lunedì 21 ottobre 2013

Tra lobbismo e corruzione (seconda parte)

La CDU riceve 690.000 € dalla famiglia proprietaria di BMW. Cosa c'è dietro questa donazione? Prova a raccontarlo Die Zeit mettendo insieme i tasselli della trattativa europea sulle emissioni di CO2. E' solo un capolavoro di lobbismo? Arriva da qui
Per sapere quanto sia stato ampio il cambio di direzione basta guardare indietro. Per mesi l'industria automobilistica tedesca pensava di uscirne sconfitta. Die Zeit dispone dei protocolli interni dei negoziatori tedeschi nei mesi che hanno preceduto la svolta. Documentano la posizione dei 27 stati membri, i punti di attrito, e il crescente isolamento del governo federale - ormai molto distante dagli obiettivi di difesa ambientale.

Nel protocollo dell'8 maggio si dice: "Anche il Portogallo intende appoggiare le dure richieste del Consiglio, e non quelle meno severe della Commissione". Ma in seguito alla pressione di Berlino la posizione è cambiata di 180 gradi. Come ha fatto la Gran Bretagna, che sempre secondo il protocollo inizialmente non mostrava "un grande interesse" per la posizione tedesca. Lo stesso vale per i Paesi Bassi.

Ancora una settimana prima della riunione decisiva la Germania era molto lontana dall'avere una maggioranza per la sua posizione. C'erano indicazioni date alla Presidenza del consiglio europeo che chiedevano di imporre nei negoziati con la Commissione dei valori piu' rigidi. E il compromesso era stato inizialmente trovato.

Ma i lobbisti di Berlino si sono spaventati - e hanno mandato avanti la Cancelliera. Che inizia a cercare alleati, convince gli inglesi e gli altri paesi. Il compromesso viene bloccato. E ci si chiede che cosa sarà dell'accordo quando arriverà il nuovo governo tedesco.

Che l'accordo non imponga dei valori di CO2 piu' impegnativi è sicuramente una prima vittoria per BMW e Daimler. I costi politici potrebbero essere enormi, la decisione segna la rottura di un tabu' nella politica europea.

"Lei deve immaginare", ci dice un diplomatico europeo alquanto arrabbiato, "che la Germania sta giocando la finale della coppa del mondo contro la Spagna. La Germania perde, ma pretende che si giochi di nuovo". Anche il politico CDU Thomas Ulmer, relatore del Parlamento europeo nei negoziati, è sorpreso: "E' davvero impressionante il modo in cui gli interessi in gioco all'interno del consiglio europeo sono bruscamente cambiati".

Il clima a Bruxelles è avvelenato. "Fino ad ora potevamo essere sicuri che il risultato di una negoziazione doveva essere rispettato da tutti i partecipanti, ma ormai non è piu' così", teme il parlamentare europeo Groote. I diplomatici parlano di "fine dell'integrità". Altri invece stanno già pensando a come poter infastidire i tedeschi.

La prima replica c'è già stata. Parigi ha proibito la vendita dei nuovi modelli Mercedes in Francia (poi revocata), sostenendo che i climatizzatori non utilizzano un liquido conforme con le regole EU. Anche Ford all'interno della VDA ha criticato apertamente la condotta tedesca. Ford teme che nelle prossime decisioni ci siano conseguenze negative per tutti i costruttori.

100 lobbisti lavorano per Volkswagen in giro per il mondo

Ma davvero i nuovi obiettivi di CO2 danneggiano cosi' tanto le case automobilistiche tedesche? "Assolutamente no", dice Axel Friedrich, ex esperto automobilistico dell'associazione per la protezione ambientale tedesca e ora consulente internazionale in tema di regolamenti sulla CO2. La lobby automobilistica tedesca ha una certa esperienza nel mettere in guardia dalla deindustrializzazione del paese che si avrebbe se nuove regole ambientali fossero introdotte. E' successa la stessa cosa durante le negoziazioni per l'applicazione dei limiti alle emissioni di CO2 da applicare entro il 2015. Alla fine i produttori tedeschi ne hanno beneficiato - perché le regole hanno spinto verso l'innovazione. Sono stati creati addirittura posti di lavoro, dice Friedrich, e tutti i gruppi automobilistici hanno raggiunto gli obiettivi in anticipo rispetto al 2015.

Al contrario il mantra del presidente dell'associazione Wissmann recita: "con il successo globale nelle vendite dei modelli premium, i produttori tedeschi sono stati capaci di finanziare le loro innovazioni, come ad esempio lo sviluppo dell'auto elettrica, come ha fatto BMW con la sua I-series". I modelli premium sono auto di particolare valore, in particolare Audi, BMW, Mercedes e Porsche. L'80% del mercato mondiale è controllato dai tedeschi. Non vogliamo che l'Europa ci prescriva di produrre "un auto piccola", ha detto Wissman difendendo la sua posizione.

Interessante, anche fra i produttori le posizioni sono differenziate. Thomas Steg nel quartier generale di VW a Wolfsburg è molto piu' tranquillo di Wissmann. Il numero uno Martin Winterkorn due anni fa lo ha portato a Wolfsburg e l'ha messo a capo dei rapporti esterni e con il governo.

Steg ora guida le truppe lobbiste dell'intero gruppo. Ci dice, il loro compito, secondo quanto suggerito da Winterkorn, "in futuro sarà sempre piu' importante", in Germania, in Europa e in tutte le regioni del mondo in cui le dodici marche del gruppo sono presenti. Circa 40 lobbisti riportano direttamente a Steg, a questi si aggiungono 60 colleghi delle varie marche e filiali nazionali, stima il lobbista capo. Steg rappresenta quello di cui Winterkorn ha bisogno: relazioni eccellenti in campo politico. Steg è stato portavoce del governo federale per 7 anni, prima sotto Gerhard Schröder e poi per la Große Koalition.

Il fatto che Steg resti calmo durante una discussione cosi' accesa ha un semplice motivo: VW non ha alcun problema con il limite dei 95 grammi. "Volkswagen ha già dichiarato che farà di tutto per raggiungere, senza se e senza ma, il valore dei 95 grammi di CO2", aggiunge sempre Steg. 

Che il CEO Martin Winterkorn lo abbia annunciato personalmente in una dichiarazione congiunta con Greenpeace, ha causato un qualche disappunto sia nell'associazione dei costruttori che presso i concorrenti Daimler e BMW. Nella dichiarazione manca una parola. Winterkorn non ha menzionato i super-crediti. Si puo' facilmente chiarire: il gruppo VW ha in produzione molti modelli assetati di benzina, ad esempio Audi o Bentley, ma anche tanti modelli piccoli e a basso consumo di carburante, come Skoda, Seat, e VW. Non avrebbe bisogno della benevolenza di Greenpeace. Anche se il gruppo ambientalista in piu' occasioni ha denigrato il produttore e le sue auto descrivendole come il "maiale ambientale".

