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martedì 23 ottobre 2018

Flassbeck: l'Italia verso la tempesta perfetta (creata appositamente per affondare il governo)

Il grande economista Heiner Flassbek su Makroskop ci spiega perché sull'Italia si sta addensando una tempesta perfetta e perché questa volta il governo tedesco preferisce tenere un basso profilo e lasciare il lavoro sporco alle istituzioni europee. Per Flassbeck in questi giorni stiamo assistendo al funerale della socialdemocrazia europea: l'ultimo socialista francese con un incarico politico importante che per qualche decimale di deficit diventa il boia di un paese che sta cercando di uscire da una lunga crisi economica. Ma se i socialisti francesi sono a un passo dall'estinzione, per Flassbeck non è un caso. Da Makroskop un ottimo Heiner Flassbeck


Il fatto che l'ultimo socialista francese con un alto incarico politico, sia il anche il boia dell'Italia, è più che tragico. Ci mostra il modo in cui alla fine i socialdemocratici cadranno in rovina: per la paura che hanno del neoliberismo.

Pierre Moscovici, che nel suo ruolo di Commissario europeo per gli affari economici e finanziari potrebbe essere l'ultimo socialista francese a ricoprire un alto incarico politico, insieme al vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, ha scritto una lettera. Nel testo inviato al Ministro delle finanze italiano, in risposta al progetto di bilancio del governo, Moscovici scrive che rispetto ai tagli concordati, nella bozza di bilancio sarebbe presente una deviazione senza precedenti nella storia del Patto di stabilità e crescita. Entrambi danno tempo al governo italiano fino ad oggi pomeriggio per rispondere.

E' roba forte, ed è chiaro il significato: la Commissione, sotto la guida di un commissario francese, che appartiene a un partito ormai defunto chiamato Parti Socialiste, vorrebbe fare dell'Italia un esempio. E dal momento che la BCE non sta facendo nulla per frenare i  cosiddetti "mercati", dove la speculazione sui titoli di stato italiani va avanti, sopra il governo italiano si sta addensando una tempesta perfetta. Non c'è dubbio che questa tempesta abbia l'obiettivo di indebolire il governo italiano appena eletto o almeno di intimidirlo abbastanza da farlo rientrare all'interno della "disciplina" europea.

Chi ha preparato la tempesta perfetta?

Si può essere certi del fatto che la preparazione di questa tempesta sia avvenuta in maniera concertata e che il governo tedesco vi sia decisamente coinvolto. È davvero incredibile come ormai da settimane da parte del governo tedesco sul caso italiano si senta molto poco. A parte un'intervista relativamente moderata del ministro federale delle finanze, dal governo tedesco o dai partiti che lo sostengono, sull'Italia non si sono registrate praticamente altre uscite significative. Anche se i media  tedeschi "mainstream" da settimane commentano con la bava alla bocca, la politica è rimasta sorprendentemente silenziosa. Questo può solo significare che nel governo tedesco e al vertice dei partiti c'è un accordo: in considerazione dell'atmosfera anti-tedesca presente fra la popolazione italiana, questa volta il lavoro sporco sarà lasciato alle istituzioni europee, invece di farlo fare ai brutti tedeschi

Sicuramente anche la BCE è stata pienamente coinvolta, e data la sua posizione legale (divieto di finanziamento agli stati), la massiccia pressione politica e il fatto che al vertice si trova un italiano, non avrà altra scelta che fare quello che da lei ci si aspetta, cioè restare passivamente in attesa e lasciar fare i "mercati". Anche i critici della BCE dovrebbero essere consapevoli che nonostante la resistenza dei tedeschi e contro la giurisprudenza tedesca, la Corte di giustizia europea non ha classificato l'intera operazione del Quantitative Easing come un finanziamento pubblico, semplicemente perché la BCE è riuscita ad argomentare in maniera convincente che questo programma doveva essere considerato uno strumento di politica monetaria, in quanto aveva l'obiettivo di evitare la deflazione in tutta l'eurozona. Un intervento a favore di un paese, che è esattamente ciò che sarebbe necessario vista la speculazione sulle obbligazioni italiane, dati gli ostacoli giuridici, non potrebbe in alcun modo essere realizzato.

Cosa dovrebbe fare l'Italia?

È difficile prevedere il modo in cui il governo italiano reagirà. Soprattutto in considerazione delle numerose voci che anche in Italia mettono in guardia dall'avviare un percorso che si concluderebbe con un'uscita dall'Italia dall'euro e in cui il Movimento 5 Stelle in particolare, che ha scarse competenze economiche al proprio interno, potrebbe uscirne indebolito. Tuttavia, nel merito della questione, è certo che un cedimento avrebbe  degli effetti fatali per l'Europa.

Le vie d'uscita dell'Italia dalla crisi sono legalmente impossibili, bloccate da altri paesi oppure impraticabili per ragioni di cui l'Italia non è responsabile. La strada verso l'aumento dell'avanzo commerciale con l'estero, percorso sul quale in passato l'Italia ha avuto successo, nell'unione monetaria non è piu' possibile, perché da anni la Germania attraverso  il suo dumping salariale e grazie ad una posizione competitiva decisamente migliore impedisce ogni tentativo in questa direzione. Tagli salariali assoluti, non diversamente dalla Grecia, porterebbero al collasso del già debole mercato interno e farebbero aumentare immediatamente la disoccupazione.

Le possibilità offerte dalla politica monetaria sono da tempo esaurite, sia per l'Italia che per tutta l'Europa, e non ci si può certo aspettare una soluzione da parte delle aziende, o dal "mercato". Inoltre, anche in Italia, le imprese sono dei risparmiatori netti, il che significa che invece di migliorarla, contribuiscono a peggiorare la situazione complessiva della domanda. In questa situazione logicamente resta solo lo stato, vale a dire il solo che grazie a spese e deficit crescenti potrebbe provare a portare il paese fuori da una crisi che dura ormai da anni. Chiunque blocchi questo percorso, politicamente o legalmente, è un folle.

La fine della socialdemocrazia

Il fatto che la socialdemocrazia in Europa da anni non sia piu' in grado, oppure non sia disposta, ad appropriarsi di un contesto così chiaro e ad usarlo politicamente, dimostra che i loro giorni sono contati. Né i socialisti francesi né i socialdemocratici tedeschi (e molti altre "sinistre", in particolare i Verdi) si oppongono alla follia neo-liberista, perché già diversi decenni fa non sono riusciti a fondare il loro programma su una base macroeconomica ragionevole. La loro paura del Keynesianismo con i suoi "debiti" era talmente grande che hanno preferito scegliere la variante codarda dell'arruffianamento al mainstream.

