sabato 14 aprile 2012

Senza l'ancora di stabilità tedesca, l'Eurozona è perduta


Un commento affilato di Robert Tichy, direttore di Wirstchaftswoche, il settimanale economico conservatore, ci avverte: chiedere alla Germania di rinunciare alla propria competitività significa far affondare l'intera Eurozona.
La Germania ha costretto gli stati europei a risparmiare. Ma noi non siamo in grado di mantenere l'impegno a casa nostra - a scapito dell'Euro zona.

Con il freno al debito Made in Germany l'Europa dovrà risparmiare per la propria salvezza. Ma che cosa succede se proprio ai tedeschi questi risparmi non vanno giù? Sembra proprio così: il grosso aumento del 6.3 % per il settore pubblico viene finanziato a debito. E se il sindacato Ver.di ha ottenuto un aumento superiore al 6% per i dipendenti pubblici, i sindacati dei metalmeccanici non si accontenteranno di un 4% di aumento. E così il costo del lavoro crescerà e la competitività dell'economia crollerà. La politica tedesca ama predicare una forte politica di risparmio a spagnoli, italiani, greci e portoghesi: ma i tedeschi stessi non ne vogliono piu' sapere del risparmio pubblico. Come primo ministro della Nord Reno - Westfalia, Hannelore Kraft ha fallito proprio perché la sua politica di alto indebitamento non aveva piu' nessuna maggioranza nel parlamento regionale. Adesso attraverso nuove elezioni vuole ottenere un mandato per creare nuovi debiti.

Anche il bilancio della maggioranza giallo-nera (CDU, FDP) non è austero, anzi "amico della crescita". Amico della crescita significa secondo la vulgata Keinesiana: indebitamento crescente. Per questo Schäuble intende fondare il bilancio non sul risparmio, ma su crescenti entrate fiscali, che potranno arrivare solamente dalla crescita. Se ci fosse una nuova crisi, oppure se una piccola parte delle garanzie offerte dalla Germania fossero necessarie, il nostro budget scivolerà in profondo rosso: anche un rimborso appena un po' piu' alto per i pendolari metterebbe in crisi il nostro bilancio pubblico. 

Il ritornello nuovi miliardi per l'Euro i tedeschi lo hanno fatto proprio - ma diversamente da come ci si aspettava: "Adesso ci siamo noi, non solo e sempre i greci", questo era il grido di battaglia delle "Schlecker - Frauen" (dipendenti della catena di drogherie Schlecker, recentemente fallita), con il quale hanno richiesto sussidi statali per la nuova società che sostituirà la vecchia azienda fallita. Ebbene sì, si potrebbe liquidare come inaccettabile soluzione individuale - ma giustamente suggerisce "Hamburger Zeit": sarebbe un precedente e uno schermo di salvataggio diverrebbe necessario per tutti i lavoratori, semplice e logico. L'insegnamento dalla debacle del Sud Europa non è allora la solidità del bilancio - ma una gara all'indebitamento a favore del portafoglio personale. "Morire per Danzica" nel 1939 non era molto popolare in Francia, così è oggi "risparmiare per la Grecia" da noi.

Nell'Eurozona la nuova generosità tedesca sugli stipendi e gli aiuti statali viene ascoltata con molto piacere. Alla fine la competitività tedesca e il successo nell'export sarebbero i responsabili dell'indebitamento degli altri. Senza una esplicita decisione del governo, si sta aumentando la domanda interna attraverso un aumento dei salari e l'indebitamento dello stato -  come ad esempio chiedono il capo del FMI Christine Lagarde e il candidato presidente Francois Hollande in Francia.

Se solo non si sbagliassero. I dipendenti del settore pubblico non aumenteranno la loro domanda di vini francesi, immobili spagnoli o di costose vacanze in Grecia. L'intera Eurozona avrà nel complesso grandi difficoltà, se la competitività della Germania si allinea ai livelli medi europei: solo l'avanzo commerciale tedesco con i paesi extraeuropei fa in modo che la bilancia commerciale dell'Eurozona rimanga in equilibrio.