Dal momento della dichiarazione congiunta "da parte di Greenpeace non c'è piu' stata alcuna azione contro VW", dice Steg. Che rapidamente aggiunge: "naturalmente VW è solidale con le richieste fatte dalla VDA".

Ma sulla presunta armonia dei costruttori Steg ammette: "Gli interessi dei produttori in Europa sono sempre piu' etereogenei, è sempre piu' difficile trovare un consenso anche minimo a livello europeo".

Mentre VW aspetta con una certa tranquillità, a Stoccarda e Monaco i colleghi di Steg devono darsi da fare. Bloccare ulteriormente il compromesso costerebbe loro altro denaro. Daimler si è appena assicurata i servizi di Eckart von Klaedens in qualità capo-lobbista. A breve passerà dal ruolo di sottosegretario presso la cancelleria, a capo lobbista presso Daimler. Non sappiamo quanti saranno i lobbisti che riporteranno a lui, ma solo a Bruxelles ci sono 11 posti a tempo pieno e 2.8 milioni di Euro stanziati per quell'ufficio.

Lavorerà probabilmente insieme al capo dei lobbisti BMW Maximilian Schöberl, che per la casa bavarese si occupa di comunicazione e grazie al suo precedente ruolo di portavoce CSU sotto Theo Weigel ha acquisito una certa esperienza politica. Avrà a sua disposizione 26 lobbisti da impiegare a Berlino, Bruxelles, Washington e Pechino. Schöberl considera molto  positiva l'azione di Angela Merkel con cui è riuscita a rinviare il compromesso sulla CO2. Ma quale è stato il ruolo del primo ministro bavarese Horst Seehofer nell'attivare la cancelliera?

Schöberl sul tema dice: "abbiamo cercato di far valere la nostra opinione presso tutti i leader politici. Un paese che beneficia economicamente del segmento premium piu' di ogni altro prodotto industriale, deve fare in modo che i regolamenti siano applicabili dai produttori".

I produttori potrebbero fare molto di piu'. E lo mostra il salone dell'auto di Francoforte. Dove esattamente? Soprattutto negli stand dei produttori tedeschi di auto premium.

Ci sono diverse auto di grandi dimensioni che restano sotto il livello utopico dei 70 gm di emissioni. Una classe-S di Daimler, una Porsche Panamera quattro porte, la nuova supersportiva I8 di BMW, tutte combinano benzina ed energia elettrica. Sono tutti esempi del fatto che anche grandi auto possono cavarsela con soli 3 litri. 

E nel frattempo che cosa succede a Bruxelles? Il primo di luglio è iniziato il semestre di presidenza della Lituania. Su internet il governo lituano - in lituano e tedesco - ha reso noto quali saranno gli sponsor del semestre di presidenza. In cima alla lista c'è "Krasta auto", l'importatore lituano di BMW. E ancora: "per tutto il periodo della presidenza l'azienda fornirà 180  BMW nuove". Le prime 80 auto sono già state consegnate.

domenica 20 ottobre 2013

Tra lobbismo e corruzione (prima parte)

La CDU riceve 690.000 € dalla famiglia proprietaria di BMW. Cosa c'è dietro questa donazione? Prova a raccontarlo Die Zeit mettendo insieme i tasselli della trattativa europea sulle emissioni di CO2. E' solo un capolavoro di lobbismo, o c'è di piu'? Da Die Zeit
Per il Ministro degli Esteri tedesco la questione è chiara: "la contraddizione fra il nobile mondo della diplomazia e lo sporco mondo degli affari è superata. Entrambi possono stare insieme...". Guido Westerwelle ha lanciato questo messaggio durante la conferenza annuale dei diplomatici tedeschi che ogni anno si tiene presso il Ministero degli Esteri. Li', i diplomatici tedeschi di tutto il mondo si incontrano con i rappresentanti delle imprese tedesche piu' importanti. Il pranzo è pagato dalle imprese.

Il Ministro ha rangraziato dicendo: "ci consideriamo dei fornitori di servizi per le imprese tedesche".

Westerwelle viene applaudito - anche da Martin Winterkorn, il potente capo della Volkswagen che con 550.000 dipendenti è la piu' grande impresa industriale tedesca.

Il 66enne manager del settore automobilistico, che da qui al 2018 vuole fare di VW il piu' grande produttore di auto del mondo, parla dopo il Ministro. In particolare ringrazia "per l'ampio sostegno ricevuto" e per la buona collaborazione: dopo tutto la Coca Cola ci ricorda l'America, Samsung la Corea del Sud e Volkswagen ci fa venire in mente "le belle auto e la Germania".

Di fatto l'industria automobilistica nel nostro paese occupa 750.000 persone. Considerando i sub-fornitori e i rivenditori si potrebbe arrivare a diversi milioni. I costruttori di auto restano la parte piu' importante dell'industria tedesca.

E le aziende tedesche sono capaci di far valere questo peso specifico a loro favore, per poter imporre i loro interessi. Nessun'altra industria è riuscita a farlo meglio. I lobbisti tedeschi hanno spinto la Cancelliera a mettere da parte la difesa dell'ambiente e il galateo diplomatico. Portano il governo federale a negoziare con gli altri governi europei fino a minacciare una ritorsione. Convincono altri paesi a fare gli interessi del governo tedesco.

L'industria automobilistica tedesca ha spinto Angela Merkel a parlare di protezione della base industriale, quando invece stava solo difendendo gli interessi dei grandi gruppi. Il modo in cui la Cancelliera di solito si batte per questi interessi, per i funzionari di governo degli altri paesi è solo un ricatto.

Quando Matthias Groote (SPD) il 24 giugno di quest'anno, dopo una lunga maratona negoziale, esce dal palazzo del consiglio europeo a Bruxelles, questo sviluppo è ancora impensabile. Groote è molto stanco, ma anche soddisfatto. Finalmente ha raggiunto il suo piu' grande successo politico. Per giorni il deputato europeo ha trattato per conto del Parlamento europeo con i rappresentanti dei governi e della Commissione. L'argomento era la tutela del clima, e il fatto che le auto in futuro dovranno ridurre le loro emissioni di anidride carbonica.

Groote è il presidente della potente commissione ambientale, e alla luce degli equilibri di potere europei pensa di aver fatto un buon lavoro e di aver raggiunto un valido compromesso, come accade sempre a Bruxelles: entro il 2020 le nuove auto non dovranno emettere piu' di 95 grammi di CO2 per km, o consumare piu' di 4.1 litri di benzina oppure 3.6 litri di diesel ogni 100 km. Questa norma non dovrà riguardare ogni auto. Se un gruppo costruisce auto che hanno emissioni maggiori, puo' bilanciare le emissioni con auto che restano sotto questa soglia. Alla fine conta la media di tutti i veicoli che il gruppo costruisce.