Oggi che quella dei "debiti" è diventata una questione esistenziale per le nazioni e per l'Europa, la vendetta è amara. Un partito in grado di affrontare con sicurezza questo problema e tematizzare il nuovo mondo economico avrebbe sin dall'inizio un enorme vantaggio intellettuale rispetto ai suoi concorrenti. Poiché si tratta di considerazioni puramente logiche e non di una "teoria", un partito (o un movimento!) potrebbero facilmente comunicarlo anche a una popolazione scettica, e spiegare agli elettori il modo in cui il cittadino comune spesso viene ingannato dai cosiddetti benpensanti. Ma evidentemente manca il coraggio e la capacità di comprendere tre semplici passaggi logici. Chi sceglie di affondare in questo modo, evidentemente non meritava di meglio.



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sabato 8 ottobre 2022

Heiner Flassbeck - Berlino ha preparato il terreno

Per il grande economista tedesco Heiner Flassbeck, Berlino e i governi tedeschi degli ultimi anni non hanno fatto altro che preparare il terreno per questa ennesima vittoria della destra in un paese europeo. Un commento di Heiner Flassbeck su Junge Welt


Le elezioni italiane del 25 settembre, il cui risultato sembra aver scioccato molti, si inseriscono senza soluzione di continuità in una serie di elezioni in cui gli elettori hanno espresso la loro frustrazione per la situazione economica complessiva e per il ruolo dell'UE in particolare. L'unica cosa davvero sorprendente è che dopo ognuno di questi eventi, l'opinione pubblica in Germania finge di essere stupita - per poi tornare a farsi gli affari di sempre.

Naturalmente nessuno può o vuole arrivare a pensare che il governo tedesco possa aver contribuito ad una crescente frustrazione in gran parte d'Europa. Berlino fa sempre tutto bene e se la Germania può essere accusata di qualcosa, è solo di essersi messa troppo in secondo piano invece di aver assunto il "ruolo di guida" che in Europa le spetterebbe.


La Commissione europea ama essere considerata un combattente che difende ad ogni costo i "valori e le leggi europee" quando si tratta di Paesi relativamente piccoli dell'Europa centrale e orientale e delle loro relativamente piccole trasgressioni. La cattiva condotta della Germania (e dei Paesi Bassi), decisiva per il destino dell'Europa e che si esprime nelle enormi eccedenze delle partite correnti di questi due Paesi del Nord, non merita di essere menzionata. La Commissione non dice nulla nemmeno sulle conseguenze dei surplus tedeschi sul debito pubblico italiano.

Non c'è da stupirsi dunque che la frustrazione si stia diffondendo nei Paesi del Sud colpiti da questa condotta, soprattutto tra quei politici che non sono disposti ad affrontare di petto i Paesi del Nord. In Italia, la sinistra politica per molto tempo è stata troppo elegante, troppo diplomatica e troppo "europeista" per affrontare in maniera diretta le rimostranze dell'UE. Enrico Letta, leader del Partito Democratico (socialdemocratico), preferisce mordersi la lingua piuttosto che esprimere posizioni che potrebbero essere intese come critiche alle condizioni europee. Non vuole certo dimostrare che la destra ha ragione. Ma  proprio comportandosi in questo modo, rafforza immensamente la destra.

In Germania, qualsiasi politico italiano che osi criticare apertamente Berlino, come il futuro primo ministro Giorgia Meloni, viene stroncato senza pietà dalla stampa e dai politici. Chiunque dica qualcosa di critico sulla Repubblica Federale è un "odiatore della Germania". In questo modo viene stroncata sul nascere qualsiasi discussione obiettiva e si contribuisce direttamente a far vincere il prossimo governo nazionalista nel prossimo Paese che andrà a votare.



mercoledì 28 marzo 2018

Thilo Sarrazin: il miglior consiglio per gli italiani è quello di uscire dall'euro

Thilo Sarrazin è un ex dirigente della SPD, è stato nel board della Bundesbank e parlamentare della città di Berlino. Intervistato sulla moneta unica da Focus ha un consiglio da dare agli italiani: per voi sarebbe molto meglio uscire dall'euro. La stampa popolare tedesca continua con una narrazione dell'eurocrisi fondata su pregiudizi e cliché: il tentativo dei sud-europei di impossessarsi dei risparmi tedeschi per poter continuare a vivere al di sopra dei propri mezzi, ovviamente a spese dei contribuenti del nord. Da Focus.de 


Focus: in Italia gli euroscettici recentemente hanno ottenuto quasi il 50% dei voti. L'euro ha ancora un significato?

Sarrazin: mi lasci rispondere. L'euro ha tre funzioni. Primo: è una valuta, con la quale paghiamo. Secondo: molti hanno sperato che con l'euro le condizioni economiche generali sarebbero migliorate. Ma non è andata cosi'. E terzo, l'euro è il veicolo per l'integrazione europea. Tuttavia anche in questo compito è fallito, è accaduto esattamente il contrario.

Focus: cio' ha a che fare anche con le differenze culturali fra i paesi?

Sarrazin: abbastanza, noi tedeschi abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni e abbiamo una avversione storica nei confronti del debito e dell'inflazione. I paesi del sud sono meno disposti a scendere a compromessi e guardano di più' ai loro interessi. Questo è il motivo per cui esiste un altro approccio verso i conflitti politici, la cui soluzione spesso tende ad essere procrastinata.

Focus: che cosa significa concretamente?

Sarrazin: se non si riesce a trovare un accordo sulla politica di bilancio e sui tagli alle spese o sull'aumento delle tasse, allora si finisce per fare piu' debito. Questa fino ad ora è stata la via italiana. Per questo l'Italia fin dalla seconda guerra mondiale ha avuto un'inflazione piu' alta e ha fatto piu' debiti della Germania. In passato non era un problema, ma ora abbiamo una moneta comune che richiede una certa disciplina di bilancio.

Focus: che non c'è...

Sarrazin: ....e questo è diventato il modo italiano per risolvere i problemi.  I partiti che hanno vinto le ultime elezioni sono quelli che dicono: non ne vogliamo piu' sapere dei diktat finanziari tedeschi. Che si può' anche tradurre cosi': ci piace avere l'euro per comprare auto tedesche a buon mercato, ma non abbiamo nessuna voglia di rispettare le regole sul debito. Inoltre, non possono piu' svalutare la loro valuta per vendere ad un prezzo piu' competitivo i loro prodotti. Tutto cio' in Italia sta producendo grande frustrazione.

