Visualizzazione post con etichetta telepolis. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta telepolis. Mostra tutti i post

mercoledì 24 maggio 2017

La farsa di Schäuble

Telepolis pubblica un articolo molto interessante di Eric Bonse sui negoziati per gli aiuti finanziari alla Grecia. Siamo in una situazione peggiore rispetto all'estate del 2015, perché in Germania è iniziata la campagna elettorale e Schäuble non vuole perdere la faccia con gli elettori tedeschi: quanto piu' duro sarà con i greci, tanto piu' probabile sarà una vittoria della CDU alle elezioni di settembre. La farsa andrà avanti ancora un po'. Da Telepolis.


Si sta ripetendo lo stesso dramma del debito greco del 2015 - questa volta pero' solo come una farsa? Nel corso del vertice dell'Eurogruppo di lunedi' il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha fatto di tutto per dare questa impressione. L'uomo della linea dura della CDU non solo ha frenato sulla possibilità di concedere nuovi aiuti e sulla necessità di accordare un taglio del debito.

Ma ha anche scherzato sul FMI e sul Ministro degli Esteri Sigmar Gabriel. Con i suoi modi unici. 

Il FMI è troppo pessimista sulla Grecia e vorrebbe fare previsioni sulla crescita per i prossimi 40 anni, ha scherzato il Ministro della CDU. Al contrario di Sigmar Gabriel, che come il FMI chiede una riduzione del debito, lui non avrebbe un'idea precisa. "Non posso negoziare misure ulteriori, perché non ho un mandato su questo tema", ha detto Schäuble durante la conferenza. "Questo a volte viene dimenticato, anche da parte dei membri del governo federale".

Gli altri ministri tuttavia non erano in vena di battute. Desideravano solo chiudere una volta per tutte il difficile dossier: dopo mesi di discussioni fra i creditori - tra Schäuble e il FMI - ora si sta cercando una soluzione per far partecipare il FMI al terzo programma di aiuti, possibilmente senza far arrabbiare Schäuble.

"E' arrivato il momento per il FMI di salire a bordo", ha sollecitato il capo dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Le condizioni per una partecipazione del FMI devono essere decise nelle prossime settimane. Ma non sarà una discussione facile. Perché proprio il FMI ha posto come condizione per una sua partecipazione la proroga delle scadenze e la riduzione dei tassi di interesse sul debito greco, condizioni che Schäuble nega con veemenza. Dall'altro lato, la Germania non vuole pagare ulteriori aiuti alla Grecia se il FMI non viene coinvolto nel programma di aiuti. 

Chi sarà in grado di sciogliere questo nodo gordiano, anche dopo lunghe ore di discussioni, ai ministri lunedi' sera non era ancora chiaro. La sola cosa chiara è che la Grecia è a corto di tempo: nel mese di luglio Atene dovrà rimborsare piu' di 7 miliardi di prestiti in scadenza. Senza una nuova iniezione di denaro non sarà possibile.

La crisi ricorda il 2015, quando il paese rimase per mesi sull'orlo del fallimento. In un certo senso la situazione oggi è ancora piu' complicata. Perchè in Germania è appena iniziata la campagna elettorale; per questa ragione Schäuble e Gabriel hanno trasferito il loro scontro nello spazio pubblico. Per il momento Angela Merkel si tiene fuori.

Ad essere considerato imprevedibile questa volta è il FMI. Perché nessuno sa se e quando gli Stati Uniti, che a Washington dettano la linea del fondo, daranno il via libera alla partecipazione al programma di aiuti in corso. Il presidente americano Trump potrebbe essere tentato di far rimbalzare il problema sugli europei, temono gli insider di Bruxelles.

La speranza al contrario sembra essere il nuovo Presidente francese Macron. Lunedi ha spedito a Berlino il suo nuovo Ministro delle Finanze Bruno Le Maire per un colloquio amichevole con Schäuble. Ha telefonato anche al primo ministro greco Alexis Tsipras - e gli ha assicurato il suo sostegno nel negoziato sul debito.

Tuttavia questa "offensiva del charme" non sembra aver avuto particolarmente successo. Anche il commissario per gli affari monetari Pierre Moscovici, come La Maire un francese, non ha ottenuto grandi risultati. L'Eurogruppo si trova in fase di "avvicinamento alla pista di atterraggio", ha detto lunedì' con tono ottimista. Alla fine della giornata sembrava piu' che altro una atterraggio di fortuna.

Eurogruppo: un comitato disfunzionale che serve solo a posticipare gli aiuti

La responsabilità è di Schäuble, che da mesi inganna l'Eurogruppo. Ma nel fare cio' ha diversi complici volenterosi. Oltre al presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem, che discute il suo approccio con Schäuble fin nel piu' piccolo dettaglio, c'è il Ministro delle Finanze slovacco Peter Kazimir. Anch'egli spinge per posticipare nel tempo ogni taglio del debito per Atene.

Se aggiungiamo poi anche gli indecisi che si nascondono dietro Schäuble, allora è chiaro che l'Eurogruppo è un organo disfunzionale, che non riesce ad organizzare agli aiuti, ma che serve solo a ritardarli. Anche il FMI è sul banco degli accusati, perché non riesce a trarre le conclusioni dalle sue analisi. E queste mostrano chiaramente che la politica dell'austerità in Grecia ha fallito.

Ma invece di correggere la caduta libera, l'Eurogruppo vuole sempre di piu'. Le discussioni di lunedì ruotavano principalmente intorno a un tema: per quanto tempo ancora sarà possibile imporre ad Atene una politica di austerità? Quanto piu' a lungo si pretende un avanzo primario (budget prima del servizio del debito) del 3.5% del PIL, tanto piu' bassa sarà la quota di debiti che i creditori dovranno condonare ai greci - questa è la dura logica.

E quanto piu' la crescita futura sarà giudicata in maniera generosa, tanto piu' facile sarà convincere il FMI della "sostenibilità" dell'insostenibile debito greco. 

