. Di fatto la contrattazione salariale fra le parti sociali non funziona piu'. In molte piccole e medie imprese e nei servizi, i salari sono determinati unilateralmente dai datori di lavoro, visto che i contratti collettivi non si applicano e i comitati di fabbrica non sono stati istituiti.

Come risultato, i sindacati hanno riconsiderato il loro rifiuto di un intervento dello stato nel processo di contrattazione dei salari, e sin dalle leggi Hartz hanno sostenuto l'introduzione di un minimo salariale. Al momento i minimi salariali sono stati concordati con 12 associazioni datoriali in 12 settori e sono stati dichiarati vincolanti dal governo federale. Gli effetti dell'introduzione del salario minimo sono stati analizzati in otto settori: non sono stati riscontrati effetti negativi sull'occupazione Bosch/Weinkopf (2012). Tuttavia, un cambiamento di tendenza verso una riduzione del numero di lavoratori a basso salario ancora non c'è stato, ed i principali settori che vi fanno ricorso, il commercio al dettaglio, gli alberghi e la ristorazione, non hanno ancora un minimo contrattuale. I tentativi di introdurre un salario minimo nazionale e di riformare le leggi sulla contrattazione collettiva, al fine di rendere gli accordi vincolanti per l'intera categoria, sono falliti a causa dell'opposizione esercitata dal governo federale.

Gli effetti piu' controversi delle leggi Hartz sono quelli sui livelli occupazionali. Gli effetti positivi sull'occupazione sono spiegati dall'aumento del flusso in uscita dalla disoccupazione a partire dal 2005. Tuttavia, poiché  il flusso in entrata verso la disoccupazione nello stesso periodo è aumentato, nonostante la fase di crescita economica, possiamo dire che il flusso tra occupazione e disoccupazione sia aumentato. La ragione per questa crescita del flusso, durante una fase di ripresa economica, è il ricorso a contratti a tempo determinato e interinale, che spesso conducono solo ad un breve periodo di lavoro.

La normativa Hartz è entrata in vigore mentre la Germania stava uscendo da una profonda recessione. Nella successiva fase di ripresa c'è stato un aumento congiunturale dell'occupazione. La domanda centrale è se le leggi Hartz abbiano effettivamente influenzato in maniera positiva la dinamica occupazionale. Horn/Herzog-Stein (2012) hanno confrontato l'intensità occupazionale in tre cicli economici (1999/Q1 – 2001/Q1, 2005/Q2 – 2008/Q1 e 2009/Q2 fino al 2012). Nella prima ripresa, l'intensità occupazionale (la percentuale di aumento dell'occupazione quando il pil aumenta dell'1%) era dello 0.43%, nelle due riprese successive è stata dello 0.35 % e dello 0.39%. Di fatto dopo l'introduzione delle leggi Hartz l'intensità occupazionale è diminuita. I due periodi di ripresa dopo la loro entrata in vigore sono stati quasi interamente trainati dall'export. Le leggi Hartz hanno avuto un effetto di dumping sull'evoluzione dei salari, soprattutto nel settore dei servizi, affondando la domanda interna e l'import, ma hanno avuto un effetto minimo sull'economia orientata all'export. La domanda interna è stata inoltre frenata dal taglio degli investimenti pubblici: gli investimenti pubblici netti in Germania per molti anni sono stati negativi. Il conseguente deterioramento delle infrastrutture avrà un effetto negativo sulla crescita futura.

La Germania condivide la responsabilità di stimolare la crescita economica europea.

Le ragioni della favorevole evoluzione dell'occupazione in Germania non possono essere ricondotte alle leggi Hartz. Sono il risultato della specializzazione del manifatturiero tedesco, nel corso di molti anni, in prodotti di alta qualità, con un tasso di innovazione elevato, investimenti in ricerca e sviluppo superiori alla media ed un buon sistema di formazione professionale. Inoltre, il portafoglio prodotti tedesco, con la sua enfasi sui beni strumentali e le auto, si abbinava alla domanda proveniente dai BRICS e dagli altri paesi in via di sviluppo, e cio' significa che l'economia tedesca non era del tutto dipendente dal mercato europeo. Le leggi Hartz hanno permesso al paese, anche durante la fase di crescita dal 2005 al 2008, di continuare la sua politica di svalutazione interna all'Eurozona, fatta di aumenti salariali e costi unitari inferiori alla media dei paesi Euro Stein/ Stephan/ Zwiener (2012). Poiché la domanda domestica, e di conseguenza l'import, non hanno tenuto il passo dell'export, gli squilibri commerciali nell'Eurozona sono aumentati, creando le condizioni per la crisi Euro. Cosi' l'impatto delle leggi Hartz ha finito per avere una dimensione europea.

La politica economica tedesca continua ad essere caratterizzata dalla sua eccessiva focalizzazione sull'export. Come mezzo per affrontare la crisi Euro, il governo federale ha chiesto agli altri paesi europei di introdurre riforme del mercato del lavoro simili alle leggi Hartz. Questa politica, tuttavia, non può e non sarà applicata a tutti gli altri paesi, poiché solo abolendo le leggi della matematica è possibile che tutti i paesi abbiano dei surplus commerciali. Senza dubbio i paesi del sud hanno bisogno di aumentare la loro competitività. Ma la crisi che inghiotte l'Eurozona potrà essere superata solo se la Germania, l'economia piu' forte in Europa, si assume la responsabilità di creare crescita. E ci sono già dei buoni suggerimenti per fare cio': il primo è la riforma del sistema retributivo con l'introduzione dei minimi salariali e con il rafforzamento degli accordi di categoria esistenti. Un altro è l'aumento degli investimenti pubblici in Germania, preferibilmente sotto l'egida di un programma di investimenti europei.


