Die Welt affida al prof. Friedrich Heinemann un commento decisamente critico sulla situazione italiana. Per il professore di economia di Heidelberg il destino del patto di stabilità e soprattutto la credibilità delle istituzioni europee è nelle mani del governo italiano. Se la Commissione dovesse cedere, allora i "populisti" dilagherebbero in tutta Europa. I primi della Klasse salgono in cattedra. Da Die Welt
Negli ultimi giorni un sospiro di sollievo collettivo ha attraversato l'Europa. Il motivo sono state le dichiarazioni dei rappresentati del governo italiano secondo le quali l'Italia intende rispettare il limite del tre per cento previsto dal Patto di stabilità. In precedenza i ministri del governo avevano ripetutamente fatto sapere che il paese, con un rapporto debito/pil di oltre il 130%, in futuro avrebbe ignorato le norme sul debito. Ciò che viene trascurato, tuttavia, è il fatto che il patto di stabilità è molto più di un semplice limite del 3%. Per buone ragioni questo limite nel patto di stabilità riformato ha perso gran parte della sua importanza.
Oggi ci sono altri due "guardrail" progettati per garantire che i paesi altamente indebitati riducano il loro debito e che per farlo utilizzino gli anni buoni del ciclo economico. Il primo requisito importante è il livello di indebitamento, che dal Trattato di Maastricht in poi per i paesi della zona euro dovrebbe essere inferiore al 60% del PIL. Su questo punto il patto prescrive che i paesi con un debito più elevato debbano ridurre la distanza da questo limite di un ventesimo ogni anno.
L'Italia ormai da molti anni, in maniera alquanto sfacciata, non rispetta questo criterio. Il secondo limite riguarda il disavanzo corretto per gli effetti del ciclo economico (il "deficit strutturale"), che per l'Italia dovrebbe essere pari a zero. Anche qui, con un deficit strutturale di poco inferiore al due per cento, il paese resta attualmente ben al di sopra del valore consentito. In caso di tali infrazioni, il patto prevede l'obbligo di ridurre ogni anno il deficit di circa mezzo punto percentuale fino al raggiungimento dell'obiettivo.
In parole povere tutto ciò significa: il patto impone all'Italia di ridurre l'attuale deficit in passi misurabili fino al raggiungimento dello zero per cento nello spazio di qualche anno. Ciò è ancora piu' valido in quanto il paese si trova di nuovo in una situazione economica normale. In anni in cui la congiuntura economica è normale o addirittura buona, a ragione il patto richiede delle forti misure di austerità. Questo è l'unico modo per avere margini di deficit più alti nelle fasi di rallentamento economico.
La strategia di Salvini è politicamente intelligente
Anche prima della formazione del nuovo governo, la Commissione europea aveva richiamato l'attenzione sul fatto che l'Italia potrebbe mancare gli obiettivi previsti dal patto per il 2019. Questo avvertimento era evidentemente legato alla politica di bilancio del precedente governo. Anche se il nuovo governo intendesse implementare solo una piccola parte delle sue nuove idee in merito all'aumento della spesa e alla riduzione delle tasse, la situazione si aggraverebbe ulteriormente.
Nell'interpretazione delle regole bisognerebbe prendere in considerazione anche il fatto che il governo di Giuseppe Conte ha già ritirato alcune riforme del mercato del lavoro e che intende abolire le riforme pensionistiche introdotte dai suoi predecessori. Sono state proprio queste riforme a fornire alla Commissione argomenti per concedere al paese "circostanze attenuanti".
È in linea con la logica simmetrica del patto secondo la quale i limiti di deficit devono essere applicati in maniera più stringente se le riforme vengono ritirate. Puoi trasformare il patto oppure girarlo a tuo piacimento, ma un deficit piu' alto, inferiore solo di alcuni decimali rispetto al limite del 3%, non è in alcun modo conforme alle regole. Un deficit massimo dell'1,5% nel 2019 potrebbe essere accettabile, ma solo con un po' di buona volontà. E comunque il bilancio dovrà muoversi con una certa rapidità verso l'obiettivo del pareggio fra entrate e uscite.
Che i ministri italiani come Matteo Salvini preferiscano concentrarsi sul limite del tre per cento e non ne vogliano sapere di osservare standard più rigidi, è politicamente intelligente. E' un argomento che sposta il punto di riferimento. Prima il governo minaccia di superare il limite del tre per cento, subito dopo però rivende un deficit del 2,9 % come un "successo" e un "rispetto delle regole". È inoltre in linea con l'esperienza fatta in molti anni con il patto di stabilità, e cioè: gli Stati della zona euro fanno una scelta selettiva. Nella comunicazione infatti, spesso viene utilizzato il limite più facile da raggiungere. Piuttosto è sorprendente che i media e la politica siano acritici nei confronti di questa strategia che invece sta passando nel silenzio generale.
Si tratta del futuro del patto di stabilità
Il guardiano del patto di stabilità e crescita è la Commissione europea. E' necessario un rapido chiarimento sul tema. Jean-Claude Juncker e il commissario per gli affari monetari Pierre Moscovici devono mettere in chiaro che l'Italia senza una ulteriore riduzione del deficit violerebbe il Patto. Non sappiamo tuttavia se la Commissione alla fine dell'era Juncker avrà questo coraggio.
A Bruxelles il timore è quello di un importante successo elettorale dei gruppi populisti alle elezioni europee del maggio 2019. Un argomento comune è che una procedura di infrazione sul deficit nei confronti dell'Italia potrebbe regalare ancora più voti a Lega e Cinque stelle. Un handicap del patto è ora molto chiaro: l'ufficio di controllo in seno alla commissione ha un'autorità politica che non ha la neutralità sufficiente per l'applicazione pertinente delle regole del gioco.
L'attuale disputa sul bilancio con l'Italia riguarda quindi il futuro del patto di stabilità. È sicuramente complesso, tuttavia offre un insieme ben equilibrato di regole con una certa flessibilità e un senso per la politiche economiche congiunturali. Se la Commissione dovesse cedere, allora la credibilità del patto riformato sarebbe irreparabilmente danneggiata. E il calcolo di voler contenere in questo modo i populisti non sarebbe affatto convincente. Se la Commissione dovesse piegarsi, dimostrerebbe che i in Europa i governi possono far valere la propria volontà con strategie di confronto populiste. Difficilmente si potrebbe immaginare una pubblicità migliore per la campagna elettorale dei populisti alle europee.
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