Se il presidente del FMI Christine Lagarde si farà convincere da questi trucchi contabili è tutto da vedere. Certo è che la tattica attendista di Schäuble rende piu' difficile la ripresa economica in Grecia, mentre aumenta le possibilità di un successo elettorale della CDU/CSU. Per questo la farsa probabilmente andrà avanti ancora un po'.

lunedì 15 maggio 2017

Macron e l'Europa tedesca

Telepolis pubblica un articolo molto interessante di Eric Bonse, giornalista esperto di temi europei e redattore del blog "Lost in EUrope": le riserve tedesche dopo l'elezione di Macron non sono dettate dall'impossibilità di modificare i trattati o dal fatto che la Francia non voglia fare i compiti casa, ancora una volta alla base di tutto c'è l'irrisolta questione tedesca e il tentativo di Merkel di difendere il comodo status quo in cui si trova la Germania dall'inizio della crisi. Ma Schäuble e Merkel devono fare molta attenzione, perché probabilmente Macron è l'ultimo amico di Berlino rimasto a Parigi. Da Telepolis


La questione tedesca è tornata. Ma questa volta a sfidare apertamente l'egemonia tedesca nell'UE non sono i ribelli greci, i britannici stanchi dell'Europa o i nazionalisti polacchi. Questa volta è un francese simpatico e giovane che ritiene fondamentale l'amicizia con la Germania e si trova in piena sintonia con il "trip neo-liberista" della Cancelliera: Emmanuel Macron, l'ottavo presidente della Quinta Repubblica Francese solleva ancora una volta la vecchia questione sul ruolo della Germania in Europa.

Più' precisamente, questa volta le domande sono due: riuscirà Macron a trasformare la Francia in un partner allo stesso livello della Germania spingendo all'estremo le riforme neo-liberiste? E la Germania tornerà a puntare sulla vecchia dialettica franco-tedesca e a cercare compromessi con Macron per far avanzare tutta l'UE? La prima domanda ce la si pone soprattutto a Berlino, la seconda a Parigi e a Bruxelles.

Non si tratta certo di far rivivere il vecchio "direttorio" con il quale Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno guidato l'UE in maniera alquanto discutibile durante l'Eurocrisi. Il motore franco-tedesco è morto e non verrà nemmeno riavviato. Ma è altrettanto obsoleto il modello con il quale Merkel è riuscita a difendere il suo potere dopo l'uscita di scena di Sarkozy. Olanda e Finlandia funzionavano da "junior partner" e insieme alla Gran Bretagna riuscivano a mettere la Francia in minoranza.

Con la Brexit la Germania perderà il partner piu' importante per attuare politiche neo-liberiste.

Non è stato certo un caso è non è accaduto per un'emergenza, come a Berlino invece si vorrebbe far credere. La Francia del successore socialista di Sarkozy, Francois Hollande, non è stata esclusa all'improvviso. La crisi politica ed economica a Parigi non è mai stata cosi' forte da permettere a Berlino di ignorare completamente il vicino. Merkel e il suo Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble hanno deliberatamente estromesso la Francia con l'obiettivo di imporre il loro corso politico all'interno dell'UE.

Dopo Brexit tuttavia non potrà continuare allo stesso modo. Con l'uscita della Gran Bretagna la Germania perderà il partner piu' importante per una politica neo-liberista, mentre la Francia guadagna peso relativo in Europa. Con Macron entra al Palazzo dell'Eliseo un uomo che non puo' essere etichettato come un presidente "Lame Duck" o come un socialista di sinistra sempre pronto alla rissa. Ciò rende la situazione per Merkel e Schäuble ancora piu' complessa.

Macron rilancia proposte vecchie e conosciute

Anche per Macron l'inizio non sarà facile. Egli stesso dovrà liberarsi dall'abbraccio troppo stretto della Cancelliera per non essere considerato una marionetta di Merkel. Per poter mettere in pratica i suoi progetti dovrà poi conquistare una maggioranza all'Assemblea Nazionale. E sulle questioni di politica europea devrà uscire da una posizione difensiva. Sotto Hollande la Francia aveva solo reagito, e mai agito.

Ora deve cambiare tutto. Macron potrà riprendere le vecchie posizioni di Hollande, che egli stesso come Ministro dell'Economia aveva contribuito a sviluppare. L'offensiva dovrebbe iniziare con dei congressi fondativi da tenersi in tutti i paesi UE. Potrebbero fertilizzare il dibattito in corso sul futuro dell'UE e dare ai cittadini una voce. In una seconda fase Macron vorrebbe promuovere una riforma dell'Eurozona. Un bilancio unico, un Ministro delle Finanze unico ed un Parlamento dell'Eurozona. Propone anche degli Eurobond, ma in maniera alquanto vaga.

Non si tratta tuttavia di rivendicazioni rivoluzionarie, al contrario. Macron riprende proposte ben note alle istituzioni europee, proposte che erano incluse nel cosiddetto "Rapporto dei 5 presidenti" per una "unione monetaria completa". Questo rapporto era stato redatto fra gli altri dal Presidente della BCE Mario Draghi, dall'ex Presidente del Parlamento Martin Schulz (SPD) e dal Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Dovrebbe far ripartire tutte quelle riforme che durante l'Eurocrisi erano state lasciate a metà e che restano necessarie per scongiurare nuovi shock.

La Germania di Merkel dice Nein

La Germania dice Nein. Già un anno fà Merkel aveva fatto in modo che il "Rapporto dei 5 presidenti" non entrasse come previsto nel processo legislativo dell'UE, ma finisse direttamente nel cestino. Oggi le proposte di Macron vengono rappresentate come se arrivassero da un paese dei balocchi socialista oppure come se fossero del tutto irrealistiche. I piani non avrebbero una maggioranza e possono essere attuati solo con modifiche ai trattati che nessuno vuole, almeno cosi' si sosteneva in maniera difensiva a Berlino.

Tutto ciò' è falso. Dietro ai piani di Macron c'è tutta Bruxelles, il Parlamento europeo vorrebbe addirittura andare molto piu' in là. E' dalla Brexit che chiede una rifondazione dell'UE e naturalmente anche una riforma dell'Eurozona. Non è Macron ad essere isolato ma Merkel, che si nasconde dietro argomenti giuridici fasulli.