Anche il corso dell'Euro rimane per il momento abbastanza stabile, perché i dollari vengono investiti nelle ancora sicure obbligazioni tedesche. Se l'ancora di stabilità tedesca dovesse rompersi, l'Europa e l'Euro sarebbero allora perduti.

venerdì 13 aprile 2012

Soros: la moneta unica è una cosa troppo seria per lasciarla alla Bundesbank


Anche secondo George Soros, in un commento su Handelsblatt.com, il rigorismo Merkeliano sta uccidendo l'Europa e lancia un avvertimento: non lasciamo che sia la Bundesbank a decidere il futuro dei popoli europei.

Una rottura dell'Euro per Soros non è piu' cosi impossibile come all'inizio della crisi. Nel suo commento introduce nuovi temi e suggerisce soluzioni.

La crisi dell'Euro negli ultimi mesi non è scomparsa. Al contrario si è invece rafforzata. La BCE con il LTRO da un trilione di Euro ha evitato una stretta creditizia. Ma i problemi di fondo restano irrisolti come lo erano prima, mentre il divario fra paesi creditori e paesi debitori si amplia.

La crisi forse è diventata meno volatile, ma è potenzialmente mortale. All'inizio della crisi una rottura dell'Euro era impensabile, perchè le posizioni attive e passive all'interno dell'unione monetaria erano abbastanza confuse. Tuttavia, con il progredire della crisi, il sistema finanziario della zona Euro si è sempre piu' diviso lungo le linee nazionali. 

Il LTRO ha messo le banche italiane e spagnole in condizione di fare degli arbitraggi con i titoli pubblici dei loro rispettivi paesi. Il trattamento di favore che è stato accordato alla BCE sui titoli greci, invece, scoraggierà altri soggetti dall'inverstire nei titoli di stato.

Se questa situazione andrà avanti per un altro paio di anni, una rottura dell'Euro sarà davvero possibile. E questo porterà inevitabilmente le banche centrali dei paesi creditori a dover rinunciare ai crediti verso i paesi indebitati.

Alla Bundesbank il rischio è ben noto. La banca centrale  tedesca ha infatti avviato una campagna contro l'espansione illimitata del credito e ha preso provvedimenti finalizzati ad una riduzione delle eventuali perdite, in caso di dissoluzione dell'Euro. La Bundesbank ha iniziato, gli altri paesi seguiranno l'esempio.

I mercati ne hanno già preso atto. La Bundesbank intende restringere la concessione di credito nel proprio paese. Questa sarebbe la politica giusta se la Germania fosse un paese a sé stante. I paesi indebitati hanno invece bisogno urgente di una domanda di beni piu' forte da parte della Germania, per poter evitare una recessione.

Gli stati membri dovrebbero premiare il buon comportamento

Senza questo aumento della domanda il pacchetto fiscale concordato in dicembre non potrà funzionare. L'unico modo per sfuggire alla trappola del debito è cambiare rotta. Non posso offrire nessun piano pronto, ma 3 osservazioni sono importanti.

In primo luogo le regole definite per la zona Euro sono fallite e devono essere riviste radicalmente. Secondo, la situazione attuale è anomola, e necessità di nuove misure straordinare per ristabilire la normalità. E infine, le nuove regole devono tenere in considerazione l'instabilità dei mercati.

Per essere realistici, il patto fiscale dovrebbe essere preso come punto di partenza. Naturalmente sarà necessario modificare alcuni difetti già visibili. In particolare nei bilanci pubblici si dovrebbe distinguere fra spesa per investimenti e spesa corrente.

Le regole che decidano cosa può essere qualificato come investimento devono essere soggette all'approvazione di una autorità europea. La Banca Europea per gli Investimenti potrebbe in questo caso cofinanziare gli investimenti. La carta fiscale della UE impone agli stati di ridurre i debiti pubblici di un ventesimo della quota che eccede il 60 % del PIL.

Io propongo che insieme gli stati membri ricompensino i buoni comportamenti. Essi hanno infatti ceduto il loro diritto di signoraggio alla BCE. Willem Buiter di Citibank e Huw Pill di Goldman Sachs hanno stimato questo diritto in una cifra dai 2 ai 3 miliardi di Euro.

Una società di scopo a cui trasferire questo diritto potrebbe finanziarre l'acquisto di obbligazioni senza violare l'articolo 123 del trattato di Lisbona. Se un paese dovesse violare il Fiskalpakt, sarebbe costretto a sostenerne i costi, pagando alla società di scopo il prezzo degli interessi sul debito da questa detenuto.