Further reading
  • Bosch, G. / Weinkopf, C. (eds.) (2008), Low-wage work in Germany, New York: Russell Sage Foundation.
  • Bosch, G. / Weinkopf, C. (2012), Wirkungen der Mindestlohnregelungen in acht Branchen, Expertise im Auftrag der FES, Bonn (Effects of minimum-wage regulations in eight sectors. Expert report commissioned by FES, Bonn)
  • Horn, G. A. / Herzog-Stein, A. (2012), “Erwerbstätigenrekord dank guter Konjunktur und hoher interner Flexibilität“ (Record employment figures owed to upswing and high internal flexibility), Wirtschaftsdienst, no. 3, pp. 151 -155
  • Joebges, H. / Logeay, C. / Stephan, S. / Zwiener, R. (2010), “Deutschlands Exportüberschüsse gehen zu Lasten der Beschäftigten“ (Germany’s export surpluses are being paid for by the workforce), WISO Diskurs, pp. 1-35.
  • Kalina, T. (2012), Niedriglohnbeschäftigte in der Sackgasse ? – Was die Segmentationstheorie zum Verständnis des Niedriglohnsektors in Deutschland beitragen kann (Low-wage workers at a dead-end? How segmentation theory can contribute to understanding the low-wage sector in Germany). Diss. Duisburg, Univ. DU-E.
  • Mosthaf, A. / Schnabel, C. / Stephani, J. (2010), Low-wage careers: are there dead-end firms and dead-end jobs? (Universität Erlangen, Nürnberg, Lehrstuhl für Arbeitsmarkt- und Regionalpolitik. Diskussionspapiere, 66), Nürnberg.
  • OECD (1996), Employment outlook, Paris.
  • Stein, U. / Stephan, S. / Zwiener, R. (2012), Zu schwache deutsche Arbeitskostenentwicklung belastet Europäische Währungsunion und soziale Sicherung, Arbeits- und Lohnstückkosten in 2011 und im 1. Halbjahr 2012 (Weak German labour costs development is putting strain on European Monetary Union and social security. Labour and unit wage costs in 2011 and first half 2012). Reihe IMK Report, Nr. 77.

domenica 8 settembre 2013

Il successo di Alternative für Deutschland non sarebbe una sorpresa

Su The European, interessante rivista on-line di analisi  politica, Markus Linden, professore di scienze politiche all'università di Trier, propone un'analisi politica del movimento AfD: hanno modernizzato la destra, nella società tedesca ci sono le condizioni per un loro successo. 
Fra le particolarità del sistema politico tedesco c'è sicuramente quella di non avere avuto fino ad ora un partito populista di destra in grado di raccogliere un successo elettorale. E' sorprendente, soprattutto se paragonato con le altre democrazie occidentali, dove tali gruppi fanno parte della vita parlamentare quotidiana.

Anche il discorso pubblico all'interno della società tedesca ha gettato le basi per il successo elettorale di una forza populista di destra: lo ha evidenziato molto bene il dibattito avviato da Sarrazin. Tuttavia nelle elezioni federali, sorprendentemente, gli elettori si sono sempre comportati seriamente. Chi riesce ad entrare una volta in parlamento, in seguito riesce anche a restarci. I Verdi e la Linke sono entrati a spese della socialdemocrazia, mentre l'Unione è riuscita a tenere compatto il suo spettro elettorale con una strategia di modernizzazione graduale.

Ma la situazione in queste elezioni potrebbe cambiare. Alternative für Deutschland non rappresenta un grezzo populismo di destra, ma cerca di coniugare una proposta alternativa con la serietà. AfD ha occupato spazi politici vuoti, affronta le paure della gente, ed evita di cadere nelle vecchie demonizzazioni o nella trappola dello sciovinismo. Invece di "Law and Order", propone liberalismo e saggezza economica. Considerando il contesto in cui le elezioni si svolgono, cio' potrebbe condurre al successo.

La situazione dei partiti

Queste considerazioni includono anche la debole capacità di mobilitazione dei partiti tradizionali - in particolare quelli popolari. La perdita reale nella capacità di attrarre gli elettori diventa piu' chiara se invece di osservare le percentuali si vanno a vedere i dati assoluti. L'Unione fra il 2005 e il 2009 ha perso quasi 2 milioni di voti. Le vittorie elettorali dovrebbero avere un altro aspetto. La strategia attuale del "continuiamo cosi'", senza una rivisitazione programmatica, non potrà fermare questo sviluppo.

Nella SPD l'emorragia è ancora piu' evidente. L'apatia di massa del loro elettorato potrà essere superata solo se il partito riuscirà ad ottenere l'appoggio dei ceti medi e popolari. Sotto la guida di Sigmar Gabriel, ad esempio, il partito non è riuscito a costruire un'alternativa politica agli eurosalvataggi, decisamente necessaria per marcare le differenze scomparse con il progressivo scivolamento dell'Unione verso sinistra sui temi sociali.

Borghesia, mercati  e neoliberismo 

Uno sguardo rapido allo spettro politico mostra che sul lato destro e borghese dell'elettorato, nei ceti piu' bassi e distanti dalla sinistra, fra gli elettori di ogni orientamento e classe arrabbiati e frustrati, come fra i critici verso l'emigrazione o addirittura fra gli sciovinisti, ci siano potenziali di crescita. In generale, le fratture politiche sorte in seguito agli eurosalvataggi e al dibattito sull'integrazione sono state coperte in maniera insufficiente dai partiti tradizionali. 