La seconda linea difensiva tedesca è ancora piu' ridicola: Macron dovrebbe prima di tutto fare i suoi "compiti a casa" e avviare le riforme strutturali, prima di poter discutere alla pari con Merkel. In altre parole: senza un'Agenda 2010 francese ed un budget pubblico vicino al pareggio di bilancio non se ne parla proprio. Questo argomento è alquanto fallace. Perché da un lato Macron è proprio l'uomo che si è battuto per quelle riforme cosi' controverse. Con la legge Macron, una riforma del mercato del lavoro, nel 2016 ha scatenato una rivolta in Francia. Dall'altro lato anche la Germania non ha fatto i propri "compiti a casa", come gli esorbitanti e incontrollabili avanzi commerciali testimoniano. Recentemente è stato segnato un nuovo record storico. 

Se si dovesse aspettare fino a quando la Francia non ha azzerato il suo deficit di bilancio e la Germania non ha ridotto il suo avanzo con l'estero, allora nei prossimi anni non si potrebbe avviare nessuna politica europea comune.

Le riserve ufficiali di Berlino non dovrebbero essere prese come oro colato. Alla fine per Merkel e Schäuble si tratta piu' che altro di difendere il comodo status quo in cui si trova la Germania all'intero dell'UE e la tanto contrastata "europa tedesca" (Ulrich Beck).

Che ora ci si schieri non solo contro i politici europei di Bruxelles, ma anche contro l'ultimo amico di Berlino a Parigi, non sembra disturbare i seguaci e i consiglieri di Merkel. Con una buona dose di "Merkeliavellismo" (Beck) stanno cercando di mettere l'uno contro l'altro, Macron, Juncker, la Francia e l'UE.

Ma se la Francia fallisce, fallisce l'Europa. E questo dovrebbe essere chiaro a tutti dopo le elezioni presidenziali, anche a Berlino. La crisi ancora in corso, durante la quale la Germania ha guidato l'Europa non è finita con l'elezione di Macron. Al contrario: ha raggiunto anche i rapporti franco-tedeschi e rischia di scuotere le fondamenta stesse della costruzione europea. Dietro la crisi francese si nasconde la questione tedesca - ancora una volta. 

domenica 7 maggio 2017

Governerà alla tedesca?

Telepolis racconta la speranza delle élite tedesche di avere un Presidente francese che finalmente possa governare alla tedesca. Fra i grandi sostenitori di Macron in Germania ovviamente non poteva mancare Daniel Cohn-Bendit, ex leader della sinistra radicale, attualmente al servizio degli interessi delle élite tedesche. Da Telepolis


Formalmente il ballottaggio si tiene solo il 7 maggio. Ma per gli osservatori internazionali le elezioni ci sono già state e ora tutti si chiedono se Macron sarà in grado di applicare le assurdità richieste dalla Germania in materia di politica del lavoro. 

"Cosi' bravo come presidente", era il titolo del "Journal Internationale Politik und Gesellschaft", accanto ad un ritratto di Emmanuel Macron, che non a caso sembrava una riedizione giovanile di Sarkozy.

Alla IPG (Internationale Politik und Gesellschaft) non si discute piu' se Macron vincerà o meno il secondo turno contro Le Pen, ormai ci si chiede solo se il nuovo arrivato, senza partiti alleati, nelle elezioni parlamentari riuscirà ad avere una maggioranza in Parlamento. I consiglieri politici sono preoccupati di cosa potrebbe accadere se Macron dovesse governare senza una propria maggioranza:

"Se dovesse mancargli una propria maggioranza parlamentare, ci sarebbero allora 3 opzioni. Primo, uno dei grandi partiti politici potrebbe avviare una coalizione con Macron. Sarebbe una novità per la politica francese, sin dalla fondazione della Quinta Repubblica da parte di Charles de Gaulle. In secondo luogo sarebbe possibile un sostegno alla sua politica senza un accordo di coalizione formale e terzo, come eccezione, la già sperimentata coabitazione, nella quale il Presidente governa con un Primo Ministro sostenuto dai partiti di opposizione. "

Il mito dei partiti inconciliabili in Francia

In questi giorni si è parlato molto della presunta peculiarità francese, e del fatto che non ci sarebbero accordi possibili fra i partiti francesi. Diversi commentatori elettorali non si sono fatti mancare la vuota metafora della Rivoluzione Francese, a cui Macron di fatto dovrebbe dare avvio.

Non sorprende che anche la conservatrice Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS) abbia fatto ricorso a questa formulazione. Cio' che qui viene rivenduto come Rivoluzione Francese è esattamente l'opposto: la Rivoluzione Francese è stata primo di tutto la rivolta del terzo stato, l'emergere di una classe borghese, esattamente l'opposto della piccola mentalità reazionaria prussiana, che in Germania invece si stava facendo largo.

Ogni volta che dei cittadini consapevoli scendono in strada, si torna a parlare della Rivoluzione Francese. Un concetto che dovrebbe significare non aver paura dell'autorità, né in fabbrica, né in ufficio oppure nella società in generale. Quello che invece Macron dovrebbe fare, secondo la KAS, la Bild-Zeitung e compagnia, è proprio lo smantellamento di questa immagine della Rivoluzione Francese.

Dovrebbe finalmente realizzare le riforme nell'interesse dell'economia tedesco-europea, quelle stesse riforme che Hollande e i suoi predecessori non erano riusciti a mettere in pratica. Chi preferisce sottolineare che Macron non appartiene a nessuna delle tradizionali famiglie politiche, allora molto probabilmente si auspica che per lui i tradizionali think-tank del pensiero liberale possano avere piu' rilevanza di quanto potrebbe accadere con un presidente che ha bisogno di ottenere il consenso del suo stesso partito.

Anche il fatto che i partiti in Francia avrebbero un ruolo inconciliabile con gli interessi del capitale, diversamente da quanto accade in Germania, deve essere considerato un mito. Anche in Francia, infatti, dopo le elezioni, Hollande ha continuato ad applicare la politica che fino ad allora era stata portata avanti da Sarkozy e dai conservatori. Tutte le premesse di Hollande di rendere l'UE piu' sociale, sono state disattese.

Non ha cercato di combattere l'austerità tedesca alleandosi con i paesi della periferia europea. Quello che ancora di piu' ci si aspetta da Macron è che governi in nome del liberalismo economico e soprattutto combatta, sia nelle strade che nelle aziende, anche in maniera repressiva, la resistenza opposta dai sindacati di base.

