sabato 1 dicembre 2018

Heiner Flassbeck: "la colpa è della Germania"

Intervista molto interessante di Kontext Wochenzeitung al grande Heiner Flassbeck e a Paul Steinhardt, economista e condirettore di Makroskop insieme a Flassbeck. I due hanno una spiegazione molto chiara sulle cause della crisi italiana e non le mandano a dire: la colpa è dei tedeschi che grazie alla moderazione salariale hanno portato via quote di mercato agli italiani e ai francesi, l'unione monetaria è stata la grande fortuna della Germania, mentre senza l'euro Schröder sarebbe passato alla storia come il peggior Cancelliere di tutti i tempi. Da Kontext Wochenzeitung l'intervista a Heiner Flassbeck e a Paul Steinhardt


Herr Flassbeck, due anni fa lei aveva già previsto che nel 2018 in Italia ci sarebbe stata una coalizione anti-euro. Come poteva saperlo?

Flassbeck: perché in quel momento già si capiva che l'Italia non avrebbe potuto riprendersi economicamente. Pertanto era lecito aspettarsi che gli italiani alla fine si sarebbero stufati e avrebbero scelto un governo che promette di fare qualcosa di diverso. È successo con Trump, ed è andata così anche in Brasile: ogni volta che la sofferenza di un  popolo diventa così grande, indipendentemente da chi c'è, la gente pensa: ci proviamo comunque.

I precedenti governi guidati dall'ex commissario UE Mario Monti e dei suoi successori hanno cercato di attuare le direttive dell'UE una dopo l'altra.

Flassbeck: era una politica sbagliata. Questo è il punto chiave. Agli italiani è stato detto: fate le riforme strutturali, risparmiate - lo fanno dal 1992. Ed infatti non è servito a nulla.

Herr Steinhardt, lei ha ottenuto un dottorato di ricerca sul tema "Cos'è un'economia di mercato?". Se ora la Commissione europea dà al governo italiano un ultimatum: questo è ancora un gioco libero delle forze?

Steinhardt: è sempre stata un'idea sbagliata quella di distinguere tra mercato e stato. Quella che viene chiamata economia di mercato ha sempre bisogno di uno stato. Le lettere blu da Bruxelles sono il male minore. E' molto peggio se la Banca centrale europea (BCE) non interviene. Ecco perché il famigerato spread sta aumentando.

Questo deve spiegarcelo in maniera più dettagliata.

Paul Steinhardt
Steinhardt: lo spread, che è il differenziale di tasso di interesse fra Italia e Germania, ci viene spiegato così: i mercati valutano la politica di bilancio degli italiani e dei tedeschi e giungono alla conclusione che la politica di bilancio italiana è sbagliata per via del deficit al 2,4 per cento! Se si guarda piu' da vicino, si puo' però notare: gli italiani dal 1992 al lordo degli interessi hanno sempre prodotto degli avanzi di bilancio. Quando si dice che avrebbero buttato i soldi per i benefici sociali o altro: non è vero. La banca centrale acquistando titoli di stato può spingere gli spread a qualsiasi livello desiderato. L'esempio del Giappone è chiaro: qual'è lì il livello dei tassi di interesse? Zero! Perché la banca centrale giapponese ha praticamente tutti i titoli di stato sul suo bilancio. Se ora il mercato  vende i titoli di Stato italiani, la ragione è semplice: la preoccupazione che questi titoli di Stato siano convertiti in Lire e che la Lira poi si svaluti. Questo pericolo viene espresso dagli spread. La BCE potrebbe affrontare questo problema acquistando i titoli di stato.

Perché la BCE non lo fa?

Flassbeck: perché secondo il trattato di Maastricht è vietato finanziare gli stati. L'Italia dovrebbe avere la possibilità di agire in termini di politica economica, ma ciò è vietato, e il divieto è stato ulteriormente aggravato nel Patto di stabilità del 2012. Pertanto, lo stato italiano si troverebbe a  peggiorare ulteriormente la situazione economica. Ma la situazione è già cattiva. La disoccupazione è all'11%, l'Italia è da sei anni in recessione. La politica dei bassi tassi d'interesse finora non ha funzionato, e ci sarebbe una terza possibilità, cioé quella di liberarsi tramite le esportazioni: questa strada viene però bloccata dalla Germania con la sua folle politica delle eccedenze commerciali, vantaggio procurato grazie al dumping salariale.