Da un punto di vista strategico, il partito ha fatto molte cose giuste, come ad esempio prendere le distanze dal radicalismo di destra. Invece di diffondere un nazionalismo etnico, AfD propone una politica migratoria ed un diritto di asilo orientati all'efficienza e al mercato - un "Sarrazin senza la parte biologica".

AfD, nella campagna contro gli eurosalvataggi, con i suoi continui riferimenti a "tutti i contribuenti", "al nostro denaro", alle "banche giocatrici d'azzardo", cerca di sfuggire all'accusa di essere un partito neoliberale e borghese, concentrato unicamente sui mercati. Questa nuova versione del "Noi" non è portata avanti da un leader che interpreta posizioni elitarie, egemoniche o mercatiste. La retorica contro i partiti tradizionali, arriva invece da un leader politico intelligente, eloquente e razionale.

Il successo elettorale non sarebbe una sorpresa

Con Bernd Lucke il partito si è dato una veste moderna, superando l'immagine tradizionale del partito di destra. La campagna elettorale centrata sul leader, con slogan poco aggressivi che rimandano ad una "Alternativa", ha il potenziale per raggiungere un elettorato non ancora mobilitato. Al momento della costituzione del partito nessuno lo immaginava, e probabilmente il merito è dell'intelligenza di Lucke.

Naturalmente non possiamo sapere se AfD avrà un successo elettorale. Non ha un programma di politica estera, con cui ad esempio si possa gestire la crisi siriana. A causa degli ultimi sviluppi gli eurosalvataggi potrebbero passare in secondo piano, e i dati pubblicati dai sondaggisti potrebbero scoraggiare una mobilitazione dell'elettorato potenziale. Considerando il contesto politico e la condotta fino ad ora di AfD, tuttavia, un loro successo elettorale non sarebbe una sorpresa.

La condizione indispensabile è che si continui a parlare del partito e che i sondaggi mostrino una qualche possibilità di successo. Per questo Lucke spesso critica gli istituti demoscopici per i loro rilevamenti: è un uomo razionale. Fino ad ora i partiti tradizionali hanno avuto a che fare con populisti che parlavano alla pancia. Ma se allo stomaco si aggiunge anche il cervello, allora qualcosa potrebbe cambiare.




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sabato 7 settembre 2013

Mayer: l'Euro danneggia la Germania

Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank, da sempre molto critico verso la moneta unica, dal suo blog su FAZ.net lancia una tesi singolare: l'Euro ci danneggia perché ci impone prezzi di vendita sui mercati esteri troppo bassi. da FAZ.net
In molti ritengono che per la Germania sia un vantaggio avere una moneta piu' debole rispetto a quanto accadrebbe con il D-Mark. E' una sciocchezza. Con un cambio debole gli esportatori vendono sui mercati mondiali i loro prodotti a un prezzo piu' basso. Quando i prodotti non sono attraenti, è necessario un basso prezzo di vendita per ottenere una quantità di valuta estera sufficiente a finanziare le importazioni.

Ma se i prodotti invece sono richiesti, la domanda è alta, e i proventi delle esportazioni superano la spesa per le importazioni. E questo è quanto è accaduto in Germania dopo l'introduzione dell'Euro. All'epoca in cui il Marco poteva ancora apprezzarsi nei confronti delle altre valute, fra il 1977 e il 1998, in media l'avanzo delle partite correnti è stato dell'1%. Tra il 2006 e il 2013, a causa del corso troppo debole dell'Euro, l'avanzo con l'estero in media è stato del 6.5 %. Con l'Euro vendiamo i nostri prodotti ad un prezzo troppo basso e spendiamo troppo per le importazioni (per questa ragione compriamo poco).

Una parte del surplus delle partite correnti è andato perduto a causa di investimenti sbagliati all'estero

Ma questo non basta. Le eccedenze derivanti dai proventi delle esportazioni devono in parte essere reinvestite all'estero. E su questi investimenti abbiamo subito delle forti perdite. Lo si deduce dal fatto che, nello stesso periodo di tempo, gli avanzi cumulati delle partite correnti sono superiori all'aumento del nostro patrimonio netto estero. Questa discrepanza indica che una parte del surplus delle esportazioni è andata perduta a causa di investimenti sbagliati. Nei 14 anni dall'introduzione dell'Euro fino al 2012, questa differenza è stata di 291 miliardi di Euro, vale a dire piu' del 10% del PIL tedesco. Analizzando la stessa differenza, si puo' notare che gli avanzi delle partite correnti cumulati anno dopo anno per lo stesso periodo di 14 anni, a partire dal 2008, superano sistematicamente l'aumento della posizione netta sull'estero, e nel 2011 con 382 miliardi di Euro raggiungono il loro picco. Precedentemente, le differenze positive e negative si alternavano, il che suggerisce che prima del 2008 non ci siano state perdite sistematiche.

