mercoledì 4 settembre 2013

Con chi commerciano i tedeschi?

Destatis.de pubblica oggi il riepilogo del commercio estero tedesco per il primo semestre 2013: diminuisce l'export dello 0.6 %, la quota dell'Eurozona scende al 37 %, le importazioni dall'Italia rallentano, prosegue la lenta riduzione del disavanzo commerciale italiano e dell'intera Eurozona. Restano intatti i giganteschi avanzi commerciali.

Nella prima metà del 2013 le esportazioni tedesche sono diminuite  dello 0.6 %  rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, scendendo a 547.7 miliardi di Euro. Secondo i dati dello Statistisches Bundesamt (Destatis), le esportazioni nel primo trimestre sono scese dell'1.5% rispetto all'anno precedente, mentre nel secondo trimestre sono aumentate dello 0.4 %.

Le esportazioni verso i paesi UE nella prima metà del 2013 sono scese dell'1.7%, passando a 313.6 miliardi di Euro. L'Eurozona ha acquistato meno merci rispetto alla prima metà del 2012 (-2.9%, pari a 205.1 miliardi di Euro), mentre la zona non-Euro ha domandato piu' beni tedeschi (+0.6%, pari a 108.5 miliardi di Euro).

Nel commercio intra-UE le esportazioni verso l'Italia sono scese del 6.3% a 27.8 miliardi di Euro, l'export verso la Francia è sceso del 4.3 % passando a 51.3 miliardi di Euro. Al contrario, le esportazioni verso la Gran Bretagna sono cresciute del 4.8 % passando a 37.7 miliardi di Euro.

L'export tedesco nei paesi extra EU ("paesi terzi"),  ha segnato nella prima metà del 2013 un aumento dell'1% salendo a 233.7 miliardi di Euro. Sono cresciute in particolar modo nel primo semestre 2013 le esportazioni verso la Turchia (+ 14,5 %, che sale a 11,4 Milliardi di Euro). Anche l'export verso gli Stati Uniti è cresciuto del 2.3% raggiungendo i 42.7 miliardi di Euro. Meno beni sono stati invece esportati verso l'India (-8.6 %, pari a 4.8 miliardi) e Cina (-5.9%, pari a 32.3 milliardi di Euro).


2. Trimestre
2013
1. Semestre 2013 2. Trimestre 2012 1. Semestre 2012 Variazioni rispetto a:
2. Trimestre 2012 1. Semestre 2012
Miliardi di Euro %
Esportazioni complessive 275,6 547,4 274,6 550,5 0,4 – 0,6
Di cui:
EU-27 156,4 313,6 157,9 319,1 – 0,9 – 1,7
Eurozona 101,9 205,1 104,0 211,3 – 2,1 – 2,9
Di cui:  
Francia 25,0 51,3 26,2 53,6 – 4,4 – 4,3
Paesi Bassi 17,9 35,8 17,8 36,3 0,2 – 1,4
Italia 13,9 27,8 14,8 29,7 – 6,4 – 6,3
Non-Eurozona 54,6 108,5 53,9 107,8 1,2 0,6
Di cui:
UK 18,5 37,7 17,8 36,0 4,3 4,8
Paesi terzi 119,2 233,7 116,6 231,4 2,2 1,0
Di cui:
USA 21,6 42,7 20,4 41,7 5,9 2,3
Cina 16,7 32,3 17,6 34,3 – 5,0 – 5,9
Svizzera 11,8 23,9 12,2 24,8 – 3,0 – 3,6
Russia 9,3 18,1 9,5 18,2 – 1,8 – 0,5
Giappone 4,0 8,0 4,0 8,4 – 2,3 – 4,4
Importazioni complessive 227,1 449,5 226,6 457,1 0,2 – 1,7
Di cui:
EU-27 132,0 259,4 128,3 257,6 2,9 0,7
Eurozona 89,3 174,5 86,6 173,1 3,1 0,8
Di cui:
Paesi Bassi 23,4 45,2 21,6 43,1 8,4 4,9
Francia 16,8 33,2 16,5 32,8 1,7 1,1
Italia 12,2 24,0 12,7 25,3 – 4,2 – 4,8
Non-Eurozona 42,7 84,9 41,7 84,5 2,3 0,5
Di cui:
UK 10,4 21,6 10,6 21,8 – 1,1 – 0,9
Paesi terzi 95,1 190,2 98,3 199,5 – 3,3 – 4,7
Di cui:
Cina 16,7 35,4 18,5 37,5 – 9,5 – 5,6
USA 12,4 24,5 12,8 25,3 – 3,5 – 3,2
Svizzera 10,2 19,1 9,2 18,6 11,4 2,9
Russia 9,7 19,9 10,6 21,4 – 8,3 – 7,3
Giappone 4,8 9,8 5,5 11,2 – 11,6 – 12,2

Commercio estero primo semestre 2013 per gruppo di paesi - Fonte destatis.de

10 Partner commerciali piu' importanti, import+export - Fonte destatis.de


10 partner commerciali piu' importanti per l'export tedesco - Fonte destatis.de

10 Partner commerciali piu' importanti per l'import tedesco - Fonte destatis.de



martedì 3 settembre 2013

I minijobber votano la Linke (e sperano nel salario minimo)

Un altro interessante articolo sulle dimensioni del precariato in Germania, se ancora ce ne fosse bisogno, questa volta arriva dal The Guardian. I minijobber dopo una lunga stagione di moderazione salariale chiedono un salario minimo. Da theguardian.com
Senza un salario minimo e con un quinto dei lavoratori occupati con un minijob, i critici sostengono che la prosperità tedesca sia stata costruita sullo sfruttamento degli oppressi.