Focus: l'economista Heiner Flassbeck sostiene che la Germania nell'ambito dell'eurozona stia praticando un damping valutario, perché l'euro per la Germania è una moneta troppo debole.

Sarrazin: Flassbeck in parte ha ragione. L'euro è davvero troppo debole per noi. In realtà stiamo vendendo i nostri beni ad un prezzo troppo basso, e in questo modo rinunciamo ad una parte della nostra prosperità. Potremmo chiedere molto di piu' per i nostri prodotti. Ma Flassbeck ha anche torto perché da quando c'è l'euro la quota del commercio estero con i paesi dell'euro è diminuita costantemente. Il commercio con i paesi non-euro sta crescendo in maniera decisamente piu' forte.

Focus: perché è così?

Sarrazin: se l'economia in paesi come Francia e Italia non cresce, ovviamente non aumenta nemmeno il potere d'acquisto di quei paesi. L'euro ha influenzato negativamente la crescita nell'Europa meridionale, mentre nell'Europa del nord non ha avuto un effetto positivo.

Focus: ma se la Germania uscisse dall'euro avremmo un D-Mark decisamente piu' forte.

Sarrazin: non ho chiesto che sia la Germania ad uscire dall'euro. Ma alcuni paesi dell'europa del sud starebbero sicuramente meglio senza l'euro. Dobbiamo tornare alle regole del Trattato di Maastricht. E in quei trattati non vi è alcuna indicazione che la Germania debba garantire per i buchi di bilancio dei paesi economicamente piu' deboli. L'unione monetaria non dovrebbe essere una unione dei debiti.

Focus: in realtà è cio' che sta accadendo. Ci puo' spiegare nuovamente perché il denaro tedesco è sul fuoco?

Sarrazin: ci sono diversi meccanismi, in totale ce ne sono cinque, se si include il bilancio UE. La cosa peggiore è: io temo che la maggior parte degli economisti non abbia ancora compreso tutti i meccanismi.

Focus: proviamoci ancora una volta

Sarrazin: inizio dai saldi Target. Gli stati hanno due opzioni per finanziare i disavanzi delle partite correnti. Da un lato con il debito, dall'altro con il sistema Target-2. La BCE permette la creazione di enormi saldi negativi per i singoli stati, come se si trattasse di una linea di credito. Alla fine si tratta di paesi che come l'Italia e la Grecia sono indebitati con la BCE. Dietro però ci sono i crediti dei paesi che nel sistema sono dei pagatori, come la Germania.

Focus: come si è arrivati a questa situazione?

Sarrazin: l'unione monetaria è nata con l'idea che doveva esistere una moneta comune, ma nessun sistema di responsabilità comune. Questo approccio è venuto meno con il salvataggio della Grecia nel 2010. Da allora abbiamo una unione di responsabilità, ad esempio con il sistema Target 2 oppure con il meccanismo europeo di stabilità (ESM)

Focus: ... il fondo europeo di salvataggio per gli stati in difficoltà.

Sarrazin: giusto, e in quel fondo - come lei sa, la Germania è il maggiore contribuente netto. In casi estremi si potrebbe arrivare a 190 miliardi di euro per la Germania.

Focus: la richiesta di un sistema europeo di garanzia dei depositi si fa sempre piu' forte: che cosa significa per il risparmiatore tedesco?

Sarrazin: un'assicurazione europea sui depositi è un altro passo verso questa unione basata sulla messa in comune del debito. Quando si parla di assicurazione sui depositi, si tratta di garantire che i depositi dei clienti siano protetti nel caso in cui la banca fallisca. Abbiamo tre sistemi di garanzia dei depositi in Germania: per le banche private, per le casse di risparmio e per le Volks- e Raiffeisenbanken. E se questi sistemi non dovessero essere sufficienti,interviene lo stato, come è accaduto nel 2008...

...un'assicurazione sui depositi è una messa in comune delle garanzie. Tutte le banche che fanno parte dell'assicurazione garantiscono per una singola banca. Ora molti paesi del sud e dell'Europa dell'ovest, che vogliono portare avanti l'unione monetaria, vorrebbero creare un sistema di responsabilità comune per tutte le banche europee.

Focus: alcune banche in Europa pero' stanno già traballando, specialmente in Italia

Sarrazin: in Spagna, Francia e nella Repubblica Federale, le banche sono sostanzialmente stabili. Sono alquanto instabili in Grecia ma anche in Italia. Le banche italiane, in particolare, nei loro bilanci hanno ancora molti crediti inesigibili.

Focus: l'economista  Markus Krall  ha recentemente parlato di "un oleodotto" che va dalla Germania alla Sicilia

Sarrazin: me lo lasci dire. Vengono create delle condutture affinché i paesi del sud possano continuare a spillare denaro. Si tratta dei saldi Target, del meccanismo europeo di stabilità (ESM), come di una possibile unione basata sulla responsabilità comune. Solo la semplice esistenza di una condotta non significa necessariamente che in quella tubatura scorra del denaro.

Focus: ma questo è esattamente il motivo per cui la condotta è stata creata.

Sarrazin: corretto. Cio' significa: quante piu' tubature ci sono, maggiore sarà il rischio che in una seduta notturna a Bruxelles si decida che di fatto dovranno effettivamente scorrere soldi. Per questa ragione io dico: quante meno tubature possibile!

Focus: ecco lo scenario: diciamo che i tassi di interesse della zona euro aumentano e che i costi per il servizio del debito per i paesi indebitati stanno aumentando. A un certo punto queste condutture vengono aperte, e noi tedeschi dobbiamo pagare. Giusto?

Sarrazin: sì è giusto. Lasciatemi dire qualcosa sulla politica dei tassi di interesse. Abbiamo ancora dei tassi di interesse estremamente bassi. Se sei un risparmiatore, allora sai cosa cio' significa per i tuoi risparmi.

Focus: sfortunatamente, niente di buono per i risparmiatori tedeschi.

Sarrazin: questa politica dei tassi di interesse non è stata fatta secondo gli standard e le necessità tedesche. Considerando la forza dell'economia tedesca, anche un tasso di interesse del tre, quattro o cinque per cento sarebbe assolutamente accettabile. Anche se i bilanci pubblici dovessero pagare più interessi, sarebbe comunque fattibile. I tassi di interesse sono mantenuti artificialmente bassi dalla BCE.

Focus: parlando di lavoro, fortunatamente, in Germania abbiamo un tasso di disoccupazione relativamente basso. Le cose vanno diversamente in altri paesi come ad esempio in Spagna. Alcuni economisti stanno già mettendo in guardia contro la sicurezza sociale europea. Sarebbe una conduttura in piu'?

