domenica 1 dicembre 2013

Jacques Attali: è la Germania il vero malato d'Europa

Il grande economista francese Jacques Attali intervistato dalla stampa tedesca ribadisce  la sua opinione sulla Germania: un paese senza futuro, la bassa natalità è il vostro vero problema. Da Focus.de


Jacques Attali è uno degli economisti piu' influenti in Francia oltreché un grande autore di bestseller (nel complesso piu' di 60 libri), è consigliere del presidente Hollande e in passato lo è stato dei presidenti Francois Mitterrand e Nicolas Sarkozy. Nell'intervista si schiera apertamente fra le fila dei critici verso la Germania, fatto che non getta una luce positiva sulla relazione franco-tedesca.

Focus: I presidenti francesi non sono mai stati particolarmente bravi nel pensare a lungo termine. Il debito record e la mancanza di riforme non ne sono forse una conseguenza?

Attali: Non mi piacciono questo tipo di domande. La Germania in molti ambiti ha una prospettiva di lungo periodo decisamente peggiore rispetto a quella francese. Lo mostra il disastroso sviluppo demografico tedesco.

Focus: In Francia l'economia è di nuovo a un passo dalla recessione, mentre in Germania è tornata la crescita...

Attali: La Francia al contrario della Germania si trova in una buona situazione. Per certi versi è la Germania il vero malato d'Europa...

Focus: Ce lo deve spiegare, perché la Germania sta stabilizzando l'Euro e secondo quasi tutti i criteri economici è messa molto meglio della Francia

Attali: La bassa disoccupazione tedesca è uno scherzo, considerando che in molti sono costretti a lavorare per 5 € lordi l'ora. Il sistema bancario tedesco è in bancarotta, per questo il governo non vuole il controllo di un organismo europeo. La Germania è un paese sempre piu' vecchio con una scuola elementare disastrosa ed una produttività sempre piu' bassa, perché la maggior parte dei prodotti esportati vengono sempre piu' spesso copiati.


Focus: Fatto che pero' non impedisce alla Germania di restare il campione mondiale dell'export.

Attali: Il vostro paesi oggi è obbligato a restare in questa posizione e a risparmiare, per cercare di sopravvivere in futuro. Con un tasso di natalità cosi' basso, il futuro della Germania sarà molto difficile.

Focus: Lei è d'accordo con il suo presidente Francois Hollande sul fatto che la crisi ormai è superata?

Attali: Siamo ancora molto lontani dalla fine della crisi economica internazionale. Io credo che tornerà ad accentuarsi, considerando il pessimo stato dell'economia europea e americana. 

Focus: Monsieur Attali, lei sta tracciando il ritratto di una Germania in grande difficoltà. La Cancelliera Merkel è saldamente al governo ed è rispettata dal popolo. Nel suo paese invece il leader della destra radicale Marine Le Pen è molto piu' popolare del presidente. Come fanno le due cose a stare insieme?

Attali: I numeri sulla popolarità del presidente Hollande non contano. Essere impopolare puo' anche essere il segnale che si sta facendo una buona politica. Guardi cos'è accaduto a Gerhard Schröder dopo aver fatto le riforme: è stato sconfitto alle elezioni. E Hollande ha ancora quattro anni davanti a sé.

Focus: Dopo tutto il 40% dei francesi trova Marine Le Pen simpatica...

Attali: Questo ovviamente è un problema. E' la società nel suo complesso a dover reagire alle parole semplici della destra radicale: "Fuori gli stranieri, fuori dall'Euro!". Non basta condannare questo nemico. Bisogna portare degli argomenti e discuterne. Io paragono la situazione attuale in Francia, in riferimento alla destra radicale, a quella della Germania nel 1933, poco prima che il partito nazista vincesse le elezioni

Focus: Un confronto drammatico, perché la Francia non riesce a fare i conti con l'estrema destra? La destra da decenni alle elezioni raccoglie sempre piu' del 15% dei voti.

Attali: Anche in Germania avete forme di estremismo. Ci sono tendenze simili anche nel partito "Alternative für Deutschland“. Solo che a causa della storia tedesca questi estremismi vengono visti in maniera critica. Il pericolo tuttavia è simile a quello francese. Se una democrazia non si interessa allo sviluppo economico di lungo periodo, saranno gli estremisti ad avere il sopravvento.

giovedì 28 novembre 2013

8,5 € l'ora, meno l'inflazione

Come funzionerà il salario minimo? Per ora il contratto di coalizione resta alquanto vago, ma una cosa è certa: fino al 2017 non c'è un recupero dell'inflazione né un adeguamento alla produttività. La proposta degli 8.5 € lordi risale al 2010. Da Die Zeit
C'è un accordo sul salario minimo, ma non è previsto il recupero dell'inflazione. Quali saranno i vantaggi reali per il lavoratore?