Cohn Bendit e gli interessi dell'Europa tedesca

Fra i sostenitori di Macron della prima ora c'è anche il Verde Daniel Cohn-Bendit, un politico di lungo corso che è riuscito a mantenere su di sé l'aurea della ribellione del 1968. Anche allora si trattava piu' che altro di un mito. Cohn-Bendit è passato rapidamente alla nuova sinistra, trasformando il suo radicalismo anti-stalinista di sinistra in un grande amore per l'occidente.

Ben presto l'occidente si è trasformato nell'UE. E da un paio di decenni Cohn-Bendit puo' essere considerato, nella sua splendida veste verde, come un propagandista degli interessi imperialisti tedeschi. E' accaduto anche martedì sera alla Schaubühne di Berlino dove Cohn-Bendit, insieme a numerosi giornalisti franco-tedeschi, ha discusso delle elezioni francesi e delle loro possibili conseguenze.

La discussione si è sviluppata essenzialmente intorno a Cohn-Bendit, il quale con un discorso altamente emozionale ha spiegato ai presenti perché non avrebbe mai potuto sostenere il candidato della sinistra Jean-Luc Mélenchon.

Dal punto di vista contenutistico tuttavia non è stato molto facile spiegarlo. Alla fine la sinistra francese aveva anche un programma ecologista e si era schierata per un'uscita dal nucleare. Ma secondo Cohn-Bendit, sui temi di politica estera, Mélenchon ha scelto la parte sbagliata: vale a dire quella che si oppone all'Europa tedesca. Anche nel conflitto fra Cina e Tibet, secondo Cohn-Bendit,  Mélenchon non si sarebbe schierato dalla parte dell'opposizione tibetana, come invece aveva fatto lui da tempo.

Ma a mettere in agitazione Cohn-Bendit è stato il fatto che Mélenchon nel conflitto in Kosovo sin dall'inizio non ha considerato come illegittima la parte serba e che sempre secondo Mélenchon nel conflitto in Ucraina il cattivo non poteva essere solo Putin. Questo è bastato per far dire a Cohn-Bendit che nemmeno da morto avrebbe potuto sostenere "Melenchon il rosso".

Indipendentemente dal modo in cui si valutano i singoli conflitti, è sorprendente che Cohn-Bendit non abbia alcun problema nel trovarsi alleato con le destre dell'Ucraina o con gli islamisti siriani. Ancora piu' importante, dalla Serbia, al Tibet fino all'Ucraina, Cohn-Bendit sostiene le stesse forze che dal 1945 sono state alleate della Germania, e che ancora oggi lo sono. 

Che fra i misfatti di Mélenchon, Cohn-Bendit consideri anche le richieste fatte a Merkel, cio' dovrebbe lasciare davvero senza parole: la Bild Zeitung si complimenta, riferendosi ad un uomo che da giovane era saltato sul carro della sinistra radicale ma che poi è diventato un pastore tedesco.

Un certo risentimento fra Cohn-Bendit e i suoi ascoltatori lo ha causto l'intervento del regista Thomas Ostermeier, che ha avuto il coraggio di esprimere un'opinione diversa da quella di Cohn Bendit, culminata con la domanda: perchè i precari francesi dovrebbero votare il candidato Macron, che ora vorrebbe compiacere la maggioranza dei francesi con quelle stesse imposizioni che in Germania sono note come Hartz IV?.

Cohn Bendit e gli altri giornalisti non si sono stancati di riferire della grande attenzione con cui i media conservatori hanno seguito l'implementazione di queste misure e del fatto che le élite francesi su questo tema possono apprendere molto dalla Germania. Almeno un ascoltatore ha provato a confutare la bugia secondo la quale in Germania all'epoca non ci furono proteste contro le misure Hartz IV. Le proteste di massa durarono piu' di un mese e da questi movimenti, in maniera indiretta, è nata poi la Linke tedesca. Cohn Bendit e gli ossequiosi giornalisti probabilmente non lo sanno.

sabato 26 novembre 2016

E' iniziata la fine dell'egemonia tedesca in Europa?

Su Telepolis un'analisi dello scontro in corso fra il Ministro delle Finanze Schäuble e la Commissione Europea: la distanza non è mai stata cosi' ampia, sta per finire l'egemonia tedesca in Europa? Cristoph Stein su Telepolis


Lo scontro fra la Commissione UE e il governo tedesco cresce di tono. Quanto è profonda la frattura.

Cresce lo scontro fra la Commissione UE e la Germania, o meglio con il Ministro delle Finanze tedesco, sui principi di fondo della politica economica. Si parla di "superamento delle competenze" e di "violazione del diritto europeo".

Il Ministro delle Finanze tedesco ha criticato con forza la richiesta della Commissione UE di rilanciare la crescita in Europa attraverso una maggiore spesa pubblica. Ha accusato le autorità di Bruxelles di aver oltrepassato le loro competenze e di violare il diritto europeo. Il loro compito dovrebbe essere quello di esaminare i progetti di bilancio dei paesi europei secondo i criteri del Patto di Stabilità, e non secondo gli spazi fiscali disponibili. "Per fare questo non ha un mandato". 

Reuters

Schäuble, come racconta die Welt, ha alzato la voce "in un documento interno inviato alla Commissione UE". Si parla di una "lettera dai toni duri e molto urgente".

Nel dibattito sul bilancio del Ministero delle Finanze tenutosi il 22 novembre al Bundestag, Schäuble ha ripetuto la sua critica alla Commissione, questa volta pero' espressa in maniera un po' piu' pacata:

Il problema non è che riceviamo una raccomandazione, che magari non ci piace. Tali raccomandazioni vanno bene. E' normale, e ci sono naturalmente opionioni diverse sull'argomento. Il problema è che le raccomandazioni distraggono la Commissione dal suo vero compito, vale a dire valutare se i bilanci e i budget dei singoli paesi europei rispettano le regole europee. Questo è il vero compito della Commissione. E' il presupposto affinché la zona Euro possa rimanere stabile. Con queste raccomandazioni la Commissione non adempie il suo mandato, ma fa piuttosto il contrario, per questa ragione dobbiamo prendere posizione" 

Wolfgang Schäuble nel suo discorso di martedi' al Bundestag

Che cosa era accaduto? La Commissione il 16 Novembre aveva pubblicato il suo "Semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche nel 2017", il rapporto annuale sui programmi di bilancio e di riforma degli stati UE. Il documento segna un allontanamento dai rigorosi percorsi di risanamento e uno spostamento verso una politica fiscale piu' espansiva. La critica si è concentrata sulla Germania e il suo schwarze Null (pareggio di bilancio):