Per evitare ulteriori perdite in futuro, dovremmo vendere l'export tedesco ad un prezzo superiore e acquistare l'import ad un prezzo inferiore, oppure dovremmo cercare di investire all'estero le nostre eccedenze in maniera piu' produttiva. Senza una moneta propria, potremo raggiungere una rivalutazione del nostro cambio reale, solo se i prezzi dei beni e dei servizi prodotti in Germania e i redditi dei tedeschi cresceranno piu' velocemente di quanto facciano quelli dei nostri partner europei. Per evitare perdite di competitività nei confronti dei nostri concorrenti all'esterno dell'unione monetaria, l'Euro dovrebbe deprezzarsi per un valore corrispondente. I nostri partner nell'unione monetaria non dovrebbero trasmettere pero' questa svalutazione ai loro prezzi e salari, piuttosto dovrebbero utilizzarla per recuperare competitività nei nostri confronti e verso i paesi all'esterno dell'unione monetaria. Si tratta di un esercizio molto difficile, perché noi dovremmo tollerare per un certo periodo di tempo un'inflazione superiore, e i nostri partner, nonostante la svalutazione dell'Euro, mantenere i prezzi e i costi stabili. Allo stesso tempo la BCE dovrebbe imporre una tale svalutazione sul mercato delle valute. Le possibilità che tutto questo si realizzi come descritto, non sono molto elevate. Nel nostro paese gli aumenti di prezzo sono estremamente impopolari, mentre i nostri partner in passato hanno tentato di raggiungere la stabilità dei prezzi senza successo.

In alternativa si potrebbe provare a investire in maniera piu' ragionevole le nostre eccedenze commerciali. Poiché le nostre banche, le assicurazioni e gli investitori privati hanno avuto risultati deludenti, in un articolo precedente ho suggerito la costituzione di un fondo pubblico per gli investimenti secondo l'esempio di altri paesi con elevati avanzi commerciali. Le esperienze mostrano che un rendimento attraente è possibile quando lo stato raccoglie il risparmio privato e organizza gli investimenti all'estero in concorrenza con i gestori privati. Secondo alcune fonti, i fondi pubblici di Norvegia e Singapore negli ultimi 10 o 20 anni hanno avuto un rendimento annuo del 3 o 4% superiore all'inflazione. Nel nostro paese, come al solito,  gli scettici vorrano mettere in discussione questa proposta. Dovremo tuttavia rassegnarci al fatto che l'Euro ci impone dei prezzi peggiori sui mercati esteri, e genera perdite nell'investimento all'estero delle nostre eccedenze commerciali. La politica dovrebbe essere sufficientemente onesta da riconoscerlo...

giovedì 5 settembre 2013

Münchau: la SPD non vince perché ha smarrito Keynes

W. Münchau su Der Spiegel continua a commentare la campagna elettorale tedesca e questa volta si rivolge alla SPD: avete perso l'identità, non avete una narrazione economica da contrapporre al rigorismo merkeliano. Da Der Spiegel
Risparmiare, tagliare, comprimere: sui temi di politica economica i socialdemocratici non offrono alcuna alternativa ideologica rispetto alla coalizione di governo – e per questa ragione non riscuotono successo fra gli elettori. Peer Steinbrück dovrebbe far riscoprire il Keynesismo al suo partito.

Il problema fondamentale della SPD e dei loro sfortunati candidati alla Cancelleria consiste nell’aver perso ogni contatto con le grandi narrazioni della politica economica. Con cio’ mi riferisco ad una ideologia economica autonoma, che si differenzia da quella dei partiti conservatori. Fino agli anni ’90 la SPD ne aveva una: il Keynesismo, nella tradizione del famoso economista britannico John Maynard Keynes, secondo cui allo stato dovrebbe essere riservato un ruolo maggiore rispetto a quello che gli economisti liberali gli attribuiscono.

E cio' era stato molto utile nei momenti decisivi, come ad esempio nel 1969, quando Willy Brandt e Karl Schiller, proponendo una politica economica completamente diversa, per poco non vinsero le elezioni. Pochi mesi dopo ci fu una rivalutazione del Marco, contro cui l’Unione si era sempre pronunciata. Sostenevano infatti che una rivalutazione avrebbe danneggiato la competitività dell’economia. Anche allora l’Unione guardava all’economia con la lente della competitività nazionale.

All'epoca invece i socialdemocratici pensavano ancora in termini Keynesiani. E anche Helmut Schmidt in seguito ha continuato nella stessa tradizione, proponendo nella seconda metà degli anni ’70 una politica economica fondata sulla domanda e sul rilancio della crescita. Oggi invece, il limite all’indebitamento (Schuldenbremse), introdotto con i voti della SPD, impedirebbe un simile piano di sviluppo.

In tutto il mondo il Keynesianismo sta vivendo una rinascita.

E’ passato molto tempo. Da un punto di vista economico ci sono paralleli fra la situazione economica del 1969 e quella di oggi. La competitività della Germania sta schiacciando gli altri paesi dell'unione monetaria. Le politiche di salvataggio imposte obbligano gli stati, nel mezzo di una recessione, a ridurre la spesa pubblica – con i risultati previsti esattamente da Keynes: i tassi sono prossimi allo zero. L’economia è bloccata in una trappola della liquidità, esattamente come nella descrizione della grande depressione fatta da Keynes.

Gli ultimi 5 anni, in quasi tutto il mondo, sono stati un periodo di rinascita Keynesiana. Ad eccezione della Germania. Nel nostro paese solo la Linke puo’ ancora definirsi tale. Nella SPD degli anni ’90, ad un certo punto, il Keynesianismo è andato perduto. Da allora sono state interiorizzate le politiche economiche sul lato dell'offerta tipiche dei partiti conservatori. Per me il punto critico è stata l'uscita di Oskar Lafontaine dalla SPD e le sue dimissioni dalla carica di Ministro delle Finanze. All’epoca, infatti, era l’unico nel vertice della SPD a rappresentare una posizione macroeconomica aggressivamente Keynesiana. Perse la lotta di potere con Gerhard Schröder, e da allora le teorie conservatrici centrate sull'offerta sono diventate egemoniche all’interno della SPD. Le riforme Hartz sono solo l'estrema conseguenze di questa strategia.