Sarrazin: è vero, nel peggiore dei casi potremmo quindi trovarci a finanziare i disoccupati nei paesi del sud.

Focus: quindi ancora denaro tedesco che deve servire per risolvere i problemi degli altri?

Sarrazin: è sicuramente intenzione degli europei del sud ottenere più denaro possibile dalla Germania e in generale dal Nord Europa. La domanda è come dobbiamo gestire la situazione.

Focus: come la gestiamo?

Sarrazin: non facciamo abbastanza resistenza. Una delle scelte piu' infelici di Martin Schulz è stata quella di dare l'impressione che fosse compito della Germania lasciare che gli stati indebitati si rifornissero con il denaro tedesco. Questo non puo' e non deve accadere.

Focus: accadrà?

Sarrazin: io faccio la seguente previsione. A livello europeo continueremo a prendere iniziative che vanno nella direzione sbagliata. Questi passi saranno troppo piccoli per risolvere i problemi in Spagna, Francia, Italia & Co. Ma sufficientemente grandi da causare rabbia e instabilità in Germania. Per questa ragione la frustrazione sta crescendo, su entrambi i fronti

Focus: quali saranno le conseguenze?

Sarrazin: in Germania, la moneta comune, l'euro, sta diventando sempre più impopolare. E nei paesi del sud stanno crescendo le forze che sono contrarie ad una ulteriore integrazione europea.

Focus: non dovremmo forse preferire un finale con l'orrore rispetto ad un orrore senza fine e lasciare che l'euro imploda?

Sarrazin: io piuttosto mi auspico che si possa tornare ai principi originari che furono concordati all'inizio. Il vecchio principio diceva: abbiamo una moneta comune, ma delle casse nettamente separate, e ognuno si occupa dei propri debiti.

Focus: che cosa accade se ipotesi simili venissero portate alle estreme conseguenze?

Sarrazin: se i mercati sapessero che ad esempio gli italiani devono pagare tutti i loro debiti da soli, i tassi per gli italiani salirebbero sicuramente. Questo significa: gli italiani devono pensare seriamente al loro futuro. Se vogliono mantenere l'euro, devono iniziare a risparmiare sul serio. Ma se non vogliono risparmiare, allora staranno meglio con la loro valuta.

Focus: ma è del tutto irrealistico che Italia & Co. in futuro possano garantire da soli per i propri debiti. 

Sarrazin: anche io sono scettico, perché il ministro delle finanze italiano in realtà dovrebbe preoccuparsi di come tenere sotto controllo il suo debito e di come far ripartire economicamente il suo paese. Non mi pare stia accadendo. Piuttosto si preferisce inveire contro la politica di austerità tedesca.

Focus: e la Francia?

Sarrazin: i francesi sicuramente finiranno per arrabbiarsi con i tedeschi, ma pensano ancora secondo categorie come quelle del prestigio. Non sarebbe certamente compatibile con il loro orgoglio nazionale accettare di essere troppo deboli per l'euro.

Focus: che dire dell'Italia?

Sarrazin: il miglior consiglio che si puo' dare agli italiani è quello di uscire

Focus: ci possiamo permettere di liberare l'Italia dall'euro?

Sarrazin: potrebbe diventare costoso: probabilmente dovremmo rinunciare a tutti i crediti nei confronti dell'Italia.

Focus: quanti soldi ci sono in ballo per il contribuente tedesco?

Sarrazin: potremmo perdere centinaia di miliardi di euro

Focus: che cosa significa?

Sarrazin: che il treno dell'integrazione europea deve essere fermato

Focus: in Germania, AfD sta lavorando duramente per fermare l'integrazione europea. Questo partito è cresciuto molto negli ultimi anni. Cosa ne pensa: AfD sarebbe diventata così forte se la SPD avesse ascoltato di più le tesi dei suoi libri come "Europa braucht den Euro nicht"  oppure "Deutschland schafft sich ab“?

Sarrazin: certo, penso che cio' che ho scritto nel 2010 sull'islam, l'immigrazione e sui nostri problemi demografici fosse giusto. La SPD ma anche la CDU/CSU all'epoca hanno perso l'opportunità di affrontare questi problemi in maniera ragionevole. E quando i temi non trovano una rappresentanza politica, allora saranno gli altri ad occuparsi di questi problemi. AfD non esisteva nemmeno quando uscì il libro. E anche se AfD certamente su molte cose sbaglia, ciò non cambia il fatto che in Germania abbiamo ancora molti problemi irrisolti. 

giovedì 18 maggio 2023

Heiner Flassbeck - La fine dell'inflazione in Germania

Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck sulla base dei dati appena pubblicati dall'Ufficio Federale di Statistica tedesco chiede che la BCE modifichi rapidamente la politica monetaria restrittiva in quanto l'attuale livello dei tassi sta gravemente danneggiando l'economia dell'unione monetaria. Ne scrive Heiner Flassbeck su Relevante Oekonomik 


I nuovi dati dell'Ufficio Federale di Statistica (si vedano i comunicati stampa) chiariscono la situazione anche agli ultimi dubbiosi: la breve fase di forte aumento dei prezzi appartiene al passato e la completa normalizzazione dell'andamento dei prezzi al consumo è solo questione di pochi mesi.

L'Ufficio ha rivisto al ribasso i prezzi alla produzione industriale e ha pubblicato i prezzi all'ingrosso per il mese di aprile. La scorsa settimana inoltre sono stati pubblicati i prezzi alla produzione dei prodotti agricoli per il mese di marzo. La Figura 1 mostra i tassi di crescita su base annua di questi tre indici di prezzo. Il risultato è evidente: i forti aumenti dei prezzi sono stati un evento temporaneo, i prezzi all'ingrosso stanno già scendendo e gli altri seguiranno a breve. Non sembrano esserci nuovi impulsi a nessun livello per consentire una ripresa di quello che molti hanno visto come un processo inflazionistico.

Figura 1

Se si osserva l'andamento dei prezzi alla produzione e all'ingrosso e dei prezzi al consumo sul lungo periodo (Figura 2), si può notare chiaramente come i prezzi al consumo seguano regolarmente e in maniera attenuata i prezzi alla produzione e all'ingrosso.



In particolare, le fluttuazioni nel corso della crisi finanziaria globale del 2008/2009 dimostrano che i prezzi al consumo sono in ritardo rispetto agli altri due indici con un disallineamento più o meno ampio. Nel 2011, ad esempio, i prezzi alla produzione e i prezzi all'ingrosso erano già in ritirata, ma i prezzi al consumo hanno continuato a crescere ancora per un po'. Il calo di questi prezzi prima della pandemia è arrivato con un certo ritardo anche ai prezzi al consumo.