Andare al cinema oppure nuotare nella locale piscina all'aperto sono piccoli lussi che Christa Rein si puo' permettere solo raramente: "Non posso nemmeno comprare cose semplici come il salmone o una bottiglia di spumante", ci dice la 55enne. "Il frigorifero non si deve rompere, perché non potrei permettermene un altro".

Sembra una delle tante storie dalla desolata Europa del sud, spremuta da 3 anni di austerità e recessione. Potrebbe essere una sorpresa sapere che invece questa storia, fatta di difficoltà finanziarie, arriva dal centro della potenza economica d'Europa - e sicuramente non è la sola.

Mentre Angela Merkel guida il suo partito di centro-destra verso le elezioni promettendo una ripresa economica, una sana gestione finanziaria e un'occupazione a livelli record, cresce il dissenso nella parte che fino ad ora non ha partecipato alla distribuzione della tanto decantata ricchezza tedesca. Le riforme radicali del mercato del lavoro lanciate un decennio fa hanno spinto un quarto della forza lavoro in impieghi a bassa retribuzione, part-time e precari. Il presunto miracolo economico e la storia di successo nel mercato del lavoro, nel frattempo divenuti l'invidia di tutto il mondo, sono stati smascherati.

La paga di Rein, lavora 8 ore al giorno per un'impresa di pulizie, è di 1.079 € al mese. "Ho fatto questo lavoro per 30 anni, e anno dopo anno abbiamo visto il carico di lavoro aumentare, mentre la paga diminuiva", ci dice. "Siamo sempre di meno, e pretendono da noi che si riesca a pulire sempre piu' metri quadrati in un tempo sempre inferiore. Abbiamo tra i 15 e i 20 secondi per pulire un gabinetto – e non è proprio un gabinetto su cui vorrei sedermi".

Nel frattempo, il suo datore di lavoro ha aumentato i suoi profitti, ci dice, "ma i guadagni non vengono trasferiti a noi lavoratori".

Rein, che vive a Braunschweig in Bassa Sassonia, è convinta che la sua situazione rifletta quella piu' generale dell'economia e influirà sul modo in cui voterà alle elezioni del 22 settembre: "per i lavoratori tedeschi è arrivato il momento di partecipare ai successi dell'economia".

Una ricerca della BCE in aprile ha mostrato che la ricchezza mediana delle famiglie tedesche era inferiore a quella delle famiglie greche. In termini di PIL pro-capite, la Germania va abbastanza bene. Ma contrariamente alla credenza popolare, è solo di poco superiore alla media europea. Secondo l'Istituto per la Ricerca sul Lavoro, il braccio di ricerca dell'agenzia federale per l'impiego, il 25% di tutti i lavoratori tedeschi guadagna meno di 9.45 € lordi l’ora. In Europa solo la Lituania ha una percentuale piu' alta di bassi salari – chi guadagna meno dei due terzi del salario medio nazionale.

La situazione ha alimentato il divario fra ricchi e poveri e un risentimento crescente fra coloro che considerano la prosperità tedesca costruita sullo sfruttamento degli oppressi. 

Daniel Kerekes, uno studente 26enne di storia all'Università della Ruhr di Bochum, fa parte di quel 20% di lavoratori impiegati con un minijob. "Lavoro al supermarket per circa 16 ore alla settimana per 7.5 € lordi l'ora con un contratto molto svantaggioso. I turni non sono garantiti, e se non faccio tutto cio' che il mio capo mi chiede di fare, puo' cancellarmi i turni oppure darmi quelli peggiori".

Con quel che guadagna - oltre ad un piccolo lavoro nel giornalismo digitale - fa fatica a pagare i suoi conti, incluso l'affitto mensile da 280 € per l’appartamento da 36 mq, piu' l'assicurazione sanitaria obbligatoria e un'assicurazione per la responsabilità civile.

Chiamati anche McJobs, i minijobs sono una forma marginale di impiego che permette ai lavoratori di guadagnare fino a 450 € al mese esentasse. Introdotti nel 2003 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, come parte di una piu' vasta riforma del mercato del lavoro, all’epoca in cui la Germania si era guadagnata il titolo di "malato d’Europa", hanno mantenuto basso il costo della manodopera, offrendo una grande flessibilità ai datori di lavoro.

Ma i critici sostengono che abbiano allargato la disparità fra ricchi e poveri e minato molti dei valori su cui l'economia sociale di mercato tedesca si era fondata. Non solo non forniscono al datore di lavoro nessuna ragione per trasformare questi contratti in veri e propri lavori a tempo pieno, ma anche il lavoratore non ha alcun incentivo a lavorare di piu', poiché in quel caso dovrebbe pagare le tasse sullo stipendio. Il risultato: sono in molti a restare intrappolati in lavori marginali e distaccati dal tanto acclamato "jobwunder" tedesco.