Queste riforme sono state oggetto di controversia anche fra gli economisti, soprattutto all'estero. Cosi' scrive lo stimato economista americano Adam Posen, presidente del  Peterson Institute di Washington, sul Financial Times questa settimana: aver concentrato tutti gli sforzi sulla competitività non è stato un vantaggio né per la Germania, né per l'Europa. Il Jobwunder tedesco è fondato sul lavoro a basso costo.

La tanto decantata forza economica è solo apparente. La Germania ha il tasso di investimento piu' basso fra tutti i paesi industrializzati. Anche la crescita della produttività è nella parte piu' bassa della graduatoria. Questa strategia non puo' funzionare. Ma per l'economista americano Posen non è stato un problema opporsi intellettualmente ad Angela Merkel. Per la SPD e Peer Steinbrück sembrerebbe invece molto piu' difficile. Oggi fra i due partiti le sole differenze che restano sono nelle sfumature, nei luoghi comuni, nei giochetti sulla redistribuzione, ma niente di realmente eccezionale o fondamentale.

Il dibattito televisivo è stato un duetto

Da un punto di vista economico, il dibattito televisivo fra Merkel e Steinbrück è stato un dialogo costruttivo tra due economisti dell'offerta. Non c'è da meravigliarsi se poi i media hanno parlato di un duetto. Quaranta anni fa nessuno avrebbe mai pensato di chiamare duetto un dibattito fra Franz Josef Strauß e Schiller. La differenza fra i due era profonda. 

Dopo le elezioni la SPD dovrà chiedersi se anche in futuro intende sprofondare al centro nella vana ricerca di un consenso politico, oppure se invece vuole riscoprire la politica economica Keynesiana in una sua nuova variante moderna. Mi auguro la seconda. Ma cio' significherebbe anche un allontanamento dalle riforme Hartz di Schröder. Per questo cambiamento servirebbe un'altra leadership. Dopo le elezioni la SPD dovrebbe avere il coraggio di affrontare un profondo rinnovamento, da mettere in pratica nelle prossime legislature. Dovrebbe finalmente pensare ad un modello economico alternativo che non sia fondato solo sul consolidamento fiscale, la compressione salariale permanente e un conseguente miglioramento della competitività a spese dei lavoratori.




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mercoledì 4 settembre 2013

Con chi commerciano i tedeschi?

Destatis.de pubblica oggi il riepilogo del commercio estero tedesco per il primo semestre 2013: diminuisce l'export dello 0.6 %, la quota dell'Eurozona scende al 37 %, le importazioni dall'Italia rallentano, prosegue la lenta riduzione del disavanzo commerciale italiano e dell'intera Eurozona. Restano intatti i giganteschi avanzi commerciali.

Nella prima metà del 2013 le esportazioni tedesche sono diminuite  dello 0.6 %  rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, scendendo a 547.7 miliardi di Euro. Secondo i dati dello Statistisches Bundesamt (Destatis), le esportazioni nel primo trimestre sono scese dell'1.5% rispetto all'anno precedente, mentre nel secondo trimestre sono aumentate dello 0.4 %.

Le esportazioni verso i paesi UE nella prima metà del 2013 sono scese dell'1.7%, passando a 313.6 miliardi di Euro. L'Eurozona ha acquistato meno merci rispetto alla prima metà del 2012 (-2.9%, pari a 205.1 miliardi di Euro), mentre la zona non-Euro ha domandato piu' beni tedeschi (+0.6%, pari a 108.5 miliardi di Euro).

Nel commercio intra-UE le esportazioni verso l'Italia sono scese del 6.3% a 27.8 miliardi di Euro, l'export verso la Francia è sceso del 4.3 % passando a 51.3 miliardi di Euro. Al contrario, le esportazioni verso la Gran Bretagna sono cresciute del 4.8 % passando a 37.7 miliardi di Euro.

L'export tedesco nei paesi extra EU ("paesi terzi"),  ha segnato nella prima metà del 2013 un aumento dell'1% salendo a 233.7 miliardi di Euro. Sono cresciute in particolar modo nel primo semestre 2013 le esportazioni verso la Turchia (+ 14,5 %, che sale a 11,4 Milliardi di Euro). Anche l'export verso gli Stati Uniti è cresciuto del 2.3% raggiungendo i 42.7 miliardi di Euro. Meno beni sono stati invece esportati verso l'India (-8.6 %, pari a 4.8 miliardi) e Cina (-5.9%, pari a 32.3 milliardi di Euro).