Inoltre sarebbe necessario creare condizioni simili per tutti gli stati, in modo che questi possano finanziarsi allo stesso tasso di interesse. Questo richiederebbe tuttavia una grossa integrazione fiscale e quindi dovrà essere introdotto gradualmente. La Bundesbank non accetterà mai queste proposte. Ma il futuro dell'Europa è una decisione politica, e decisioni di questa importanza non ricadono nelle sue competenze. 

giovedì 12 aprile 2012

Allargamento del fondo salva stati o rottura dell'Euro.


Wolfgang Münchau su Der Spiegel di fronte alle difficoltà della Spagna avverte i suoi connazionali: o accettiamo un allargamento del fondo salva stati o rischiamo una rottura della zona Euro.

La Bce ha pompato verso le  banche quasi un trilione di Euro per stabilizzare la situazione. Ma l'idea di poter comprare tempo si è rivelata illusoria. In Spagna la situazione è peggiorata, sui mercati finanziari regna la nervosità. Siamo di nuovo al punto in cui ci trovavamo prima di Natale.

Non è passato molto dall'ultima volta in cui la Germania a Brussel ha bocciato un ulteriore allargamento del fondo salva stati, i mercati nel frattempo si erano calmati. Questo non è sorprendente. Due settimane fa in Europa regnava ancora un grande ottimismo. Che cosa è cambiato in queste settimane?

Due diverse convinzioni hanno preso piede. La prima riguarda la Spagna, la seconda la Banca Centrale Europea. Sui mercati ci si attende che la Spagna già quest'anno avrà bisogno di un pacchetto di aiuti. Se questo accadesse, il fondo di salvataggio si rivelerebbe subito troppo piccolo. Fra pochi mesi saremo di nuovo davanti alla scelta, aumentare il fondo per il salvataggio degli stati o rischiare una rottura della zona Euro.

Il governo spagnolo la scorsa settimana ha votato una manovra che per quest'anno prevede un risparmio di 27 miliardi di Euro. Il problema è che la Spagna già adesso è in recessione. Il tasso di disoccupazione è già del 23%, quello dei giovani ha raggiunto e superato il 50%.

La Spagna è adesso dov'era la Grecia 2 anni fa.

Chi in tempi di recessione risparmia, si comporta in maniera pro-ciclica. Questo significa, la politica di bilancio rafforza la recessione. Il meccanismo coinvolge un'interazione fra risparmio dello stato, risparmio privato, una caduta ulteriore del prezzo degli immobili, conseguenti perdite bancarie, una restrizione del credito,  una recessione ancora piu' acuta, deficit piu' alti e un programma di risparmi ancora piu' forte. Potrebbero essere necessari molti anni per uscire da un circolo vizioso di queste dimensioni. Per la Spagna mi aspetto una recessione che durerà per almeno 10 anni.

L'ironia è che la percentuale di indebitamento della Spagna cresce sebbene il paese stia ripagando il suo debito. Il motivo è che che la percentuale è un quoziente: se il denominatore - la performance economica - cade più rapidamente del nominatore  -  i debiti -  allora il numero sale.

I mercati non credono piu' ad una stabilizzazione dei debiti della Spagna. Non è un caso che l'ultimo attacco di panico sia arrivato esattamente nella stessa settimana in cui il presidente Mariano Rajoy ha annunciato misure di risparmio per ulteriori 10 miliardi di Euro per il 2012, ottenuti con i tagli alla sanità e alla scuola. La Spagna è adesso dove la Grecia era 2 anni fa.

Da questo circolo vizioso ci sono solo 2 vie di uscita. La prima è un'uscita dall'Euro. La seconda è un programma di salvataggio che termini con un parziale taglio del debito nel settore privato. Decisivi non saranno i debiti dello stato, ma i debiti delle banche.  Anche le banche dovranno essere portate sotto un ombrello di salvataggio, e lì essere obbligate all'insolvenza o alla fusione, attraverso una copertura dei costi. Non ci sono altre vie di uscita.