Bochum, una città in declino nella valle della Ruhr, un tempo cuore industriale tedesco, brulica di minijobs, secondo Kerekes. "La signora che abita sotto di me ha un minijob in un discount, la mia fidanzata lavora come cameriera con un minijob. I datori di lavoro sono soddisfatti, perché sanno che possono impiegarti per soli 450 € al mese".

Secondo il governo i minijob sarebbero in declino - lo scorso anno sono scesi dello 0.6% - ed il merito sarebbe delle politiche del lavoro di Merkel. Ma l'opposizione non è affatto d'accordo: "Sono numeri discutibili", sostiene Anette Krame, esperta di mercato del lavoro della SPD. "Non credo una riduzione dello 0.6% sia una ragione per festeggiare, e nemmeno riesco ad individuare un trend verso il basso". E cita la palese omissione nelle statistiche di alcune forme contrattuali piu' recenti, responsabili del dumping salariale in vari settori, specialmente nell'industria alimentare.

Kerekes spera che il nuovo governo abolisca i minijob e introduca al loro posto un salario minimo. "I minijob stanno distruggendo i posti di lavoro regolari, e garantiscono salari da fame. Perfino negli Stati Uniti la maggior parte degli stati ha un salario minimo, mentre la Germania, uno dei paesi piu' ricchi al mondo, non ce l'ha".

E' incoraggiato dal fatto che la SPD abbia promesso di voler introdurre un salario minimo - 8.5 € lordi l’ora - ma crede non stiano osando abbastanza, e comunque, sono stati loro per primi ad introdurre i minijob.

Le statistiche dell'agenzia federale del lavoro mostrano che i salari dei lavoratori con i redditi piu' alti, tra il 1999 e il 2010, sono cresciuti del 25%, mentre per il 20% dei lavoratori con i redditi piu’ bassi, la paga è cresciuta solamente del 7.5%, nel frattempo l’inflazione era del 18%. Il risultato è stato cio’ che gli economisti considerano una svalutazione interna, con una significativa riduzione del potere d'acquisto e un danno per l'economia tedesca.

Kerekes ci dice che il suo voto il prossimo mese andrà al partito che secondo lui sta facendo di piu' per affrontare il fenomeno dei McJob. "Votero' per la Linke", ci dice, riferendosi al raggruppamento di ex-comunisti della Germania dell'est e ribelli della SPD. "Sono gli unici a proporre un salario minimo di almento 10 € l'ora, il minimo con cui sia possibile vivere".

lunedì 2 settembre 2013

La favola del Jobwunder

La campagna elettorale di Merkel si fonda sulla presunta buona situazione economica e sul miracolo occupazionale, il famoso Jobwunder. Dierk Hirschel, uno dei leader del sindacato dei servizi Ver.di, prova a smascherare le bugie della propaganda merkeliana. Da Frankfurter Rundschau
Nonostante un bilancio miserabile, Angela Merkel è riusicta a rivendere la sua politica come un successo. Ma non è ancora troppo tardi.

A pochi giorni delle elezioni i sondaggisti cantano: "Angie, ce la farai ancora una volta". Un tedesco su due è soddisfatto del lavoro fatto da Merkel, Rösler e Seehofer. Nonostante l'affare delle spie NSA e la debacle dei droni, i cittadini continuano ad avere fiducia nel governo liberal-conservatore. Cambi di opinione non sembrano all'orizzonte.

Secondo i professionisti della previsione, l'elevato livello di consenso del governo è dovuto ad una buona situazione economica. Piu' posti di lavoro ed un'industria competitiva rendono  felice il tedesco medio. Ad un primo sguardo, il "governo di maggiore successo dalla riunificazione", sembra aver fatto un buon lavoro: mai fino ad ora c'erano stati cosi' tanti posti di lavoro. Il numero degli occupati, con quasi 42 milioni di lavoratori, ha raggiunto un nuovo record. La disoccupazione ha toccato il livello piu' basso degli ultimi 20 anni. I nostri vicini ci invidiano il "miracolo del lavoro tedesco".

Ma le apparenze possono ingannare. Il bilancio della coalizione giallo-nera, in tema di lavoro, delude sotto ogni punto di vista. Una gran parte del presunto Jobwunder è il frutto di una pura redistribuzione del lavoro esistente.

Se le aziende suddividono un lavoro a tempo pieno in tanti minijob e impieghi part-time, gli statistici di Norimberga sono felici: il numero degli occupati cresce. Dal 2000 ad oggi sono stati distrutti circa 1.5 milioni lavori a tempo pieno. In contemporanea le aziende hanno creato oltre 3 milioni di lavori part-time. Di conseguenza oggi fra Amburgo e Monaco non si lavora piu' di quanto si facesse 13 anni fa. Il numero delle ore di lavoro retribuito - il cosiddetto "volume di lavoro" - non è cresciuto. Inoltre, il presunto boom dell'occupazione non ha mai superato la portata di una ordinaria crescita congiunturale. Nella recente fase di ripresa - senza considerare la diversa durata della fase di crescita - l'occupazione non è aumentata piu' di quanto sia accaduto in passato.