2. Trimestre
2013
1. Semestre 2013 2. Trimestre 2012 1. Semestre 2012 Variazioni rispetto a:
2. Trimestre 2012 1. Semestre 2012
Miliardi di Euro %
Esportazioni complessive 275,6 547,4 274,6 550,5 0,4 – 0,6
Di cui:
EU-27 156,4 313,6 157,9 319,1 – 0,9 – 1,7
Eurozona 101,9 205,1 104,0 211,3 – 2,1 – 2,9
Di cui:  
Francia 25,0 51,3 26,2 53,6 – 4,4 – 4,3
Paesi Bassi 17,9 35,8 17,8 36,3 0,2 – 1,4
Italia 13,9 27,8 14,8 29,7 – 6,4 – 6,3
Non-Eurozona 54,6 108,5 53,9 107,8 1,2 0,6
Di cui:
UK 18,5 37,7 17,8 36,0 4,3 4,8
Paesi terzi 119,2 233,7 116,6 231,4 2,2 1,0
Di cui:
USA 21,6 42,7 20,4 41,7 5,9 2,3
Cina 16,7 32,3 17,6 34,3 – 5,0 – 5,9
Svizzera 11,8 23,9 12,2 24,8 – 3,0 – 3,6
Russia 9,3 18,1 9,5 18,2 – 1,8 – 0,5
Giappone 4,0 8,0 4,0 8,4 – 2,3 – 4,4
Importazioni complessive 227,1 449,5 226,6 457,1 0,2 – 1,7
Di cui:
EU-27 132,0 259,4 128,3 257,6 2,9 0,7
Eurozona 89,3 174,5 86,6 173,1 3,1 0,8
Di cui:
Paesi Bassi 23,4 45,2 21,6 43,1 8,4 4,9
Francia 16,8 33,2 16,5 32,8 1,7 1,1
Italia 12,2 24,0 12,7 25,3 – 4,2 – 4,8
Non-Eurozona 42,7 84,9 41,7 84,5 2,3 0,5
Di cui:
UK 10,4 21,6 10,6 21,8 – 1,1 – 0,9
Paesi terzi 95,1 190,2 98,3 199,5 – 3,3 – 4,7
Di cui:
Cina 16,7 35,4 18,5 37,5 – 9,5 – 5,6
USA 12,4 24,5 12,8 25,3 – 3,5 – 3,2
Svizzera 10,2 19,1 9,2 18,6 11,4 2,9
Russia 9,7 19,9 10,6 21,4 – 8,3 – 7,3
Giappone 4,8 9,8 5,5 11,2 – 11,6 – 12,2

Commercio estero primo semestre 2013 per gruppo di paesi - Fonte destatis.de

10 Partner commerciali piu' importanti, import+export - Fonte destatis.de


10 partner commerciali piu' importanti per l'export tedesco - Fonte destatis.de

10 Partner commerciali piu' importanti per l'import tedesco - Fonte destatis.de



martedì 3 settembre 2013

I minijobber votano la Linke (e sperano nel salario minimo)

Un altro interessante articolo sulle dimensioni del precariato in Germania, se ancora ce ne fosse bisogno, questa volta arriva dal The Guardian. I minijobber dopo una lunga stagione di moderazione salariale chiedono un salario minimo. Da theguardian.com
Senza un salario minimo e con un quinto dei lavoratori occupati con un minijob, i critici sostengono che la prosperità tedesca sia stata costruita sullo sfruttamento degli oppressi.

Andare al cinema oppure nuotare nella locale piscina all'aperto sono piccoli lussi che Christa Rein si puo' permettere solo raramente: "Non posso nemmeno comprare cose semplici come il salmone o una bottiglia di spumante", ci dice la 55enne. "Il frigorifero non si deve rompere, perché non potrei permettermene un altro".

Sembra una delle tante storie dalla desolata Europa del sud, spremuta da 3 anni di austerità e recessione. Potrebbe essere una sorpresa sapere che invece questa storia, fatta di difficoltà finanziarie, arriva dal centro della potenza economica d'Europa - e sicuramente non è la sola.

Mentre Angela Merkel guida il suo partito di centro-destra verso le elezioni promettendo una ripresa economica, una sana gestione finanziaria e un'occupazione a livelli record, cresce il dissenso nella parte che fino ad ora non ha partecipato alla distribuzione della tanto decantata ricchezza tedesca. Le riforme radicali del mercato del lavoro lanciate un decennio fa hanno spinto un quarto della forza lavoro in impieghi a bassa retribuzione, part-time e precari. Il presunto miracolo economico e la storia di successo nel mercato del lavoro, nel frattempo divenuti l'invidia di tutto il mondo, sono stati smascherati.

La paga di Rein, lavora 8 ore al giorno per un'impresa di pulizie, è di 1.079 € al mese. "Ho fatto questo lavoro per 30 anni, e anno dopo anno abbiamo visto il carico di lavoro aumentare, mentre la paga diminuiva", ci dice. "Siamo sempre di meno, e pretendono da noi che si riesca a pulire sempre piu' metri quadrati in un tempo sempre inferiore. Abbiamo tra i 15 e i 20 secondi per pulire un gabinetto – e non è proprio un gabinetto su cui vorrei sedermi".

Nel frattempo, il suo datore di lavoro ha aumentato i suoi profitti, ci dice, "ma i guadagni non vengono trasferiti a noi lavoratori".

Rein, che vive a Braunschweig in Bassa Sassonia, è convinta che la sua situazione rifletta quella piu' generale dell'economia e influirà sul modo in cui voterà alle elezioni del 22 settembre: "per i lavoratori tedeschi è arrivato il momento di partecipare ai successi dell'economia".

Una ricerca della BCE in aprile ha mostrato che la ricchezza mediana delle famiglie tedesche era inferiore a quella delle famiglie greche. In termini di PIL pro-capite, la Germania va abbastanza bene. Ma contrariamente alla credenza popolare, è solo di poco superiore alla media europea. Secondo l'Istituto per la Ricerca sul Lavoro, il braccio di ricerca dell'agenzia federale per l'impiego, il 25% di tutti i lavoratori tedeschi guadagna meno di 9.45 € lordi l’ora. In Europa solo la Lituania ha una percentuale piu' alta di bassi salari – chi guadagna meno dei due terzi del salario medio nazionale.

La situazione ha alimentato il divario fra ricchi e poveri e un risentimento crescente fra coloro che considerano la prosperità tedesca costruita sullo sfruttamento degli oppressi. 