La seconda ragione per il pessimismo dei mercati è una diversa percezione della politica della BCE. In dicembre e febbraio la BCE ha pompato quasi un trilione di liquidità al settore bancario. I mercati hanno reagito con una certa euforia. L'idea era quella di prestare denaro alle banche con un basso tasso e una durata triennale. In questo modo le banche avrebbero acquistato obbligazioni governative di breve durata e stabilizzato il mercato delle obbligazioni. La BCE non poteva acquistare per motivi giuridici le obbligazioni. Così ha scelto di passare attraverso le banche.

La politica BCE ha avuto l'effetto di una droga.

Questa teoria ha però una serie di imprecisioni, che ora sono diventate evidenti. Il primo è che l'azione procede indirettamente e quindi è costosa. Solo una piccola parte del denaro arriva effettivamente all'acquisto di obbligazioni. La BCE avrebbe ottenuto molto di piu' con un piccolo programma di acquisto diretto. Non è nemmeno moralmente ed economicamente chiaro perchè si dà il denaro alle banche di nascosto, ma lo si nega ai governi. In Spagna il problema non era il settore pubblico, ma piuttosto le banche.

Con l'operazione della BCE c'è un ulteriore problema. Le banche per ottenere la liquidità devono depositare delle garanzie presso la BCE. A tal fine sono stati utilizzati dei titoli di stato recentemente acquistati. Poiché avevano bisogno di ulteriori garanzie, hanno dovuto cercare soluzioni diverse. La conseguenza: le garanzie che vengono utilizzate nel mercato ipotecario sono diventate scarse. Con l'operazione della BCE molte banche non hanno piu' accesso a questa normale fonte di finanziamento privato. La politica BCE ha funzionato come una droga. Coloro che vi hanno fatto ricorso sono diventati immediamente dipendenti.

La politica BCE ha così apparentemente risolto la crisi bancaria. In verità la situazione delle banche è pessima come mai fino ad ora. E come in Giappone negli anni '90 i governi non hanno nessuna strategia per risolvere effettivamente questi problemi. La tesi piu' assurda era che la politica di liquidità della BCE avrebbe dato ai governi il tempo per risolvere la crisi. Si trattava di una illusione temporale. Ha permesso ai leader di negare la realtà per altri 3 mesi e spingere la questione in sordina.

Appena dopo Pasqua siamo al punto in cui eravamo prima di Natale.

venerdì 6 aprile 2012

Metà Europa in deflazione, solo per non far lamentare la Germania.

Mark Schieritz, il popolare economista tedesco, columnist di Die Zeit, sul suo blog dedica un commento a Mario Draghi e alla sua paura dell'inflazione: è soltanto un pavido oppure bluffa per non spaventare i tedeschi?

Come far tornare la zona Euro in equilibrio macroeconomico, questa è il grande punto interrogativo della crisi. Sembra esserci un accordo generale sul fatto che i paesi della periferia attraverso una riduzione dei costi devono far crescere la loro competitività. Questo significa che il loro tasso di inflazione rimarrà sotto il 2%.  Su questo non c'è nulla da obiettare.

Ma che cosa significa per i paesi core? Mario Draghi oggi durante la conferenza stampa ha respinto l'idea che paesi come la Germania debbano in cambio consentire un aumento dell'inflazione. Il suo argomento è simile alle argomentazioni della BCE nel dibattito sui deficit delle partite correnti: la correzione deve arrivare dalla riduzione dei prezzi nei paesi in deficit, e non da una stimolazione della domanda nei paesi in avanzo.


Se si astrae dagli effetti positivi sul mercato del lavoro che potrebbero esserci, questo significa che l'Euro zona costituirà un avanzo commerciale con il resto del mondo.

Io non credo che questo possa funzionare - ma ciò non è tutto. La domanda sul riequilibrio della bilancia commerciale è un tema economico su cui si può discutere a lungo. La questione dell'obiettivo di inflazione invece è una questione aritmetica: se nel sud i prezzi stagnano, i prezzi in Germania DEVONO salire in maniera molto forte, per poter raggiungere l'obiettivo del 2%.