Ma non è abbastanza. I dati ufficiali sulla disoccupazione sono da maneggiare con molta cura. Secondo le statistiche ufficiali, nel nostro paese ci sarebbero "solo" 3 milioni di disoccupati. Ma i lavoratori a 1 Euro (Ein-Euro-Jobber), i disoccupati con piu' di 58 anni, oppure i disoccupati impegnati in un corso di formazione, non sono conteggiati nella statistica. In aggiunta, ci sono oltre 2 milioni di occupati part-time che lavorebbero volentieri piu' a lungo. E per quanto riguarda la disoccupazione di lunga durata, la Germania resta il leader indiscusso in Europa. In realtà mancano oltre 6 milioni di lavori a tempo pieno. Non si puo' certo parlare di lavoro per tutti.

Gli squilibri nel mercato del lavoro, sotto il governo Merkel, si sono ulteriormente aggravati. Circa un quarto degli occupati oggi lavora per meno di 9 € lordi l'ora. 1.4 miloni di tedeschi lavorano per un salario inferiore ai 5 € lordi l'ora. Una percentuale maggiore di lavoratori a basso salario c'è solo negli Stati Uniti. Lavoro precario e assenza di contratti collettivi fanno si' che gli accordi raggiunti da IG Metall, Ver.di, etc. siano validi solamente per 3 lavoratori su 5.

A spese dei nostri vicini

La conseguente debolezza dei salari ha rallentato la domanda interna e ha invece alimentato quella estera. Commercianti al dettaglio e artigiani hanno sofferto per la mancanza di potere di acquisto. L'estero ha contribuito alla crescita molto piu' di quanto abbia fatto la domanda nazionale. Senza successo! Prima della crisi, l'economia e l'occupazione sono cresciute molto piu' lentamente che nel resto dell'Eurozona. Ancora oggi le imprese investono meno di quanto facevano all'inizio del decennio scorso.

Oltre a cio', la crescita trainata dall'export è stata a spese dei nostri vicini. Che sono riusciti a vendere sempre meno merci sul prosciugato mercato tedesco. E cosi' sono nati gli squilibri nei flussi di commercio e capitali. Mentre gli avanzi correnti tedeschi crescevano, i paesi in crisi rischiavano di affondare in un mare di debiti.

Nonostante questo miserabile bilancio, Angela Merkel è riuscita a rivendera la sua pessima politica economica come un successo. La responsabilità è anche di un'opposizione troppo addomesticata. SPD e Verdi in campagna elettorale non sono riusciti a smascherare la bugia del "miracolo occupazionale". I dati attuali sulla disoccupazione e l'occupazione, anche secondo i socialdemocratici e i Verdi, sono una storia di successo. SPD e Verdi, alla fine, accusano la Cancelliera solo di aver raccolto quello che il governo di Schröder aveva seminato. La favola delle dure ma necessarie riforme economiche guida ancora il pensiero e l'azione rosso-verde.

E cosi' la Cancelliera riesce a cavarsela. Gli squilibri nel mercato del lavoro, secondo la lettura di Merkel, sono solo l'effetto collaterale inevitabile di una politica economica favorevole all'occupazione. Merkel mette i cittadini di fronte ad una scelta: lavoro per tutti e un po' piu' di diseguaglianza, oppure salario minimo per legge e meno occupazione. In altre parole: buon senso economico versus lista dei desideri.

Ma la strategia di Merkel sta pagando. Sebbene la maggioranza della popolazione chieda un salario minimo garantito per legge, lo stesso stipendio per lo stesso lavoro, piu' tasse per i ricchi e un'assicurazione sanitaria nazionale, la Cancelliera resta estremamente popolare.

Ma i sondaggi non sono ancora un risultato elettorale. Anche se siamo in dirittura di arrivo, si puo' ancora dire che la politica di Merkel non solo divide il paese, ma è anche dannosa da un punto di vista economico. Stato e mercato non sono agli opposti. Al contrario: la regolamentazione del lavoro, del capitale e del territorio, sono un requisito ed una condizione necessaria per un buon sviluppo economico. Alla fine di settembre, gli elettori e le elettrici deciderano sulla direzione politica. E forse riusciranno a cantare "Time to say goodbye".

domenica 1 settembre 2013

La Germania non ha una soluzione

Dopo le speranze di W. Münchau, una riflessione interessante arriva da Lost in Europe: la SPD non accetterà mai di allearsi con la Linke, di fatto le elezioni tedesche non potranno offrire una soluzione ai problemi europei. Da Lost in Europe
Rot-Rot-Grün sarebbe la migliore soluzione per l'Europa. A questa sorprendente conclusione arriva W. Münchau dopo aver analizzato i programmi elettorali dei partiti tedeschi. Ma che cosa propongono esattamente i partiti su questo tema? Una panoramica.

CDU: Il partito della Cancelliera propone un convinto "continuiamo cosi'". No agli Eurobond, no alla Transferunion e nessun ulteriore trasferimento di competenze a Bruxelles. Ma anche nessuna soluzione per la crisi economica - e non una parola sui problemi di democrazia. I cristiano-democratici intendono posticipare questo tema alle elezioni europee.

SPD: I compagni, sulla carta - diversamente dalla realtà - hanno una loro sfumatura. Propongono iniziative per la crescita e una unione sociale europea. Vorrebbero colpire duramente le banche e avviare un fondo comune per la redenzione del debito. La commissione UE dovrebbe essere trasformata in un governo europeo eletto.

