domenica 21 marzo 2021

Il mistero di Breitscheidplatz resta irrisolto

Ci sono nuovi elementi nelle indagini sull'attentato di Breitscheidplatz a Berlino che lasciano ipotizzare la non presenza del tunisino Anis Amri quella sera alla guida del camion. In particolare il sospetto attentarore in piu' occasioni avrebbe smentito a conoscenti ed amici ogni coinvolgimento nell'attentato terroristico, mentre nella versione "ufficiale"  dei fatti si parlava addirittura di una sua plateale rivendicazione. Era abbastanza difficile del resto credere alla versione ufficiale del terrorista solitario che in un normale giorno lavorativo, in una normale periferia industriale di Berlino da solo fa fuori un corpulento autista polacco e poi con il suo camion gira per la città indisturbato fino a sera. Una ricostruzione molto interessante da Telepolis


Il tunisino Anis Amri, ufficialmente considerato l'autore dell'attentato di Breitscheidplatz a Berlino, dopo l'attacco terroristico avrebbe ripetutamente negato a conoscenti e amici di avere a che fare con l'attentato. Una prima indicazione di ciò si trova nei documenti sull'interrogatorio dell'Ufficio federale di polizia criminale (BKA), di cui Telepolis aveva riferito nel dicembre 2020.

Ora c'è un secondo esempio, secondo il quale Amri in una conversazione personale avuta con una persona vicino alla moschea Fussilet, subito dopo l'attentato, avrebbe sostenuto di non essere coinvolto nell'attacco e di essere stato accusato ingiustamente.

La questione nel 2020 era ancora oggetto di indagine. L'ufficio del procuratore federale aveva classificato il dossier su questo argomento come segreto tenendolo nascosto sia alle vittime che ai loro avvocati, i quali avrebbero effettivamente il diritto di ispezionarli, oltre che ai membri eletti del parlamento. Una delle ragioni è che nella vicenda sarebbe coinvolto un informatore dello Stato.


Il dubbio che Amri non fosse l'uomo alla guida del camion lanciatosi sul mercato di Natale il 19 dicembre 2016 che ha ucciso in totale di dodici persone è presente ormai da tempo ed è supportato da una serie di piste oggettive. Alcuni di questi elementi sono emersi anche nella commissione d'inchiesta del Bundestag: impronte digitali mancanti e frammenti di DNA di Amri inconsistenti all'interno del camion che ha commesso il crimine. Sono state invece trovate tracce di una "persona sconosciuta 2" non ancora identificata.

Il fatto che lo stesso presunto assassino neghi il suo coinvolgimento è rilevante perché, stando all'interpretazione ufficiale, si sostiene addirittura che abbia confessato il crimine. Ad esempio, si ipotizza che abbia mostrato in maniera plateale il saluto islamista a una telecamera di sorveglianza della stazione della metropolitana dello Zoo pochi minuti dopo l'attacco.

Lasciando deliberatamente il suo portafoglio con un permesso di soggiorno, così come i suoi due telefoni cellulari all'interno del camion, avrebbe dato un segno della sua confessione in merito al crimine.




La prima smentita di Amri

La prima smentita di Amri sulla sua presunta perpetrazione del criminie si trova nei protocolli dell'interrogatorio della BKA del 2017, secondo i quali un certo Mohamed A., fratello di Khaled A., con il quale Amri aveva condiviso una stanza fino al giorno dell'attentato, aveva ricevuto un messaggio di Anis Amri sul suo cellulare, insieme ad una fototessera e ad un testo con la seguente dicitura:

"Ragazzi, non posso mostrarmi in pubblico, non ho niente a che fare con quanto accaduto. Non farei mai una cosa del genere nella mia vita. Tutte bugie!!! Per favore, condividete TUTTI questo post e non credete a questi media. Aiuto!!! Dio vi benedica tutti miei fratelli e sorelle".

Non dice quando o dove il messaggio sia stato inviato. Gli investigatori della BKA vi si sono imbattuti perché un altro testimone aveva rivelato loro la sua comunicazione via Whatsapp con Mohamed A. Il 31 dicembre 2016 gli era stato trasmesso il messaggio di Amri.

La BKA deve essere stata consapevole della natura esplosiva dei fatti, perché li ha riassunti in una nota supplementare. Non è infatti chiaro come gli investigatori abbiano potuto gestire la pista. Mohamed A., la prima fonte conosciuta, non è nemmeno piu' stato interrogato sull'argomento. Il fratello di quest'ultimo, Khaled A., dopo l'attacco ha dichiarato immediatamente di essersi liberato dei suoi due cellulari. Sostiene di averne venduto uno e di aver buttato via l'altro. Se abbia effettivamente ricevuto il messaggio non è stato quindi accertato.

Lo stesso vale per Bilel Ben Ammar. Egli sostiene, infatti, di aver cancellato tutti i messaggi Whatsapp di Amri dopo l'attacco, aveva riferito agli interrogatori nel gennaio 2017 - ammettendo quindi involontariamente la possibile conoscenza del colpevole. A quel punto, il piano per deportare Ben Ammar in Tunisia era già in atto da tempo, anche se il soggetto veniva considerato come un sospettato. E questo poi è stato portato a termine il 1° febbraio 2017.