Il semestre europeo 2017, che inizia oggi, per l'Europa sarà fondamentale nel quadro di un cambiamento economico e sociale. Io credo che ce la possiamo fare. Per questo la Commissione raccomanda una politica fiscale positiva, da un lato per rafforzare la ripresa economica e dall'altro per sostenere la politica monetaria della BCE, che non può' essere lasciata da sola. Ogni stato membro deve fare la sua parte: quelli che se lo possono permettere dovranno investire di più', mentre quelli che hanno un minore spazio fiscale di manovra dovranno attuare riforme e un consolidamento fiscale favorevole alla crescita"

 Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione

A quanto pare la Commissione non si considera piu' solo come un organo di controllo sul mantenimento dei criteri di stabilità previsti dai trattati europei e sui livelli di indebitamento, ma come il guardiano della politica economica e della congiuntura europea.

Politica economica? Una parola che da molto tempo non si sentiva piu', almeno in Germania. Ma che questo concetto sia usato per parlare di una "politica di bilancio positiva", e cioè' un programma di investimenti finanziati a debito, viola tutti i principi che secondo Schäuble dovrebbero regolare l'Europa.

Tuttavia la Commissione fa un ulteriore passo in avanti: un passaggio in particolare deve aver seccato Schäuble, vale a dire quando parla come una sorta di super Ministero delle Finanze europeo:

Per valutare la situazione attuale, la zona Euro deve essere osservata nella sua totalità - come se ci fosse un Ministero delle Finanze europeo - e la sua politica fiscale deve essere presa in considerazione nel suo complesso.

La pretesa della Commissione di essere una sorta di Ministero delle Finanze per la zona Euro è stata probabilmente la ragione per cui Schäuble ha pronunciato parole come "superamento delle competenze" e "violazione del diritto europeo". Secondo Schäuble, come ha detto nel suo discorso al Bundestag, il compito della Commissione è quello di monitorare i limiti all'indebitamento, ma è chiaro che la Commissione si sta spingendo ben oltre.

Quattro citazioni dal testo della Commissione possono illustrarne gli obiettivi economici :

La situazione attuale è almeno sotto 2 aspetti insoddisfacente: il primo è che l'applicazione delle raccomandazioni per i diversi paesi sia per il 2017 che per il 2018 nel complesso porterebbero ad un corso fiscale di carattere restrittivo, mentre la situazione economica attuale sembra richiedere una politica fiscale espansiva.

Parlare di "una politica fiscale espansiva" da seguire a seconda della "situazione economica", fa riferimento al concetto di "politica economica anti-ciclica discrezionale" ed equivale ad un rifiuto dei vecchi principi del monetarismo, con i quali l'Euro è stato istituito nei primi anni '90.

Una politica fiscale discrezionale, da attuare secondo le circostanze, e' conosciuta solo dal keynesismo, ed è estranea alle teorie neoclassiche.

In questo testo la Commissione si riconosce in un approccio keynesiano. Apparentemente l'esperienza degli ultimi 10 anni, in particolare la grande crisi, gli effetti ridotti delle politiche monetarie espansive e lo shock della Brexit hanno minato l'evidenza del monetarismo, almeno a livello delle istituzioni europee.

Se ben concepita, in combinazione con le riforme e con la promozione degli investimenti, una politica fiscale attiva oggi puo' contribuire nel breve termine ad un rapido calo della disoccupazione, e nel medio termine, anche ad un miglioramento della crescita (potenziale) nella zona Euro.

Con queste frasi la Commissione si allontana dai tradizionali approcci neoclassici. Nel quadro della metafisica economica neoclassica una politica fiscale attiva in nessun caso puo' avere effetti positivi, puo' nel breve periodo creare l'illusione di un miglioramento, che pero' nel lungo periodo sarà pagato a caro prezzo. Che una politica fiscale attiva possa "aumentare il potenziale di crescita" è keynesismo puro.

Il nuovo keynesismo della Commissione resta tuttavia parzialmente bloccato dai requisiti restrittivi del patto di stabilità. Si applica ai paesi in surplus, mentre i paesi in deficit restano soggetti ai diktat dell'austerità. Tuttavia la Commissione indica la possibilità di un allentamento:

Dietro l'attuale orientamento fiscale generale ci sono grandi differenze fra i paesi membri, che da una prospettiva economica generale non hanno molto senso. Questa situazione può' essere riassunta come un eloquente paradosso: i paesi senza un margine di manovra fiscale, vorrebbero utilizzarlo, quelli che invece hanno un margine di manovra, non vorrebbero farvi ricorso. Affinché l'Eurozona nel suo complesso non finisca in una scenario di "lose-lose", è necessario un approccio collettivo.

Parlare di mancanza di senso o di un eloquente paradosso oppure di "lose-lose scenario" è un indizio chiaro del fatto che la Commissione è insoddisfatta dei requisiti restrittivi dettati dal Patto di Stabilità. E in effetti la Commissione negli ultimi tempi è diventata alquanto lassista nel controllo dei limiti all'indebitamento. La FAZ, a quanto pare non molto felice per il nuovo ruolo della Commissione, vede nella nuova direzione politica un passo verso "l'auto-distruzione finale", e parla di "frasi roboanti".

Il potere della Commissione viene tuttavia sottovalutato. Se ci ricordiamo della testardaggine con cui la Commissione in passato ha applicato i progetti precedenti, la svolta in direzione keynesiana potrebbe riservare molte sorprese.

Dal momento che la BCE fa già ampiamente uso dei suoi strumenti di politica monetaria, c'è largo consenso sul fatto che la politica monetaria da sola non puo' avere l'onere della stabilizzazione macroeconomica e che la politica fiscale deve svolgere un ruolo maggiore nella zona Euro. Questa preoccupazione è condivisa dalla comunità globale: nell'ultimo vertice i membri del G20 hanno affermato il loro impegno verso una strategia di crescita e nel loro comunicato di settembre 2016 si sono dichiarati decisi ad utilizzare individualmente o collettivamente gli strumenti di politica monetaria e fiscale per raggiungere l'obiettivo di una crescita forte, sostenibile ed equilibrata".

