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giovedì 22 giugno 2023

Heiner Flassbeck - Mancanza di lavoratori qualificati e inflazione, le bugie e i gravi errori della BCE

"Quello che veramente ci interessa è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica? O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile. Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto...". Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega perché il dibattito sui tassi di interesse e sulla presunta mancanza di lavoratori qualificati serve piu' che altro a nascondere gli interessi delle classi dominanti. Da Telepolis

Heiner Flassbeck


A volte un'affermazione molto semplice può dirci in che modo una società mente a se stessa per nascondere delle relazioni alquanto spiacevoli. Così accade anche per l'inflazione e così accade per la disoccupazione.

Un anno di forte aumento dei prezzi, solitamente chiamato "inflazione", ha fatto tremare la società e la politica; quarant'anni di disoccupazione, invece, vengono semplicemente messi da parte perché non rientrano nella propria visione del mondo.

In una intervista straordinaria, il membro del Comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel ha offerto un punto di vista approfondito della sua visione del mondo economico.

Il risultato è scioccante. La signora Schnabel non solo difende la dottrina totalmente fallimentare del cosiddetto monetarismo, ma la sua visione storica della disoccupazione è anche caratterizzata da una grande ignoranza. Entrambi i fatti sono fatali, perché le false lezioni che si traggono dalla storia spesso ci spiegano in maniera diretta gli errori che si commettono nel presente.

È più che sorprendente il modo in cui la signora Schnabel vede la situazione sul mercato del lavoro negli anni '70 rispetto a quella odierna. E dice:

"Soprattutto, abbiamo un mercato del lavoro insolitamente forte. La disoccupazione - e questa è un'enorme differenza rispetto agli anni '70 - è ai minimi storici nell'area dell'euro. Abbiamo una grande carenza di manodopera. Allo stesso tempo, naturalmente, ciò significa che in questo processo negoziale i lavoratori hanno un maggiore potere contrattuale (...)"

Isabel Schnabel, BCE

Questo è più che problematico per il suo giudizio sulla reazione dei lavoratori agli attuali aumenti temporanei dei prezzi. Se questo punto di vista (completamente errato) dovesse prevalere in tutto il Comitato esecutivo della BCE, ciò spiegherebbe anche l'errata valutazione della durata e della pericolosità degli aumenti temporanei dei prezzi.


Ora la BCE ha addirittura aumentato un'altra volta i tassi di interesse, anche se il pericolo di un'inflazione reale nel frattempo è stato ampiamente scongiurato (come mostrato qui di recente).

La denuncia di una carenza di lavoratori qualificati

La BCE non è affatto sola in questo errore di valutazione. Si sente spesso dire, soprattutto in Germania, che attualmente si registra una carenza particolarmente grave di lavoratori qualificati e che anche i posti di lavoro che richiedono solo basse qualifiche sono difficili da occupare.

Questo può essere vero agli occhi delle aziende da tempo abituate ad essere "rifornite" alla svelta delle qualifiche di cui avevano bisogno dall'ufficio di collocamento. Agli occhi di un imprenditore che ha vissuto gli anni '70, però, l'affermazione secondo la quale oggi ci sarebbe carenza di manodopera è uno scherzo di cattivo gusto.

Il mercato del lavoro: la differenza elementare rispetto agli anni '70

Prima dell'esplosione del prezzo del petrolio nel 1973, la Germania e mezzo mondo avevano attraversato 20 anni di super boom che, come l'Ufficio federale di statistica ha appena mostrato nelle statistiche storiche, la Germania aveva ripreso a crescere all'inizio degli anni Settanta.

La situazione sul mercato del lavoro era molto chiara. In Germania c'erano circa 100.000 disoccupati e circa un milione di posti vacanti, un rapporto di uno a dieci. Non c'era praticamente lavoro da cercare o trovare, perché la maggior parte delle 100.000 persone registrate come disoccupate si era appena iscritta all'ufficio di collocamento, poco prima di trovare un nuovo lavoro.



Oggi ci sono circa 2,5 milioni di disoccupati secondo le statistiche ufficiali e circa 800.000 posti di lavoro (anch'essi secondo il conteggio ufficiale) vacanti. Si tratta di un rapporto di tre a uno. Chiunque paragoni un rapporto di uno a dieci con un rapporto di tre a uno giungendo alla conclusione che nel secondo caso vi sia una carenza "storica" di manodopera e che quindi i lavoratori oggi abbiano un maggiore potere contrattuale si sta fondamentalmente sbagliando.