Grüne: I Verdi oppongono all'"Europa dei governi" una UE democratica. Per fare cio', al Parlamento europeo dovrebbe essere conferito il potere legislativo e la possibilità di votare le leggi. Ai cittadini europei dovrebbe invece essere dato un maggiore spazio di iniziativa, e si dovrebbe avviare una nuova convenzione europea. Sul tema Euro i Verdi restano alquanto vaghi: criticano le politiche di austerità e chiedono un "New Deal Verde".

FDP: I liberali cercano di distinguersi a spese degli altri - e se la prendono con il programma elettorale della CDU. Il loro "programma civile", tuttavia, contiene poco di concreto. Da un lato i liberali sono contro gli Eurobond e gli aiuti della BCE agli stati in crisi, dall'altro vorrebbero fondare uno "stato federale europeo". Ma solo nel lungo periodo...

Linke: E' il solo parito a prendere le distanze dal trattato di Lisbona e dal suo impianto neoliberale. Al suo posto dovrebbe naschere un'Europa fondata sulla democrazia. In concreto i compagni chiedono una tassa sulle banche, una tassa sui ricchi e una patrimoniale. Oltre a cio' dovrebbero essere introdotti degli standard sociali minimi.

Pirati: piu' democrazia, anche nel fondo ESM: cosi' si puo' riassumere l'Europrogramma dei Pirati. Hanno perfino un capitolo per "l'Agenda Digitale", chiedono una banda larga per tutti e la promozione dei beni collettivi

Se si confrontano questi programmi con cio' che viene attualmente discusso a Bruxelles, si percepisce quanto la coalizione attualmente al governo ne sia lontana. Soprattutto la FDP è molto distante dalle posizioni dei liberali europei (da leggere "I liberali amano gli Eurobond").

Al contrario, la Linke e i Verdi vanno ampiamente oltre ciò che attualmente l'UE puo' e vuole fare. Una coalizione rosso-rosso-verde ben presto andrebbe a scontrarsi con la realtà di Bruxelles.

Ma la SPD rifiuta una tale coalizione. Che alla fine significa: la Germania al momento non ha alcuna soluzione per i problemi dell'UE e dell'Euro.

Non c'è da stupirsi, l'attuale coalizione nero-gialla è una parte del problema. E' stata lei a portare l'Europa nelle condizioni in cui si trova attualmente...




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sabato 31 agosto 2013

Münchau: ci vuole un rosso-rosso-verde!

Secondo Wolfgang Münchau, su Der Spiegel, la sola speranza per l'Euro e l'Europa è una coalizione rosso-rosso-verde (SPD, Linke e Grünen). La SPD troverà il coraggio? da Der Spiegel

Il programma elettorale della Linke sulla crisi Euro dimostra onestà e intelligenza. Con le sue proposte il partito è largamente in vantaggio su tutti gli altri - e potrebbe trasformarsi nel partner ideale per SPD e Grüne.

La Linke, insieme ai Grüne, è il solo partito ad avere nel proprio programma elettorale un'analisi intelligente ed onesta della crisi Euro. La SPD la evita, la CDU riduce tutto alla competitività economica, mentre la FDP alimenta un'irrazionale paura dell'inflazione.

La Linke ritiene invece che la crisi economica sia stata causata da squilibri eccessivi: "Il governo Merkel ha individuato le cause della crisi nell'eccesso di debito pubblico. Ma cio' è servito solo ad invertire causa ed effetto". E le cose stanno cosi'. Si tratta infatti di una crisi causata dal flusso di capitali dal nord al sud, la cui interruzione ha causato uno shock economico, terminato in una impennata dei deficit pubblici. Su questo punto sia la Linke che i Grünen hanno assolutamente ragione. Chi non lo capisce, non potrà mai risolvere questa crisi.

Nella posizione della Linke, mi piace particolarmente la coerenza dell'analisi con i loro comportamenti di voto al Bundestag. Diversamente da SPD e Grünen, la Linke in parlamento ha sempre votato contro la politica anti-crisi del governo federale. Il sostegno che invece i Grünen hanno dato al governo sembra piuttosto una scusa: lo hanno fatto a malincuore, solo per evitare una crisi maggiore. Trovo questo argomento assurdo.

Se accettiamo l'analisi fatta dai Grüne e dalla Linke, e cioe' che ci troviamo in una crisi finanziaria, allora l'Euro-politica del governo federale ci conduce alla catastrofe. In tal caso sarebbe molto meglio interromperla ora, che fra 5 anni. Su questo punto la Linke ha sicuramente ragione. Votare contro il Fiskalpakt, che di fatto prolunga all'infinito le politiche di austerità, è stata una logica conseguenza.

Come per i Grüne, anche l'analisi macroeconomica della Linke soffre di un eccesso ideologico. Anche il loro programma è inevitabilmente appesantito. La Linke strumentalizza la crisi per le sue richieste di aumenti salariali e per una maggiore redistribuzione. La quota dei salari - la percentuale dei salari rispetto al PIL - nella maggior parte dei paesi industrializzati a partire dagli anni '70 è scesa. Una delle ragioni piu' importanti è stata la globalizzazione, e la conseguente maggiore concorrenza salariale. A tale riguardo non si puo' pretendere dalla crisi un aumento dei salari, una redistribuzione dei salari fra paesi e una correzione nel rapporto tra profitti e salari coordinata a livello globale. Come tutto questo in pratica dovrebbe funzionare la Linke non lo dice.