Il riferimento al vertice G20 nel testo della Commissione contiene un chiaro posizionamento. All'ultimo vertice G20 Wolfgang Schäuble e il Ministro delle Finanze americano Jack Lew si sono scontrati sui principi di politica economica:

da anni al vertice G20 si ripete la stessa discussione: il Ministro americano Jack Lew chiede un pacchetto di stimoli globali, esattamente i paesi con un avanzo con l'estero come la Germania dovrebbero fare di piu' per la crescita economica. Wolfgang Schäuble ripete quello che ha sempre risposto alla richiesta arrivata da Washington: per rilanciare la crescita globale sono necessarie le riforme strutturali, non un aumento della spesa. 

Der Spiegel

La Commissione si schiera pertanto chiaramente a fianco di Jack Lew e contro Wolfgang Schäuble. Non sorprende che Schäuble sia arrabbiato. Sente che sta perdendo il controllo sull'Europa.

sabato 16 marzo 2013

L'Europa di Merkel (parte seconda)


Seconda parte dell'interessante analisi fatta da Telepolis sulla leadership merkeliana e le implicazioni europee. La prima parte è qui.
La difesa del potente settore finanziario tedesco

Il governo federale ha insistito per il rimborso possibilmente completo dei debiti sud Europei e difeso gli interessi della potente industria finanziaria tedesca. Deutsche Bank, sotto il suo capo di allora Josef Ackermann, ha plasmato la politica dei salvataggi bancari e la gestione della crisi del governo federale, riuscendo a guadagnare tempo per ridurre l'esposizione verso gli stati in crisi come Grecia  o Irlanda.

Da tempo i Ministeri federali di Berlino ricorrono alla consulenza dell'industria finanziaria, anche perché le competenze degli stessi ministeri non sono sufficienti : "Per decenni le competenze specifiche sono state ridotte; lo stato è rimasto fuori dall'economia, ha trionfato l'ideologia dominante", scrive il giornalista Wolfgang Storz:

"Oggi il Ministero dell'Economia è un guscio vuoto. Il Ministero delle Finanze, senza l'aiuto esterno (e gli interessi legati) degli studi legali, non sarebbe in grado di creare una sola legge sul mercato finanziario"

Sempre secondo Storz, "il Ministro delle finanze Schäuble nel 2011  ha avuto delle serie difficoltà nel coprire importanti posizioni all'interno del suo ministero. Il Dipartimento per la Politica Europa e quello per gli Affari monetari internazionali sono rimasti per mesi senza un capo". In parole semplici, l'influenza dell'industria finanziaria sulla politica è molto grande.

Con l'imposizione delle politiche di austerità, il governo federale ha agito a difesa degli interessi del mondo industriale e finanziario, tedesco ed europeo. Questo corso politico è tuttavia coerente con le posizioni  della coalizione di governo berlinese. Gli obblighi di risparmio degli stati europei in chiave morale sono il segno della colpa, di cui si loda la dolorosa purificazione attraverso l'autolimitazione.

La narrativa nazionale moralizzante.

Chi "ha vissuto al di sopra dei propri mezzi", ora dovrà "tirare la cinghia". Ecco perché fino ad ora è stata negata una messa in comune del debito, ad esempio attraverso gli Eurobond. In questo modo, sempre secondo la narrativa dominante, i "laboriosi tedeschi" hanno dovuto garantire "per i pigri sud-europei".

Con la sua interpretazione moralista della crisi, il governo ha finito per danneggiare se stesso. Nella Repubblica federale è sempre piu' diffusa l'immagine della Germania "ufficiale pagatore d'Europa", anche perché le responsabilità tedesche nella crisi non sono state sufficientemente dibattute, né dalla coalizione di governo né dall'opposizione.

Le campagne mediatiche contro i paesi beneficiari, come la Grecia, oppure le narrazioni in cui la garanzia debitoria tedesca viene presentata come una reale uscita finanziaria ed esagerata nelle sue dimensioni, rafforzano questa rappresentazione. A causa di questo clima - in parte creato dal governo - è diventato sempre piu' difficile riuscire ad ottenere la maggioranza per ulteriori crediti ai paesi partner.

L'autopercezione dell'ufficiale pagatore

La Germania è diventata quindi prigioniera della sua stessa ideologia e il governo ha fatto il possibile per evitare ogni dibattito sulla futura forma dell'Unione: una qualsiasi forma di stato federale porterebbe con sé un trasferimento delle entrate fiscali fra i paesi membri. Una tale forma di solidarietà istituzionalizzata fra i paesi europei, il governo federale potrebbe rivenderla ai suoi elettori, solo se accompagnata da rigidi meccanismi di risparmio applicati a tutti gli stati EU.

L'autopercezione di ufficiale pagatore è tanto piu' impressionante perchè è propio la Germania - almeno nel breve periodo - ad aver ottenuto dei vantaggi dalla crisi. Non solo il governo federale ha guadagnato un accresciuto peso politico ed economico in Europa, ma il debole corso dell'Euro durante la crisi ha reso l'export tedesco ancora piu' economico. Inoltre, il bilancio del governo federale ha avuto grandi vantaggi finanziari. Gli investitori chiedono tassi alti per i titoli sud-europei, considerati troppo rischiosi, e fuggono verso porti sicuri come la Germania. Per un lungo periodo il governo è riuscito a piazzare i suoi titoli a tasso zero, e nel gennaio 2012, per la prima volta nella storia, ad un tasso negativo.

Gli investitori hanno addirittura pagato per poter prestare denaro alla Germania. Nel complesso il governo federale si è potuto rifinanziare ad un tasso decisamente piu' basso rispetto agli anni precedenti. Tra il 2009 e il 2011 sui titoli a 2 anni ha pagato in media l'1.11 % - contro una media del 3.42% nei 9 anni precedenti.

I tassi sui Bund a 10 anni si sono mossi nello stesso modo: negli anni prima della crisi sono stati in media del 4.27%, tra il 2009 e il 2011 il valore medio è stato del 2.91 %. Con un tasso d'interesse uguale a quello fra il 2000 e il 2008, sulle obbligazioni emesse fra il 2009 e il 2011, la Repubblica Federale avrebbe dovuto pagare 45 miliardi di Euro di interessi in piu'. Il governo ha reagito a questa situazione favorevole sui mercati emettendo piu' debito.