Goldman Sachs ha esaminato la questione:

In order for Euro area inflation to average 2% over the adjustment period, German inflation would need to average significantly more than this. In the calculations, Germany’s inflation rate averages between 3.3% and 4.7% over a 10-year period

Questi tassi di inflazione negli anni '50 e '60 non erano rari, e allora non hanno fatto danni all'economia. Lo stesso accadrebbe oggi, in quanto una crescita dell'inflazione sarebbe in definitiva la consequenza di accordi salariali collettivi più alti che le aziende trasferirebbero sui prezzi e contro i quali non ci sarebbe nulla da obiettare. Oppure come Joachim Fels di Morgan Stanley questa settimana ha formulato chiaramente sulla FAZ:

I tedeschi dovranno imparare ad amare l'inflazione

La paura della BCE di fronte alla fobia dell'inflazione dei tedeschi è ovviamente così grande, che loro non intendono provarla in nessun modo. Il prezzo: il non raggiungimento degli obiettivi di inflazione programmati e ancora più miseria nel sud Europa. Perciò, più bassa è l'inflazione in Germania, maggiore dovrà essere l'aggiustamento nel sud Europa. 

Ancora una volta Goldman:

Assuming an implicit ECB target of 1% inflation for Euro area wide consumer prices (…) implies Greece and Portugal would experience outright deflation under the three criteria of external sustainability. More notably, those countries are joined by France, Italy and Spain—all of which experience outright deflation.

Metà Europa in deflazione, solo per fare in modo che nessuno in Germania si lamenti: chi aveva detto che il board BCE è nelle mani del Club Med?

mercoledì 4 aprile 2012

Non siamo noi a dover inflazionare, sono gli altri a dover deflazionare!


Ancora una volta Werner Sinn, con un nuovo commento sulla conservatrice Wirtschaftswoche, ci ricorda il punto di vista tedesco sulla crisi del sud Europa: riducete salari e prezzi e tornerete alla crescita. Ma non eravamo parte di una UNIONE?

Per recuperare competitività i paesi della zona Euro devono diventare più economici. Ma di questo ancora non c'è alcuna traccia. Gli immensi deficit delle partite correnti potrebbero restare invariati - e i miliardi di aiuti finanziari pagati dai contribuenti continueranno a scomparire.

Chi si trova oggi ad analizzare la crisi dell'unione monetaria e vuole valutare le misure di salvataggio, deve confrontarsi con 2 teorie divergenti: la teoria del denaro in vetrina e quella del barile senza fondo. Secondo il primo punto di vista, la politica deve semplicemente raccogliere del denaro nel fondo lussemburghese di salvataggio EFSF.

In questo modo il mercato dei capitali si calma, gli interessi crollano, e i paesi del sud Europa ritornano ad essere solventi. Il denaro dei contribuenti può restare inutilizzato in vetrina. Secondo l'altra teoria, i paesi in crisi nonostante i fondi di salvataggio resteranno cronicamente in deficit, in quanto per loro, la strada verso una svalutazione, a causa dell'Euro, è sbarrata. Una svalutazione interna resta troppo difficile.

La Grecia deve diventare del 37% più economica.

I fondi di salvataggio scompaiono in immensi deficit delle partite correnti (120 miliardi solo nel 2011 fra Italia, Grecia, Portogallo e Spagna) ed eliminano ogni incentivo a mettere un fondo al barile. Il criterio decisivo per decidere fra queste 2 teorie è l'interrogativo, se i paesi in crisi riusciranno a diventare più economici - visto che solo in questo modo la domanda interna ed esterna dei loro prodotti potrà crescere.

Se la Grecia diventasse più economica del 37%, raggiungerebbe gli stessi livelli di prezzo della Turchia. I turisti stranieri tornerebbero nel paese, e i greci la smetterebbero di comprare pomodori olandesi e olio di oliva italiano. Qualsiasi paese, non importa quanto sia produttivo, può diventare competitivio, se è conveniente abbastanza. Per quanto riguarda i prezzi dobbiamo mettere le lancette indietro, in quanto nel sud Europa, a causa dell'Euro, sono cresciuti troppo.

Il credito a buon mercato, arrivato con l'Euro, ha fatto crescere delle bolle inflattive. I paesi GIIPS (Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna), misurati con il deflatore del PIL, in confronto ai loro partner commerciali nell'area Euro, dal 1995 (anno in cui l'Euro è stato annunciato in maniera vincolante) fino al 2008 ( anno della crisi Lehman) sono diventati del 30 % più costosi.