Poiché tali sviluppi, come mostrato in questa sede, possono essere osservati anche in tutto il resto dell'unione monetaria, si può solo ribadire ancora una volta che l'affermazione della BCE secondo cui ci sarebbe una pressione inflazionistica persistente non ha alcun fondamento. Se si considera che la stessa BCE ipotizza un ritardo di 18-24 mesi negli effetti della sua politica, la questione relativa all'adeguatezza dell'attuale politica monetaria e ancor più degli annunciati ulteriori aumenti dei tassi di interesse diventa sempre più urgente.

Se i responsabili della BCE sono preoccupati per la politica salariale in alcuni piccoli Paesi membri dell'unione monetaria, dovrebbero parlare con le parti negoziali e contribuire a trovare soluzioni ai problemi sociali derivanti dall'estrema impennata dei prezzi (parola chiave: compressione della struttura salariale). Danneggiare l'unione monetaria nel suo complesso frenandone l'attività di investimento non aiuterà affatto i Paesi con politiche salariali non orientate alla stabilità. Infatti, la loro perdita di competitività internazionale sarà tanto più negativa quanto più l'economia europea sarà indebolita dalla politica monetaria. In questo contesto, le attuali previsioni della Commissione europea sono come il proverbiale fischio nella foresta.

sabato 21 dicembre 2019

Heiner Flassbeck - La crisi attuale è figlia di Hartz IV (prima parte)

Dopo il congresso della SPD, Der Spiegel ha lodato le riforme Hartz definendole una "benedizione" per la Germania. Il grande economista Heiner Flassbeck capovolge questa narrazione filo-governativa della cosiddetta "stampa di qualità" e propone un'analisi molto interessante: la recessione attuale è figlia di Hartz IV, perché se riduci intenzionalmente i salari per pompare l'export allora devi anche prendere in considerazione il fatto che prima o poi questo comportamento scorretto ti si ritorcerà contro. Ne scrive Heiner Flassbeck su Flassbeck Economics


Hartz IV è stato una "benedizione", titolava Der Spiegel qualche giorno fa, intevistando un professore di economia dell'Università di Ratisbona che lavora anche per lo IAB di Norimberga (Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung) (...).

Quando si tratta di fare una valutazione globale e politicamente rilevante degli effetti di Hartz IV, tramite la cosiddetta efficienza del matching fra domanda e offerta di lavoro, bisogna sapere che si tratta senza dubbio di una procedura problematica. Come tutte le analisi di questo tipo, infatti, si basa sul presupposto che sia sempre valida una clausola ceteris-paribus: semplicemente si presume che, a parte le riforme Hartz, nel periodo di indagine non sia accaduto nulla di importante. Ciò tuttavia trascura sin dall'inizio il fatto che le riforme Hartz hanno notevolmente rafforzato una tendenza che era già in atto sin dalla fine degli anni '90 e che in Germania ha comportato una crescita dei salari molto inferiore rispetto a quanto sarebbe stato richiesto dallo sviluppo della produttività. All'epoca anche i sindacati, che nel 1999 avevano sottoscritto questo corso nell'ambito di un'alleanza per il lavoro, volevano "utilizzare la produttività per aumentare l'occupazione" (qui una valutazione data all'epoca). Se si vuole investigare empiricamente una misura come Hartz IV, non si possono e non si devono separare gli effetti che derivano dalla riforma in quanto tale, dagli effetti che provengono dal quadro complessivo in cui era inquadrato Hartz IV.

Il motivo per cui la tesi di Hartz IV come "benedizione" è lontana dalla realtà, può essere facilmente illustrato se si fa ciò che gli economisti dovrebbero effettivamente fare: includere nell'analisi tutti gli effetti - a livello nazionale e internazionale - innescati o rafforzati da un tale cambiamento istituzionale della portata di Hartz IV. Gli economisti tedeschi, tuttavia, nei loro studi (o nelle interviste) non evidenziano mai alcun effetto internazionale. Ciò tuttavia in un'economia globale fortemente interconnessa non può essere mai giustificato, ma in un'unione monetaria come quella che abbiamo in Europa da vent'anni, è senza dubbio un elemento di negligenza.

Se qualcuno nel 1995 mi avesse chiesto come sarebbe andato il tentativo della Germania di ridurre i suoi salari nell'ambito dell'eurozona (o aumentarli meno della crescita della produttività), la risposta sarebbe stata molto semplice. Avrei detto che se gli altri paesi avessero accettato il dumping salariale tedesco senza contromisure o addirittura avessero aumentato i loro salari più di quanto fosse stato giustificato dalla loro rispettiva produttività, la Germania avrebbe senza senza dubbio sperimentato un boom delle esportazioni e uno sviluppo economico eccezionalmente buono. Ma avrei anche detto che una tale politica nel lungo periodo avrebbe portato alla distruzione dell'unione monetaria e avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per la Germania.

Per comprendere a fondo la portata di Hartz IV, bisogna inquadrarlo nella costellazione complessiva che nell'ambito della definizione dei salari era presente in Germania e in Europa all'epoca. Hartz IV è stato solo l'ultimo passaggio lungo il percorso di una politica economica volta a contenere i salari mantenendoli al di sotto di quella che chiamiamo la regola d'oro nella negoziazione dei salari: la crescita che deriva dall'andamento della produttività più il tasso di inflazione fissato politicamente. Hartz IV ha notevolmente indebolito il potere contrattuale dei sindacati in quanto la disponibilità dei lavoratori a battersi per ottenere salari più alti è diminuita a causa della minaccia di dover scendere rapidamente al livello della sicurezza sociale di base nel caso in cui fossero diventati disoccupati. Il singolo lavoratore, infatti, ritiene semplicemente che la sua lotta per avere un salario più alto gli si possa rapidamente ritorcere contro.

Le conseguenze dell'Agenda

Il problema principale nell'analisi scientifica delle riforme del mercato del lavoro attuate dai rosso-verdi dopo il 2000 risiede nell'orientamento unilaterale dell'approccio economico. Molti economisti in Germania, infatti, fanno ricorso ad una semplice argomentazione con la quale sin dall'inizio dell'unione monetaria difendono la politica tedesca: se, come è accaduto in Germania ai tempi dell'Agenda 2010 e con l'aiuto dell'Agenda 2010, è possibile imporre una riduzione (relativa) dei salari (rispetto all'estero) e quindi 20 anni di maggiore occupazione, meno disoccupazione e una forte posizione all'interno dell'UE, allora questa politica tedesca deve essere davvero giusta.

Questa semplice narrativa sembra giustificare l'Agenda 2010 e i media tedeschi continuano a farlo acriticamente. Anche se alcuni membri della SPD nella nuova leadership del partito sembrano aver capito che occorre correggere urgentemente i gravi errori dell'Agenda. Ma la crucialità della dimensione europea anche per loro è irrilevante. Con la CDU, che resta il più grande sostenitore dell'Agenda 2010, non ci si può certo aspettare che nel governo federale vi sia anche una sola voce in grado di rielaborare questa storia.

In un tale quadro molte analisi economiche risentono del fatto che partono dalle condizioni tipiche di un'economia relativamente chiusa e collegata al resto del mondo grazie ad un sistema di tassi di cambio flessibili. La Germania, però, sin dall'inizio dell'esperimento di riduzione dei salari, era un'economia relativamente aperta e nel corso degli anni e a causa della moderazione salariale è diventata una forma estrema di economia aperta. La Germania è anche membro di una grande unione monetaria, e quindi nel commercio estero ha operato in condizioni che sono diametralmente opposte rispetto al modello dei tassi di cambio flessibili. Le analisi che non mettono al primo posto questo aspetto non possono pertanto aggiungere alcuna  seria conoscenza.

Ma cosa è successo esattamente in realtà? Nonostante un aumento della produttività relativamente normale, l'aumento dei salari reali tedeschi nel primo decennio del secolo è stato vicino allo zero. A causa del deliberato contenimento dei salari orchestrato politicamente, le aziende tedesche hanno avuto sempre maggiori possibilità di sottrarre quote di mercato ai concorrenti esteri riducendo i prezzi (ma anche in mercati terzi, non solo all'interno dell'unione monetaria), oppure di conseguire profitti significativamente più alti con dei prezzi invariati rispetto alle aziende dei paesi dell'unione monetaria con andamenti salariali "normali".

In termini di export, la Germania ha quindi fatto molto meglio di tutti gli altri partner europei, come mostra la Figura 1 con l'esempio della Francia. Nel 2006 e nel 2007 e dopo la crisi finanziaria, le esportazioni tedesche sono letteralmente esplose. La Germania è stata in grado di mantenere la sua quota di mercato globale nonostante la concorrenza crescente della Cina, mentre Italia e Francia sono rimaste molto indietro. La quota delle esportazioni sul PIL in Germania è aumentata drammaticamente ed è ora a quasi il 50 %.


Come mostrato nella Figura 2, tuttavia il prezzo da pagare per la moderazione salariale è stata una debole domanda interna, perché, come prevedibile, le famiglie tedesche e i privati hanno reagito ad una prospettiva di reddito significativamente deteriorata limitando i loro consumi. I consumi privati ​​sono rimasti estremamente deboli per un lungo periodo e si sono adattati quasi perfettamente alla stagnazione dei salari reali orari.


E ciò ha comportato uno sviluppo economico separato raramente visto nella storia. Mentre le esportazioni sono decollate, la domanda interna è rimasta ferma e ha iniziato a riprendersi solo dopo il 2010. E' cresciuta all'incirca come in Francia, e ciò significa che il divario in termini di livello della domanda interna tra i due paesi resta ampio 



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Se si confronta la domanda interna ed esterna dal 1991 in poi (Figura 4), è facile vedere quanto sia grande il divario che è emerso fra la domanda estera tedesca e quella della Francia, in rapporto alla domanda interna tedesca.


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lunedì 24 luglio 2023

Heiner Flassbeck - I gravi errori del governo di Berlino che stanno spingendo l'economia tedesca ed europea verso la recessione

Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega perché il governo di Berlino sta commettendo dei gravi errori che presto porteranno l'economia tedesca ed europea verso la recessione. Ne scrive Heiner Flassbeck su Relevante Oekonomik

Heiner Flassbeck
Heiner Flassbeck


Nel mondo civilizzato chiunque voglia guidare un'auto deve dimostrare di saper valutare correttamente la direzione di marcia e la velocità del proprio veicolo, di padroneggiare gli ausili per la stabilizzazione e di avere una certa visione d'insieme della situazione del traffico. Questo obbligo di prova incontra il favore generale della popolazione, poiché chi desidera guidare può mettere in grave pericolo non solo se stesso, ma anche gli altri, se non possiede le competenze e le conoscenze necessarie.

Coloro che guidano l'economia nazionale, tuttavia, non devono dimostrare nulla del genere, anche se i loro errori di giudizio e di condotta potrebbero comportare un pericolo generale per la vita e il benessere della popolazione, un pericolo enorme.

Questi paragoni emergono quando si descrive il modo in cui il governo federale tedesco sta gestendo l'economia del Paese. In generale, sembra non comprendere quanto pericolose possano essere le dinamiche una volta che l'economia si trova su di una china scivolosa. Ciò deriva direttamente dalla fiducia nei presunti poteri di auto-guarigione dei mercati, una visione condivisa almeno da un partner della coalizione. Concretamente, il governo sta trascurando i segnali che indicano che l'economia continuerà a scivolare e che non si riprenderà da sola. Di conseguenza, i responsabili della politica economica non sembrano essere disposti a utilizzare le leve disponibili per stabilizzare in tempo il sistema.

Una volta che l'economia si muove in una direzione o nell'altra, il comportamento microeconomico degli attori economici privati tende a rafforzare tale direzione, sia che si tratti di un rialzo o di un ribasso. Per scongiurare o addirittura invertire un movimento verso il basso, è sempre necessaria una politica economica che disponga di strumenti forti per frenare la discesa e invertire la direzione. Ad esempio, se l'economia sta precipitando a causa di fattori esterni come la guerra in Ucraina o una crisi energetica, è indispensabile prestare particolare attenzione e avere il coraggio di affrontare le situazioni di fronte alla realtà e agire di conseguenza.

La Germania e l'Europa proprio in questa fase stanno affrontando una spirale negativa causata da fattori esterni. A peggiorare la situazione, c'è anche il fatto che l'ambito politico più influente che potrebbe contrastare questa tendenza, si è già schierato dalla parte sbagliata: la politica monetaria, infatti, sta aumentando i tassi di interesse, accelerando così il declino economico. Sebbene sia probabile che la politica monetaria prevarrà, c'è la preoccupazione che la politica fiscale possa ulteriormente esacerbare la spirale negativa. Infatti, il progetto di bilancio per il 2024 del governo tedesco prevede una significativa riduzione dell'indebitamento netto, che di fatto agirebbe da ulteriore stimolo nei confronti della tendenza al ribasso. La giustificazione dietro questa scelta è il rispetto dello Schuldenbremse presente nella Costituzione. Ma cosa prevede la Costituzione se l'economia tedesca dovesse collassare a causa del tentativo di aderire a questa misura finalizzata alla restrizione del debito? E cosa ne sarebbe della stabilità politica se una recessione rafforzasse gli estremismi politici?

Ma dove il governo vede un forte stimolo del settore privato?

Chiunque persegua una linea di politica economica prociclica dovrebbe avere almeno qualche argomento in favore del fatto che l'economia privata non andrà in ginocchio, nemmeno sotto la pressione di questa politica economica. Ma se si studiano i pronunciamenti ufficiali, non si trova alcun concetto plausibile in questo senso.

Secondo il rapporto mensile di giugno della Bundesbank tedesca, il PIL quest'anno dovrebbe registrare una contrazione dello 0,3%. Nonostante ciò, il presidente della Bundesbank afferma che: "[L'economia tedesca] si trovava in una cosiddetta recessione "tecnica" all'inizio dell'anno. Ciò accade quando il prodotto interno lordo reale diminuisce per due trimestri consecutivi. In questo caso, l'elevata inflazione ha pesato soprattutto sui consumi privati. A partire dalla primavera, tuttavia, l'economia tedesca dovrebbe essere tornata a crescere, seppur in modo contenuto. Pertanto, i forti aumenti salariali dovrebbero aver stabilizzato la spesa dei consumatori nonostante l'elevata inflazione."

Nel suo progetto di bilancio per il 2024, il governo tedesco si basava sulle sue proiezioni di primavera, in cui si ipotizzava ancora una lieve crescita economica. Il Ministero federale delle Finanze, concentrato sul rispetto del freno al debito per l'anno prossimo, scrive nella bozza introduttiva:

"Per il resto del 2023, il declino dell'inflazione, l'aumento dei salari, l'allentamento delle restrizioni dell'offerta e la ripresa dell'economia globale suggeriscono una ripresa economica." Tuttavia, gli ultimi indicatori del sentiment indicano anche l'esistenza di rischi al ribasso. Complessivamente, nella proiezione di primavera, il governo federale ipotizza un aumento del PIL reale dello 0,4% nel 2023.


Il Ministero Federale dell'Economia tuttavia condivide un cauto ottimismo quando scrive:


"Al momento non si osserva una recessione "economica" nel senso di un crollo prolungato e profondo della produzione economica con capacità sottoutilizzate, calo degli investimenti, diminuzione dell'occupazione e aumento della disoccupazione. ... Tuttavia, gli attuali indicatori economici non lasciano presagire una ripresa significativa nel secondo trimestre ... La prevista ripresa economica in Germania sembra quindi essere ulteriormente ritardata. Considerando il calo dei prezzi sui mercati energetici globali, tuttavia, un ulteriore rallentamento dell'inflazione, un aumento dei salari e la prevista ripresa economica globale, ci si aspetta una moderata ripresa economica anche nell'economia tedesca nel corso dell'anno."

L'aumento dei salari sembra essere il fattore decisivo su cui si basa la fiducia del governo e della Bundesbank. Con i prezzi dell'energia in calo e gli ultimi aumenti salariali nominali limitati nel breve termine a dei pagamenti una tantum, ci si aspetta un significativo aumento dei salari reali, che finora invece erano diminuiti drasticamente, e questo dovrebbe determinare una svolta nell'economia. Questo è sorprendente, considerando che in passato la politica era maggiormente orientata a mantenere la competitività tedesca e a sostenere i profitti attraverso il contenimento dei salari. Anche la politica del governo in merito al salario minimo non sembra aver compreso quanto sia importante che i lavoratori partecipino pienamente al progresso generale della produttività.

La politica fiscale tedesca - come un'astronave da sola nello spazio

Nella proiezione a medio termine del bilancio federale (Figura 1), il ministro delle Finanze illustra come affrontare le preoccupazioni riguardanti il crollo dell'economia. "Il ritorno alla normalità fiscale" è rappresentato da una freccia diretta dal 2019 verso il 2027, indicando che, secondo la sua pianificazione, la spesa federale totale tornerà approssimativamente al livello del 2014. Tuttavia, sembra che il ministro non stia tenendo conto del fatto che il calo della spesa, passata dai 573 miliardi di euro nel 2021 ai 476 miliardi nell'anno in corso, potrebbe aver già contribuito o addirittura intensificato la recessione del 2023, soprattutto con una politica monetaria restrittiva.



La presenza di un grafico con dati nominali (!) in un periodo di andamento dei prezzi estremo, posizionato in modo centrale sul sito web del Ministero delle Finanze, dimostra o la loro ingenuità o la loro considerazione nei confronti dei lettori ingenui, compresi i professionisti dei media.

Il grafico illustra l'idea che lo Stato possa agire in conformità con le opinioni in materia di politica economica dei leader, i quali si fidano della capacità di auto-guarigione dei mercati da realizzare attraverso un sempre minore coinvolgimento dello Stato nell'economia.

Tuttavia, anche se potrebbe essere sensato semplificare i requisiti di rendicontazione, le procedure di autorizzazione o le norme fiscali e tributarie, questi cambiamenti non eliminerebbero il meccanismo di base sopra menzionato, previsto in ogni economia di mercato: il comportamento parallelo e razionale dei privati.

Come si presenta la situazione effettivamente?

L'andamento dei settori industriali rimane il miglior indicatore dell'attività economica tedesca nel suo complesso. In questo contesto, l'indicatore anticipatore più importante, vale a dire i nuovi ordini, hanno mostrato una chiara tendenza al ribasso dall'inizio del 2022 (Figura 2 e 3). È importante notare la sincronizzazione della domanda, sia dalla Germania che dall'estero. Coloro che si aspettano che l'economia globale presto possa trainare l'economia tedesca, come sostenuto dal Ministro federale dell'Economia, dovrebbero prestare attenzione a queste serie temporali. Escludendo gli ordini di grandi dimensioni, che al momento riguardano principalmente l'industria della difesa, la domanda interna, nella media a tre mesi, è inferiore di quasi dieci punti percentuali rispetto ai valori di otto anni fa.

Figura 2

Fugura 3



Ma il Ministero dell'Economia spera ancora in un'inversione di tendenza nel momento in cui commenta i dati come segue:

"Complessivamente, gli ordini in entrata, recentemente soggetti a forti fluttuazioni, si stanno stabilizzando. Nel confronto a due mesi, tuttavia, sono ancora in calo (-2,6%). Il portafoglio ordini nel settore manifatturiero è ancora a un livello storicamente elevato, nonostante una progressiva riduzione, mentre la domanda di beni strumentali è aumentata sensibilmente a maggio sia a livello nazionale che estero. Anche il fatturato nel settore industriale è di nuovo in crescita. Alla luce di un clima aziendale smorzato nel settore manifatturiero, ciò suggerisce una leggera, anche se contenuta, espansione della produzione industriale nel prosieguo".

Tuttavia, il motivo per cui il ministero punta in particolare sulla domanda di investimenti interni per giustificare le sue speranze di inversione di tendenza rimane un segreto. Una rapida occhiata alla domanda interna di beni strumentali, esclusi i grandi ordini (difesa) (la linea rossa nella Figura 4), mostra quanto poco gli investitori nazionali si aspettino un aumento dell'utilizzo della capacità produttiva esistente. Altrimenti, perché avrebbero ordinato circa il 10% in meno rispetto a un anno fa o addirittura otto anni fa?

Figura 4

La situazione è ancora peggiore nel settore delle costruzioni tedesco (Figura 5), dove la domanda di abitazioni è fondamentalmente crollata. Tuttavia, questo calo massiccio non si è ancora riflesso nella produzione edilizia, perché le aziende stanno ancora lavorando sul portafoglio ordini esistente.

Figura 5


Questi fattori hanno contribuito all'aumento della disoccupazione in Germania di quasi 20.000 unità al mese dall'inizio dell'anno, e il numero di posti di lavoro vacanti è diminuito di circa 9.000 unità al mese (Figura 6). Anche questo è un chiaro segnale del fatto che molte aziende non si aspettano un'espansione nel breve periodo seguendo un normale ciclo economico.

disoccupazione Germania 2023
Figura 6



La Banca Centrale Europea (BCE) deve tener conto anche del mercato del lavoro.

In effetti, il tasso di disoccupazione in Europa è diminuito costantemente dal picco raggiunto durante la crisi dell'euro nel 2013 ed è attualmente al livello più basso degli ultimi quattro decenni. Questo ha portato alcuni responsabili della politica economica europea a ipotizzare che ci troviamo di fronte a un mercato del lavoro "svuotato" e a una carenza di manodopera. Di conseguenza, si mostrano ottimisti riguardo a futuri aumenti salariali, sperando che questi compensino le perdite precedenti in termini di salario reale causate dall'aumento dei prezzi. Queste previsioni positive sulla crescita dei consumi privati la considerano un pilastro fondamentale dell'economia.

Al contrario, i banchieri centrali, tra i quali c'è il presidente della Bundesbank tedesca, temono una spirale salari-prezzi. Utilizzano questa preoccupazione per giustificare un corso rigido in materia di politica monetaria e ritengono che ulteriori aumenti dei tassi di interesse siano la scelta appropriata. Fanno riferimento all'esperienza delle due crisi del prezzo del petrolio degli anni '70, crisi che hanno dimostrato dove una politica salariale eccessiva può portare. Vogliono evitare che si perda il controllo sull'infazione. Il presidente della Bundesbank tedesca mette in guardia in merito alla Germania:

"Nel breve periodo, ad esempio, i salari potrebbero aumentare più del previsto. Ciò prolungherebbe l'ondata inflazionistica attraverso alcuni effetti di secondo impatto. ... Uno sguardo alla storia può aiutare a trarre le giuste lezioni. La fase di alta inflazione degli anni '70 era stata accompagnata anche da turbolenze geopolitiche e da problemi di approvvigionamento energetico. Con le conoscenze di oggi, possiamo dire che le aspettative di inflazione sono state una ragione importante che ha fatto restare l'inflazione così ostinatamente alta all'epoca. Le lezioni importanti di quel periodo sono: non lasciare che le aspettative di inflazione si sgancino, non reagire troppo debolmente in termini di politica monetaria e non allentare troppo presto".

Questo punto di vista è condiviso anche da Isabel Schnabel, rappresentante tedesca nel Comitato esecutivo della BCE, come si evince dalla sua intervista con Andreas Sator (dal minuto 23). Come già analizzato nell'articolo "Come la BCE smaschera involontariamente il monetarismo" del 9 giugno, la preoccupazione per i forti aumenti salariali è esplicitamente giustificata dal confronto tra la situazione del mercato del lavoro in Europa di allora e quella di oggi.

Tuttavia, uno sguardo ai tassi di disoccupazione in Europa mostra che la politica europea è soggetta a un'idea sbagliata sul livello di disoccupazione e sulla "solidità" del mercato del lavoro (Figura 7).

Figura 7

Durante la prima crisi dei prezzi del petrolio negli anni '70, la disoccupazione in Europa era intorno al 3%, meno della metà di quella attuale. In quel periodo, i sindacati spingevano per aumenti salariali a due cifre. Oggi, l'Europa è ben lontana da quei livelli di piena occupazione. Inoltre, bisogna considerare che la definizione e la copertura di ciò che conta come disoccupazione sono cambiate più volte dagli anni '60 a oggi, spesso in favore di statistiche più indulgenti sul concetto di disoccupazione. Questa differenza tra i tassi di allora e di oggi diventa ancora più significativa. L'assertività dei sindacati è molto minore oggi rispetto al passato. Quindi, il confronto sul quale i funzionari della BCE basano la giustificazione della loro politica dimostra l'opposto di ciò che dovrebbe: dimostra infatti che l'attuale politica monetaria europea non può essere giustificata dalle preoccupazioni per salari eccessivamente alti.

La situazione è diversa negli Stati Uniti. Grazie ai massicci programmi governativi dopo lo shock pandemico, i tassi di disoccupazione ora sono bassi come negli anni '60, giustificando così la percezione in merito al fatto che il mercato del lavoro sia stato svuotato. Questa differenza è ciò che distingue la politica monetaria della Federal Reserve (FED) da quella della BCE: negli Stati Uniti ci sono valide ragioni per aumentare i tassi di interesse, mentre nell'Eurozona no.

Se l'andamento dei salari e dell'occupazione in Germania è sopravvalutato, come si teme, non possiamo aspettarci un sufficiente sostegno al sistema da parte dei consumi privati. Inoltre, se la politica monetaria europea e quella fiscale tedesca continuano a gravare sull'economia tedesca, la recessione economica, che il Ministero federale dell'Economia non vuole riconoscere, è imminente. I responsabili della politica economica dovrebbero evitare questa situazione.