Il potere della Cancelliera

Mentre il lavoro intergovernativo europeo ha favorito l'egemonia tedesca, nella Repubblica federale ha condotto ad un rafforzamento dell'esecutivo Merkel, e soprattutto della Cancelliera. Merkel in Germania è diventata sempre piu' presidenziale. "Il potere nella CDU di oggi si concentra nell'ufficio della Cancelliera. Tutti i ministri sono direttamente dipendenti da lei", cosi' dice Josef Schlarmann (CDU), presidente dell'Associazione delle medie imprese e da sempre critico verso Merkel. Nell'agosto 2012 diceva: "Non c'è piu' un dibattito approfondito, nella CDU di Frau Merkel tutto é presentato come privo di alternative".

Al Bundestag sempre piu' spesso viene lasciato solo un ruolo di ratifica degli accordi che i capi di governo europei hanno già firmato. Cio' mette la coalizione di governo sotto una forte pressione, perché una bocciatura degli accordi siglati a livello internazionale, metterebbe la Cancelliera in difficoltà sullo scenario europeo. Inoltre i deputati spesso si trovano a decidere con poco tempo a disposizione, a volte per le temute reazioni dei mercati finanziari, altre invece perché è il governo ad averlo deciso a tavolino.

Cosi' i parlamentari hanno dovuto votare, senza che i documenti e gli allegati tecnici, centinaia di pagine, potessero essere analizzati e se necessario modificati. Il governo ha anche direttamente ostacolato il Bundestag, ad esempio con la mancata trasmissione ai deputati di alcuni documenti sul fondo ESM. La Corte costituzionale si è pronunciata sul tema sostenendo che il governo in quel caso aveva violato i diritti del Parlamento.

La Linke è il solo partito di opposizione

Sulle questioni decisive c'è un ampio consenso fra la CDU/CSU, FDP, i Verdi e la SPD. I Socialdemocratici e i Verdi si comportano come partiti di governo in attesa, non formulano nessuna alternativa di fondo alla politica europea del governo federale e al Bundestag spesso votano insieme alla coalizione di governo. Il solo partito di opposizione è la Linke. A questi si aggiungono singoli parlamentari di altri partiti: sempre piu' Euroscettici ed Eurocontrari in uscita dalla coalizione.

Ad ogni tentativo di resistenza, il governo reagisce proseguendo con decisione nella sua politica di difesa aggressiva dello status quo: la sua politica europea consiste nel preservare l'orientamento dei trattati attuali e incoraggiare l'orientamento liberista di quelli futuri. Per fare questo si affida a completamenti e ampliamenti delle regole già in essere, come ad esempio in materia di accordi intergovernativi il Fiskalpakt. Il governo non ha saputo proporre un concetto di unione politica dell'EU, ad eccezione della sola iniziativa di Westerwelle e di altre poco concrete dichiarazioni d'intenti.

In ogni caso non possono fare affidamento su un ampio sostegno popolare. Secondo un sondaggio dell'agosto 2012, solo un tedesco su cinque si augura uno stato federale europeo, fra gli elettori della CDU solo il 17%. Solo fra gli elettori della Linke si registra un sostegno massiccio al progetto federale europeo, il 44 %. Al contrario, oltre un terzo degli elettori europei vorrebbe riportare l'EU ad una comunità puramente economica, un quarto sostiene lo status quo.

Il 15 % sono invece a favore di uno scioglimento dell'EU; nel 2009 erano solamente il 10 %. Soprattutto fra i sostenitori della FDP e dei Verdi, secondo l'indagine, crescono i critici dell'EU: se nel 2009 fra gli elettori dei Verdi nessuno sosteneva lo smantellamento dell'EU, oggi sono il 9%. Fra i Liberarali la quota degli oppositori EU è cresciuta dal 3 al 17%, e fra i Pirati è quasi un terzo.

Accanto alla politica di difesa degli interessi motivata dall'ideologia, il conflitto potenziale, suggerito da questi dati, potrebbe essere il motivo per cui il governo federale fino ad ora  non si è battuto per le riforme strutturali di lungo periodo necessarie ad affrontare la crisi. E' anche difficile immaginarsi che questo esecutivo possa fare proposte per combattere la recessione in mezza Europa oppure il crescente divario sociale all'interno del continente. Al contrario, il governo federale impone all'Europa una politica di risparmio distruttiva ancorata in maniera permanente al Fiskalpakt.
-->

sabato 9 marzo 2013

L'Europa di Merkel (prima parte)


Prima parte di una riflessione sulla leadership Merkeliana pubblicata da Telepolis, interessante rivista on-line tedesca di analisi politica ed economica. La Cancelliera non ha il coraggio per fare un passo in avanti, riesce solo a difendere lo status quo. 
La Cancelliera è titubante? Pragmatica? Entrambi gli aggettivi non vanno bene. Di fatto la sua politica consiste nell'aggressiva e continuativa difesa dello status quo.

L'egemonia tedesca in Europa si fonda sulla forza economica - e la volontà politica di utilizzarla a proprio favore. Durante la crisi la Cancelliera ha indicato le priorità. Prima di tutto si è preoccupata del modello di export tedesco, dei profitti delle banche tedesche e del - presunto o reale - risentimento del contribuente tedesco.

Lo stato di salute dell'Euro, il volto futuro dell'Unione Europea e le prospettive della Grecia vengono dopo la difesa degli interessi economici nazionali. La responsabilità tedesca per il malessere europeo lasciano indifferente il governo Merkel. Jürgen Habermas descrive questo atteggiamento, in maniera prudente, quando scrive:

"La riunificazione in Germania ha messo in moto un cambio di mentalità (...) anche l'identità e l'orientamento della politica estera tedesca è cambiato e si è spostato in direzione di una maggiore concentrazione sugli interessi della Germania. Dagli anni '90 cresce a poco a poco la consapevolezza di essere una "media potenza" con una forza militare, che agisce come un attore sulla scena politica internazionale".