Una considerevole parte di questa crescita dei prezzi dovrà essere stornata, perchè il credito non arriva più a queste economie. E fa bene a non arrivare. Purtroppo, per quanto riguarda i prezzi del sud Europa non è successo molto. Mentre l'Irlanda, misurata dal deflatore del Pil, nei 5 anni dal 2006 al 2011 (terzo trimestre di ogni anno) in relazione al resto della zona Euro ha ridotto i prezzi del 15 %, i paesi del sud Europa sono diventati più costosi del 15%.

L'indice dei prezzi greco in questo periodo di tempo è cresciuto del 7%, il doppio di quanto possa essere ricondotto all'aumento dell'IVA da parte del governo. In Italia è cresciuto del 2%, in Portogallo dello 0.6 %, in Spagna dello 0.3 %. Anche durante la crisi non si assiste ad un andamento diverso.

Mentre l'Irlanda dal 2008 al 2011 (rispettivamente il terzo trimestre) è diventata più economica del 9.8 %, la Grecia è diventata più costosa del 2.5 %, Italia del 1.2% e il Portogallo dello 0.5 %. Solo la Spagna ha abbassato il proprio livello dei prezzi dello 0.9 %. Ora Norbert Haering argomenta su Handelsblatt, che il deflatore del PIL sarebbe un indice non adeguato per misurare la competitività di un paese, perchè è fortemente influenzato dai prezzi degli immobili. Bisognerebbe invece orientarsi al costo del lavoro per ogni unità di prodotto.

Il deflatore del PIL è adeguato

L'argomento non regge. Prima di tutto i prezzi delle case non vanno nel deflatore del PIL. Quello che accanto ai prezzi dei beni e servizi finisce in questo indice, sono gli affitti e i prezzi delle nuove costruzioni, ma questi non sono così volatili come i prezzi degli immobili. Secondo, il costo del lavoro per unità di prodotto è definito come la relazione fra costo del lavoro e PIL reale. Dipendono anch'essi dal deflatore del PIL e non offrono nessuna misura dei prezzi diversa da questo.

Terzo, il costo del lavoro per unità di prodotto è rilevante per la competitività, se influenza i prezzi. Una produttività crescente, che con salari invariati conduce a costi per unità di prodotto inferiori, non aumenta la competitività, fino a quando non conduce a prezzi più bassi. Anche le riduzioni dei salari sono irrilevanti, se non conducono ad una riduzione dei prezzi.

Quarto, i costi del lavoro nella maggior parte dei paesi presi in esame sono ulteriormente cresciuti. Dal 2008 al 2011 sono cresciuti del 2.3% in Grecia, in Italia del 4.5 %, in Portogallo dell' 1.8%. Solo la Spagna è riuscita ad ottenere un meno 3.2 %. A parte le buone intenzioni, non c'è ancora nessun segno che i paesi in crisi faranno i compiti per casa loro assegnati. Dobbiamo invece temere che i deficit delle partite correnti restino in queste condizioni ancora a lungo e la crisi di debito del sud Europa si aggravi ulteriormente. E tutto quello che è stato messo in vetrina venga saccheggiato.

Balcanizzazione della zona Euro


Frankfurter Allgemeine Zeitung, ci racconta che  Weidmann, dopo aver preso lezioni private da Werner Sinn, ha deciso di non accettare più le obbligazioni bancarie dei paesi in crisi: primo passo verso la balcanizzazione?
La Bundesbank ha fatto il primo piccolo passo verso una riduzione dei rischi nel proprio bilancio. Non intende più accettare come garanzia determinate obbligazioni garantite dai paesi deboli dell'Eurozona.

La Bundesbank e il suo presidente Jens Weidmann fino ad ora sono i primi fra le 17 banche centrali a non voler più accettare, a partire da maggio, le obbligazioni bancarie garantite da Grecia, Irlanda e Portogallo.

Il consiglio direttivo della BCE ha autorizzato le 17 banche centrali, a non accettare determinate obbligazioni bancarie garantite dai paesi in crisi. La Bundesbank è stata la prima banca centrale dell'Eurosistema a far sapere di voler utilizzare questa possibilità.