Ci sono anche regole speciali: i produttori di auto piu' grandi ottengono un limite superiore, cosi' BMW e Daimler potranno raggiungere i 101 grammi, mentre il produttore di piccole auto Fiat solo 89 grammi. E' stata la Germania ad imporlo. Inoltre ci sono dei bonus per i costruttori che producono auto particolarmente amiche dell'ambiente, ad esempio le auto elettriche. BMW ad esempio puo' compensare i suoi pessimi dati per le grandi berline assetate di benzina, con quelli delle sue nuove auto elettriche.

Limiti, regole speciali, crediti, questo è l'accordo. Groote non è orgoglioso dei super-crediti, ma è comunque soddisfatto per il compromesso. I negoziatori alla fine si danno la mano. Il voto nel Consiglio viene considerato una formalità, come di solito accade con questi accordi in Europa.

Ma la Germania non rispetta la sua parola

Nei 3 giorni che seguono la stretta di mano gli emissari del governo tedesco fanno in modo che nel consiglio europeo non ci sia il voto sull'accordo. Il dossier scompare dall'ordine del giorno. 

Tutto questo è accaduto sotto la presidenza irlandese. Nel frattempo la Lituania ha assunto la presidenza dell'EU. "Siamo consapevoli dell'importanza del dossier", ha dichiarato una portavoce lituana, solo che sul compromesso non c'è piu' una maggioranza. Non è chiaro quando il provvedimento tornerà all'ordine del giorno e se prima delle elezioni del 2014 si riuscirà a trovare un accordo.

Che cosa è successo nei tre giorni dopo il compromesso?

Subito dopo l'uscita di Groote dalla riunione fiume di quel lunedi, i primi lobbisti sono arrivati a Berlino. I manager di Daimler e BMW sono particolarmente decisi. Sanno che per far raggiungere i limiti fissati alle auto prodotte nelle loro catene di montaggio servirà molto lavoro. BMW già da tempo vorrebbe darsi l'immagine di una casa automobilistica amica dell'ambiente. Se ci fossero delle sanzioni per gli eccessivi livelli di anidride carbonica "per il numero uno di BMW Norbert Reithofer sarebbe un disastro in termini di immagine", dice un lobbista dell'auto. Per potersi difendere, secondo i loro calcoli, hanno bisogno di un super-credito molto piu' alto.

I gruppi automobilistici e l'associazione dei produttori di auto tedeschi (VDA) mettono in allarme i loro contatti politici: l'accordo deve essere fermato.

Di cosa hanno bisogno: 35% della popolazione EU e almeno 4 stati membri. Il progetto di fatto puo' essere bloccato se i governi che intendono farlo rappresentano altrettanti cittadini europei. 

Hanno a disposizione 3 giorni ed una lunga lista di politici navigati, la cui vera punta di diamante è l'ex ministro dei trasporti Matthias Wissmann (CDU), attuale presidente della VDA.

Wissmann riceve nella sala del camino, nella sua prestigiosa residenza di rappresentanza a Berlino, proprio accanto al palazzo del governo. Secondo Wissman non si tratta solo di un nuovo limite alle emissioni, ma del futuro industriale della Germania, e di tutta l'Europa. Alla fine il paese è uno dei pochi ad avere ancora una forte industria, "e il cuore della forza industriale del paese è l'industria automobilistica".

Wissmann motiva la frenata tedesca con la frase: "in una decisione cosi' importante l'accuratezza è piu' importante della velocità".

Se fallisce il modello di business delle case automobilistiche tedesche, fallisce l'Europa, cosi' il suo messaggio. La buone relazioni fra lui, i suoi colleghi ed il governo federale riusciranno a bloccare il provvedimento.

La carriera del presidente di VDA è un esempio della vicinanza fra politica e mondo industriale: all'età di 27 anni è entrato al Bundestag per la CDU, fino a diventare ministro dei trasporti nei governi Kohl. 6 anni fa è passato alla carica di presidente della VDA.

La sua rete di contatti l'ha portata con sé. Con il commissario all'energia Günther Oettinger ha un'amicizia molto forte risalente ai primi anni di militanza politica. La lista dei desideri del mondo industriale da inviare ad Angela Merkel, viene completata a mano da Wissmann con la frase: "cara Angela...". Ma si trova molto bene anche con i socialdemocratici: Frank-Walter Steinmeier e il leader della IG-Metall Berthold Huber durante la crisi finanziaria lo hanno aiutato nell'ottenere i miliardi di Euro per la rottamazione delle vecchie auto, e per il prolungamento del Kurzarbeit. E lo appoggiano anche anche nella lotta per i super-crediti.

Grazie ai mesi di intensa attività lobbista della VDA, la Cancelliera è già sensibilizzata sui bisogni delle case automobilistiche. Sarà sufficiente per evitare il compromesso impopolare?

Preoccupati per la situazione, i vertici di BMW hanno avvisato il presidente del Land Baviera  Horst Seehofer, nel cui ufficio di presidenza hanno buoni contatti. Seehofer è intervenuto immediatamente presso la Cancelliera, cosi' raccontano gli addetti ai lavori. L'ufficio della Cancelliera ha immediatamente ripreso il dossier dal Ministero dell'ambiente. 

Il compromesso di Bruxelles ora è una questione da gestire ai vertici, e Merkel diverrà il lobbista piu' importante dell'industria automobilistica tedesca.

I diplomatici di diversi stati membri confermano che la Cancelliera e il suo staff nei giorni seguenti hanno contattato molti dei 26 capi di governo europei. Alcuni sono stati chiamati personalmente da Merkel, nel tentativo di collegare i negoziati sulle emissioni di CO2 con quelli sul budget europeo. Il premier britannico David Cameron, cosi' racconta un diplomatico, ha appoggiato la richiesta di Merkel di un rinvio della decisione sulla CO2, in cambio di un appoggio tedesco al controverso sconto per i britannici sui contributi verso la UE.

Cio' che Merkel ha promesso agli altri capi di governo non è chiaro. Sicuramente nulla le sarà concesso gratis: "una cosa è certa: ci sarà un prezzo da pagare", ci dice un altro addetto ai lavori. Di solito in tali negoziati si tratta come in un bazar: io ti concedo maggiori emissioni, tu mi dai qualcos'altro. Cosa accade realmente di solito lo si sa solo qualche mese dopo - quando i governi votano in alleanze alquanto insolite.

Oltre a barattare con gli inglesi, Merkel orchestra una pressione soft sui portoghesi e i paesi dell'est. Nelle conversazioni personali con i colleghi esteri i rappresentanti del governo ricordano che gli stabilimenti tedeschi sono situati nei loro paesi. Cosi' riportano diverse fonti. "Il Portogallo nel pieno di una profonda recessione è stato messo sotto ricatto dal governo federale. VW produce le proprie auto anche in quel paese", dice l'eurodeputato dei Verdi Rebecca Harms. Anche l'Olanda, da sempre pioniere nella difesa ambientale, si deve piegare.  BMW ha recentemente acquistato uno stabilimento nel paese. I rappresentanti del governo tedesco si sono soffermati anche su questo punto. E ora tutti sembrano appoggiare la richiesta di rinvio tedesca...(CONTINUA)

venerdì 18 ottobre 2013

Piu' indifferenza che leadership

Quali sono gli elementi chiave del successo economico tedesco? Risponde un francese, Guillaume Duval, direttore di  Alternatives économiques, rivista francese di economia, e autore del libro Made in Germany. Intervistato da Ragemag.fr
Nel suo libro dedicato al modello tedesco lei è stato molto critico nei confronti delle riforme realizzate dal predecessore di Angela Merkel, il socialdemocratico Schröder, perché?

Duval: Se oggi la Germania si trova in una buona situazione economica, dovremmo dire malgrado Schröder e non grazie a Schröder. Bisogna capire bene che cosa è stato Schröder. Noi francesi abbiamo la tendenza a considerare la Germania come un grande paese social-democratico sul modello scandinavo. Questa visione è totalmente falsa. La Germania è un paese conservatore, che è stato governato quasi ininterrottamente dalla destra. La SPD è un partito forte, ma che ha esercitato il suo potere per un breve periodo. Dopo la seconda guerra mondiale ad esempio ha governato con Helmut Schmidt e Willy Brandt, ma sempre in coalizione con altri partiti di destra, CDU e FDP.

Quando Schröder arriva al potere, è la prima volta che la sinistra - SPD e Verdi - ha una vera maggioranza. Paradossalmente questa situazione è stata l'occasione per realizzare una politica anti-sociale, come la Germania non aveva mai visto prima. In 7 anni di governo Schröder è riuscito a fare della Germania un paese piu' ineguale della Francia; la situazione di partenza era l'opposto.

Per questa ragione la destra in Europa lo considera un riferimento. Ma non credo che Schröder abbia fatto gli interessi di lungo periodo della Germania. Al contrario, ha indebolito uno dei punti di forza del modello tedesco: il suo livello di coesione sociale.

Inoltre, se è riuscito a fare questa politica, l'ha fatta esercitando una forte pressione sulla spesa pubblica. Sotto la sua guida, la SPD ha rinunciato a realizzare una parte del suo programma, vale a dire trovare un rimedio all'assenza di strutture per accogliere i bambini. In Germania, a causa della mancanza di queste strutture, molte donne sono costrette a scegliere fra lavorare o avere dei figli. Fatto che contribuisce al pesante problema demografico che il paese sta vivendo.

Un'altra conseguenza di questa pressione al ribasso sulla spesa pubblica: la Germania è il solo paese OCSE a trovarsi in una situazione di disinvestimento pubblico. Detto altrimenti, le spese per la manutenzione delle strade e degli edifici pubblici sono insufficienti per compensare l'usura delle attrezzature. Dall'inizio degli anni 2000, il livello degli investimenti pubblici tedeschi è meno della metà di quello francese. E' lecito avere qualche dubbio sul fatto che questo sia un buon modo per pensare al futuro di un paese...

Infine, questa politica ha generato dei grandi deficit pubblici. Durante i primi 12 anni della zona Euro, la Germania non è stata capace di raggiungere il criterio del 3% almeno per 7 anni, e quello del debito pubblico per 11 anni. Un cattivo scolaro per il patto di stabilità. Ed è un peccato che Schröder, che ha aggiunto 390 miliardi di Euro al debito tedesco, oggi sia considerato un modello per la gestione delle finanze pubbliche.

Ma quando François Hollande è andato in Germania per celebrare i 150 anni della SPD, si è affrettato a lodare le riforme coraggiose di Schröder...

Duval: Si'. Ma la considero cortesia. Se fosse convinto che tali riforme sono realmente auspicabili anche in Francia, ci starebbe portando su di una strada molto pericolosa.

Le riforme Schröder per i lavoratori tedeschi sono state molto costose in termini di salario: oggi hanno lo stesso potere d'acquisto del 2000. Sono costate care anche in termini di occupazione: la Germania ha ritrovato solo nel 2010 lo stesso livello di occupazione che aveva nel 2000, se si considerano solo i lavori per i quali è previsto l'obbligo di assicurazione sociale.

Oltre a questi, sotto la guida di Schröder, si sono sviluppate anche delle forme di sotto-occupazione, i ben noti mini-job. Contratti di lavoro privi di ogni assicurazione sociale per chi guadagna meno di 400 € al mese. In cambio non avranno alcuna pensione...oggi circa 5 milioni di persone subiscono questa situazione.

Oppure, non sarà forse Angela Merkel che sta facendo un po' meglio dei suoi predecessori?

Si, paradossalmente. La sua politica è stata un po' meno anti-sociale. Ha corretto certi eccessi, per esempio nelle riforme Hartz IV. Recentemente ha fatto sforzi significativi per mettere in piedi degli asili o delle strutture di accoglienza che permettano ai genitori con bambini di continuare a lavorare

Il suo successo elettorale non è quindi una sorpresa...

Durante il periodo Schröder l'economia tedesca è andata molto male. C'erano piu' di 5 milioni di disoccupati quando ha lasciato il governo. Tuttavia, l'economia ha iniziato a recuperare all'incirca nel 2005, e ha resistito piuttosto bene durante la crisi del 2008-2009. I tedeschi sono tentati di attribuire il successo a Merkel. Secondo me ci sono altri elementi che possono spiegare il successo economico, fra cui tre cose già esistenti prima della crisi, e 3 invece che si rivelano durante la crisi.

Prima della crisi - e paradossalmente - è la sua depressione demografica che permette alla Germania di andare abbastanza bene. In effetti, se i francesi tendono a vedere solo gli aspetti positivi dell'alta natalità, bisogna sapere che l'educazione dei figli ha un costo. Bisogna nutrirli, dargli una casa, abbigliarli, prendersene cura, educarli...tutte spese a cui i tedeschi non hanno dovuto far fronte.

La conseguenza principale si fa sentire in un ambito particolare: quello degli alloggi. La Germania, che ha perso oltre 500.000 abitanti dall'inizio degli anni 2000, ha un mercato immobiliare meno caro di quello francese. Dal 1995, il prezzo degli immobili in Francia si è moltiplicato di 2.5 volte, mentre in Germania non si sono mossi di un millimetro. Un alloggio a Parigi costa 8.000 € al mq, contro i 2.300 € mq di Francoforte.

Questi due fattori - spese piu' contenute per le abitazioni, minori spese legate ai figli - spiega perché i tedeschi per un lungo periodo hanno accettato delle politiche di moderazione salariale. Altro fattore di buona salute economica prima della crisi: la caduta del muro di Berlino. I tedeschi si sono lamentati molto per i costi della riunificazione. E' vero, è costata molto ed è stata difficile. Ma per la Germania non è stata solo un fatto negativo. All'inizio gli ha dato un mercato interno piu' ampio. Poi, noi europei, con le politiche condotte dalla Bundesbank, abbiamo largamente finanziato la riunificazione .

Infine e soprattutto, i tedeschi sono stati i veri vincitori della reintegrazione dei paesi dell'Europa centrale e orientale nel contesto europeo. Li hanno incorporati molto rapidamente nel loro tessuto produttivo. Prima della caduta del muro, il principale paese  fornitore della Germania in subappalto era la Francia. Oggi invece è stata sostituita dalla Polonia, dalla Rep. Ceca, dalla Slovacchia e dall'Ungheria. E se si considera che fra il costo del lavoro in Francia e in Polonia c'è ancora un rapporto di 5 a 1, si puo' facilmente capire quello che la Germania ha ottenuto in termini di competitività dei suoi prodotti.

Inoltre, alcune caratteristiche del modello tedesco permettono di capire perché la base industriale tedesca non si è ristretta. La delocalizzazione a est è stata solo parziale. Per una ragione essenziale: l'industria tedesca funziona sulla base della codeterminazione. I datori di lavoro devono negoziare tutto con i sindacati. Per questa ragione si è arrivati a delle delocalizzazioni solo parziali.

Infine, la Germania ha visto esplodere la domanda dei paesi emergenti nei settori in cui è specializzata. Soprattutto le macchine utensili, molto popolari nei paesi in cui le fabbriche nascono come funghi. Oppure le auto di fascia superiore, che si esportano bene nei paesi in cui emerge una vera e propria classe media.

Quali sono i fattori che hanno permesso alla Germania di resistere durante la crisi?

Duval: Il fattore piu' importante non sono state le riforme del lavoro realizzate da Schröder, ma il fatto che non abbiano funzionato. La Germania nel 2009 ha avuto una recessione quasi doppia rispetto alla nostra. Noi in quell'anno abbiamo perso 350.000 occupati, i tedeschi nessuno. Nonostante le nuove possibilità offerte dalle leggi Schröder, nessuno ha licenziato. Le imprese hanno gestito la situazione internamente, come è sempre accaduto, utilizzando il lavoro a tempo ridotto.

Secondo fattore: la Germania ha ampiamente beneficiato della crisi del debito. I tassi di interesse sono rimasti eccessivamente bassi. Gli investitori sono arrivati addirittura a pagare pur di avere il suo debito, poiché questo sarebbe piu' sicuro rispetto a quello degli altri paesi della zona Euro.

E' stato fatto il seguente calcolo: la riduzione degli interessi fra il 2008 e il 2012 ha permesso un risparmio di 70 miliardi di € di interessi sul debito. Piu' di quanto la Germania abbia dovuto sborsare per aiutare i paesi in difficoltà attraverso il fondo EFSF/ESM. 55 miliardi di € che del resto non sono dei costi secchi, ma dei prestiti al 4%...e di cui ci si puo' aspettare che la maggior parte possa essere rimborsata. Niente a che vedere con la situazione dell'Italia, che ha un impegno di 40 miliardi di € per l'EFSF/ESM, che presta al 4%, ma che prende in prestito a tassi molto piu' alti...

Infine, terzo fattore di buona salute relativa nonostante la crisi: la debolezza dell'Euro in rapporto al dollaro. L'Euro forte, arrivato a 1.6 $ per 1 € nel 2008, ha liquidato una gran parte dell'industria europea. Poi è tornato a circa 1.35 $ per 1€, come oggi. E' ancora troppo per il Portogallo, la Spagna o la Grecia, ma l'industria tedesca, ne trae beneficio. E' stato un grande aiuto per le esportazioni al di fuori dell'Eurozona.

In che misura le esportazioni tedesche al di fuori della zona Euro compensano la perdita nei mercati di sbocco dell'Eurozona legata alla crisi e alla compressione della domanda europea?

Grazie alla relativa debolezza dell'Euro negli ultimi tempi, il calo è già stato compensato. L'avanzo commerciale tedesco è stato di 170 miliardi nel 2007, realizzato per 3/4 nella zona Euro. Nel 2012, l'avanzo era sempre di 180 miliardi di Euro, ma realizzato per 3/4 fuori dalla zona Euro. 

Non pensa ci sia quindi una forma di indifferenza tedesca nei confronti della crisi?

Duval: Si', esattamente. Si parla molto di leadership tedesca, ma in verità c'è piuttosto un'assenza di leadership. La Germania ha ottenuto una leadership economica di fatto, ma non sa cosa farne sul piano politico. Si comporta come una gallina che ha trovato un coltello.

A cio' si aggiunge un tratto del carattere di Angela Merkel. Abbiamo a che fare con una tedesca dell'est che ha scoperto l'UE a l'età di 35 anni, che prima non aveva mai viaggiato in Italia, Spagna o Grecia, e che ha scoperto tutto questo attraverso dei viaggi ufficiali e dei vertici europei. Io credo che lei non stia realmente capendo molto di quello che succede in Europa.

In sintesi, l'ipotesi di un egoismo tedesco non la seduce. Secondo lei si tratta molto piu' di inerzia.

Duval: Si'. Il rimprovero fatto a Merkel in un certo documento del Partito socialista mi sembra totalmente inefficace. Accusare un leader politico di essere concentrato piu' sugli interessi del suo popolo che verso quelli degli altri, tende a rafforzare la fiducia dei suoi elettori.

Ma soprattutto è falso. La vera critica che si puo' fare a Merkel è di condurre una politica contraria agli interessi tedeschi. Compresi quelli degli investitori, i cui risparmi sono investiti in larga parte fuori dalla Germania, nel resto d'Europa. Vale a dire, se i paesi europei resteranno in recessione, se per questa ragione non riusciranno a ridurre l'indebitamento e se finiscono per fallire annullando il loro debito, i risparmiatori tedeschi saranno i primi a perdere una parte dei loro averi...

Cosa potrebbe fare la Francia per rilanciare l'asse franco-tedesco?

Duval: Si tratta di una coppia che per la Germania è molto meno importante che per la Francia, soprattutto da quando ha ritrovato la sua unità e la sua centralità in Europa...

mercoledì 16 ottobre 2013

Il sogno del salario minimo e la Grosse Koalition

Le consultazioni per formare un nuovo governo vanno avanti senza successo, la Grosse Koalition è ancora lontana. Al centro delle trattative fra SPD e CDU resta il salario minimo: sarà la volta buona? Bert Rürup, economista ed ex membro della commissione dei saggi, su Die Zeit.
Finalmente c'è la possibilità di mettere mano ai difetti congeniti dell'Agenda 2010: ovvero, come la politica potrebbe finalmente trovare un accordo sul salario minimo.

Il risultato delle elezioni federali ha dato alla politica tedesca un'opportunità storica. Otto anni dopo il grande sconvolgimento nel mercato del lavoro, probabilmente al Bundestag c'è una maggioranza per rimuovere il difetto di nascita delle riforme: la mancanza di un salario minimo fissato dalla legge. Negli ultimi 8 anni la sua assenza ha screditato l'intero impianto dell'Agenda 2010 e ha fatto sì che il nucleo delle riforme - l'Arbeitslosengeld II - abbia funzionato peggio di quanto avrebbe dovuto.

