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mercoledì 7 novembre 2018

Gustav Horn su die Zeit: cosa si deve fare per disinnescare il ricatto italiano

Sulla stampa tedesca è arrivato il tempo delle colombe, dopo quello dei soliti avvoltoi, e Gustav Horn su Die Zeit prova a spiegare ai tedeschi un modo semplice per fermare il "ricatto italiano": autorizzare la BCE ad acquistare titoli di stato italiani quando lo spread supera una soglia di allarme, a patto che le partite correnti italiane restino in territorio positivo. In questo modo il debito pubblico sarebbe una questione tutta italiana e il governo di Roma non avrebbe piu' a disposizioni le solite armi per ricattare Bruxelles e Berlino. Gustav Horn su Die Zeit


Gustav A. Horn dirige l'Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung della Fondazione Hans Böckler, fondazione vicina al sindacato. È membro della SPD e membro consultivo della Commissione di base del partito.

La miccia sta bruciando, ma quale sarà il suo percorso verso la polveriera non è ancora chiaro. Per questo spegnerla è ancora piu' difficile. Il rischio più grande è che presto ci si possa trovare davanti alle macerie dell'edificio europeo perché si è cercato di salvarlo agendo sui punti sbagliati.

Il punto sbagliato è proprio il tanto discusso bilancio pubblico italiano. Il deficit al 2,4% del prodotto interno lordo (PIL) previsto dal governo italiano è una violazione delle promesse fatte dai precedenti governi e rappresenta quindi un'erosione della fiducia. Di per sé questo valore tuttavia non è un disastro economico. In uno scenario realistico caratterizzato da uno sviluppo economico ragionevolmente immutato e da un lento aumento del tasso di inflazione, il rapporto debito/PIL italiano, anche con questo valore, continuerebbe a scendere. A ciò si aggiunge che l'Italia ha un surplus commerciale con l'estero. Non si tratta quindi di una combinazione esplosiva fra un rapporto debito/PIL in crescita e un aumento del debito estero, che fra l'altro sui mercati finanziari internazionali ha spinto la Grecia verso l'abisso. L'Italia, al contrario, si è indebitata con i propri cittadini e le proprie imprese, e sono proprio loro che alla fine dovranno convivere con le conseguenze.

Al momento non è nemmeno chiaro se questo maggior deficit in futuro non finirà per restringere significativamente il margine di manovra fiscale. L'introduzione di un reddito di base, data la totale inadeguatezza del sistema di protezione sociale italiano, potrebbe rivelarsi una benedizione. A beneficiare dell'aumento di spesa e del relativo aumento dei consumi sarebbe l'andamento della congiuntura economica generale e ciò potrebbe contribuire a far rientrare molte più persone nel mercato del lavoro. Il resto delle spese aggiuntive, tuttavia, è alquanto discutibile e piu' che altro sembrerebbe orientato a servire la propria clientela elettorale. Dal lato dei tagli fiscali non ci sono benefici economici significativi che ci si possano attendere. In ogni caso contribuiranno ad aumentare ulteriormente l'onere debitorio, già estremamente elevato a causa dell'eredità del passato.

Tutto sommato questo approccio del governo italiano, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe causare un po' di rabbia a livello europeo, ma non dovrebbe essere sufficiente per far scattare scenari catastrofici. I mercati finanziari possono restare tranquilli. Ma non lo sono - a ragione.

La ragione non risiede tanto nella discutibile logica economica delle proposte, ma nella loro controversa intenzione politica. Alla fine la coalizione di governo italiana, alla luce degli orientamenti politici totalmente diversi, è unita da un solo elemento: dalla lotta a un presunto establishment a Roma, Berlino, Bruxelles e altrove ostile ai veri interessi del popolo. Questa è la sostanza di cui sono fatti i governi populisti di questo periodo. La loro forza motrice arriva dalla paura dell'immigrazione sulla quale vengono proiettate tutte le preoccupazioni culturali ed economiche di questa società globalizzata, e dalla convinzione che i populisti sono gli unici che possono rappresentare il popolo di fronte a questo progetto di globalizzazione guidato dalle élite. Tutto ciò è una mezza verità o forse è completamente falso, in ogni caso ipocrita, ma politicamente efficace.

Questa miscela non promette nulla di buono per l'Europa. Perché è lecito aspettarsi che il governo italiano non farà nulla per calmare i mercati. Al contrario, è nel loro interesse farli andare nel panico con delle provocazioni retoriche sempre più violente. Solo allora gli altri membri dell'unione monetaria, o per l'aumento dei tassi di interesse o per l'incertezza dilagante sulla coesione dell'unione monetaria, saranno colpiti dalla politica di deficit del governo italiano e quindi saranno obbligati a confrontarsi con il governo di Roma e con le sue richieste radicali, ad esempio, in materia di immigrazione.

Si sta presentando la vendetta per non aver voluto introdurre nell'unione monetaria dei cosiddetti "safe assets". Ogni area valutaria funzionante dispone di simili forme di investimento sicure, di solito titoli di stato, che vengono difesi dalla rispettiva banca centrale con tutti i mezzi a disposizione. Un investimento sicuro all'interno dell'area dell'euro renderebbe impossibile ogni forma di ricatto attraverso i mercati finanziari.