Daniel Kerekes, uno studente 26enne di storia all'Università della Ruhr di Bochum, fa parte di quel 20% di lavoratori impiegati con un minijob. "Lavoro al supermarket per circa 16 ore alla settimana per 7.5 € lordi l'ora con un contratto molto svantaggioso. I turni non sono garantiti, e se non faccio tutto cio' che il mio capo mi chiede di fare, puo' cancellarmi i turni oppure darmi quelli peggiori".

Con quel che guadagna - oltre ad un piccolo lavoro nel giornalismo digitale - fa fatica a pagare i suoi conti, incluso l'affitto mensile da 280 € per l’appartamento da 36 mq, piu' l'assicurazione sanitaria obbligatoria e un'assicurazione per la responsabilità civile.

Chiamati anche McJobs, i minijobs sono una forma marginale di impiego che permette ai lavoratori di guadagnare fino a 450 € al mese esentasse. Introdotti nel 2003 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, come parte di una piu' vasta riforma del mercato del lavoro, all’epoca in cui la Germania si era guadagnata il titolo di "malato d’Europa", hanno mantenuto basso il costo della manodopera, offrendo una grande flessibilità ai datori di lavoro.

Ma i critici sostengono che abbiano allargato la disparità fra ricchi e poveri e minato molti dei valori su cui l'economia sociale di mercato tedesca si era fondata. Non solo non forniscono al datore di lavoro nessuna ragione per trasformare questi contratti in veri e propri lavori a tempo pieno, ma anche il lavoratore non ha alcun incentivo a lavorare di piu', poiché in quel caso dovrebbe pagare le tasse sullo stipendio. Il risultato: sono in molti a restare intrappolati in lavori marginali e distaccati dal tanto acclamato "jobwunder" tedesco.

Bochum, una città in declino nella valle della Ruhr, un tempo cuore industriale tedesco, brulica di minijobs, secondo Kerekes. "La signora che abita sotto di me ha un minijob in un discount, la mia fidanzata lavora come cameriera con un minijob. I datori di lavoro sono soddisfatti, perché sanno che possono impiegarti per soli 450 € al mese".

Secondo il governo i minijob sarebbero in declino - lo scorso anno sono scesi dello 0.6% - ed il merito sarebbe delle politiche del lavoro di Merkel. Ma l'opposizione non è affatto d'accordo: "Sono numeri discutibili", sostiene Anette Krame, esperta di mercato del lavoro della SPD. "Non credo una riduzione dello 0.6% sia una ragione per festeggiare, e nemmeno riesco ad individuare un trend verso il basso". E cita la palese omissione nelle statistiche di alcune forme contrattuali piu' recenti, responsabili del dumping salariale in vari settori, specialmente nell'industria alimentare.

Kerekes spera che il nuovo governo abolisca i minijob e introduca al loro posto un salario minimo. "I minijob stanno distruggendo i posti di lavoro regolari, e garantiscono salari da fame. Perfino negli Stati Uniti la maggior parte degli stati ha un salario minimo, mentre la Germania, uno dei paesi piu' ricchi al mondo, non ce l'ha".

E' incoraggiato dal fatto che la SPD abbia promesso di voler introdurre un salario minimo - 8.5 € lordi l’ora - ma crede non stiano osando abbastanza, e comunque, sono stati loro per primi ad introdurre i minijob.

Le statistiche dell'agenzia federale del lavoro mostrano che i salari dei lavoratori con i redditi piu' alti, tra il 1999 e il 2010, sono cresciuti del 25%, mentre per il 20% dei lavoratori con i redditi piu’ bassi, la paga è cresciuta solamente del 7.5%, nel frattempo l’inflazione era del 18%. Il risultato è stato cio’ che gli economisti considerano una svalutazione interna, con una significativa riduzione del potere d'acquisto e un danno per l'economia tedesca.

Kerekes ci dice che il suo voto il prossimo mese andrà al partito che secondo lui sta facendo di piu' per affrontare il fenomeno dei McJob. "Votero' per la Linke", ci dice, riferendosi al raggruppamento di ex-comunisti della Germania dell'est e ribelli della SPD. "Sono gli unici a proporre un salario minimo di almento 10 € l'ora, il minimo con cui sia possibile vivere".

lunedì 2 settembre 2013

La favola del Jobwunder

La campagna elettorale di Merkel si fonda sulla presunta buona situazione economica e sul miracolo occupazionale, il famoso Jobwunder. Dierk Hirschel, uno dei leader del sindacato dei servizi Ver.di, prova a smascherare le bugie della propaganda merkeliana. Da Frankfurter Rundschau
Nonostante un bilancio miserabile, Angela Merkel è riusicta a rivendere la sua politica come un successo. Ma non è ancora troppo tardi.

A pochi giorni delle elezioni i sondaggisti cantano: "Angie, ce la farai ancora una volta". Un tedesco su due è soddisfatto del lavoro fatto da Merkel, Rösler e Seehofer. Nonostante l'affare delle spie NSA e la debacle dei droni, i cittadini continuano ad avere fiducia nel governo liberal-conservatore. Cambi di opinione non sembrano all'orizzonte.

Secondo i professionisti della previsione, l'elevato livello di consenso del governo è dovuto ad una buona situazione economica. Piu' posti di lavoro ed un'industria competitiva rendono  felice il tedesco medio. Ad un primo sguardo, il "governo di maggiore successo dalla riunificazione", sembra aver fatto un buon lavoro: mai fino ad ora c'erano stati cosi' tanti posti di lavoro. Il numero degli occupati, con quasi 42 milioni di lavoratori, ha raggiunto un nuovo record. La disoccupazione ha toccato il livello piu' basso degli ultimi 20 anni. I nostri vicini ci invidiano il "miracolo del lavoro tedesco".