Il timore di una spirale salari-prezzi viene fomentato in maniera artificiale

Sulla base di questa diagnosi errata, la BCE arriva addirittura a fomentare la paura di una spirale salari-prezzi, che invece è completamente infondata. Non solo a causa del rapporto inverso tra posti di lavoro e disoccupati, ma anche a causa di molte azioni politiche deliberate durante i decenni del neoliberismo: il movimento sindacale in Germania e in tutta Europa è stato massicciamente indebolito.

Non da ultimo, all'inizio di questo secolo, sotto i rosso-verdi, con la legislazione Hartz IV, il movimento sindacale e la capacità dei sindacati di mobilitare i propri iscritti in occasione di uno sciopero, proprio nel più grande Paese dell'Unione monetaria, hanno subito un duro colpo.


Tutto questo è passato inosservato a Isabel Schnabel? Se fosse così, allora non ha nulla a che fare con il luogo in cui siede.

Ci si chiede, tuttavia, come abbia fatto l'economia all'inizio degli anni Settanta a crescere in modo così sostenuto, quando a differenza di oggi non c'era la possibilità di reclutare manodopera dall'esterno

La risposta è semplice.

Vale e dire: le aziende hanno dovuto trasformare internamente tutti i lavoratori disponibili in lavoratori qualificati con l'aiuto di una formazione intensiva.

Chi non riusciva a trovare dipendenti doveva rassegnarsi alla possibilità di espandere il business solo alle attività che potevano essere realizzate escllusivamente con la forza lavoro esistente. E c'erano tutte le ragioni per investire in attività fisse, più in quelle che aumentavano la produttività che in quelle che aumentavano la capacità.


Le lamentele dei datori di lavoro sulla carenza di competenze, che vengono lanciate nel dibattito pubblico ogni pochi mesi, sono piu' che altro l'espressione di una mentalità dell'offerta da parte dei datori di lavoro che non può essere giustificata da nulla e che ha potuto emergere nei decenni passati perché la disoccupazione è rimasta costantemente alta.

Coloro che nei loro discorsi domenicali invocano l'auto-guarigione dell'economia attraverso le sole forze di mercato diventano improvvisamente sostenitori dell'interventismo statale quando si tratta di disponibilità di manodopera. Lo Stato tuttavia non ha alcun obbligo di garantire un'offerta regolare di manodopera.

La mentalità orientata all'offerta dei datori di lavoro è particolarmente evidente quando suppongono che questa offerta di manodopera debba avvenire sempre alle stesse condizioni salariali.

Se si ha urgente bisogno di manodopera, si deve fare quello che si è sempre fatto quando non si riesce a procurarsi facilmente un bene scarso: spendere più soldi. E questo è l'unico modo per sfruttare le potenzialità del mercato del lavoro non altrimenti disponibili.

Ma quando si tratta di aumentare i salari, i datori di lavoro dimenticano volentieri che si trovano in un'economia di mercato e non in un'istituzione statale.


La colpa è solo dei politici. Quando i ministri federali viaggiano dall'altra parte del mondo per reclutare lavoratori in un Paese in via di sviluppo, devono avere l'impressione che si tratti di una questione squisitamente politica.

Risolvere la carenza di lavoratori qualificati con l'immigrazione è tuttavia di un cinismo senza pari in una società che fa di tutto per chiudere quanto piu' possibile le proprie frontiere all'immigrazione in fuga dalla povertà, anche in barba ai diritti umani.

Va da sé che ci è permesso, per "nostre ragioni economiche", sottrarre ai Paesi in via di sviluppo i lavoratori qualificati di cui hanno urgente bisogno. Allo stesso tempo, però, facciamo tutto il possibile per fermare o impedire l'immigrazione per ragioni economiche.

Difficilmente si può essere più schizofrenici di così. Gli immigrati possono anche essere istruiti, ma ovviamente costano di più che andare a caccia di lavoratori già formati nei loro Paesi a spese dei contribuenti.

La soluzione al problema è semplice: in un Paese ci sono tanti lavoratori quanti sono gli abitanti.