L'Arbeitslosengeld II (ALG II) - diversamente da quanto ritiene l'opinione pubblica - è un "salario combinato" (Kombilohnmodell). Vale a dire: se i lavoratori non riescono a vivere del loro salario, non è corretto definirli "Aufstocker". Di fatto lo stato non sta pagando un sostegno al reddito, ma contribuisce al salario del lavoratore. A voler essere precisi, il contributo puo' essere considerato anche una rinuncia: nel momento in cui lo stato calcola il contributo dovuto al lavoratore, non sta prendendo in considerazione il salario definito dal mercato del lavoro.

L'OCSE già da tempo ha sottolineato che un "salario combinato" senza un salario minimo ha una debolezza cruciale: i datori di lavoro, praticando dei bassi salari, avranno sempre maggiori incentivi ad appropriarsi di una parte del sostegno al reddito originariamente pensato per il lavoratore. Un salario minimo fissato dalla legge, sostengono gli esperti OCSE, invece, lo impedirebbe. Ed hanno perfettamente ragione.

Affiancare un salario minimo all'Arbeitslosengeld II tedesco sarebbe utile anche per un altro motivo: chi riceve ALG II e guadagna piu' di 100 € al mese aggiuntivi, subisce una detrazione sui trasferimenti sociali. Un destinatario di ALG II percio' non ha nessun incentivo a chiedere un salario piu' alto, oppure a cercarsi un lavoro meglio retribuito. Un salario minimo ridurrebbe questo effetto.

Gli oppositori del salario minimo sostengono invece che in questo modo si finirà per distruggere posti di lavoro. Ma la letteratura scientifica non chiarisce in maniera univoca l'effetto che l'introduzione di un salario minimo ha sull'andamento dell'occupazione. Pertanto la politica dovrebbe basarsi su di una legge ferrea dell'economia: ogni occupato deve guadagnarsi il costo del suo lavoro attraverso la propria produttività. In caso contrario sarebbe licenziato oppure non assunto. Sarà quindi decisivo il livello del salario minimo.

L'obiettivo centrale della politica tedesca dovrebbe pertanto essere quello di migliorare il reddito del maggior numero possibile di lavoratori - senza metterne in pericolo il posto di lavoro. Un salario minimo un po' piu' alto puo' ridurre i divari salariali. Ma se poi alla fine ci saranno piu' individui senza un lavoro, crescerà di fatto la diseguaglianza.

Le negoziazioni in corso fra SPD e CDU offrono la possibilità di un buon compromesso. La SPD vuole un salario minimo di 8.5 € l'ora per tutta la Germania, da adeguare periodicamente secondo le raccomandazioni di un comitato di esperti. L'Unione invece si affida a dei salari minimi specifici per ogni settore, che dovranno essere fissati dalle parti sociali per ogni differente settore e per ogni regione.

Entrambe le posizioni hanno delle debolezze. Contro la proposta dell'Unione gioca il fatto che la Germania verrebbe ricoperta da un complesso mosaico di salari minimi regionali e di categoria. L'impatto di un tale provvedimento sulle contrattazioni salariali sarebbe incalcolabile. Lo svantaggio della proposta SPD sarebbe invece: con un salario di 8.5 € l'ora per tutta la Germania, uno strumento di per sé corretto, perderebbe credibilità soprattutto nei nuovi Länder. Con un salario minimo di questo livello ci sarebbero molti licenziamenti.

Un compromesso sensato e che puo' salvare la faccia ad entrambe le parti potrebbe essere quello di iniziare con un salario minimo di 7.5 € l'ora nella Germania dell'ovest, e di 7 € al massimo nella Germania dell'est. Il presidente dell' Institut für Arbeitsmarkt-und Berufsforschung, Joachim Möller, ipotizza che un salario minimo di questo livello possa migliorare la situazione di almeno 1.5 milioni di lavoratori - senza che sia necessario arrivare a dei licenziamenti.

Se il salario minimo dovrà essere ridotto oppure aumentato - secondo l'esempio britannico - potrebbe poi essere una apposita commissione a deciderlo. Gli inglesi con la loro "Low Pay Commission", composta da esperti, datori di lavoro e rappresentanti sindacali, hanno avuto una buona esperienza. Una tale commissione indipendente potrebbe anche assicurare che la definizione del salario minimo resti depoliticizzata. Anche il rischio che la politica possa aumentare il salario minimo solo per ragioni di tattica elettorale, in questo modo verrebbe meno.

E' auspicabile che l'Unione e la SPD possano utilizzare la finestra appena aperta, e finalmente decidano di completare l'Agenda 2010.

martedì 15 ottobre 2013

Il nuovo masochismo nazionale tedesco secondo Hans Olaf Henkel

Hans Olaf Henkel, ex presidente degli industriali tedeschi e fra i promotori del Manifesto di solidarietà europea, nella sua consueta rubrica "Henkel Trocken" attacca l'unione bancaria e il nuovo masochismo tedesco. Da Handelsblatt.de
Con l'unione bancaria gli euro-salvatori stanno minando le fondamenta della democrazia in Europa, scrive il nostro columnist Hans-Olaf Henkel. Soprattutto i tedeschi si stanno esercitando nel "nuovo masochismo nazionale" e con un certo compiacimento hanno ormai superato la linea rossa.

Sulla televisione pubblica la "crisi dell'Euro" ottiene dei titoli abbastanza innocui, come ad esempio "crisi del debito sovrano" oppure "crisi finanziaria". Cosi' i giornalisti si sono adattati alle regole linguistiche del governo e fanno in modo che nessuno inizi gridando "al ladro, al ladro", e finisca prendendo di mira "l'Euro". Chiaro, come altri paesi non-Euro, l'Eurozona soffre per l'accumulo decennale di debito pubblico, e per le conseguenze di lungo periodo della crisi iniziata cinque anni fa.

Ma le banche non dovranno essere stabilizzate e risanate soltanto in Europa. Ovunque, non importa se in Svezia, Svizzera, Stati Uniti o in Giappone, resta un compito delle istituzioni democraticamente elette decidere se e come il contribuente deve partecipare al salvataggio delle proprie banche.

Con l'unione bancaria gli euro-salvatori non stanno solamente socializzando il debito bancario, ma stanno minando le fondamenta della democrazia.

La prima parte dell'unione bancaria sembrerebbe andare incontro al naturale desiderio dei tedeschi di tenere la situazione sotto controllo. Tuttavia il nome "controllo bancario europeo" nasconde ai nostri occhi cio' che realmente i paesi del sud, con la Francia in testa, vorrebbero ottenere: la messa in comune dei debiti bancari all'interno dell'unione bancaria. Non c'è da meravigliarsi, le banche del sud sono molto piu' indebitate rispetto a quelle del nord. Il professor Roland Vaubel dell'Università di Mannheim ha recentemente chiarito cio' che gli euro-salvatori realmente si immaginano: prendere con l'ESM "le stesse decisioni prese dai ministri delle finanze".