Nell'area dell'euro attualmente non vi sono investimenti sicuri, per questo gli italiani possono mettere in campo la loro strategia. Il governo tedesco e gli altri stati membri si trovano di fronte ad una spiacevole scelta: fare delle concessioni di vasta portata all'Italia su molte questioni politiche, oppure rischiare il collasso dell'unione monetaria.

Ma c'è un altro modo per aggirare questo dilemma. I ministri delle finanze potrebbero, almeno temporaneamente, autorizzare la Banca centrale europea (BCE) ad orientare il suo programma di acquisto titoli sui singoli paesi, e cioè sulla base dello spread dei tassi di interesse. In altre parole, la BCE acquisterebbe sul mercato soprattutto titoli di stato per i quali il premio al rischio è elevato, e che quindi vengono considerati rischiosi dai mercati finanziari. Questo tipo di acquisti tuttavia dovrebbe essere subordinato al fatto che la bilancia commerciale esterna del paese non sia in deficit. Con questo approccio, o semplicemente con il suo annuncio, sarebbe possibile evitare un aumento dei tassi d'interesse in grado di mettere a repentaglio l'intera unione monetaria. L'obiezione attesa, e cioè che in questo modo stiamo dando all'Italia una licenza per fare piu' debito, è giusta solo a metà. Certo, l'Italia ora potrà continuare a indebitarsi senza dover temere i mercati finanziari. Ma a causa della condizionalità relativa al saldo commerciale estero, l'indebitamento potrebbe avvenire solo a livello nazionale, quindi all'interno del paese. Le conseguenze del maggiore indebitamento verrebbero infatti sopportate solo dagli italiani, e il ricatto verso gli altri paesi sarebbe inefficace.

Questo passo richiederebbe indubbiamente molto coraggio politico ed economico. Ma sarebbe un passo con il quale forse faremmo ancora in tempo a staccare la miccia dalla polveriera europea.

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sabato 26 maggio 2018

Perché il ricatto BCE è già iniziato

I cosiddetti "media di qualità" tedeschi nei giorni scorsi hanno parlato del presunto atteggiamento ricattatorio italiano, ma il vero ricatto probabilmente è già in corso ed è quello della BCE. Le parole, nemmeno troppo velate, di Vítor Constancio lo confermano e il copione sembra essere lo stesso della crisi greca del 2015. Ne parla Paul Steinhardt su Makroskop 


Nel mio ultimo contributo ho espresso la speranza che la BCE non si lasci piu' strumentalizzare politicamente "dalla Germania e dagli altri falchi del deficit". Le dichiarazioni in arrivo dagli ambienti della BCE e la crescita dei rendimenti sui titoli di stato italiani a 10 anni fanno tutavia temere che la BCE, come è già accaduto in Grecia, intenda dettare la politica di bilancio ad un governo eletto democraticamente.

Proprio nell'ultima „Financial Stabilty Review" (FSR) di ieri è contenuta la dichiarazione secondo la quale la "condotta di bilancio" di alcuni paesi con un elevato rapporto debito/pil potrebbe avere degli effetti sui rendimenti dei titoli di stato dell'area dell'euro. E' noto che il rapporto debito/PIL italiano, pari al 132% del PIL, nell'eurozona è superato solo dalla Grecia. Si tratta di una minaccia per niente velata da parte della BCE nei confronti del nuovo governo italiano: se non proseguite con l'austerità, allora lasceremo che i rendimenti sui titoli di stato italiani aumentino.

Il vicepresidente uscente della BCE Vítor Constancio conferma, in maniera non proprio diplomatica, la mia interpretazione in questo passaggio della FSR:

“Italy should keep within EU rules on its fiscal policy. That’s the message.”

Che questa affermazione non sia una vuota minaccia lo dimostra il confronto fra Germania e Italia sull'andamento negli ultimi 6 mesi del differenziale di rendimento dei titoli a 10 anni.


Naturalmente i media mainstream e la casta politica neoliberale dell'eurozona preferiscono interpretare la divergenza dei rendimenti come una preoccupazione e un avvertimento del "mercato dei capitali". Poiché BCE e Banca d'Italia tramite l'acquisto dei titoli di stato italiani possono influenzare i rendimenti a piacere, l'attuale differenziale di rendimento del 2% è chiaramente identificabile come un attacco politicamente motivato da parte di una BCE non legittimata democraticamente nei confronti di un governo eletto dalla maggioranza degli italiani.

La BCE in questo modo cerca di affondare i tagli fiscali e tutti i provvedimenti di politica sociale annunciati, che fra le altre cose comprendono un reddito di base per tutti i disoccupati, con l'argomento che i piani sarebbero in contrasto con gli obiettivi di bilancio dell'UEM. Non sorprende in questo contesto che ad esempio la Spagna tra il 2009 e il 2016 abbia registrato un deficit di bilancio compreso fra l'11% e il 5%. Ancora una volta viene dimostrato che non sono solo gli obiettivi di deficit ad essere arbitrari per i paesi dell'UEM, ma che è il sistema nel suo complesso ad essere arbitrario.

La caratterizzazione dell'euro come di una "prigione", fatta da Paolo Savona, attualmente in discussione come nuovo Ministro dell'Economia e delle Finanze, viene ancora una volta confermata da questo modo di operare. Resta solo da sperare che la democrazia italiana possa uscire da questa prigione alla svelta.