Decisione con effetto segnalazione

Non si tratta di grandi somme. Ma la decisione lancia un segnale chiaro nel dibattito sull'uscita da una politica monetaria giudicata eccessivamente espansiva. Dal provvedimento saranno coinvole le obbligazioni bancarie, garantite dai paesi destinatari di aiuti finanziari, Grecia, Portogallo e Irlanda  e che fino ad ora erano state accettate come garanzia. Queste obbligazioni sono principalmente offerte come collaterale dalle banche centrali dei paesi in crisi. Secondo gli ambienti vicini alla Bundesbank, nel suo bilancio la banca centrale avrebbe circa mezzo miliardo di euro di queste obbligazioni. Fino ad ora la banca centrale ha dovuto accettare queste obbligazioni e in caso di un evento negativo avrebbe dovuto sopportare le perdite autonomamente.

La somma complessiva delle obbligazioni bancarie garantite dagli stati in crisi, utilizzate come garanzia, avrebbe un valore di circa 90 miliardi di euro, si dice negli ambienti bancari di Francoforte. Se a queste si aggiungono le obbligazioni bancarie degli altri paesi Euro, secondo fonte BCE, si arriva a circa 160 miliardi di euro. Solo di obbligazioni italiane di questo tipo, dovrebbero esserci circa 50 miliardi depositati come garanzia. Questi titoli provenienti da altri paesi europei non sono coinvolti dalla decisione BCE. Le banche centrali potranno quindi rifiutare come garanzia le obbligazioni bancarie garantite dai paesi destinatari di aiuti finanziari - Grecia, Portogallo e Irlanda. Inoltre, potranno fare lo stesso con le obbligazioni bancarie garantite da stati con un rating "BB" o peggiore. Al momento, tutti i paesi europei con eccezione dei 3 paesi sopracitati, hanno un rating superiore.

Balcanizzazione della zona Euro

La Bundesbank e tutte le altre banche centrali potranno accettare come garanzia le obbligazioni bancarie garantite da Italia e Spagna. Tuttavia, su queste obbligazioni, eventuali perdite saranno sostenute dall'intero Eurosistema, diversamente dai titoli garantiti da Irlanda, Portogallo e Grecia.

La Bundesbank è stata fino ad ora la sola delle 17 banche centrali nazionali a voler rifiutare da maggio i prestiti bancari garantiti dai 3 paesi. Fino ad ora, ad eccezione della Bundesbank, nessun'altra banca centrale si è espressa ufficialmente sull'argomento, conferma la BCE.  Altre banche centrali sottolineano, che con il passo della Bundesbank prosegue la balcanizzazione della zona Euro. Molti rappresentanti delle banche centrali europee hanno fortemente criticato questa posizione, in quanto il principio delle regole uniformi per tutta l'area monetaria in questo modo sarà fortemente indebolito.

lunedì 2 aprile 2012

La dichiarazione di Bogenberg e il problema dei crediti Target

Il prestigioso istituto IFO di Monaco ed il suo presidente, Hans Werner Sinn, rilanciano il dibattito sui rischi dei saldi Target: c'è bisogno di una politica monetaria e di una banca centrale che possano e sappiano tutelare gli interessi tedeschi.

Con la dichiarazione di Bogenberg, pubblicata nel dicembre 2011, l'associazione degli amici dell'Istituto IFO e il board dell'IFO Institute hanno pubblicato un elenco di proposte.  Tali proposte erano finalizzate a prevenire l'accettazione da parte della Germania di eccessive responsabilità per il pacchetto di salvataggio previsto dalla comunità degli stati,  e il conseguente indebolimento dei processi di mercato causati da tale pacchetto di aiuti. 

La dichiarazione faceva riferimento alle seguenti proposte:

- La BCE deve limitare il suo mandato alla formulazione della politica monetaria e abbandonare il suo ruolo di fornitore di liquidità di ultima istanza. Organismi eletti democraticamente devono essere responsabili per i pacchetti di salvataggio.

- La distribuzione dei diritti di voto e le regole di decision making all'interno degli organi decisionali BCE devono essere rivisti.

- I crediti Target devono essere saldati una volta all'anno con collaterali negoziabili  come avviene negli USA.

- Il package di bailout deve essere completato da un meccanismo di crisi chiaro e da un processo di insolvenza teso a limitare le misure di salvataggio prese dalle comunità degli stati.

- Nel medio termine le banche devono coprire l'acquisto di bond pubblici con l'emissione di azioni e accettare lo stato come comproprietario, se necessario, se non hanno le risorse per ricapitalizzare autonomamente.