Lo si puo' dire con una certa soddisfazione: proprio il meccanismo europeo di stabilità (ESM), approvato dal Bundestag con la promessa solenne di sostenere finanziariamente solo ed esclusivamente gli stati, e al cui finanziamento la Germania contribuisce con il 27%, adesso potrà rifinanziare in maniera diretta le banche spagnole e francesi, senza il coinvolgimento del governo federale o del Bundestag. Anche i politici tedeschi e il rappresentante tedesco presso la BCE Asmussen si sono pronunciati a favore.

Un amico francese dell'autore di queste righe riconduce il fenomeno ad un nuovo "masochismo nazionale tedesco" che l'Euro avrebbe causato nella politica, nei media e nell'economia tedesca. La nuova "linea rossa" tracciata sulla sabbia durante la campagna elettorale, ad esempio come difesa dal fondo bancario europeo per la tutela dei depositi, non solo sarà superata, ma travolta. Allora a garantire per le banche disastrate del sud non saranno chiamati solamente i contribuenti tedeschi, ma anche i risparmiatori.

Dal momento che quasi tutti gli argomenti economici e politici per l'adesione all'Euro sono venuti meno, i politici tedeschi - e non solo - fanno sempre piu' spesso ricorso all'argomento della pace in Europa. Ma non dovrebbero dimenticare che per la pace non dobbiamo ringraziare l'Euro, ma la democrazia. Su questo continente non è mai accaduto che una democrazia abbia aggredito un'altra democrazia. Ma sono proprio i nostri "euro-salvatori masochisti nazionali" a danneggiare la nostra democrazia. Sebbene l'Euro continui ad essere una minaccia, preferiscono farlo vagare libero senza gridare "fermate il ladro!". Come ha scritto recentemente Carlos Gebauer sul giornale „Eigentümlich Frei", preferiscono gridare: "teniamoci il ladro!"

lunedì 14 ottobre 2013

I documenti confidenziali del FMI sul caso greco

Che il salvataggio greco sia stato fatto su misura dei creditori esteri di Atene, lo sapevamo già. Adesso arrivano i verbali segreti delle sedute del FMI a confermalo. Dal wsj.de
La Grecia nel 2010 doveva essere salvata con un pacchetto di aiuti miliardario? I documenti confidenziali di cui è in possesso il Wall Street Journal mostrano che il FMI al proprio interno era profondamente diviso. Nonostante cio', si decise di concedere ugualmente gli aiuti.

I documenti confidenziali sono in palese contrasto con le dichiarazioni ufficiali del FMI e non mancheranno di riaccendere la discussione sul possibile taglio del debito greco. La Germania ed altri altri stati europei infatti continuano a rifiutare una ristrutturazione del debito greco nel tentativo di nascondere agli occhi dei propri elettori la reale situazione. Ma visto che il FMI in futuro non intenderà concedere nuovi aiuti alla Grecia se il debito non dovesse scendere, molto probabilmente si dovrà arrivare ad una decisione in questa direzione. 

Un terzo dei membri del FMI aveva dei dubbi

Data l'estrema incertezza che caratterizzava l'intero piano di salvataggio, sin dall'inizio il FMI si è pronunciato a favore di un taglio del debito.  Il primo piano di aiuti è stato approvato il 9 maggio 2010, e gli atti relativi alla decisione - catalogati come segreti o altamente confidenziali - ci offrono una visione degli avvenimenti interni al FMI.

Quasi un terzo di tutti i membri del consiglio direttivo, che insieme rappresentano oltre 40 paesi non europei, secondo gli atti, avevano dei forti dubbi sull'intero piano di salvataggio greco. Erano in molti a ritenere che il programma di salvataggio stava spostando sui greci l'intero onere dell'aggiustamento, mentre dai creditori europei non si pretendeva alcuna rinuncia. Molti membri del FMI sostenevano infatti che il salvataggio non avrebbe avuto successo se i creditori esteri della Grecia non avessero rinunciato ad una parte dei crediti.

"Sul tavolo della discussione dovrebbe esserci la possibilità di una ristrutturazione del debito", affermava Pablo Andrés Pereira durante la difficile riunione del 2010, all'epoca direttore esecutivo e rappresentantante argentino. Il fondo, secondo Pereira, "corre il rischio di ritardare o addirittura peggiorare l'inevitabile default greco".

I rappresentanti di Brasile, Russia, Canada e Austrialia, sempre secondo gli atti, nella stessa seduta hanno parlato degli immensi rischi cui il programma di salvataggio andava incontro. Il rappresentante brasiliano al FMI, sempre secondo gli atti, definiva il piano "inappropriato e decisamente non sostenibile" o piu' semplicemente un "salvataggio dei creditori privati dello stato greco, soprattutto degli istituti di credito europei".

I rappresentanti europei ed americani, che nel consiglio direttivo hanno oltre la metà dei diritti di voto, sono comunque riusciti ad ottenere un numero sufficiente di voti per approvare il programma di salvataggio.

Il programma di aiuti finanziari prevedeva infatti come condizione una forte riduzione del debito ed un aumento delle tasse. La ristrutturazione del debito - sotto forma di rinuncia dei creditori, riduzione dei tassi oppure un allungamento della durata - non era prevista. E cio' ha salvato i detentori di titoli greci (principalmente banche europee) dalle perdite in cui sarebbero incorsi con una ristrutturazione.

Gli interessi europei sono piu' importanti di quelli greci

Alcuni dei membri del FMI all'epoca contrari al programma di salvataggio, continuano a sostenere che sono stati tutelati gli interessi dei paesi creditori, ma non quelli greci. Dal 2009 l'economia greca si è ridotta di un quinto e il tasso di disoccupazione del paese è salito a quasi il 28 %. La situazione attuale spinge il FMI a chiedere ai paesi europei una rinuncia ai crediti, almeno stando alle recenti dichiarazioni degli attuali rappresentanti del FMI.

"Il piano di aiuti non è stato un programma di salvataggio per la Grecia, piuttosto dell' Eurozona", dice uno dei rappresentanti del FMI presenti alla riunione del 2010.

I documenti riservati mostrano che diversi membri nel consiglio direttivo del FMI sin dall'inizio guardavano con molto scetticismo alle previsioni economiche: le consideravano "eccessivamente ottimiste" oppure "troppo positive".

Per molti versi, la storia del piu' grande pacchetto di salvataggio approvato dal FMI, dovrà essere interamente riscritta.

L'allora direttore del FMI Dominque Strauss-Kahn nel maggio 2010 dichiarava ai giornalisti che il fondo "non aveva alcun dubbio sulle possibilità di successo del piano". Ma dietro le quinte una parte importante del direttorio nutriva dei forti dubbi sull'efficacia del piano o addirittura era arrabbiata, almeno da quanto si legge fra i verbali delle riunioni.