All'estero il nuovo ruolo della Germania provoca preoccupazione e disapprovazione. I giornali greci, i tabloid inglesi e la stampa di Berlusconi propongono paragoni con i nazisti e raccontano di un ipotetico "Viertes Reich": questa volta la Germania lo costruirebbe con le banche invece dei panzer. Anche i giudizi dei media con una  reputazione  migliore non sono diversi: un'analisi di Reuters identifica la Germania come "la piu' grande minaccia per l'Europa".

Invece di adattarsi ad un tentativo di dominio tedesco condannato al fallimento, gli altri stati, se necessario, dovrebbero formare un "fronte comune" contro la Repubblica Federale e costringerla a sottomettersi alle regole europee. In caso estremo si dovrebbe garantire la sopravvivenza della zona Euro senza la Germania. Anche secondo l'Economist, il governo tedesco ha le responsabilità maggiori nella crisi Euro, non da ultimo per la sua fissazione sui programmi di risparmio. Merkel tuttavia sembra ipotizzare che anche in caso di rottura dell'Euro, la Germania riuscirebbe comunque a cavarsela.

Un racconto opportunista

Mentre Merkel in Europa a causa della sua insistenza sull'austerità viene considerata ideologica e dominante, qui in Germania molti critici considerano il suo corso  pragmatico e un po' titubante. Le sue decisioni politiche sono molto spesso delle misure ad-hoc. Su questo punto è esemplare l'opinione di Jürgen Habermas, secondo cui, le elite tedesche stanno seguendo "senza vergogna il corso politico opportunista di una pragmatica di potere guidata dai sondaggi, che priva di ogni legame normativo" è scivolata verso "una politica senza bussola orientata dal breve termine".

Di fatto Merkel durante la crisi ha agito come perfetta rappresentante del dogma neoliberale. Se l'azione politica significa rispondere alle emergenze economiche oppure seguire i condizionamenti economici, non c'è piu' bisogno di giustificazioni normative. In questo senso Merkel ha evitato il pathos politico con cui Helmut Kohl proponeva il suo "progetto di pace europeo".

Generalmente Merkel lascia ad altri membri del governo il dibattito sulla crisi Euro. Ha scelto di rinunciare anche alla retorica roboante del suo predecessore Gerhard Schröder e al risentimento nazionalista contro la Grecia tipico di alcuni membri della coalizione. Puo' quindi passare per una pragmatica, che in realtà non è.

Ma cio' non puo' nascondere che è lei a definire le linee principali della crisi politica in Europa: prestiti in cambio di programmi di risparmio e lo stabile insediamento della politica di risparmio a livello europeo, fra questi il Fiskalpakt. Merkel si mostra determinata anche nella difesa del modello tedesco. Sulle questioni strategiche la Cancelliera in Europa è irremovibile e dominante, affidandosi pienamente a proposte neoliberiste.

Piccoli passi verso l'unione politica EU?

I cambi di posizione di Merkel riguardano questioni tattiche, come ad esempio nel dibattito sulla data di entrata in vigore del fondo ESM. Anche l'esitazione sui crediti promessi alla Grecia - con gravi conseguenze - aveva solo un motivo tattico: attendere le elezioni nel Land decisivo del Nordrhein-Westfalen. Quando si tratta del futuro d'Europa, Merkel segue una politica dei piccoli passi. La tanto propagandata unione politica rimane vaga. L'EU deve essere uno stato federale con un parlamento forte e un proprio governo? Oppure Bruessel deve ottenere solo qualche potere in piu' in materia di politica economica e sociale?

Un tale dibattito per lei è materia esplosiva, anche perché il suo partito non è unito sul trasferimento a Bruessel di ulteriori competenze. Il suo ministro degli esteri Guido Westerwelle nel settembre 2012 ha presentato un documento realizzato insieme ad un gruppo di ministri degli esteri EU. Nel gruppo erano rappresentati 11 membri, fra loro gli stati non Euro Polonia e Danimarca, ma non c'erano Grecia e Irlanda; la Francia si è unita solo piu' tardi con lo status di osservatore.

Il gruppo proponeva fra le altre cose una priorità della zona Euro, ulteriori controll sui bilanci pubblici ed un ruolo piu' importante del Parlamento europeo. Alcuni membri sostenevano un presidente EU eletto direttamente, altri un esercito europeo comune. Non è chiaro se il documento resterà un gioco intellettuale oppure sarà la linea guida per una riforma globale della EU.

Crediti a buon mercato e la concorrenza sotto prezzo della Germania

Nel complesso sotto la guida Merkel il governo federale ha offerto un quadro contraddittorio. Si è mostrato deciso quando si trattava di fare tagli oppure monitorare i bilanci nazionali. E' stato invece esitante e poco chiaro sul futuro istituzionale ed economico dell'EU. Il suo corso politico consiste in una difesa aggressiva dello status quo.

E cio' riguarda prima di tutto il ruolo economico della Germania nella EU. Mentre nel Sud Europa prima della crisi il credito facile alimentava i consumi, in Germania il governo e le imprese esercitavano una forte pressione sui salari. La Germania ha cosi' iniziato una concorrenza sul prezzo a spese dei suoi vicini di casa approfittando dell'aumento di domanda nel sud del continente. Le partite correnti di questi paesi sono andate in deficit, sul lato tedesco c'è stato invece un avanzo.

All'inizio della crisi il ministro francese dell'economia Christine Lagarde aveva richiamato l'attenzione su questo problema. Il governo federale avrebbe dovuto ridurre i suoi avanzi con un aumento della domanda interna, facendo crescere il livello dei salari e riducendo il lavoro precario. In questo modo la Germania avrebbe contribuito alla crescita nel sud Europa, ma avrebbe anche dovuto correggere la politica economica filoimprenditoriale fatta negli ultimi anni. La coalizione di Berlino ha negato ed ha insistito nello scaricare la responsabilità sui paesi in deficit, i quali hanno ora l'obbligo di diventare piu' competitivi attraverso programmi di austerità sul modello tedesco.

Il governo federale ha cosi' garantito il mantenimento del proprio modello e la vittoria dell'export tedesco su ogni possibilità di risolvere la crisi. La stessa industria dell'export ha sentito gli effetti del crollo della domanda nel sud Europa, riuscendo pero' a compensarla con i nuovi mercati extraeuropei. Soprattutto per le aziende operanti su scala globale la stabilità dell'Euro come moneta di riserva internazionale è di particolare importanza.

CONTINUA...


-->