- Paesi che non sono in grado di ripagare i loro debiti devono abbandonare l'unione monetaria.
Crediti-debiti esteri in rapporto al PIL, in grigio gli importi dei saldi target
Nella nuova nuova pubblicazione IFO, il Prof. Hans Werner Sinn, presidente dell'Istituo IFO, si focalizza sui crediti Target, offre una visione generale dei fatti e fornisce le ultime cifre. Con la lettera del governatore Jens Weidmann alla BCE, la Bundesbank abbandona la precedente posizione secondo la quale i saldi Target sono statisticamente irrilevanti e rappresentano un normale effetto collaterale della creazione di moneta nel sistema monetario europeo. La Bundesbank adesso condivide la nostra preoccupazione sul fatto che i saldi Target fra le banche centrali sono cresciuti eccessivamente. Le preoccupazioni riguardano anche il fatto che le banche centrali nell'area Euro possano non essere nella posizione di sostenere perdite potenziali. 

Contemporaneamente il governo federale tedesco continua a sostenere la visione secondo cui i saldi Target non costituiscono un credito. Sinn contraddice questa opinione nell'ultima pubblicazione IFO. A questo aggiunge anche:

- I debiti esteri della Spagna sono più grandi di tutti quelli degli altri paesi in crisi messi insieme.

- Paesi Bassi e Olanda hanno accumulato crediti Target per oltre la metà del valore dei loro crediti esteri.

 - La fuga di capitali dall'Italia è stata compensata dai crediti target, che rappresentano un dato piu' alto del deficit delle partite correnti accumulato negli ultimi 4 anni.

- Il valore complessivo dei crediti target della Bundesbank verso l'Eurosistema corrispondono a 13.000 € per ogni membro della popolazione attiva.

- Negli ultimi 4 anni la somma ottenuta dalla Germania per i suoi attivi di bilancia commerciale corrisponde ai crediti target della Bundesbank.

Allo stato attuale il sistema finanziario europeo non può resistere con la sua attuale struttura politica ed economica in quanto sta distruggendo il mercato dei capitali e minacciando la stabilità di alcuni paesi.  I rischi assunti e le garanzie offerte sono cresciuti intollerabilmente forzando alcuni paesi a fornire credito ad altri senza che questa decisione fosse validata dai parlamenti nazionali. I crediti Target della Germania hanno ormai raggiunto i 547 miliardi di Euro. Se i depositi presso la BCE riempiti con il "big bazooka", e se il board BCE accetterà obbligazioni societarie per 500 miliardi come collaterale, allora l'intero ammontare dei crediti verso l'estero della Germania potà essere usato nel processo compulsivo di offerta di credito ai paesi dell'europa periferica. 
Diritto di voto nella BCE a confronto con le garanzie dei vari paesi
La politica BCE non solo significa che i risparmiatori tedeschi sono stati derubati dei loro normali tassi di interesse e che per le loro polizze di assicurazione sarà sempre piu' difficile generare interessi adeguati, ma soprattutto espone la Germania ad enormi rischi. Se l'Euro dovesse dissolversi, la Germania resterebbe con dei crediti verso un sistema che non esiste piu'. Inoltre, se uno o piu' paesi dovessero abbandonare l'euro e dichiarare insolvenza, allora la Germania dovrà sopportare le perdite dovute ai crediti Target.

La proposta di introdurre il sistema USA in Europa (dove i debiti target sono saldati una volta all'anno con collaterali negoziabili) non significa abbondonare del tutto i saldi target, o rifiutarsi di fornire assitenza ai paesi in crisi. Tuttavia, la sua implementazione fermerebbe quei paesi che usano la stampante di denaro e rassicurerebbe la Germania che non sta consegnando il suo export invano.
Partite correnti tedesche in rapporto a quelle dei GIIPS
Inoltre, questa proposta renderebbe la Germania meno indifesa verso i ricatti quando si tratta di decidere su ulteriori pacchetti di salvataggio. Adesso tutti sanno che la Germania è costretta a sostenere ogni pacchetto di salvataggio perché i suoi crescenti crediti Target sono a rischio. Questa situazione è inaccettabile se i paesi devono coesistere e cooperare felicemente.