Michael Sommer è il sindacalista piu' potente del paese. Vorrà dire qualcosa, se il numero uno della Deutsche Gewerkschaftsbund (DGB) considera l'accordo di coalizione fra Unione e SPD un grande successo. Dopo tutto una vecchia richiesta della DGB finalmente è diventata realtà: il salario minimo orario di 8.5 € l'ora.

Dovrebbe arrivare ad inizio 2015. "Una richiesta di lunga data della DGB finalmente diventa realtà", si rallegrava mercoledi Sommer, dopo che Unione e SPD avevano presentato l'accordo di coalizione. Secondo gli economisti ad avvantaggiarsi della nuova legge saranno fra i 5 e i 7 milioni di occupati. Il salario minimo in futuro dovrà essere applicato anche ai mini-jobber.

Qual'è il vero valore della proposta? Unione e SPD si sono messi d'accordo su di un salario di 8.5 € lordi l'ora. Ma chi guarda con attenzione a pagina 68 dell'accordo di coalizione nota subito eccezioni e scappatoie.

Cosi' la maggioranza rosso-verde vuole concedere ad alcuni settori un periodo di transizione di due anni. Soprattutto ai servizi di sicurezza, alle lavanderie, ma anche il lavoro interinale dovrebbe avere piu' tempo per aumentare il livello dei salari. In tutti questi settori vengono applicati salari minimi inferiori agli 8.5 € lordi l'ora. Anche i contratti collettivi in vigore, che già prevedevano un minimo salariale, dovranno restare validi. Il salario minimo sarà applicato in maniera estensiva solo dal 2017.

Di recupero dell'inflazione fino ad ora non si parla

Tutto cio' accadrà fra piu' di 3 anni. 8.5 € lordi avranno quindi un valore sicuramente inferiore rispetto a quello attuale, perché il livello dei prezzi sale e il potere di acquisto scende. Ipotizzando un tasso di inflazione del 2%, come quello previsto dalla BCE, gli 8.5 € odierni nel 2017 avranno un potere di acquisto pari a 7.85 € di oggi.

Si potrebbe anche fare un calcolo diverso. Se accanto ad un aumento dei prezzi del 2% si considera un aumento della produttività di un punto e mezzo annuo, allora il salario minimo nel 2017 dovrebbe essere di almeno 9.4 €.

Ma SPD e Unione fino ad ora non hanno previsto un adeguamento del salario minimo all'inflazione o alla produttività. Secondo l'accordo di coalizione a metà giugno del 2017 una commissione appositamente costituita dovrà discutere del salario minimo. Il gruppo sarà composto dalle parti sociali e da esperti, e dovrà verificare se il salario minimo previsto è ancora adeguato oppure se la politica nel 2018 dovrà rivedere il limite degli 8.5 €.

Per i sindacati il periodo previsto è troppo lungo. L'esperto di contratti collettivi Reinhard Bispinck dell'istituto WSI, vicino ai sindacati, chiede che la nuova legge possa fornire chiari punti di orientamento alla commissione sui salari: "Il salario minimo deve restare almeno stabile e crescere in linea con la produttività", ci dice. Inoltre si dovrà indicare esplicitamente che è compito della commissione rivedere ogni anno il livello salariale. Fino ad ora Unione e SPD nell'accordo di coalizione prevedono solo una "verifica ad intervalli regolari".

Ma se guarda alla propria politica, la DGB forse dovrebbe essere un po' meno schizzinosa: la richiesta di un salario minimo di 8.5 € l'ora per tutta la Germania risale al 2010 - e da allora non è cambiata.

La politica economica ed europea della Große Koalition

Der Spiegel propone una sintesi dell'accordo di coalizione fra Unione e SPD. Non sembrano esserci grandi cambiamenti rispetto al precedente nero-giallo, prosegue il "weiter-so" merkeliano. Una sintesi dei punti principali, da Der Spiegel
CDU, CSU e SPD dopo settimane di negoziati hanno raggiunto un accordo di coalizione: 8 capitoli, 185 pagine, molte promesse e tanti piani armoniosi. Cosa c'è veramente di buono nell'accordo? Un'analisi dei temi principali.

Non è ancora sicuro che avremo una grande coalizione: a deciderlo saranno i circa 470.000 tesserati della SPD. Tuttavia l'Unione e la SPD hanno finalmente raggiunto un accordo di coalizione - dopo molti giorni di trattative, e una maratona finale di oltre 17 ore.

"Progettare il futuro della Germania" è il titolo del documento, seguito da 185 pagine in cui CDU, CSU e SPD descrivono le loro idee politiche per i prossimi 4 anni. 

Si promette molto, ci sono numerose ammissioni, qualcosa deve essere ancora controllato, qualcos'altro rivisto. Ma cosa c'è di buono nell'accordo di coalizione? Quale forza si è imposta e in quale parte del programma? E dove si nascondono le sorprese?

Un'analisi dell'accordo di coalizione

1 Finanza pubblica e perequazione fiscale fra i Laender

L'Unione si è ampiamente imposta. L'indebitamento netto da qui al 2015 deve essere portato a zero, ed entro il 2014 dovrà esserci un bilancio strutturalmente in pareggio.  In questo modo viene mantenuto il piano del ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble. Non dovranno esserci aumenti delle tasse, anche se nel contratto non è menzionato esplicitamente.

Inoltre, c'è una lista con una serie di misure prioritarie elencate per un totale fra i 23 e i 30 miliardi di Euro. Senza aumenti delle tasse o tagli alle sovvenzioni, il bilancio federale del 2016/2017 avrà un avanzo di soli 15 miliardi di Euro. Presumibilmente nel bilancio ci sono elementi cautelari che saranno rimossi e che permetteranno il finanziamento di alcune misure.

Il tema delle finanze dei Laender viene rimandato. Entro il 2019 si dovrà stabilire un nuovo regolamento per i trasferimenti fiscali fra i Laender. Una commissione composta da governo federale, laender e comuni dovrà elaborare delle proposte da qui alla fine della legislatura - tra cui la riforma della perequazione fiscale e il futuro del contributo di solidiarietà (Soli).

2. Economia

L'industria è una cosa buona - un'affermazione che si puo' leggere già nella prima frase del contratto di coalizione. Unione e SPD sono unite della difesa dell'attuale modello economico tedesco, modello fondato sull'esportazione di merci. Tuttavia, dopo che l'export tedesco di recente è stato fortemente criticato, fra gli obiettivi del governo ci sono anche un "mercato interno piu' forte e una domanda interna supportata da investimenti e maggiore potere d'acquisto".

Ma come sarà possibile far crescere gli investimenti delle imprese? L'obiettivo del 3% di spesa per ricerca e sviluppo è già stato mancato dalla precedente maggioranza nero-gialla. Anche la speranza di un maggiore ricorso al venture capital non è nuova.

Nuovo è invece il riconoscimento del crowdfunding come fonte di finanziamento oppure di internet come mercato del futuro per i macchinari tedeschi. Significativa è la promessa di mantenere i posti di lavoro nell'industria della difesa - proprio nel momento in cui EADS sta facendo tagli nella divisione armamenti.

3. Politica estera ed europea

Fra Unione e SPD sia sulla politica estera che su quella europea c'è una visione comune. Si sottolinea l'importanza della collaborazione con Francia e Polonia, il cosiddetto triangolo di Weimar. L'allargamento dell'UE  verso i balcani deve restare una possibilità aperta.

Questo vale anche per la Turchia - tuttavia su richiesta dell'Unione si fa ricorso alla formula già presente nel precedente accordo nero-giallo: in caso di non ammissione, alla Turchia potrà essere proposta una partnerschaft privilegiata.

Si sottolinea la relazione speciale con gli Stati Uniti, anche se gravata dallo scandalo NSA. E' necessario arrivare ad un accordo per la protezione dei dati, e ad uno per la protezione dallo spionaggio. I partner della coalizione chiedono "accordi credibili e verificabili" per proteggere la sfera privata dei cittadini. Entrambi i partiti nonostante i problemi in ambito economico intendono portare avanti gli accordi di libero scambio con i partner transatlantici.

4. Esercito ed impiego all'estero

La Bundeswehr rimane impegnata nelle operazioni internazionali. Ci sono una serie di temi da affrontare - entro un anno una commissione dovrà fare una proposta sui poteri del parlamento in relazione all'impiego delle truppe all'interno delle operazioni NATO.

C'è un compromesso sulle esportazioni di armi: il Bundestag dovrà essere informato piu' rapidamente - ma le decisioni sulle esportazioni di armi restano all'interno del governo.

Un problema: l'acquisto di droni. Saranno effettuati, ma non potranno essere impiegati per "omicidi extragiudiziali" (Extralegale Tötungen).

