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lunedì 8 febbraio 2021

Nella trappola dei minijob

"Se mai fosse stata necessaria una prova ulteriore del fatto che i minijob sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita", scrive il sociologo tedesco Markus Kruesemman. Una riflessione molto interessante sulla trappola dei minijob ai tempi della pandemia, da Makroskop.de



Le misure prese nel corso del 2020 per combattere la pandemia da Coronavirus hanno lasciato il segno sul mercato del lavoro. Per la prima volta dopo anni di costante crescita, l'anno scorso il numero delle persone occupate è sceso. Contemporaneamente, il numero di disoccupati e inoccupati è aumentato. Il fatto che le cose fino ad ora non siano ancora peggiorate, probabilmente è dovuto al regime della cassa integrazione (Kurzarbeitergeld).

Se grazie a questa forma di proseguimento parziale del pagamento dei salari è stato steso un ombrello protettivo sui dipendenti soggetti ai contributi sociali, per molto tempo invece i lavoratori autonomi sono stati lasciati fuori e al freddo ad aspettare. Ma anche i cosiddetti impieghi marginali sono stati colpiti in maniera dura.



Basta un lockdown e i mini-job spariscono

"Gli occupati con un contratto di mini-job sono i veri perdenti della recessione indotta dal coronavirus", è questa la conclusione a cui giunge uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW) del novembre 2020. Come mostrano i dati, infatti, nel giugno 2020 c'erano circa 850.000 minijob in meno, vale a dire il 12% in meno rispetto all'anno precedente. Nello stesso periodo, l'occupazione soggetta a contributi sociali obbligatori si è ridotta però solo dello 0,2%. Le persone piu' colpite sono state proprio quelle che avevano un mini-job come lavoro principale. Il 45% degli occupati che nel 2019 aveva esclusivamente un minijob, nella primavera del 2020 non aveva più un lavoro. Per i mini-jobber che svolgevano il lavoro come impiego secondario, questa proporzione invece era "solo" del 18%.


E queste sono state le conseguenze solo del primo blocco di marzo/aprile 2020. Si sa ancora poco dell'impatto che avrà il blocco invernale. Ma probabilmente è corretto ipotizzare che la situazione dei mini-jobber, che si era un po' ripresa in autunno, tornerà a peggiorare. Gli ultimi dati estrapolati dall'Agenzia federale del lavoro mostrano già una tendenza negativa in corso nel novembre 2020.

In questo contesto, le dichiarazioni ottimiste su di un mercato del lavoro che in questa fase di crisi sarebbe robusto, e che avrebbe dimostrato di essere a prova di crisi, sembrano alquanto fuori luogo. Mostrano solo che i minijobber non contano. Non vengono nemmeno presi in considerazione dalle statistiche sulla disoccupazione, e si ha l'impressione che vengano ignorati o semplicemente dimenticati anche ora che siamo in crisi.

Male e peggio

Nessun dubbio sul fatto che anche per i lavoratori dipendenti che hanno un lavoro soggetto a contributi sociali, i tagli subiti in molti casi sono stati massicci. Grazie allo schema del Kurzarbeit, tuttavia, in molti almeno sono stati protetti dalla disoccupazione, anche se la riduzione dello stipendio per tanti lavoratori a basso reddito significa dover affrontare gravi problemi finanziari. E quelli che sono diventati disoccupati, nella maggior parte dei casi, almeno hanno diritto al sussidio di disoccupazione (ALG 1), in modo da potersi risparmiare l'umiliante viaggio al centro per l'impiego, sempre che il loro salario sia abbastanza alto da ricevere un sussidio di disoccupazione sopra il livello Hartz IV.

In confronto, i minijob sono "un sottomondo". Indennità di cassa integrazione? Niente del genere. Sussidio di disoccupazione? Neanche per sogno. È proprio qui che l'esenzione dalle assicurazioni sociali obbligatorie si fa sentire. L'equazione apparentemente attraente secondo la quale "il guadagno lordo corrisponde al salario netto", con la quale i datori di lavoro amano pubblicizzare i minijob, in tempi di crisi non funziona più. Chi viene mandato a casa e improvvisamente riceve solo uno zero lordo, non avrà niente di netto in tasca.

E solo come un inciso, per coloro che sono stati in grado di mantenere il loro minijob, ma ora hanno bambini in età scolare seduti a casa: poiché un'occupazione marginale non garantisce la copertura assicurativa sanitaria, i minijobber non hanno diritto all'indennità di malattia per i bambini, che recentemente è stata aumentata a un massimo di 20 giorni per bambino.

Un altro fattore che contribuisce alla crisi dei minijobs, naturalmente, è il fatto che il lavoro svolto dai minijobber non è generalmente adatto ad essere svolto in home-office. Ancora più grave, però, è il fatto che i minijobs si concentrano in quei settori che sono stati particolarmente colpiti dalle misure di lockdown.

I minijob sono una trappola occupazionale

Il ricorso allo strumento della flessibilizzazione del lavoro e dei minijob come strumento per il taglio dei salari nei settori particolarmente colpiti dal Coronavirus è un aspetto che da solo non può spiegare la crisi dei minijob. In realtà, non fa altro che esacerbare un problema fondamentale, la cui causa è strutturale: i minijob sono una forma di occupazione precaria e soggetta alle crisi. Una occupazione marginale non è adatta a garantire il sostentamento, per non parlare di una pensione in vecchiaia, e non è nemmeno un ponte verso un'occupazione regolare. Invece di affrontare la tanto attesa ri-regolamentazione della politica del mercato del lavoro, la coalizione di governo preferisce discutere sull'aumento da 450 a 600 euro della soglia massima di guadagno.

Se mai fosse stata necessaria un'ulteriore giustificazione in merito al fatto che i mini-job sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita.