venerdì 5 aprile 2013

E' la fine del jobwunder?


Nonostante le rassicurazioni del governo, il mercato del lavoro tedesco da mesi mostra segnali di rallentamento. E' davvero la fine del jobwunder? Da Jjahnke.net, con dati della Bundesagentur fuer Arbeit e del Statistisches Bundesamt

L'Arbeitsagentur vorrebbe convincerci che il recupero occupazionale di inizio anno non c'è stato solo a causa del lungo inverno. Anche i media si aggrappano a questa descrizione rosea dei fatti, come del resto fa il telegiornale della sera. E naturalmente fa lo stesso anche il Ministero dell'Economia, in maniera ancora piu' suggestiva, con il suo comunicato stampa:

"Il mercato del lavoro in Germania è in gran forma. Il rigido inverno ha fatto si' che in questa fase dell'anno la disoccupazione scendesse un po' meno del solito. Nel complesso la situazione economica e lo stato d'animo dei consumatori negli ultimi mesi sono sensibilmente migliorati. Ad eccezione della zona Euro, l'economia mondiale è tornata a crescere. L'economia tedesca è all'inizio di una fase di ripresa. Questa nuova fase di crescita avrà inizio in primavera e continuerà durante tutto l'anno. Il trend positivo nel mercato del lavoro si rafforzerà nel corso dell'anno".

I dati tuttavia descrivono una situazione diversa. L'indice relativo al numero di posizioni aperte del Bundesanstalt für Arbeit (Stellenindex) continua a scendere dall'inizio dello scorso anno ed è già al di sotto del livello dello stesso mese di un anno fa. Il numero degli occupati con l'obbligo di assicurazione sociale (no minijob) scende dall'ottobre dello scorso anno.

Indice con il numero di posizioni lavorative aperte del Bundesagentur fuer Arbeit
Numero di occupati in milioni con obbligo di assicurazione sociale (no mini-job) - Statistisches Bundesamt

Se confrontata con i dati dell'anno precedente, la disoccupazione continua a crescere dall'ottobre 2012. Anche i dati destagionalizzati confermano la crescita della disoccupazione, solo con pochissime interruzioni, sin dall'inizio dello scorso anno.
Andamento della disoccupazione rispetto allo stesso mese dell'anno precedente in % (Bundesagentur  fuer Arbeit)
Andamento della disoccupazione in migliaia. La linea nera è il valore relativo al mese, quella verde il  valore destagionalizzato (Fonte Destatis)

Naturalmente si fa di tutto per nascondere questa tendenza negativa. Quando si tratta dei dati sulla disoccupazione si torna ai soliti trucchi statistici. Solo il 56.6 % dei 5.5 milioni di beneficiari di un sussidio di disoccupazione sono ufficialmente registrati come disoccupati. 6 anni fa il valore era del 65%. Molti di questi nel frattempo hanno perso il diritto all'indennità perché non hanno accettato ogni lavoro che veniva loro proposto.

Numero dei disoccupati ufficiali (in blu) Vs. quelli non ufficiali ma che tuttavia ricevono un sussidio di  disoccupazione (in rosso), dati espressi in migliaia.

Sono sempre di piu' inoltre le persone che in Germania escono dal mercato del lavoro in anticipo e per questa ragione subiscono una riduzione della pensione. Secondo i dati del sistema pensionistico tedesco (Deutsche Rentenversicherung) nel 2011 sono state quasi 700.000 le persone che per la prima volta hanno ricevuto una pensione di anzianità. Circa la metà di queste - quasi 337.000 - non hanno ricevuto la pensione completa, perché non hanno lavorato fino al limite dei 65 anni. La quota dei pensionati precoci con un trattamento peggiorativo è salita dal 41.2 % del 2005 al 48.2% attuale. Secondo i dati della Bundesagentur für Arbeit la quota degli occupati fra i 60 e i 64 anni nel mese di giugno dello scorso anno era solo del 29.3%, fra i 64enni era addirittura del 14.2%. D'altronde è necessario considerare che a partire dai 58 anni non si viene piu' considerati disoccupati se entro un anno dalla perdita del lavoro non si riceve almeno un'offerta di lavoro.

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giovedì 4 aprile 2013

Flassbeck: o la Germania aumenta i salari oppure avremo un euro-sud

Il grande economista Heiner Flassbeck, in un'intervista a "Finanz und Wirtschaft", chiede un aumento dei salari tedeschi e propone un Euro-sud come via di uscita dalla crisi: i francesi non accetteranno mai un 20% di riduzione salariale. Da Finanz und Wirtschaft


L'economista Heiner Flassbeck in un'intervista a "Finanz und Wirtschaft" ci spiega perchè all'interno di una unione monetaria è fondamentale che ogni paese allinei i salari alla propria produttività. Al contrario, il debito pubblico non è importante.

Una unione monetaria potrebbe anche funzionare, ci dice Heiner Flassbeck, ex capo-economista dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD). Non crede pero' che i politici europei si stiano muovendo nella giusta direzione. 

Herr Flassbeck, dopo la debacle di Cipro, che cosa accadrà nella zona Euro?

Sono sempre stato un sostenitore dell'unione monetaria, ma non vedo come possa essere salvata. Le politiche adottate fino ad ora non hanno funzionato, ed è difficile pensare che inizino a farlo ora. Quindi la sola soluzione plausibile sarebbe quella di dividere la zona Euro in due parti.

Come dovrebbe avvenire la separazione?

Un folto gruppo di paesi del sud Europa - Francia inclusa - esce, in questo modo le sofferenze non sarebbero cosi' grandi. Grazie alla svalutazione molte importazioni diverrebbero piu' costose, i sud europei potrebbero continuare ad acquistare auto italiane o francesi dalla stessa zona valutaria. Le auto tedesche sarebbero molto piu' costose - e qui le sofferenze sarebbero maggiori. In poco tempo una parte importante dei mercati di sbocco per l'export tedesco scomparirebbe. Ma in Germania non si riesce a capire questa logica.

Ma il paese dopotutto è ancora il motore economico della zona Euro

La Germania con l'inizio dell'unione monetaria si era prefissata l'obiettivo di migliorare la propria competitività. Si puo' sempre cercare di farlo, ma in normali condizioni il tentativo è destinato a fallire perché la propria valuta finirà per apprezzarsi. Con l'avvento dell'Euro la Germania ha avuto l'opportunità, unica nella sua storia, di migliorare la propria competitività senza ricevere come sanzione un'apprezzamento della valuta. Già nel 1997 avevo lanciato un avvertimento, ma fra i politici non c'era alcuna consapevolezza. Con la crisi finanziaria questa politica è andata a sbattere contro il muro, ma la Eurocrisi nasce di fatto nel 1999.

Una unione monetaria puo' funzionare?

Si', quando si osservano i principi fondamentali: il tasso di inflazione fra i paesi deve convergere. Nella zona Euro l'obiettivo di inflazione comune era del 2%. La Germania non ha rispettato l'obiettivo verso il basso, il sud Europa verso l'alto. Solo in Francia l'inflazione è stata del 2%. In media l'obiettivo è stato raggiunto. Peccato la media sia inutile quando le divergenze sono cosi' profonde.

Come si puo' controllare l'inflazione?

Per mantenere l'obiettivo di inflazione i salari devono crescere allo stesso livello della produttività. Ogni paese deve adeguare il costo del lavoro per unità di prodotto alla propria produttività, tenendo conto degli obiettivi di inflazione. Cio' si traduce in una convergenza della competitività. Ognuno potrà essere felice a modo suo, se saprà adattarsi alla sua produttività.

Nella zona Euro non tutti sono felici

La Germania ha vissuto al di sotto delle sue possibilità, il sud Europa al di sopra. Esattamente quello che non è permesso fare. Di fatto si puo' avere una bassa o alta produttività, essere efficienti o male organizzati - non è importante. Basta solo adattarsi al livello della propria produttività.


E' permesso anche fare debiti?

La politica si concentra sui deficit pubblici e sul livello di debito, ma per l'unione monetaria non sono importanti. I criteri di Mastricht non hanno molto senso. E' importante: chi è il debitore e chi potrà sostenere il debito.

In passato sono stati i paesi emergenti ad avere il ruolo del debitore.

Per questa ragione sono stati condannati dal FMI. I paesi latino-americani ad esempio hanno detto: mai piu'! Non vogliono piu' trovarsi in questa posizione di dipendenza schiavista nei confronti dei creditori e avere in casa il FMI che gli detta le politiche economiche.

In Germania le famiglie e le imprese risparmiano e quindi sono creditrici. Chi dovrebbe indebitarsi?

Lo stato ha inserito un limite all'indebitamento in costituzione, e per questo non gli è piu' permesso. Cosi' è implicito che a fare debiti dovrà essere l'estero. Ma la Germania ufficialmente dice: i paesi debitori non potranno piu' fare debiti. E' una politica incoerente, e una politica incoerente non puo' funzionare.

Negli Stati Uniti, l'economista Paul Krugman, sostiene che sia lo stato a doversi indebitare per stimolare l'economia.

Io preferirei che fossero le aziende a indebitarsi. Sono le sole a poter sempre onorare i debiti, se decidono di investire. Lo stato è un'istituzione molto statica. Le imprese sono una massa in continuo movimento, portano avanti l'innovazione, i debitori non sono sempre gli stessi, ce ne sono sempre di nuovi. 

Le imprese pero' investono poco

La domanda interna tedesca è ai minimi. I consumi sono stagnanti da almeno 10 anni. Il commercio al dettaglio dal 1994 in termini reali non è cresciuto. E per una grande economia è una situazione ridicola. E nessuno lo dice, si cerca di nasconderlo sotto il tappeto, perché i media tedeschi sono fedeli al governo

Da dove dovrebbero arrivare gli stimoli?

L'Europa si trova nella peggiore stagnazione dagli anni trenta e non riesce ad uscirne. Ci deve essere qualcosa di fondamentalmente sbagliato. L'economista Richard Koo parla di una recessione di bilancio, in cui lo stato, le imprese e le famiglie contemporaneamente rientrano dal debito. Era cosi' sicuramente all'inizio della crisi, ma nel frattempo le imprese di tutto il mondo hanno accumulato cosi' tanto denaro che non hanno bisogno di ridurre il debito. Non sanno pero' cosa fare con il denaro. Per questa ragione è necessario andarlo a prendere - ad esempio con tasse piu' alte o salari piu' alti - e rimetterlo di nuovo in circolo. L'idea è che possano svilupparsi nuove imprese.

Le aziende tedesche hanno molto successo nell'export. Questo non è abbastanza?

La Germania ha bisogno di una struttura produttiva meno sbilanciata. Il settore dell'export è cresciuto da un terzo alla metà dell'economia, è decisamente anormale per una grande economia. E' necessario un maggiore consumo interno e meno export. E' la sola strada per compensare la situazione debitoria internazionale.

Piu' consumo e meno export - ricorda il riequilibrio in Cina.

Si' è lo stesso problema, e la Cina è riuscita a farlo. Ai vertici del gruppo G-20 non è piu' la Cina ad essere l'obiettivo delle critiche, ma la Germania, a ragione. La Cina si è accorta che era necessario un aggiustamento ed ha iniziato ad aumentare i salari. L'aumento dei salari è una rivalutazione reale - il corso nominale della valuta non è cresciuto. In questo modo l'avanzo commerciale si è ridotto. Si tratta di un tipico processo di riallineamento, ora il saldo commerciale estero della Cina non è piu' un problema. La Germania deve aumentare i salari; le famiglie continueranno a risparmiare il 10 % e spenderanno il resto. In questo modo le imprese avranno una possibilità sul mercato interno.

Invece dei paesi creditori, non potrebbero essere i debitori ad adeguarsi?

Io non credo che la Francia per potersi adattare ai paesi in avanzo commerciale possa accettare un taglio dei salari pari al 20%

In che modo si dovrebbero aumentare i salari?

E' abbastanza strano pensare in queste categorie. Nei paesi in avanzo dovrebbe essere lo stato a esercitare pressione. Ad esempio attraverso il coordinamento dei salari. Oppure attraverso un salario minimo piu' alto, con una indicizzazione alla produttività - fatto che spingerebbe verso l'alto anche gli altri salari. Per i paesi in surplus ci sono solo due strade: uscita dall'Eurozona e rivalutazione monetaria oppure rivalutazione interna attraverso un aumento dei salari. Non ci sono altertnative possibili. 


mercoledì 3 aprile 2013

E' la fine del mini-job?


A dieci anni di distanza dall'introduzione dell'Agenda 2010 e dopo averla votata, i Verdi fanno marcia indietro, almeno sui mini-job: sono stati un errore, è una forma di sfruttamento legalizzato. Da Süddeutsche Zeitung

Nel settore dei lavori a basso salario non è previsto l'obbligo della contribuzione sociale. Sono ormai numerose le aziende che impiegando solo minijobber fanno affari d'oro. Ma questa forma di impiego spesso non garantisce una pensione dignitosa. I Verdi vogliono cambiare le regole.

La Bundesagentur für Arbeit ufficialmente considera i Mini-job una buona idea. "Sfruttatate la possibilità di fare esperienza di lavoro e acquisite nuove conoscenze e competenze", scrivono sul loro sito web. "Potrete stringere nuovi contatti, ottenere nuove referenze e avere un nuovo punto di vista". E ancora: "Un mini-job puo' essere il punto di  partenza per un lavoro regolare".

In realtà non funziona proprio cosi'.

Anche i Verdi all'epoca votarono per l'introduzione dei mini-job, lo fece anche Katrin Göring-Eckard, la candidata del partito alla Cancelleria. I mini-job nelle intenzioni del legislatore dovevano essere l'arma perfetta contro la disoccupazione e il lavoro nero. Ma spesso non hanno soddisfatto queste aspettative. O forse peggio: l'effetto è stato esattamente quello opposto.

Ma ora i Verdi  nel medio termine vorrebbero abolire i mini-job. La loro attrattività risiede nel fatto che per il datore di lavoro non è previsto il pagamento dei contributi sociali. Pagano solo un piccolo contributo forfettario. Da gennaio 2013 in teoria per il datore di lavoro ci sarebbe l'obbligo di versare i contributi sociali. I minijobber di loro iniziativa possono tuttavia chiedere di essere esonerati da questo obbligo. E secondo le prime stime lo stanno facendo quasi tutti. Uno stipendio mensile di 450 € massimi non lascia molti margini.

Ormai da mesi quasi ogni settimana escono studi che dimostrano una cosa: i mini-job sono inflazionati. Oltre 7 milioni di individui - soprattutto donne - dipendono da questa forma di lavoro a basso salario. Per oltre 5 milioni sono la fonte principale di reddito. La maggior parte di loro non versa i contributi per la pensione statale. Semplicemente perché lo stipendio non basta. La conseguenza: crescerà la povertà in vecchiaia.

I Verdi propongono pertanto di riorganizzare il cosiddetto settore dei lavori a basso salario. Una parte di questo progetto è l'abolizione dei mini-job. Per i lavori senza assicurazione sociale obbligatoria lo stipendio massimo non dovrà superare i 100 € al mese. Lo ha annunciato Göring-Eckardt alla Rheinische Post.

I mini-job dovranno diventare poco attrattivi

La Göring-Eckardt conferma ancora una volta quello che i Verdi vogliono inserire nel programma per le elezioni federali: l'obbligo di versare i contributi assicurativi a partire dai 100 € al mese.

I mini-job non dovrannoo essere aboliti dall'oggi al domani. Al vertice nella lista delle priorità dei Verdi resta l'introduzione di un salario nazionale minimo definito dalla legge. Poi la limitazione del numero di minijobber impiegati in ogni singola azienda, e quindi la definizione di un numero massimo di ore di lavoro sul totale. In un momento successivo si dovrà stabilire che a partire dai 100 € mensili è necessario contribuire alla sicurezza sociale. Il limite oggi è a 450 €. I mini-job dovranno quindi "esssere sostituiti da forme contrattuali socialmente sostenibili", si dice nel programma.

Sono numerose le aziende che oggi impiegano quasi esclusivamente minijobber. Secondo i Verdi un abuso a spese dei contributi pensionistici dei lavoratori. I minijobber dovranno essere quindi trattati secondo il normale diritto del lavoro. Tutti passaggi che renderanno i mini-job sempre meno attrattivi.

Non è ancora chiaro se gli obblighi di contribuzione sociale dovranno essere introdotti immediatamente. Il loro ammontare è di circa il 20% del salario lordo, mentre le imposte sul reddito sono progressive e aumentano con il reddito.

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Come andrà a finire?


German Foreign Policy, osservatorio sulla politica estera tedesca, propone un'analisi realizzata dalla Friedrich Ebert Stiftung (vicina alla SPD) sulle possibili vie di uscita dalla crisi. Gli scenari sono 4, tutti prevedono un'egemonia tedesca sul continente. Da german-foreign-policy.com
In una recente pubblicazione della Fondazione Friedrich-Ebert (vicina alla SPD) vengono descritti 4 scenari per lo sviluppo dell'EU sotto la pressione della crisi Euro. Durante una serie di conferenze tenute in diversi paesi europei, la Fondazione ha cercato di analizzare i possibili effetti della crisi sulla struttura dell'Unione Europea. Il risultato è stato appena pubblicato. Secondo il documento, il consolidamento dell'EU in una unione politica sarebbe desiderabile, ma non cosi' realistico: piu' probabile invece la nascita di una unione dai confini ridotti intorno ad un centro tedesco ("Europa core"). In questo scenario, l'Unione Europea resterebbe solo come una zona di libero scambio. Nell'ultimo caso si ipotizza invece il totale impoverimento della periferia EU insieme al possibile collasso dell'intera zona Euro. Tale evento avrebbe le potenzialità per una escalation delle ostilità fra le regioni europee, in particolare fra nord e sud. La Fondazione Ebert ci ricorda che una unione fra piu' stati puo' finire anche in maniera violenta: un rischio non da escludere, con esplicito riferimento alla ex-Jugoslavia.

La paura della forza tedesca

L'analisi della "Fondazione Friedrich Ebert" si fonda su numerose conferenze e seminari tenuti lo scorso anno in diversi paesi europei. Il tema era lo sviluppo dell'EU sotto la pressione della crisi. Secondo la Fondazione ci sarebbero quattro possibili scenari. Il documento conferma inoltre che "la consapevolezza della forza tedesca " è ormai evidente in tutta Europa - ci sarebbe perfino "una non dichiarata paura di Berlino". E cio' avrebbe un ruolo importante nei 4 scenari ipotizzati.

Scenario del "tirare a campare"

Il primo scenario descritto dalla Fondazione è quello in cui le parti in campo cercano in qualche modo di "tirare a campare". In questo scenario proseguono le attuali politiche anti-crisi. I diktat di risparmio vanno regolarmente avanti, mitigati tuttavia da una prudente politica di crescita. I paesi in crisi del sud Europa dovranno essere ancora sostenuti con pacchetti di aiuto; a causa della disoccupazione di massa e dell'impoverimento, nella periferia scoppieranno rivolte dettate dalla povertà. Sul piano della politica mondiale, l'EU uscirà indebolita dalla lunga crisi economica. Al proprio interno emergerebbero forti flussi migratori da un sud-Europa senza prospettive verso un centro piu' ricco: uno sviluppo che Berlino sta già anticipando con la richiesta di un limite alla libertà di movimento (per i Rom e i Sinti). Secondo la Fondazione, nessuno crede che la strategia del "tirare a campare" possa durare a lungo. Nei paesi in crisi le tensioni già in atto finiranno per esplodere. A cio' si deve aggiungere il fatto che in Germania i gruppi piu' influenti eserciteranno una pressione sempre piu' forte per fermare l'esperimento Euro: per Berlino sarebbe troppo costoso e nella lotta per la leadership mondiale ci sarebbe già un'alternativa nazionale. In aprile è prevista la fondazione ufficiale del partito anti-Euro tedesco, che di queste riflessioni dovrà tenere conto.

Scenario dell'Unione politica

La fondazione Ebert considera uno scenario auspicabile il passaggio verso una completa unione fiscale. In questo caso tutte le competenze necessarie sarebbero trasferite a Bruessel, insieme all'avvio di un profondo processo di integrazione delle politiche economiche europee. Ne farebbero parte l'allineamento delle aliquote fiscali e l'armonizzazione delle prestazioni sociali - insieme alla realizzazione di una piu' generale "unione politica". La Fondazione riconosce che difficilmente si arriverà a questo modello: andrebbe contro interessi nazionali ancora molto forti - non da ultimo l'interesse tedesco di evitare la redistribuzione di una parte della ricchezza nazionale ai paesi in crisi del sud Europa. Senza considerare la rinuncia al potere centrale degli stati nazionali, fatto che metterebbe in pericolo l'egemonia tedesca. Una EU fondata su di una unione politica, tuttavia, secondo la Fondazione potrebbe avere su scala globale una maggiore influenza: l'Euro diverrebbe sempre piu' una valuta di riferimento globale in grado di attrarre risorse finanziarie da tutto il mondo.

Il nucleo europeo

Molto piu' probabile secondo la fondazione è lo scenario di una "Europa core". I paesi del centro, che fino ad ora hanno resistito meglio alla crisi, potrebbero integrarsi ulteriormente senza lasciare l'EU. Emergerebbe quindi un nucleo di paesi ricchi, pronti a portare a termine l'unione fiscale, e che si muove congiuntamente verso l'unione politica. In questo scenario l'EU perderebbe ulteriore importanza e si trasformerebbe in una specie di grande zona di libero scambio. Potrebbero entrare a farne parte anche paesi come la Turchia. E' chiaro che ulteriori differenze in termini di benessere fra centro e periferia sarebbero una fonte costante di tensione: mentre il centro continuerebbe a godere di una certa ricchezza, alcuni dei paesi della periferia sarebbero minacciati dal disastro economico. Secondo la Fondazione, questo scenario avrebbe un carattere potenzialmente non-democratico, in quanto le decisioni fondamentali verrebbero prese nei paesi core, pur riguardando l'intera EU. Gli stati della periferia sarebbero di fatto dominati da un centro a egemonia tedesca. Inoltre, la periferia potrebbe essere attraversata da gravi disordini e quindi causare una potenziale rottura dell'intera Unione Europea.

Disintegrazione

La disintegrazione dell'Eurozona è il quarto scenario considerato della Fondazione. Se non si riuscisse a governare la crisi nemmeno con gli strumenti attuali, sarebbe necessario fare i conti con la dissoluzione totale della zona Euro. Potrebbe quindi emergere intorno alla Germania un blocco con una moneta comune - un Euro nord di cui già ora si discute - mentre i paesi in crisi del sud dovrebbero tornare alla Dracma, alla Lira e alla Peseta. La coesione dell'EU sarebbe erosa mentre nuove misure protezionistiche metterebbero in discussione il commercio estero; nel sud "una profonda recessione potrebbe devastare intere regioni" causando fenomeni di immigrazione di massa. Le ostilità fra le regioni europee, fra nord e sud, ma anche fra le diverse nazioni potrebbero registrare una forte escalation, riprendendo i vecchi stereotipi nazionali. In questo scenario la disintegrazione dell'EU sarebbe inevitabile. Secondo la Fondazione, la disintegrazione potrebbe avvenire secondo il modello Sovietico oppure Jugoslavo: uno scioglimento pacifico, oppure una guerra. La Fondazione suggerisce di prendere sul serio anche quest'ultimo scenario.

La sindrome da Mezzogiorno

Se lo scenario della dissoluzione dovesse realizzarsi, la fondazione Ebert ipotizza il raggruppamento di alcuni paesi intorno ad un centro germanico. La Fondazione ipotizza anche una sindrome da Mezzogiorno. Le zone piu' ricche potrebbero quindi sganciarsi dalle regioni piu' in crisi del sud al fine di evitare il collasso economico. Sarebbe il caso ad esempio della Catalogna e del Nord Italia. Di fatto le forze separatiste portano avanti con forza i loro progetti indipendentisti, appoggiati almeno in parte anche dalla Germania. Se le poche regioni del sud Europa ancora in salute economica riuscissero ad agganciarsi ad un centro guidato dalla Germania, Berlino sarebbe allora in condizione di massimizzare il ritorno economico e politico dal collasso dell'EU. Una variante ritenuta in passato come altamente improbabile, ma che organizzazioni vicine ad un partito e che si occupano di politica estera, come la Fondazione Friedrich Ebert, oggi non possono piu' escludere.


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lunedì 1 aprile 2013

Primi della Klasse


Perchè ci odiano nel sud-Europa? Se lo chiede Wirtschaftswoche, e la risposta è abbastanza scontata: siamo i migliori, nessuno sarà mai come noi. Continua la sindrome da "Primo della Klasse". Da wiwo.de
La rabbia verso la Germania è inaccettabile. La si dovrebbe interpretare non in chiave economica - ma storica.

Perchè ci odiano? Molti tedeschi, alla luce dei continui pacchetti di salvataggio e dopo  decenni di trasferimenti di risorse, poco a poco inizieranno a provare una certa rabbia nei confronti dei paesi destinatari di aiuti, ai loro occhi ingrati e irragionevoli. La rabbia anti-tedesca in Europa  tuttavia sembra comprensibile. Non certo giustificata, come vorrebbero farci credere i demagoghi di sinistra alla Jakob Augstein. I paesi in crisi nel sud Europa non ce l'hanno con il sistema oppure con il capitalismo. Inveiscono contro l'UE e soprattutto contro la Germania, mettendoli sullo stesso piano. E questo è comprensibile - non certo da un punto di vista economico, ma da una prospettiva storica.

La spiegazione piu' ovvia: il risentimento nei confronti di chi non mostra le debolezze che tu stesso hai. I tedeschi, come scritto recentemente dallo storico britannico Brendan Simms, non hanno commesso certi errori: "Diversamente dagli irlandesi e dagli spagnoli non hanno avuto una gigantesca bolla immobiliare, si accontentano di affittare i loro appartamenti, come è sempre accaduto; diversamente dagli italiani non hanno trasformato la politica in un circo che distrugge la fiducia nei titoli di stato; e diversamente dai greci, dispongono di un sistema politico che nonostante tutte le carenze si fonda sull'onestà e la trasparenza". Simms nel suo saggio ha osservato che l'assenza di errori arriva fino ad oggi. A differenza della storia politica ed intellettuale tedesca,  nel lungo periodo quella economica è stata una storia di successi. Ed è molto difficile essere amato quando sei il primo della classe.

E ora la generosa disponibilità tedesca ad aiutare gli altri provoca invidia. Solo un rivoluzionario romantico come Che Guevara poteva pensare che "la solidarietà è la tenerezza fra i popoli". Nel mondo reale, la dipendenza permanente non aiuta l'amicizia fra i popoli, ma causa invidia e nuove pretese.

Piu' del risentimento dei deboli bisognosi di aiuto nei confronti dei piu' forti paesi donatori, sentimento peraltro molto umano, conta la mortificazione causata da una EU trainata dalla forza economica tedesca.

L'integrazione europea e l'ampliamento della CEE a Grecia, Spagna e Portogallo era stato considerato un mezzo, dopo la caduta dei regimi autoritari degli anni '70, per garantire uno sviluppo democratico e - almeno prima del 1989 - impedire un loro avvicinamento al comunismo. Nel nord Europa, prima di tutto in Germania, c'e' sempre stata e tuttora esiste la convinzione che l'integrazione e i generosi fondi di coesione avrebbero portato i paesi mediterranei verso lo sviluppo e la modernità, come già accaduto in tutta l'Europa occidentale e del nord. 

Ma cio' è successo solo superficialmente. Il livello dei redditi, anche grazie ai generosi fondi europei per la coesione, è salito quasi ai livelli del nord Europa. Ma nel sud Europa a questi trasferimenti ci si è abituati. E hanno finito per coprire le differenze strutturali, cio' che Werner Abelshauser definisce cultura economica, vale a dire il pensiero e l'agire degli attori economici, emersi nel tempo e definiti dalla storia dell'organizzazione dello stato e della società.  Il contenimento dell'inflazione attraverso una banca centrale indipendente e la ferrea disciplina di bilancio nel sud Europa hanno da sempre una minore accettazione rispetto a quanto non accada in Germania. Per questa ragione le imprese e i cittadini del sud Europa nel tempo si sono adattati a un'inflazione piu' forte.

I paesi del sud Europa, Francia inclusa, sono tradizionalmente paesi con una moneta debole. I tedeschi e gli altri paesi del nord, con l'aiuto dell'Euro, pensavano di poter esportare verso il sud Europa il loro regime di moneta forte insieme alle corrispondenti idee di politica fiscale. In Germania si supponeva, e si ritiene ancora oggi, che il sud Europa debba seguire il percorso economico del nord e aderire con convinzione alla disciplina di una banca centrale indipendente e orientata unicamente alla stabilità monetaria. Un'aspettativa culturalmente e storicamente cieca. Si pensava, come formulato da Wolfgang Streeck, "si adatteranno a questa disciplina e faranno concorrenza in maniera leale - sebbene nel lungo periodo siano destinati a perdere. I tedeschi pensavano che gli altri paesi fossero un po' come il VfL Bochum (squadra della Bundesliga tenace ma di bassa classifica), per loro non è importante, almeno fino a quando potranno giocare".

Se si intende ricalcare la cultura economica di un determinato paese, nell'opinione pubblica quel paese dovrebbe avere un ruolo piu' importante rispetto ai soli trasferimenti economici che da esso si ricevono. Naturalmente la Germania non è la causa dei problemi economici del sud Europa. Ma è la ragione per cui i paesi del sud si sentono umiliati. Da loro infatti ci si aspetta che abbandonino un modo di pensare e operare consolidato per decenni: il regime della moneta debole e i metodi di soluzione delle crisi dei paesi mediterranei (alta inflazione e bancarotta di stato) dovranno essere dichiarati inammissibili. A nessuno piace sentirsi dire la verità: devi cambiare - e devi diventare come me. 

Naturalmente i paragoni primitivi con i nazisti fatti nel sud-Europa sono inaccettabili. Ma  il destinatario di tanta rabbia, nel suo stesso interesse dovrebbe cercare di comprenderne le motivazioni. Che non significa dargli ragione, ma è il prerequisito per capire la relatività della propria posizione.
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giovedì 28 marzo 2013

Flassbeck: con la crisi di Cipro inzia la fine dell'euro


Heiner Flassbeck, grande economista tedesco, in questo periodo scrive molto e interviene sul caso Cipro direttamente dal suo interessantissimo blog "Flassbeck Economics": siamo di fronte all'ennesima decisione sbagliata presa da una Troika a trazione tedesca, è l'inizio della fine. Da Flassbeck Economics


Sul salvataggio di Cipro si è trovato un accordo, ma le modalità scelte per salvare il paese distruggeranno l'unione monetaria. Nella gestione della crisi cipriota gli errori commessi non riguardano solamente il piccolo paese mediterraneo. Sono ormai evidenti tutte le decisioni sbagliate prese in passato, la totale assenza di idee chiare da parte degli Eurosalvatori (stati creditori e Troika formata da EU, BCE e FMI) finalmente viene smascherata.

Per la prima volta dall'introduzione dell'Euro saranno applicati a tempo indeterminato controlli ai movimenti di capitali. Cio' che da molti viene considerato il vantaggio principale di una unione monetaria, e cioe' disporre di una valuta sicura e riconosciuta internazionalmente, per i ciprioti non avrà piu' senso. E lo stesso accadrà alla fiducia riposta in queste stesse caratteristiche della moneta da parte di chi la utilizza. Nessuno dei responsabili sembra aver riflettuto sul fatto che queste misure metteranno in discussione il contraltare della libertà di movimento dei capitali, vale a dire la libertà di movimento delle merci, meglio conosciuto come libero scambio.


Per non parlare dei danni politici permanenti causati dai diktat di risparmio e dal rigorismo imposto dai paesi creditori. E di tutte le sofferenze umane associate alle misure di austerità. Il fatto peggiore è che tutte le promesse fatte - fra un po' la valle di lacrime e di sofferenze sarà terminata e tutto andrà bene - non potranno essere mantenute fino a quando si continuerà ad applicare la "logica dei salvataggi", che invece ci porta sempre piu' a fondo nella crisi. Quanto piu' alle vittime di queste promesse sarà chiara la situazione, tanto piu' crescerà la loro collera nei confronti di chi ha fatto queste promesse, e tanto piu' si allontaneranno dall'idea di integrazione europea.

L'errore di fondo nella gestione della crisi risale all'inizio ed è stato portato avanti con forza dai media e dalle autorità tedesche: la trasformazione di una crisi finanziaria (nata da una crisi dei mercati finanziari) e di una Eurocrisi già iniziata (che era ed ancora è una crisi valutaria) in una crisi di debito pubblico. Questo errore ha aperto la strada ad una lunga serie di decisioni sbagliate arrivate in seguito.

Il seme della crisi cipriota è stato gettato con il fallimento del salvataggio greco. Il pensiero ingenuo secondo cui il taglio del debito in uno stato sovrano (quello applicato in Grecia lo è stato) potesse essere fatto senza danni collaterali, era assurdo fin dall'inizio. Non solo oggi la situazione debitoria in Grecia non è migliorata, ma doveva essere chiaro che non si poteva tagliare il debito di un paese senza avere un impatto significativo sulle banche (che in tutto il mondo insieme alle assicurazioni sono i detentori delle obbligazioni statali).

Dai paesi esclusi dai mercati finanziari si continua a pretendere una politica fiscale restrittiva (Wolf­gang Schäu­ble sul Financial Times del 5-9-2011: L'austerità è l'unica soluzione per l'Eurozona) e il taglio dei salari (di solito ridefinito "aggiustamento strutturale"). Questo tipo di aggiustamento mette in difficoltà il settore finanziario di ogni paese. In ogni recessione e depressione c'è sempre un forte aumento dei crediti incagliati e la minaccia di insolvenza in un settore bancario sottocapitalizzato. E' sempre lo stato a dover intervenire e a rassicurare i risparmiatori sul fatto che saranno tutelati in quanto depositanti.

Proporre un'unione bancaria come risposta a questo problema è stato politicamente ovvio, ma non va a centrare il vero obiettivo. Il problema di fondo della crisi finanziaria del 2008 era nel settore finanziario e nelle banche che svolgevano attività di investment-banking. E su questo non si è fatto molto. I problemi bancari causati da una depressione e dal taglio del debito, non si possono certo risolvere con una unione bancaria. Al massimo li si puo' attenuare se si aiutano i paesi  colpiti ad aggiustare gradualmente le loro strutture finanziarie, evitando di farlo in maniera brusca. Anche dopo la crisi del 1997/1998 in tutto l'occidente con una certa arroganza si diceva che le banche asiatiche erano disastrate. In realtà era una sciocchezza: la causa era una crisi valutaria seguita da una forte recessione. Dopo la svalutazione della maggior parte delle valute e una nuova fase di crescita, la crisi bancaria è stata completamente dimenticata.

Naturalmente nella EU sono colpiti dalle "crisi bancarie" soprattutto quei paesi con un settore bancario molto grande. Ce ne sono diversi, e Cipro non è nemmeno il peggiore. Le statistiche della Banca dei regolamenti internazionali mostrano: il rapporto fra depositi bancari complessivi e PIL a Cipro è 3 a 1, in Lussemburgo 9 a 1, (alle Isole Cayman ancora piu' alto). In Gran Bretagna è 1 a 1, e in Francia e Germania è di circa 1 a 2. Qual'è allora un valore sostenibile e non pericoloso per un paese?

Negli anni della grande euforia finanziaria, molti paesi sono stati addirittura invitati a cercarsi uno spazio economico specializzandosi in affari bancari internazionali. Si pensava che anche un piccolo paese potesse rapidamente prosperare. Non bisogna inoltre dimenticare che il settore industriale è presidiato da alcuni paesi agguerriti, e cosi' per i paesi  piu piccoli con infrastrutture deboli è difficile ottenere dei risultati.

Quando in una unione monetaria finiscono in crisi solo i i paesi con un deficit nelle partite correnti (lo stato o le banche o le imprese ricevono capitale dall'estero a tassi troppo elevati), la BCE dovrebbe intervenire senza se e senza ma per offrire loro assistenza finanziaria. Questo è il compito di una banca centrale, e la BCE è la banca centrale di Cipro. Che oltre a cio' tutti i paesi, ad eccezione della Germania con il suo settore dell'export, per via della crisi dovranno ristrutturare la loro economia e subire un aggiustamento, è una certezza. Ma questo processo puo' funzionare solo durante una fase espansiva e non durante una recessione. Chi  con la sua politica economica produce una recessione, finirà per generare "crisi strutturali" a ritmi da catena di montaggio (fra poche settimane sentiremo parlare della Slovenia, un tempo modello industriale). Che la BCE nel caso di Cipro abbia contribuito a definire la condizionalità del salvataggio e persino minacciato il ritiro della liquidità, è un errore irreparabile.

Imporre le riforme strutturali come "condizionalità" per l'accesso ad un salvataggio, significa spingere un paese in una situazione di disperazione. Perchè cio' potrà accadere solo con conseguenze catastrofiche. Cipro non potrà ridurre il suo settore bancario a un normale livello (quello tedesco o britannico), per lo stesso motivo che impedisce al Lussemburgo di cambiare nottetempo il suo modello di sviluppo economico costruito nel corso degli anni. E' una pretesa assurda, anche se si ritiene che tale modello economico in un mondo in cui la finanza ha perso importanza, non sia sostenibile.

Ma cio' non è sufficiente per fermare la troika a trazione tedesca. Si chiede senza alcuna seria giustificazione una partecipazione di 6 miliardi di Euro, che per un paese con un PIL di 17 miliardi di Euro potrà essere ottenuta solo con conseguenze disastrose. E' come se in Germania si pretendesse un contributo pari a 800 miliardi di Euro, piu' del doppio delle entrate fiscali federali. 

Ma c'era bisogno di un caso esemplare. Non si voleva perdere l'occasione per dare ai depositanti russi a Cipro una bella lezione (quale esattamente?). E di fare pulizia in un piccolo paese, una volta per tutte. La caratteristica piu' importante di una moneta e la ragione per cui viene ritenuta buona, è la fiducia nella moneta stessa. E che questa fiducia sia andata distrutta, non lo capiscono né il governo né la BCE. Purtroppo nemmeno l'opposizione. Sul lato sinistro dello spettro politico troppo spesso si parla in maniera emozionale "delle banche" e dei "riciclatori di soldi russi", come se fosse possibile averne una chiara immagine in mente.

Nel complesso sembra chiaro che l'incapacità dei politici e degli economisti di comprendere in maniera approfondita tali relazioni complesse, sarà la causa del fallimento del sistema Euro. Cipro è stato solo il culmine di una lunga serie di errori sistematici. Da qui in poi si potrà solo continuare a cadere, e probabilmente in maniera molto rapida.

mercoledì 27 marzo 2013

Flassbeck: saranno i sud europei ad uscire dall'euro

Heiner Flassbeck, grande economista tedesco, intervistato da wallstreetjournal.de, fa una dura analisi sullo stato della crisi e attacca: il rigorismo merkeliano sta affondando l'Europa, saranno i sud europei ad uscire mettendo nei guai i tedeschi. Da wallstreetjournal.de


La Germania non ha permesso che il costo del lavoro per unità di prodotto crescesse. Con questa politica ha violato le regole del patto di stabilità e crescita, ci racconta in un'intervista l'economista tedesco Heiner Flassbeck .

Herr Flassbeck, sui mercati finanziari c'è grande nervosità per il modo in cui Cipro dovrà essere salvato. Si teme che i risparmiatori corrano a ritirare il denaro dai conti. Cosa pensa di cio' che sta accadendo?

Estremamente irragionevole. Come accade ogni volta con i cosiddetti salvataggi. Non sono sistematici, perché non affrontano il vero problema.

Dal suo punto di vista, qual'è il vero problema di Cipro?

Lo stesso di tutti i paesi del sud Europa, vale a dire: non sono piu' competitivi. Il problema centrale di ogni sistema monetario è che deve dimostrare di poter funzionare. E funziona solamente se produce crescita e sviluppo. E questo non è il caso europeo.

La gente perde la fiducia nella moneta non solo in caso di iperinflazione, ma anche se l'unico risultato è la disoccupazione di massa. E' necessario normalizzare i flussi di reddito e farli tornare positivi. Se non si risolve questo problema, sarà impossibile risolvere gli altri, cioè i debiti o il problema dei risparmiatori a Cipro.

Come si potrebbe fare?

La situazione attuale la si potrebbe risolvere con una crescita dei flussi di reddito. Se i vari paesi sono troppo indebitati, nei prossimi 10 anni dovranno produrre un reddito tale da permettere loro di ripagare i debiti. Per un paese il taglio del debito non è mai una soluzione. Far partecipare i risparmiatori è la cosa piu' stupida che si possa fare per risanare un paese.

Come si arriva alla crescita?

Si avrà sviluppo economico solo con una politica completamente diversa. Al momento nell'area Euro solo la politica monetaria è amica della crescita. Quella fiscale invece resta profondamente prociclica, e anche la domanda estera non genera crescita a causa dei problemi di competitività del sud Europa.

A rigor di logica, in una comune unione monetaria, il paese che se lo puo' permettere, dovrebbe crescere. E cio' è particolarmente vero per la Germania. Gli altri paesi che non se lo possono permettere dovrebbero crescere esternamente grazie all'export. Ma la Germania lo impedisce. Ma cio' potrebbe accadere solo se la domanda in Germania crescesse con forza.

Ma se la Germania continua a risparmiare a oltranza, non si otterrà nulla di tutto cio'. Da qualche parte deve necessariamente arrivare uno stimolo positivo. E non è possibile ottenerlo solo con un miglioramento della competitività nel sud Europa.

Perchè no?

Quello che i paesi del sud Europa stanno facendo è: tagliare i salari. Ma la riduzione dei salari porta ad una forte compressione della crescita, perchè grava sulla domanda interna. La domanda interna pero' in Spagna, Francia, Portogallo e Italia è pari al 75 % della domanda complessiva.

Come se ne esce?

I paesi devono superare una barriera politica. Devono fare come la Spagna e raggiungere il 25% di disoccupazione. E allora prima o poi arriverà la competitività a redimerli. Purtroppo politicamente non puo' funzionare. I governi non sopravviveranno politicamente.

Ma in Spagna siamo già oltre il 25%

Si', e si renderanno conto che non potranno sopravvivere politicamente. Basta aspettare. In Italia e in Francia con queste politiche non abbiamo ancora iniziato. Il secondo punto è questo: maggiore è il numero di paesi a fare la stessa manovra, piu' la politica economica sarà anti-crescita nel suo complesso. In una unione monetaria non è possibile che tutti i membri migliorino la competitività in contemporanea.

Quando Frau Merkel dice, miglioriamo tutti insieme la nostra competitività, sta dicendo una falsità. La competitività è un concetto relativo. La si puo' migliorare solo rispetto a qualcun'altro, non in assoluto. Per questo nella zona Euro c'è bisogno della domanda interna. La si potrebbe stimolare, se la Germania fosse disponibile a creare domanda interna.

Che cosa potrebbe fare in concreto la politica tedesca?

Prima di tutto dovrebbe smetterla di fare pressione sugli altri paesi, spingendoli con forza in una durissima recessione causata da una manovra fiscale restrittiva. Oppure detto in altro modo: finirla con la politica del rigore. Secondo punto: la Germania deve riconoscere la propria responsabilità - non solo per i crediti e le garanzie concesse al fondo ESM. La Germania deve riconoscere il proprio ruolo in una prospettiva di sviluppo economico e dire: da noi cresceranno i salari.