Chi avrebbe dovuto agire diversamente e come?

Flassbeck: i trattati sono una costruzione piena di difetti. Abbiamo creato un'unione monetaria in cui nessun paese ha piu' una banca centrale. Cio' è totalmente assurdo: come paese dell'UE hai meno possibilità rispetto a quelle di un paese in via di sviluppo.

La crisi del debito sovrano italiano è causata solo dai tassi di interesse?

Steinhardt: non c'è nessuna crisi del debito sovrano! Il debito pubblico italiano è da tempo al 130% del prodotto interno lordo. Quello a cui assistiamo è una recessione, da sei, sette anni.

Flassbeck: e sul nostro lato c'è la corsa a creare il panico. I giornali e gli economisti tedeschi sembrano essere molto bravi nel prevedere la bancarotta dello stato italiano. Questa è una totale assurdità. Ci siamo murati in quei trattati che in pratica chiedono all'Italia di ridurre ulteriormente il debito sovrano. È praticamente impossibile.

Steinhardt: il governo italiano può anche decidere di spendere meno per le pensioni, ad esempio. Ma poi ci sarà meno domanda, che porta a un aumento della disoccupazione, che a sua volta aumenta i costi sociali e, automaticamente, anche il rapporto debito-PIL. Questo è quello che abbiamo vissuto in Grecia.

Esistono speculazioni sui differenziali dei tassi di interesse oppure la crisi è appositamente causata per generare dei guadagni speculativi aggiuntivi?

Flassbeck: certo. Si specula sempre. Proprio in una situazione come questa bisognerebbe avere una banca centrale sovrana. Non per finanziare il paese su base permanente, ma solo per porre fine alla speculazione sui titoli di stato.

Steinhardt: se devo gestire un patrimonio e vedo che è aumentata la possibilità di un'uscita dall'euro, sicuramente cercherò di ridurre il rischio. Devo difendere i miei ex colleghi. L'unico problema è che quando in un'unione monetaria ci sono diversi livelli di tassi di interesse, in pratica si tratta di una discriminazione nei confronti delle aziende che risiedono in un altro paese. Una banca centrale che non riesce a mantenere il livello dei tassi di interesse è incapace.

Flassbeck: i trattati indicano chiaramente che la BCE non può finanziare gli stati.

Steinhardt: i trattati non sono stati modificati quando nel 2008/2009 i tassi di interesse erano estremamente divergenti. Draghi all'epoca lo aveva giustificato con la stabilità finanziaria, che ora è in pericolo.

Perché l'Italia allora non esce dall'euro?

Flassbeck: un'uscita ha senso solo se c'è una svalutazione. Questa colpirebbe i risparmiatori italiani, che all'improvviso si troverebbero delle lire sul conto anziché degli euro, con un valore del 30 % inferiore. Devi prima riuscire a venderlo al tuo popolo. Esiste già una banca centrale italiana, ma il governo non è più autorizzato a dare ordini. Perché la banca centrale italiana è una filiale della BCE. Servirebbe una legge per rinazionalizzare la banca centrale.

Steinhardt: il primo ministro italiano Giuseppe Conte ora dice che sarebbe possibile ridurre alcune spese essenziali. Come andrà a finire non lo sappiamo, forse alla fine ci sarà un compromesso modesto.

Allora non importa chi ora cede o chi si impone...

Flassbeck: ...la situazione non cambierà in meglio. Ma l'Italia ha bisogno di miglioramenti, compresa la Francia: probabilmente alle elezioni europee assisteremo al disastro del signor Macron.

Lì le barricate sono in fiamme e i giubbotti gialli stanno protestando contro l'aumento del costo della vita. Secondo il Tagesschau, tre quarti della popolazione francese sta con loro.