Da dove arriva l'arroganza di dire che dobbiamo crescere più di quanto siamo effettivamente in grado di fare e che il divario deve essere colmato dall'immigrazione di lavoratori qualificati e ben istruiti?


Se la società è in grado di aumentare la propria prosperità attraverso l'aumento della produttività, tutto bene. Se non ci riesce, deve adattarsi a ciò che ha. Dovrebbe essere un tabù assoluto, soprattutto per le nazioni "basate sui valori", quello di manomettere il potenziale lavorativo di altri Paesi.

Cosa ci interessa davvero

Quello che ci interessa veramente è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio stipendiato guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica?

O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile.

Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto. I lavoratori qualificati devono semplicemente essere disponibili in abbondanza e a basso costo, in modo che il quinto superiore della gerarchia dei redditi possa continuare a vivere nel lusso non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi.


Articoli precedenti di Heiner Flassbeck:


La fine dell'inflazione in Germania 


Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobilare tedesco


Perché la politica monetaria della BCE è sbagliata





sabato 23 novembre 2019

Isabel Schnabel - L'unione bancaria è nel nostro interesse

Isabel Schnabel è membro del prestigioso Consiglio dei Saggi economici e prenderà il posto della Lautenschläger nel direttorio della BCE. Intervistata da Mark Schieritz su Die Zeit ci spiega perché l'assicurazione europea sui depositi è fondamentale per favorire la fusione di Deutsche Bank e Commerzbank con qualche altra grande banca europea, ma soprattutto ci dice una cosa interessante, di cui apparentemente anche i tedeschi sono a conoscenza: senza l'introduzione di un safe asset europeo, ad esempio gli eurobond, difficilmente i sud-europei accetteranno l'unione bancaria recentemente proposta da Scholz. Ne scrive Die Zeit



ZEIT ONLINE: Frau Schnabel, il Ministro delle finanze Olaf Scholz ha smesso di opporsi a una garanzia europea sui risparmi. Cosa ne pensa?

Isabel Schnabel: penso si tratti di un tentativo molto importante. Porta un po' di movimento in un dibattito che si era fermato e affronta delle questioni importanti per la stabilità dell'unione monetaria. Fra queste c'è anche l'assicurazione sui depositi, che in Germania non è molto popolare .

ZEIT ONLINE: fino a che punto?

Schnabel: una garanzia sui depositi ha lo scopo di evitare che i risparmiatori in preda al panico corrano a ritirare il loro denaro nel caso in cui dovessero presentarsi dei dubbi sulla solvibilità della banca. I sistemi di garanzia sui depositi, tuttavia, coprono solo una parte dei depositi presso le banche. La credibilità della garanzia sui depositi dipende anche dal fatto che dietro, a sostegno della banca, vi sia lo stato con il suo potere finanziario.

ZEIT ONLINE: perché è un problema?

Schnabel: perché l'assicurazione sui depositi crea un legame fondato sul rischio tra le banche e gli stati. Se la credibilità dell'assicurazione sui depositi risente del fatto che un paese è fortemente indebitato, questo allora può destabilizzare le banche. Un'assicurazione europea sui depositi potrebbe impedirlo.

ZEIT ONLINE: allora si potrebbe anche dire: perché in fondo in Germania dovrebbe interessarci cosi' tanto se una banca in Italia fallisce?

Schnabel: è un'illusione pensare che non siano affari nostri. Le nostre economie e i nostri sistemi finanziari sono fra loro troppo intrecciati. Siamo membri di un'area valutaria comune. Abbiamo visto il danno che una crisi può causare in un piccolo stato membro dell'unione monetaria come la Grecia. È nel nostro interesse che ciò non accada di nuovo.

ZEIT ONLINE: ma i critici dicono: tramite l'assicurazione sui depositi i risparmiatori tedeschi alla fine dovranno pagare per le banche italiane in difficoltà.

Schnabel: in questa affermazione c'è il presupposto che le banche tedesche stiano andando alla grande e quelle italiane vadano male. Nel complesso le cose non stanno necessariamente cosi'. Anche nel nostro paese ci sono banche che non sembrano essere molto brillanti. Inoltre, secondo i piani del ministero delle finanze tedesco, l'assicurazione europea sui depositi funzionerà come una polizza di riassicurazione. In questo modo il rischio viene ridotto al minimo

ZEIT ONLINE: come?