Ma la politica tedesca non ha un ruolo nelle trattative salariali. Da noi c'è l'autonomia contrattuale delle parti.

Quando è stata fatta l'Agenda 2010 e tutto il resto, nessuno ha parlato di autonomia contrattuale. C'è stata una forte pressione sui sindacati. I sindacati sono stati smantellati, in particolar modo nella Germania dell'est. La politica ha sempre avuto un'influenza molto forte. Dovrebbero sedersi tutti ad un tavolo, come hanno fatto nel 1999, e dire agli imprenditori: i salari sono diminuiti per 10 anni, adesso dovranno crescere.

Sta chiedendo un cambio di paradigma?

Si', assolutamente. Questi festeggiamenti per i 10 anni dell'Agenda 2010 sono ridicoli. Adesso si vuole festeggiare, ma il resto d'Europa è finito con le spalle al muro. Si festeggia perché qui c'è un po' piu' di occupazione. Ma in realtà sono solo i posti di lavoro sottratti al sud Europa

Non mi pare un programma che possa essere realizzato in tempi brevi

E' vero, non è realistico. Ma se non è realistico, allora significa che andremo a sbattere contro il muro

Che cosa significa?

Ci dobbiamo chiedere prima di tutto che cosa succederà in Francia e in Italia. Alcuni paesi hanno già ridotto il loro costo del lavoro per unità di prodotto - non molto nei confronti della Germania, ma sicuramente nei confronti di Italia e Francia. Questo significa, la pressione su Francia e Italia per fare la stessa manovra è sempre piu' forte. Ma se la Francia e l'Italia applicano un programma come quello spagnolo o greco, l'intera Europa finisce in depressione.

E che succede allora?

Allora arriva una domanda interessante, che si pone sempre in queste situazioni: esiste da qualche parte un politico, con capacità di leadership oppure la conoscenza necessaria e che sappia urlare abbastanza forte da far credere alla gente di poter risolvere il problema? 

Sono quelli come Beppe Grillo che dicono: fuori da qui, torniamo a fare le cose come vogliamo noi. E allora l'Europa si rompe. Ritornano le guerre commerciali. L'intero commercio che abbiamo costruito negli ultimi 50 anni, ce lo possiamo scordare. Perchè tutti i paesi inizierebbero a combattere per poter vivere ordinatamente all'interno dei loro stessi confini.

Ma non si potrebbe far capire agli europei che quello che sta accadendo è sicuramente doloroso ma necessario? Che in alcuni paesi qualcuno dovrà pagare il conto per gli eccessi degli anni dell'unione monetaria?

La Francia non ha esagerato. La Francia è stato il solo paese ad essersi attenuto alle regole dell'unione monetaria. Il costo del lavoro è cresciuto coerentemente con la produttività nazionale e con gli obiettivi di inflazione. La Germania ha violato le regole, e anche il sud Europa non le ha rispettate.

Come si fa a spiegare al popolo francese che dovranno passare attraverso tutte le sofferenze già vissute dai greci? Vivo già da 10 anni in Francia. Le posso raccontare quello che succede: la gente scende in piazza, ma in dimensioni che noi non possiamo nemmeno immaginare. E nessun governo al mondo, nemmeno il governo Hollande, riuscirebbe a sopravvibere per piu' di 4 settimane.

Una delle sue tesi è che la Germania in rapporto all'obiettivo di inflazione della zona Euro pari al 2%, fin dall'ingresso nell'unione monetaria, ha tollerato un aumento del costo del lavoro troppo contenuto. Nella politica tedesca esiste la consapevolezza di questo problema?

Al Ministero delle Finanze per sei mesi...

Vale a dire fino a quando Oskar Lafontaine è stato Ministro delle Finanze e lei sottosegretario di stato...

C'è stata un'analisi economica fatta dal governo nel 1999, nel quale si parlava di questo problema. Ed io ho cercato di impostare un dialogo macroeconomico affinché nell'Eurozona si introducesse una politica salariale legata alla produttività nazionale. Ma sia la politica tedesca che la BCE non l'hanno voluta.

Dopo la nostra partenza, gli Schröderiani hanno semplicemente fatto quello che il main-stream economico gli ha suggerito, soprattutto il Consiglio dei Saggi economici. I funzionari della Cancelleria hanno copiato quello che il Consiglio dei Saggi suggeriva. Era l'Agenda 2010. Credo che nessuno in quel momento stesse pensando all'Europa.

Ma nell'industria dell'export tedesca, sono certo, sono stati in molti a fregarsi le mani: adesso le cose iniziano ad andare bene. E poi è arrivato il governo che attraverso i sindacati gli ha dato il via libera, e a questo punto hanno potuto approfittarne. Esattamente per questa ragione ci troviamo di fronte alle macerie d'Europa.

Prende in considerazione l'uscita di alcuni membri importanti?

In una unione monetaria uscire è l'operazione piu' difficile. Chi dice, lasciamo affondare Cipro, non ha alcuna idea. Dove andrebbe a finire Cipro? In una unione monetaria non puo' esserci un'assenza di stato come accade in Somalia.

Non è nemmeno possibile introdurre una nuova moneta in una notte. Se c'è il pericolo che un paese esca - non puo' restare un segreto, deve essere preparato per anni - le persone sono prese dal panico e ritirano il loro denaro. A quel punto il sistema finanziario in quei paesi collassa.

Allora meglio nessuna uscita?

Piu' ci penso, e piu' sono convinto che la soluzione potrebbe essere: qualche paese del sud Europa forma un'alleanza, possibilmente con Francia e Italia, e dice: usciamo tutti insieme. E allora potrebbe funzionare.

Bisogna naturalmente accordarsi su un tasso di cambio piu' basso nei confronti dell'Euro. In questa variante si potranno trovare facilmente dei sostituti per i prodotti tedeschi. Invece delle auto tedesche, si potrebbero comprare quelle francesi, perchè il loro prezzo non salirebbe. Oppure si potrebbero comprare le auto italiane. Si potrebbe semplicemente ricominciare a comprare da questi paesi quello che fino ad ora si comprava in Germania. I costi da sopportare in quei paesi non sarebbero poi cosi' grandi.

I costi maggiori invece sarebbero per la Germania. In poco tempo la metà dei suoi mercati di sbocco scomparirebbe e la sua economia collasserebbe. In Baden-Württemberg la metà delle fabbriche chiuderebbero. E' di questo scenario che stiamo parlando.