Flassbeck: ed è giusto che sia così. Macron aumenta le tasse e non gli interessa di chi viene colpito. Le tasse sono state abbassate per i ricchi, è una politica brutale di ridistribuzione dal basso verso l'alto. È chiaro che le persone a un certo punto non potranno piu' tollerarlo. Se Macron alle elezioni europee prende il 10% o anche il 15%, è malconcio, forse non sarà realmente piu' in grado di agire. Ovunque la situazione ribolle e non migliora. Solo i tedeschi restano seduti nella loro serra, pregando che le cose continuino ad andare bene e che non gli arrivi nulla della miseria là fuori.

Da noi si pensa invece che la Germania abbia fatto tutto bene.

Flassbeck: questo è il vero problema. Ieri ero alla Schaubühne di Berlino (teatro) e l'ho anche detto: la colpa è della Germania. Il pubblico si è agitato. Ma che sta dicendo quest'uomo?

In che modo la politica tedesca dei bassi salari è collegata con la situazione in Italia?

Flassbeck: in un'unione monetaria tutti i paesi devono avere lo stesso tasso di inflazione. La Germania ha violato il proprio obiettivo di inflazione del 2% - che gli altri paesi europei hanno adottato - e ne è rimasta al di sotto. I tedeschi grazie ad una politica di dumping salariale hanno potuto vendere i loro prodotti a buon mercato. Di conseguenza, la Germania ha sottratto all'Italia posti di lavoro e quote di produzione sui mercati mondiali.


Steinhardt: Quando fu introdotto il sistema monetario europeo dell'ECU nel 1996, la disoccupazione in Italia era inferiore a quella della Germania. E continuava a scendere mentre in Germania stava salendo. Fino a circa il 2006/07, quando le curve improvvisamente iniziano a muoversi nella direzione opposta. Questo lo capiscono poche persone: la moderazione salariale inizialmente è costata dei posti di lavoro. La fortuna dei tedeschi è stata l'unione monetaria, perché sono stati in grado di compensare la perdita di posti di lavoro sul mercato interno con le esportazioni. Agli italiani è successo il contrario. Poiché la Germania li ha praticamente rimpiazzati, la produzione industriale è diminuita significativamente. Non si può mai guardare ad un paese in maniera isolata: tutti i paesi non possono essere campioni del mondo dell'export allo stesso modo e allo stesso tempo.

Le esportazioni tedesche vanno principalmente verso gli altri paesi europei?

Flassbeck: No. abbiamo portato via quote di mercato agli italiani in tutto il mondo, anche ai francesi. In Cina, ad esempio, la Germania è di gran lunga il paese europeo di maggior successo. Anche negli Stati Uniti, non solo in Europa.

E la risposta degli USA è il protezionismo?

Flassbeck: questo protezionismo in realtà sarebbe giustificato anche sulla base delle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La Germania non vuole accettare certe cose, che preferisce oscurare. Certe cose non vengono dette, nemmeno sui media.

Steinhardt: la Germania conduce una strategia di svalutazione. In questo modo puo' ottenere un vantaggio competitivo, anche all'interno di un'unione monetaria. Poiché i cosiddetti tassi di cambio reali effettivi, che sono fissati al livello dei prezzi, dipendono in ultima analisi dai tassi di inflazione. La Germania è sempre stata sotto, la Francia esattamente sull'obiettivo dell'inflazione, l'Italia al di sopra. La differenza riguarda la competitività dei prezzi nell'intero settore dell'export. La Germania ha giocato questa carta con successo. Gli americani hanno sempre criticato tutto ciò..

Flassbeck: senza l'unione monetaria, il D-Mark si sarebbe già apprezzato e la storia dopo due o tre anni al massimo sarebbe finita. Schroeder sarebbe passato alla storia come il peggior Cancelliere di tutti i tempi e non come il grande eroe che ha salvato la Germania. Su questo argomento c'è una grande incomprensione, specialmente dal lato della SPD e della sinistra in generale, che non si rendono conto di aver distrutto con questa politica ogni loro possibilità di sopravvivenza, una politica che solo per la Germania ha avuto un apparente successo e che invece ha distrutto l'Europa e ogni sua possibilità di sopravvivenza. Perché i pochi ricchi che ne hanno beneficiato, non sono sufficienti come base elettorale.