Schnabel: come accade in una compagnia di assicurazioni per auto, ci sarebbe una specie di franchigia. In caso di incidente sarebbero i fondi di garanzia nazionali a dover intervenire. Solo se i fondi nazionali dovessero esaurire le risorse, i soldi arriverebbero dal fondo europeo, ma solo come prestito. A questo punto, vorrei aggiungere, dovrebbe anche essere possibile farsi carico delle perdite.

ZEIT ONLINE: come si finanzierebbe il fondo europeo di assicurazione sui depositi?

Schnabel: tramite i contributi delle banche. Si dovrebbe collegare l'entità di questi contributi al rischio: le banche con un modello di business rischioso o le banche di paesi con istituzioni deboli, ad esempio un regime di insolvenza inefficiente, dovrebbero quindi versare contributi più elevati rispetto alle banche solide dei paesi con istituzioni solide.

ZEIT ONLINE: Scholz propone anche di inasprire le regole che regolano i titoli di stato detenuti dalle banche. Cosa succederebbe?

Schnabel: molte banche nei loro bilanci hanno un livello elevato di titoli di stato nazionali. Ciò rafforza la connessione problematica tra gli stati e le banche, perché se uno stato è nei guai, anche le banche di quel paese avranno difficoltà a detenere obbligazioni. Ciò comporta anche il pericolo che il rischio di un default sovrano venga trasferito a livello europeo attraverso un sistema europeo di assicurazione sui depositi. L'assicurazione europea sui depositi dovrebbe essere pertanto accompagnata da una regolamentazione più rigorosa dei titoli di stato.

ZEIT ONLINE: Wolfgang Schäuble, quando era ancora ministro delle finanze, suggerì di obbligare le banche a garantire i titoli di Stato con il capitale proprio come accade per gli altri attivi. Finora non hanno dovuto farlo.

Schnabel: politicamente è ancora molto controverso, in Europa e soprattutto a livello internazionale. Bisogna stare attenti che il nuovo regolamento non porti a una destabilizzazione del mercato dei titoli di Stato.

ZEIT ONLINE: cosa propone lei?

Schnabel: la copertura con il capitale proprio dovrebbe essere orientata soprattutto alla concentrazione. Su questo tema nel Consiglio dei Saggi abbiamo fatto dei calcoli con diversi modelli. Avrebbe senso se le banche potessero detenere le obbligazioni del loro paese di origine fino a un certo limite, senza dover garantire con del capitale azionario aggiuntivo. Se questo limite viene superato, le partecipazioni obbligazionarie all'aumentare della concentrazione e del rischio di insolvenza dovranno essere garantite da una maggiore partecipazione azionaria. La mia impressione è che Scholz abbia in mente qualcosa di simile. Nel dibattito non dovremmo comunque dimenticare: in nessun altro paese europeo la condivisione del rischio tra stati e banche è cosi' grande come in Germania, perché molte delle nostre banche sono di proprietà statale.

ZEIT ONLINE: gli amministratori di Deutsche Bank e Commerzbank hanno accolto con favore la proposta di Scholz. Come lo spiega?

Schnabel: un'assicurazione europea sui depositi faciliterebbe le fusioni transfrontaliere, che per le principali banche tedesche sono una grande opportunità. Sarebbe un passo importante per ottenere finalmente un vero mercato bancario europeo. Un altro passo essenziale sarebbe una legge uniforme sull'insolvenza bancaria, richiesta anch'essa da Olaf Scholz, per fare in modo che tutte le banche europee siano soggette alle stesse regole.

ZEIT ONLINE: molti economisti dicono: è un problema il fatto che in Europa non vi siano "safe assets", cioè un titolo di debito a prova di fallimento per l'intera unione monetaria.

Schnabel: ciò darebbe alle banche l'opportunità di investire con un'ampia diversificazione in titoli di stato europei senza doversi fare carico di accettare rischi di insolvenza più elevati. Molto dipenderà dalla forma finale del progetto, in modo che non vi siano problemi di incentivi sbagliati. Forse l'unico modo per ottenere un ampio consenso sulle riforme proposte è introdurre dei titoli di debito sicuri.