Ma le apparenze possono ingannare. Il bilancio della coalizione giallo-nera, in tema di lavoro, delude sotto ogni punto di vista. Una gran parte del presunto Jobwunder è il frutto di una pura redistribuzione del lavoro esistente.

Se le aziende suddividono un lavoro a tempo pieno in tanti minijob e impieghi part-time, gli statistici di Norimberga sono felici: il numero degli occupati cresce. Dal 2000 ad oggi sono stati distrutti circa 1.5 milioni lavori a tempo pieno. In contemporanea le aziende hanno creato oltre 3 milioni di lavori part-time. Di conseguenza oggi fra Amburgo e Monaco non si lavora piu' di quanto si facesse 13 anni fa. Il numero delle ore di lavoro retribuito - il cosiddetto "volume di lavoro" - non è cresciuto. Inoltre, il presunto boom dell'occupazione non ha mai superato la portata di una ordinaria crescita congiunturale. Nella recente fase di ripresa - senza considerare la diversa durata della fase di crescita - l'occupazione non è aumentata piu' di quanto sia accaduto in passato.

Ma non è abbastanza. I dati ufficiali sulla disoccupazione sono da maneggiare con molta cura. Secondo le statistiche ufficiali, nel nostro paese ci sarebbero "solo" 3 milioni di disoccupati. Ma i lavoratori a 1 Euro (Ein-Euro-Jobber), i disoccupati con piu' di 58 anni, oppure i disoccupati impegnati in un corso di formazione, non sono conteggiati nella statistica. In aggiunta, ci sono oltre 2 milioni di occupati part-time che lavorebbero volentieri piu' a lungo. E per quanto riguarda la disoccupazione di lunga durata, la Germania resta il leader indiscusso in Europa. In realtà mancano oltre 6 milioni di lavori a tempo pieno. Non si puo' certo parlare di lavoro per tutti.

Gli squilibri nel mercato del lavoro, sotto il governo Merkel, si sono ulteriormente aggravati. Circa un quarto degli occupati oggi lavora per meno di 9 € lordi l'ora. 1.4 miloni di tedeschi lavorano per un salario inferiore ai 5 € lordi l'ora. Una percentuale maggiore di lavoratori a basso salario c'è solo negli Stati Uniti. Lavoro precario e assenza di contratti collettivi fanno si' che gli accordi raggiunti da IG Metall, Ver.di, etc. siano validi solamente per 3 lavoratori su 5.

A spese dei nostri vicini

La conseguente debolezza dei salari ha rallentato la domanda interna e ha invece alimentato quella estera. Commercianti al dettaglio e artigiani hanno sofferto per la mancanza di potere di acquisto. L'estero ha contribuito alla crescita molto piu' di quanto abbia fatto la domanda nazionale. Senza successo! Prima della crisi, l'economia e l'occupazione sono cresciute molto piu' lentamente che nel resto dell'Eurozona. Ancora oggi le imprese investono meno di quanto facevano all'inizio del decennio scorso.

Oltre a cio', la crescita trainata dall'export è stata a spese dei nostri vicini. Che sono riusciti a vendere sempre meno merci sul prosciugato mercato tedesco. E cosi' sono nati gli squilibri nei flussi di commercio e capitali. Mentre gli avanzi correnti tedeschi crescevano, i paesi in crisi rischiavano di affondare in un mare di debiti.

Nonostante questo miserabile bilancio, Angela Merkel è riuscita a rivendera la sua pessima politica economica come un successo. La responsabilità è anche di un'opposizione troppo addomesticata. SPD e Verdi in campagna elettorale non sono riusciti a smascherare la bugia del "miracolo occupazionale". I dati attuali sulla disoccupazione e l'occupazione, anche secondo i socialdemocratici e i Verdi, sono una storia di successo. SPD e Verdi, alla fine, accusano la Cancelliera solo di aver raccolto quello che il governo di Schröder aveva seminato. La favola delle dure ma necessarie riforme economiche guida ancora il pensiero e l'azione rosso-verde.

E cosi' la Cancelliera riesce a cavarsela. Gli squilibri nel mercato del lavoro, secondo la lettura di Merkel, sono solo l'effetto collaterale inevitabile di una politica economica favorevole all'occupazione. Merkel mette i cittadini di fronte ad una scelta: lavoro per tutti e un po' piu' di diseguaglianza, oppure salario minimo per legge e meno occupazione. In altre parole: buon senso economico versus lista dei desideri.

Ma la strategia di Merkel sta pagando. Sebbene la maggioranza della popolazione chieda un salario minimo garantito per legge, lo stesso stipendio per lo stesso lavoro, piu' tasse per i ricchi e un'assicurazione sanitaria nazionale, la Cancelliera resta estremamente popolare.

Ma i sondaggi non sono ancora un risultato elettorale. Anche se siamo in dirittura di arrivo, si puo' ancora dire che la politica di Merkel non solo divide il paese, ma è anche dannosa da un punto di vista economico. Stato e mercato non sono agli opposti. Al contrario: la regolamentazione del lavoro, del capitale e del territorio, sono un requisito ed una condizione necessaria per un buon sviluppo economico. Alla fine di settembre, gli elettori e le elettrici deciderano sulla direzione politica. E forse riusciranno a cantare "Time to say goodbye".