11 commenti:

  1. Finalmente 2 tedeschi che dicono la verità: è colpa della concorrenza sleale salariale e dei mancati obiettivi dell'inflazione non centrati apposta dalla Germania, che in questo modo ha tolto quote di mercato all'Italia, ma ci sarà sempre qualche ebete con la faccia come il KULO tipo Cocucci che difenderà i tedeschi contro ogni evidenza, forse perché il povero PDdino perdente Cocuccen si sfama esportando prodotti dei kartoffeln, per questo gli piacciono così tanto ;) !?
    Luca il PATRIOTA

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    1. Io non ho interesse a difendere i tedeschi ma gli italiani. Se foste in grado di leggere i dati sull'export italiano vedreste che quanto affermano questi 2 (pseudo)economisti che 'a casa loro' sono poco considerati è tutta fuffa: l'export italiano cresce costantemente e oltre ad aver recuperato il periodo di crisi lo ha superato abbondantemente. Il roblerma italiano è la domanda interna, non il commercio internazionale che invece tiene a galla la baracca. La cosiddetta 'moderazione salariale' in Germania oramai non c'è più da anni, dal 2014 più o meno. I salari tedeschi ma soprattutto il costo del lavoro in Germania nel manifatturiero è del 25-30% maggiore di quello italiano quindi il confronto non può proprio essere considerata la ragione di una inesistente difficoltà della produzione italiana di competere sui mercati internazionale. Produzione italiana che negli ultimi decenni si è spostata lungo la filiera filiera orientandosi principalmente sui semilavorati (o componentistica) e macchinari per la produzione mentre quelli tedeschi sono orientati sul prodotto finito. Va da sé quindi che se ad esempio diamo alla Mercedes una parte consistente in valore di componentistica e poi importiamo l'auto finita, il saldo risulterà a loro favore. Credo che fin qui ci puoi arrivare da solo. Ma attendo che mi dimostri in quale settore oppure dove riscontri nel complesso difficoltà di competitività dei prodotti realizzati qui, magari se ce la fai causa euro.

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    2. Stanno parlando della fase antecedente al 2011, cioe' antecedente all'austerita' di Monti. Al contrario, lei sta parlando del periodo posteriore, in cui effettivamente l'industria italiana e' sopravvissuta (il 20% e' stato distrutto)perche' si votata all'export.
      L'austerita' ha effetti importanti: abbatte l'inflazione, riequilibra la bilancia commerciale e svaluta i salari. Sono effetti correlati ed i due economisti non sbagliano: la stessa Bruxelles parla di disoccupazione strutturale come parametro per calcolare l'inflazione del paese. Quanto alla moderazione salariale tedesca non si misura rispetto ad un altro paese (i suoi sono dati farlocchi o mal definiti, comunque), bensi' si misurano rispetto alla produttivita'. Di fatti, l'inflazione della Germania e' sempre costantemente sotto il 2% da sempre. Avendo una moneta unica, questo comporta che i paesi con un'inflazione superiore perdono competitivita'rispetto ai loro concorrenti crucchi.