La seconda smentita

Ora emergono diverse pagine di un file che documentano una seconda smentita da parte del presunto colpevole, le quali sarebbero state aggiunte alle indagini della Procura federale e dell'Ufficio federale di polizia criminale nel maggio 2020.

Secondo quanto riferito nel novembre 2019, infatti, un "informatore" avrebbe comunicato quanto segue: Amri aveva detto a Semsettin E., conosciuto alla moschea di Fussilet, in una "conversazione personale" subito dopo l'attentato, che non era coinvolto nell'attacco e che era stato accusato ingiustamente. Lui, Amri, diversi mesi prima aveva già consegnato la carta d'identità trovata nel camion usato per il crimine alla polizia di Berlino.

A fine aprile 2020, Semsettin E. era stato chiamato a comparire come testimone davanti alla polizia. Perché ciò sia accaduto così tardi non è chiaro. La persona convocata tuttavia faceva comunicare al suo avvocato che intendeva esercitare la sua facoltà di non rispondere. Non si è presentato per l'interrogatorio. Fatto già di per sé insolito.

Ancora più insolito, tuttavia, è il fatto che la Procura Federale, come autorità principale, abbia accettato tutto ciò. Il procuratore senior responsabile aveva riferito alla BKA di essersi astenuto dall'applicare "misure coercitive per effettuare l'esame dei testimoni".

A differenza delle persone accusate, i testimoni non hanno il diritto corrispondente e completo di rifiutarsi di fornire informazioni. In linea di principio, devono presentarsi all'interrogatorio e spiegare e giustificare il loro rifiuto per ogni domanda.


È forse per proteggere quell'informatore del novembre 2019? Quali informazioni aveva esattamente? Non c'è una risposta a questa domanda, perché l'intero file, come hanno appreso gli avvocati delle vittime e i membri della commissione d'inchiesta del Bundestag è bloccato. Il procuratore generale lo ha classificato come segreto. Se non viene rilasciato nemmeno al Bundestag, nel file ci deve essere una verità nascosta e importante.

Il turco-tedesco Semsettin E. apparteneva al nucleo radicale della moschea Fussilet di Berlino-Moabit, ufficialmente chiusa dopo l'attacco.

Date le dimensioni ridotte della struttura, si può presumere che Amri ed E. si conoscessero. La dichiarazione in merito ad una "conversazione personale" tra i due, tuttavia, ha causato un certo mal di testa alla BKA. Se i due si fossero incontrati, questo significherebbe che Amri dopo l'attacco non avrebbe immediatamente lasciato la città, ma che sarebbe stato ancora in contatto con diverse persone.

Si sostiene inoltre che Amri nella conversazione abbia fatto riferimento anche ai documenti d'identità che fino al giorno successivo poi non sono stati trovati nel camion, quando forse si trovava già in fuga, una telefonata suggerirebbe anche questo.

Questo a sua volta significherebbe che il fuggitivo possedeva un telefono cellulare, cosa che la BKA nega ufficialmente. I suoi due telefoni cellulari conosciuti sono stati trovati e sequestrati sul camion del crimine. E quando Amri è stato ucciso, in ogni caso non avrebbe dovuto avere con sé un telefono cellulare, almeno secondo i documenti ufficiali.

Non è stato coinvolto nell'attacco? Bisogna essere cauti. Amri almeno ad una certa ora si trovava sul camion, dato che le sue impronte digitali sono state trovate all'esterno. E con sé portava la pistola con cui è stato assassinato l'autista polacco quando lui stesso è stato ucciso in Italia.

Da questo punto di vista, senza dubbio può essere considerato un partecipante al crimine. Ma può anche essere considerato il principale attentatore che il 19 dicembre 2016 ha guidato l'autoarticolato di 40 tonnellate contro la folla al mercatino di Natale di Breitscheidplatz dove sono morte dodici persone e decine di persone sono rimaste ferite?

Ci sono dubbi in merito ai quali si aggiungerebbero le due smentite di Amri. Nessuna impronta digitale o DNA completo di Amri è stato trovato in parti inamovibili della cabina del camion. Sono state invece trovate tracce di altre persone che non sono ancora state identificate.

Per esempio, il materiale relativo al DNA di una "persona sconosciuta", chiamata UP 2, in non meno di quattro posti: tra gli altri, sul poggiatesta del sedile del conducente, sulla maniglia di regolazione del sedile e sulla leva di apertura interna della porta del conducente. La persona poteva essere seduta al posto di guida.

I dubbi sul fatto che Anis Amri fosse al volante del camion che ha commesso il crimine sono formulati anche da tre esperti che l'anno scorso sono stati incaricati dal comitato investigativo di esaminare le prove delle tracce e le indagini della BKA: un criminologo, un esperto forense di DNA e uno specialista in dattiloscopia ("Fine delle certezze ufficiali nel caso Amri").

Il 25 marzo, le loro perizie saranno presentate al pubblico in una sessione speciale della commissione U del Bundestag.

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