Manca un coordinamento internazionale

Il problema piu' grande nel programma della Linke è che si pensa di poter risolvere la crisi finanziaria internazionale con delle politiche di redistribuzione nazionali. Il partito non dice nulla sul tema del coordinamento internazionale.

E senza di questo non si potrà risolvere la crisi. In questo momento poi la tendenza si muove in tutt'altra direzione. Subito dopo il crollo di Lehman Brothers nel 2008 c'è stata effettivamente una piccola finestra temporale in cui si è ipotizzato un riorientamento del sistema economico internazionale. Di quella proposta non si è piu' sentito niente. Il G20 è diventato un club per fare dibattiti.

Oltre ai Grüne e alla Linke, anche Alternative für Deutschland, dal punto di vista dei contenuti, fa un'analisi intelligente della crisi, arrivando tuttavia ad una conclusione finale completamente diversa, e che io non condivido affatto. Nel complesso ci sono 3 partiti con una posizione relativamente chiara, e ce ne sono altri 3 che non osano, oppure che non sono intellettualmente in grado. 

Qualunque sia il motivo che impedisce alla SPD di coalizzarsi con la Linke, non puo' certo essere la crisi Euro. Al contrario: se la SPD dovesse entrare in una "große Koalition" con la CDU, diventerebbe corresponsabile del fallimento delle politiche merkeliane. Mentre i Grünen e la Linken avrebbero un argomento per dare la caccia al governo. 

E cosi' la mia conclusione - sicuramente discutibile - sui 5 programmi: da un punto di vista macroeconomico, una coalizione rosso-rosso-verde sarebbe la soluzione migliore e l'unica variante in grado di combattere la crisi con successo. Anche solo per una ragione: una tale coalizione sarebbe in grado di proporre una narrativa della crisi completamente diversa.

giovedì 29 agosto 2013

Alternative für Deutschland ha già vinto?

In politica è piu' importante vincere o partecipare? Risponde Bettina Röhl su WirtschaftsWoche, il settimanale economico piu' letto, di orientamento conservatore: AfD avrebbe già vinto la sua battaglia, perché ha fatto capire ai tedeschi che la moneta unica non è piu' un tabu' inviolabile. Da WiWo.de

La campagna elettorale di AfD, nonostante l'ostilità delle altre forze politiche, va avanti. Nel frattempo l'intera classe politica si è messa in moto per appropriarsi delle sue posizioni.

AfD è già riuscita a cambiare la politica, prima del 22 settembre. Non è stata ancora votata, e forse non lo sarà mai. Ma l'influenza di AfD sull'Euro-politica dei partiti tradizionali, sia al governo che all'opposizione, è fondamentale. AfD è riuscita a rompere il tabu' dell'indiscutibilità della moneta unica. E' accaduto in maniera discreta, ed è ancora poco visibile.

La proposta di AfD, tesa ad arginare l'Euro-follia della classe politica, negli ultimi mesi ha dato i suoi frutti. E per aver fatto questo non potrà certo aspettarsi un riconoscimento dagli eurocrati. Al contrario, AfD viene attaccata con forza, ostracizzata e stigmatizzata.

In questo periodo pre-elettorale l'Euro-politica tedesca è caratterizzata da una grande schizofrenia. L'Euro e l’Euro-crisi restano temi politici fondamentali. Ma in campagna elettorale non sembrano avere un ruolo di primo piano. Ce lo ricordiamo bene: solo pochi mesi fa l'Euro-dibattito aveva raggiunto il suo punto piu' alto. Molti media avevano cavalcato l'argomento, e il tema suscitava un grande interesse, anche presso i molti elettori che notoriamente guardano con attenzione al loro portafoglio.

Il feticcio della mancanza di alternative è scomparso

Adesso, poco prima delle elezioni, il tema Euro, almeno come elemento elettorale decisivo, se non è proprio morto, diciamo che è imploso.

In scia al relativo disinteresse degli elettori per la crisi Euro, e per la dilettantesca gestione della crisi da parte dei governi, ma anche delle opposizioni, l'intera classe politica sembra essere scivolata in una nuova dimensione dell’Euro-politica. Improvvisamente l'Euro non è piu' senza alternative. E improvvisamente anche l’Euro-politica di Merkel, fino ad ora considerata l’unica possibile, non è piu' cosi' priva di alternative.

Il feticcio dell’assenza di alternative, e l’ostinata volontà di mantenere l'Euro nel suo perimetro attuale, sembravano scolpiti nel cemento. L'Euro-politica, fino a poco tempo fa, era segnata da una fede illimitata in quella che alla fine resta solo una moneta comune.

La vera crisi Euro riguarda i difetti di nascita e incurabili dell'Euro, e cioè la sua errata progettazione. I trattati Euro non hanno messo insieme, cio' che doveva stare insieme, piuttosto hanno spinto sotto un unico ombrello monetario 17 economie molto diverse fra loro, o addirittura divergenti. E hanno privato le diverse economie nazionali della loro piu' importante valvola di sfogo: la propria politica monetaria.