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    3. Ha mal inteso ciò che ho scritto. La 'moderazione salariale' non è una variabile che si misura e si confronta, è un accordo avvenuto ad inizio anni 2000 tra rappresentanze sindacali dei lavoratori e quelle delle imprese su iniziativa dei primi onde porre un freno alle intense delocalizzazioni verso (soprattutto) i Paesi dell'est Europa che il governo Schröder aveva all'epoca sostenuto nel far entrare nella UE. Questo accordo verteva su due aspetti fondamentali: il decentramento della contrattazione a livello locale e slegare l'aumento dei salari alla produttività per riferirlo a quello dei prezzi. La necessità addotta dalle imprese era quella di ridurre il costo del lavoro unitario perché la concorrenza primaria della Germania più che l'Italia era ed è tutt'oggi costituita da USA, Cina e Giappone, tutte nazioni il cui costo del lavoro è ben inferiore a quello tedesco (che è tra i più elevati). Se ho quindi scritto che dal 2014 la 'moderazione salariale' è superata è perché la loro crescita è superiore a quella dell'inflazione e talvolta anche della produttività ma in ogni caso più legata a quest'ultimo parametro. Invece ho menzionato il confronto tra il costo del lavoro nel settore manifatturiero tra Germania e Italia per smentire che un prodotto simile realizzato qui sia diventato, pre- o post 2011, meno competitivo di quello fatto in Germania perché rimane sempre più conveniente farlo qui, al di là del ridotto divario del costo del lavoro. I dati che ritiene infondati, cioè il divario citato del 25-30%, io li prendo sia a livello statistico (macro) dalle varie pubblicazioni di enti autorevoli, che semplicemente per singola impresa leggendo i dati di bilancio dove costo del lavoro e numero di lavoratori sono riportati all'interno.
      Una cosa è poi affermare che se le nazioni fossero rimaste con le rispettive valute, quella tedesca si sarebbe apprezzata sulla lira e avrebbe rappresentato un ostacolo alla loro competitività, ma altra cosa è Flassbeck che scrive: "abbiamo portato via quote di mercato agli italiani in tutto il mondo, anche ai francesi. In Cina, ad esempio, la Germania è di gran lunga il paese europeo di maggior successo. Anche negli Stati Uniti, non solo in Europa." Questa affermazione non considera come le cose siano cambiate negli ultimi decenni. Tanti pensano che se si tornasse alle rispettive valute la competitività tedesca verrebbe meno, io replico che non si conosce come la realtà oggi sia cambiata rispetto ad una volta. Se oggi compra un Porsche Cayenne (come del resto altri modelli) questo formalmente può risultare un prodotto esportato dalla Germania verso l'Italia mentre in realtà quel modello (come tanti altri) è prodotto altrove, nello specifico nello stabilimento Volkswagen a Bratislava, poi fatto entrare in Germania (da qui l'alto di livello di export della Slovacchia verso la Germania) e a seguire inviato verso varie destinazioni tra cui l'Italia. Il Cayenne quindi è a tutti gli effetti un prodotto slovacco, non tedesco e la questione 'moderazione salariale' o 'dumping salariale' non c'entrano nulla, sono argomenti fuori luogo. Altro esempio. Negli USA la maggior parte della produzione avviene o in loco oppure in Messico, solo una parte viene fatta in Europa (e in Germania). In Cina, dato che ancora non è una economia di vero libero mercato, le leggi prevedono che per produrre e vendere lì devi fare una joint venture con una azienda cinese, cosa che hanno fatto Volkswagen e Fiat con la differenza che la prima realizzandone due produce e vende oltre un milione di autovetture, Fiat solo poche decine di migliaia (o anche meno recentemente). Questo gap a cosa lo adduce, alla moneta? Alla deflazione o moderazione salariale? Ripeto, per concludere, fatemi esempi concreti di settori dove l'Italia avrebbe subito penalizzazioni dall'ingresso nella moneta unica.

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  2. Cosi' il dibattito non funziona. Se lei scrive un lenzuolo aprendo mille fronti denota pressapochismo e poca attitudine scientifica. Se fa il ricercatore, e' grave.
    Deve comprendere che il sistema industriale tedesco non termina solo con il prodotto: comprende il valore aggiunto in moneta corrente (ed inflazione, che e' anche correlata ai tassi d'interesse con cui le banche offrono prestiti) ed il lavoro del terziario ad esempio.
    Mi continua a far l'esempio del 25 -30 % in quali casi, operai, operatori del terziario? quali sono le sue fonti?!
    In un regime di cambi fissi, paesi che hanno differenti
    Io non avro' capito il suo intervento, ma lei non riesce a comprendere il mio. L'inflazione e' una buona misura del sistema paese. Specialmente nel caso dei regimi di cambi fissi.
    Ripeto la moderazione salariale la si misura rispetto al salario del dipendente rispetta alla sua produttivita'. Questo rapporto e' sempre sceso a danno delle classi lavorative tedesche.