Rabbia e frustrazione nel direttorio FMI

Gli aggiustamenti finanziari richiesti alla Grecia sono uno "sforzo immane a cui l'economia non riuscirà a far fronte", ha dichiarato l'ex direttore del FMI, l'indiano Arvind Virmani, durante la seduta in cui è stato approvato il primo pacchetto di salvataggio. Il numero uno del fondo si era infatti già chiesto se le dimensioni del risparmio che il FMI si aspettava dalla Grecia non avrebbero piuttosto fatto fallire il programma e portato il paese al default.

Tutti i tentativi di raggiungere l'ex capo del FMI Strauss-Kahn per avere un commento sul tema purtroppo sono andati a vuoto. Nel frattempo il FMI ha riconosciuto alcuni errori. In un rapporto pubblicato nel mese di giugno, il Fondo ha finalmente ammesso che alcune proiezioni finanziarie erano troppo rosee.

I funzionari del FMI tuttavia hanno sempre sottolineato le loro buone intenzioni: quando nel 2010 il piano di salvataggio è stato approvato, il FMI nelle proprie considerazioni interne non riteneva necessaria una ristrutturazione del debito

"Nel maggio 2010 sapevamo che la Grecia avrebbe avuto bisogno di un fondo di salvataggio ma non che sarebbe stata necessaria una ristrutturazione del debito", ha detto il direttore del FMI Christine Lagarde in un'intervista rilasciata in giugno. "Non sapevamo che la situazione economica generale sarebbe peggiorata cosi' rapidamente come poi ha fatto", sempre Lagarde.

Nei primi mesi del 2011, quando orami era chiara la non sostenibilità del debito, il FMI ha preteso una ristrutturazione, conferma un portavoce del FMI.

Già nel 2010 si parlava di un taglio del debito

I documenti confidenziali del FMI mostrano che sin dall'inizio si parlava apertamente della necessità di ristrutturare il debito greco. Nella seduta del maggio 2010 i rappresentanti del Medio oriente, dell'Asia e dell'America Latina hanno chiesto piu' volte perché questa opzione non fosse stata presa in considerazione.

I rappresentanti europei invece sono rimasti "molto sorpresi" quando la Svizzera "con molta enfasi", all'interno del consiglio direttivo FMI si è schierata a fianco dei critici, sempre secondo i verbali delle sedute. "Perché una ristrutturazione del debito e il coinvolgimento del settore privato non sono stati contemplati dal piano di salvataggio?", chiedeva il rappresentante svizzero René Weber.

Oggi il FMI sostiene che nel 2010 una ristrutturazione non sarebbe stata praticabile. Il rischio che i problemi finanziari greci potessero diffondersi anche verso altri paesi era troppo grande.

Una larga parte dei titoli di stato greci allora era in possesso delle banche tedesche e francesi. Per questa ragione la ristrutturazione non era una possibilità contemplata dai capi di stato europei. E gli USA temevano per i loro investimenti miliardari nel capitale delle banche europee.

L'attuale presidente del FMI Lagarde, all'epoca ancora Ministro delle finanze in Francia, era impegnata a limitare con ogni mezzo le perdite per le banche del suo paese. Le banche francesi avevano infatti una grande esposizione verso la Grecia.

Nel 2013 nel direttorio del FMI arriva la svolta 

In una relazione del giugno 2013 il FMI ha ammesso "carenze significative" nel programma di salvataggio greco, sebbene il fondo avesse già indicato la strada da seguire. "Sin dall'inizio sarebbe stata preferibile una ristrutturazione del debito, sebbene per i partner europei fosse inaccettabile", si dice nel rapporto.

Il FMI constata che sin dall'inizio l'operazione di salvataggio ha permesso ai creditori privati di ridurre l'esposizione, scaricandone i costi "sul contribuente e sul settore pubblico".

Diversi rappresentanti del FMI già 3 anni fa avevano messo in guarda. "Si puo' dire che l'operazione piu' che un programma di salvataggio per la Grecia, sia  una forma di salvataggio dei creditori privati, soprattutto degli istituti finanziari europei", affermava il rappresentante brasiliano Paulo Nogueira Batista durante una seduta del 2010.

Gli scettici avevano ragione. La Grecia non è riuscita a raggiungere gli obiettivi finanziari concordati e nel 2012 ha avuto bisogno di un ulteriore piano di salvataggio. Nel piu' grande piano di salvataggio mai intrapreso dal FMI, i creditori privati hanno dovuto farsi carico di una parte delle perdite

Con il collasso dell'economia greca il debito del paese è esploso. E la situazione potrebbe spingere i governi dell'Eurozona a mettere in campo un terzo pacchetto di salvataggio. Ma questa volta dovranno necessariamente rinunciare ad una parte dei crediti verso la Grecia.

giovedì 10 ottobre 2013

Apprendisti tedeschi e cetrioli spagnoli

Che la presunta mancanza di forza lavoro qualificata fosse piu' che altro propaganda, lo sospettavamo, adesso c'è una prova in piu', ed arriva dalla Turingia. Da thueringer-allgemeine.de
Nessuna conoscenza di tedesco a 2000 km da casa: 128 giovani spagnoli di età fra i 18 e i 35 anni piantati in asso ad Erfurt.

Nel loro paese gli era stata promessa una formazione professionale, un posto di lavoro e un buon alloggio, ci racconta Luciano Mera Palermo. Il trentenne arriva da Madrid e parla a nome del gruppo di giovani spagnoli che si sentono ingannati e traditi. Gli avevano parlato di camere doppie con bagno, riscaldamento e internet. Ora invece dormono in 10 in una stanza.

Dopo il loro arrivo ad Erfurt solo sette giovani spagnoli hanno iniziato un corso di tedesco, ma poco dopo sono stati esclusi per le fatture non saldate, dice Mera Palermo. La maggior parte aspetta ancora la formazione professionale e i posti di lavoro promessi. Nel frattempo, solo grazie all'intervento dell'Ambasciata spagnola in Germania i giovani hanno sottoscritto i primi accordi per i tirocinii.

In Spagna la società Sphinx Consulting SL di Madrid ha fatto una grande pubblicità ai lavori in Turingia: raccontavano che proprio in quel periodo in Turingia si stavano cercando degli apprendisti nella ristorazione. Tramite un programma di finanziamento del governo federale tedesco sarebbe stato possibile avere anche un sostegno per i costi di viaggio e di trasloco. In verità molti di loro hanno dovuto pagare di tasca propria anche i 150 € per un mese di corso di tedesco in Spagna. Anche l'aereo per Francoforte e il biglietto del treno fino ad Erfurt li hanno pagati di tasca propria, racconta Mera Palermo. Ora invece stanno pagando per l'alloggio e non hanno alcuna speranza di rivedere indietro i soldi.

Nel frattempo l'ambasciata si è attivata e ha spiegato ai giovani che avrebbero dovuto presentare i formulari per le domande di sovvenzione in Spagna, prima di partire.

Queste iniziative private non sarebbero una prassi aziendale affidabile, dichiara il ministro dell'economia della Turingia Matthias Machnig (SPD). In tali progetti sarebbe consigliabile entrare in contatto con i responsabili locali e chiarire le condizioni generali prima di partire.