L'Euro era solo in parte una moneta, vale a dire una unità di pagamento razionale. L'Euro era piuttosto un tema politico privo di speranza e sovraccarico di nazionalismo europeo. Con l'aiuto dell'Euro, la migliore Europa di allora, che da 60 anni continuava a crescere e a svilupparsi, doveva essere forzata in una nuova forma di unità a durata millenaria.

Le intenzioni mai troppo chiarite dei padri dell'Euro, non particolarmente interessati all'economia e alla politica fiscale (ad es. Helmut Kohl e Francois Mitterand), miravano ad eliminare le numerose diversità presenti sul continente, altamente positive, per introdurre un concetto di uguaglianza. Apparentemente convinti che questa nuova uguaglianza potesse essere un miglioramento qualitativo dell'Europa politica. L'Europa, secondo le dichiarazioni di allora, con l'aiuto di una nuova moneta unica, doveva diventare la start-up di maggior successo di tutta la storia mondiale. L'Europa, nel giro di pochi anni, grazie all'Euro, sarebbe dovuta diventare la prima potenza economia sul continente. Non proprio modesto.

Fallimento e disorientamento

La classe politica ha cercato sistematicamente di discreditare e soffocare ogni critica alla sua Euro-politica. Chi ad esempio osava parlare pubblicamente di un'uscita della Grecia, era accusato di non capire molto di economia e finanza. Si diceva che un fallimento della Grecia avrebbe significato un fallimento dell'Europa, seguito da quello di tutta l'Europa. Cosi' l'Euro-mania è stata finalmente globalizzata.

La sovrastruttura degli Euro-fanatici è cresciuta all'infinito. Improvvisamente l'Euro non era piu' una moneta, piuttosto un progetto di pace inviolabile, una garanzia contro la guerra, uno strumento per addomesticare la volontà di supremazia teutonica, e la pietra miliare per un'Europa felice. Arrivo' finalmente il momento in cui il dibattito lascia i circoli degli esperti, e conquista spazio sui giornali e nelle discussioni fra la gente comune. 

Fino a qualche mese fa, qualsiasi fantasia sull'abolizione dell'Euro oppure la possibilità di sostenere finanziariamente l'uscita ordinata di alcuni stati, erano un sacrilegio, un mezzo suicidio politico.

E poi apparve un nemico giurato all'orizzonte. Un nuovo partito è entrato in scena nell'aprile di quest'anno, il suo nome è "Alternative für Deutschland." La sua proposta è l'uscita dall'Euro: rinominato partito dei professori, ha introdotto nel dibattito pubblico il tema dello scioglimento della moneta unica. Tutti i partiti, su entrambi gli schieramenti, temevano che il 22 settembre AfD potesse superare la soglia del 5% e affondare i loro sogni di potere.

All'unisono e con un minimo di credibilità, tutti i partiti politici hanno attaccato AfD, privi di conoscenze economiche e fiscali, ma animati da rabbia e intenti moralistici. Nonostante il mobbing rosso-verde, allineato alle forze di governo, abbia disturbato la campagna elettorale di AfD con una violenza eccessiva, la classe politica si è lasciata convincere in maniera silenziosa dall'Euro-critica di AfD, riprendendendone in parte lo scetticismo.

Un cambio di mentalità

Il leader di AfD, Bernd Lucke, ha utilizzato gli spazi offerti dai media per annunciare che AfD sosteneva un taglio del debito greco, affinché tutti i prestiti concessi fossero trasformati in donazioni. Con questo argomento, accettato pubblicamente anche dagli Euro-critici, l'establishment politico di fatto non si è diffenziato dalle posizioni di AfD o di altri partiti euro-critici, si è invece allontanato dalla testardaggine della propria Euro-politica.

A cio' ha contribuito anche il fatto che il leader di AfD, contrariamente alle sue affermazioni, non ha proposto un concetto definitivo per l'uscita ordinata di un paese dall'Euro. Ed allo stesso tempo è riuscito ad argomentare la sua Euro-critica in maniera plausibile e comprensibile a tutti, mettendo a tacere i politici o i giornalisti titolati che cercavano di attaccarlo.

Se la Linke si vanta, falsamente, di aver almeno contribuito ad introdurre il tema del salario minimo nel dibattito politico tedesco, allora la AfD puo' almeno reclamare per se stessa di essere riuscita a scardinare, sul tema Euro, un mentalità altrimenti chiusa e ostinata.

Improvvisamente, come se nulla fosse, Sigmar Gabriel, leader della SPD, il partito a suo tempo impegnato a far entrare la Grecia nell'Euro, ammette: l'ingresso della Grecia nell'Euro è stato un errore. Improvvisamente un barlume di ragione!

Brüderle (FDP) ad esempio pretende di vedere dai greci delle vere riforme, se il Bundestag dopo le elezioni dovesse essere chiamato a pompare altro denaro verso la Grecia. E l'uscita della Grecia dall'Euro, in tutti i partiti, non è piu' un tema cosi' noioso.

Schäuble dice di sfuggita che non ci sarà un nuovo taglio del debito greco. Naturalmente dopo le elezioni con molta probabilità sarà necessario. Ma nessun ulteriore taglio del debito greco, potrebbe anche essere considerato un annuncio: l'anticipo di un'uscita ordinata della Grecia dall'Euro nel 2014 o 2015.

lunedì 26 agosto 2013

Consumate di piu'!

Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank, dal suo blog su FAZ.net ci racconta un incontro-scontro fra economisti italiani e tedeschi. "Consumate di piu'!", chiedono gli italiani, "fate ordine a casa!" rispondono gli altri. Dal FAZ.net
La Villa Vigoni sul Lago di Como è una delle perle meno conosciute nel portafoglio immobiliare dello stato tedesco. Costruita nel diciannovesimo secolo come residenza estiva da un uomo d'affari e banchiere italo-tedesco, negli anni ottanta del secolo scorso l'ultimo membro della famiglia l'ha trasformata in un luogo di incontro fra Italia e Germania. Il donatore lo sapeva: solo quando durante la notte le luci provenienti dalla riva del lago brillano in cielo, e i riflessi del vino rosso splendono nei bicchieri, è possibile esplorare le profondità dell'anima italiana e tedesca.

Fate ordine a casa!

"Se vogliamo mantenere l'Euro come moneta comune, alla fine dovrete fare ordine a casa vostra!", esorta la parte tedesca. "Cio' di cui avete bisogno è un' "Agenda 2020". Il mercato del lavoro deve essere flessibilizzato, le vostre normative devono essere riviste - secondo la Banca Mondiale non siete molto meglio dei paesi in via di sviluppo - e soprattutto dovete organizzare la vostra politica in maniera migliore". "C'è qualcosa di vero", ammette la parte italiana. "E infatti ci sforziamo di affrontare i problemi. E invece voi cosa fate? Niente. Siete fieri della vostra competitività e vi vantate di essere i campioni del mondo dell'export. I vostri avanzi delle partite correnti minacciano di distruggere l'Unione Europea. Se voi non ci date la possibilità di esportare, non potremo permetterci il vostro import. Se compriamo a debito, non dovete meravigliarvi se poi alla fine non saremo in grado di rimborsare, e voi non rivedrete il vostro denaro. Siate un po' piu' rilassati, concedetevi dei salari un po' piu' alti, un po' piu' di tempo libero, e consumate di piu'!".

Ma cosi' non si vincono le elezioni

La parte tedesca non vuole sentirne nemmeno parlare: "I salari non devono crescere piu' della produttività, se vogliamo che la moneta resti stabile. Siamo disponibili a far crescere i nostri salari secondo la produttività. Voi pero' dovrete tenere la crescita salariale al di sotto della produttività, affinché possiate recuperare competitività nei nostri confronti. Sin dall'inizio dell'unione monetaria avete accettato che accadesse il contrario". "La nostra crescita della produttività è cosi' bassa, che abbiamo già avuto dei tagli salariali per poter recuperare competitività nei vostri confronti. I tagli salariali, pero', non sono politicamente sostenibili". "Allora aumentate la produttività riformando la vostra economia!". La parte italiana fa un respiro profondo: "Non è cosi' facile. Prima di tutto c'è bisogno di tempo, che noi adesso non abbiamo. Secondo, i nostri elettori non sono convinti che con le riforme strutturali si possa aumentare la crescita. Cio' che voi definite rigidità, sono strutture cresciute nel corso degli anni, che non possono semplicemente essere spazzate via dall'oggi al domani. Dietro ogni regolamentazione c'è un gruppo di interesse, che con la sua cancellazione finirà per perderci. La perdita è concreta, e viene percepita immediatamente, mentre il ritorno in termini di crescita arriva molto tempo dopo. In questo modo da noi non si vincono le elezioni, come dimostra l'esempio di Mario Monti".

La parte tedesca fa un altro tentativo: "Ma Monti ha perso le elezioni perché ha aumentato le tasse". "Non solo, ma anche per questo. C'è anche dell'altro. Gli italiani in generale non hanno fiducia nello stato. Per questo pagano a malincuore le tasse. Ma sono pronti a prestare denaro allo stato". "Ma questo non fa che aumentare il debito pubblico in maniera gigantesca". "Ma fino a quando siamo noi a finanziarlo senza fare debiti con l'estero? Voi pagate diligentemente allo stato le vostre tasse, noi invece preferiamo prestargli il nostro denaro". "Se voi aveste ancora la vostra moneta, potrebbe ancora andare bene; sebbene in questo modo state solo scaricandone il peso sui vostri figli. Ma in una unione monetaria il vostro debito pubblico minaccia la stabilità della nostra moneta comune. Se lo stato non è piu' in grado di rifinanziarsi sul mercato, la banca centrale deve intervenire". "Che c'è di male? La FED, la Bank of Japan o la Bank of England comprano già i titoli di stato. Aiutano lo stato a finanziarsi a basso costo, si occupano di tenere bassi i tassi  di interesse e indeboliscono il  cambio, in modo da aumentare la competitività. Perché la BCE non dovrebbe farlo anche per noi?" "Ma allora la politica monetaria per noi sarebbe troppo espansiva. I prezzi e i salari salirebbero". "Sarebbe solo auspicabile". Quando la conversazione sembra essere tornata al punto di partenza, c'è una pausa. "Perchè con i britannici non abbiamo queste discussioni?", chiede una parte. "Semplice, perché loro con la loro moneta possono fare ancora beatamente quello che vogliono", risponde l'altra.




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