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    1. Grazie per i commenti di alto livello che alzano la media del blog, mi permetto solo di far notare che il sig. Flassbeck non è solo un’economista ma anche un politico nonché ex sottosegretario di Lafointaine che agisce in chiave politica e per il quale i rapporti di forza fra capitale e lavoro hanno ancora un ruolo centrale. La sua analisi mi sembra fondamentalmente corretta nella misura in cui individua nella lunga stagione di moderazione salariale iniziata alla fine degli anni ’90, di cui in questo blog abbiamo parlato N volte, e probabilmente terminata intorno al 2011-2012, la causa principale della crisi europea. Senza nulla togliere al fatto che a parità di prezzo probabilmente il Cayenne si vende meglio del Levante, quindi senza nulla togliere alla famosa qualità tedesca. Aggiungo che se vai a fare a botte con uno che è ben piazzato e gli dai anche la possibilità di tirare per primo 2 o 3 colpi messi bene, quando ti devi rialzare per provare a dare un paio di colpi sarai in grande difficoltà e dovrai fare sforzi enormi. Quindi in questa guerra commerciale combattuta a colpi di moderazione salariale chi si è mosso per primo ha avuto un vantaggio enorme sugli altri, che infatti ora hanno qualche problemino di fondo non trascurabile.

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    2. Quali mille fronti? Ho spiegato in cosa consiste(va) la 'moderazione salariale' e come è nata. Le ho spiegato che è stata una misura proposta dai sindacati stessi per porre un freno alla massiccia delocalizzazione di attività produttive all'estero. Si pensi solo che il Prodotto Nazionale Lordo della Germania è superiore a quello interno, ciò significa che le aziende a capitale tedesco all'estero fatturano più di quelle non tedesche in Germania. Ho specificato, sebbene l'avessi già scritto nel primo commento, che il divario del 25-30% di costo del lavoro è riferito al settore manifatturiero e lei mi chiede se c'entra il terziario? E chiede inoltre a quali categorie di lavoratori ci si riferisca se si parla di costo del lavoro? Ecco, il dialogo non funziona quando una della parti non conosce di cosa si sta parlando. Poi ho contestato l'affermazione di Flassbeck, dato che il soggetto è l'articolo più che la sua replica, e ho spiegato perché quella affermazione da me riportata tra virgolette non mi trova d'accordo. Ma io rimango sempre in attesa che mi si dica in quale settore l'Italia sarebbe andata in crisi a causa dell'euro e/o della tanto vituperata 'deflazione salariale'. Perché vede, io frequento le imprese italiane e tedesche da decenni e sono stato socio della Camera di Commercio Italo-Germanica AHK dove ho avuto modo di conoscere molti imprenditori e dirigenti sia italiani che tedeschi e francamente che abbia sentito quelli italiani lamentarsi di quei due aspetti non mi è capitato. Semmai lamentano la concorrenza di produzioni da nazioni con basso costo del lavoro, come nei settori tessile, calzaturiero e del mobile, ma non certo quelle dalla Germania! Ma potrei sempre trascurare qualche area.

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    3. Allora, o sei orbo o sei poco imparziale, ma più probabilmente è vero che sei poco imparziale esportando tu prodotti tedeschi e non solo in Italia, e proprio quelli che esportano prodotti tedeschi in Italia sono gli unici ad averci guadagnato, in tutti gli altri settori l'Italia ci ha perso, fossimo rimasti con la Lira avremmo esportato molto di più e importato molto di meno, salvando l'industria italiana, ma tu (che hai la faccia come il KULO) continuerai a negare essendo in conflitto d'interessi, ma l'evidenza non si può negare !?
      Luca il PATRIOTA

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    4. Luca Luca...export Italia verso la Germania dal 1990 al 1999 (9 anni di lira): da 26.674 a 33.106 milioni € (fonte Statistisches Bundesamt). Dal 1999 al 2008 (9 anni di euro): da 33.106 a 46.842 milioni €. Il confronto tra i due incrementi in termini percentuali riesci a farlo da solo?

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    5. Caro Cocucci è vero che esportiamo di più in Germania, ma questo non vuol dire niente, l'€ ha distrutto il mercato interno per colpa dell'austerità impostaci dall'Unione Europea, e con la Lira avremmo esportato molto di più non solo in Germania ma in tutto il MONDO, avremmo venduto con la nostra moneta DAPPERTUTTO in quantità nettamente superiori rispetto ad oggi con una moneta che è un Marco svalutato !!!
      Luca il PATRIOTA

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