Un problema crescente durante le operazioni militari è l'uso di forze di sicurezza private. Anche nelle future missioni internazionali della Bundeswehr sarà proibito. Sarà invece consentito il ricorso ad aziende private per difendere le navi tedesche in alto mare dagli attacchi dei pirati.

5. Mercato del lavoro

Sul tema lavoro i partner della coalizione hanno raggiunto un accordo: il salario minimo generale di 8.5 € arriverà nel gennaio 2015, o al piu' tardi all'inizio del 2017. Il primo livello minimo è stato stabilito dalla politica, in seguito dovrà essere definito da una commissione composta da datori di lavoro e lavoratori. 

Il lavoro temporaneo avrà maggiori regolamentazioni, tuttavia non saranno cosi' rigide come richiesto dalla SPD. I lavoratori interinali potranno ancora essere impiegati presso un'azienda cliente per un massimo di 18 mesi (la SPD chiedeva 12 mesi). Entro 9 mesi dal loro impiego dovranno avere lo stesso salario della forza lavoro stabile ("equal pay"). Delle nuove norme beneficeranno in pochi, visto che la maggior parte dei contratti di lavoro temporaneo terminano dopo 18 mesi.

La coalizione intende inoltre evitare "costruzioni contrattuali illegali" nei contratti d'opera. I consigli di fabbrica dovranno essere meglio informati per evitare gli abusi.

6. Gestione della crisi Euro

La Cancelliera ha plasmato la gestione della crisi Euro su 3 concetti: i paesi in crisi devono risparmiare, gli aiuti ci sono solo a credito, e per i problemi delle proprie banche ogni paese deve fare da sé. Il contratto di coalizione non si allontata da questi punti.

L'accordo di governo riprende l'idea merkeliana secondo cui ogni stato dovrà impegnarsi a livello europeo su dei contratti di riforma. Non ci sarà una responsabilità comune sul debito pubblico: la SPD non è riuscita ad imporre la sua richiesta di un fondo europeo per il rimborso del debito.

Anche sul tema unione bancaria ci sono solo dei cambiamenti minimi rispetto alla politica applicata fino ad ora. La SPD avrà il suo tanto desiderato fondo europeo per le ristrutturazioni. Poiché questo fondo potrà essere riempito unicamente con risorse bancarie, ci vorranno diversi anni prima che ci possa essere denaro a sufficienza. Fino ad allora - ogni stato dovrà salvare i suoi istituti finanziari con risorse nazionali - anche se questo dovesse spingere verso l'alto il suo debito pubblico. Solo se non ci sono altre soluzioni possibili potrà intervenire il fondo ESM. L'interdipendenza fra gli stati nazionali e il settore bancario interno difficilmente potrà essere superata.

mercoledì 27 novembre 2013

Le tattiche clientelari di Mario Draghi

L'ennesimo attacco alla BCE e a Draghi arriva da Handelsblatt, questa volta il pretesto è la decisione di escludere i titoli di stato dalle verifiche sulla solidità dei bilanci bancari. Herbert Walter, ex numero uno di Dresdner Bank e commentatore su Handelsblatt.de.
Il presidente BCE Mario Draghi intende escludere dai test sulla solidità delle banche i rischi associati ai titoli di stato. Un aiuto per l'Italia, ma un danno per la credibilità della banca centrale.

Con uno sforzo poderoso, la BCE affronta un compito nobile: dovrà controllare i bilanci bancari di 128 banche europee, e poi testare la solidità delle banche per verificarne la resistenza in uno scenario di crisi. Entrambi sono passaggi necessari "per la ristrutturazione radicale del settore bancario europeo" (secondo il direttore BCE Yves Mersch).

Si tratterebbe di un requisito indispensabile per far tornare la fiducia nel settore bancario, come sostenuto dal presidente BCE Mario Dreghi, un passo necessario per far ripartire l'economia dell'Eurozona. Nessuno vuole quindi intralciare questo processo.

Ma c'è qualcuno che lo sta facendo - ed è proprio il numero uno della BCE.

Le decisioni di Draghi, molto piu' delle sue parole, fanno crescere il dubbio che alla fine del processo si riesca ad aumentare la fiducia nel settore bancario.

Esempio piu' recente: il Comitato europeo per il rischio sistemico ha proposto alla BCE, nell'ambito del prossimo stress-test, di ridurre i privilegi di cui godono i titoli di stato nei bilanci bancari. I titoli di stato non dovrebbero essere piu' considerati privi di rischio e quindi essere coperti dal capitale proprio.

Ma la proposta è ritornata al mittente. Nelle prossime verifiche sui bilanci bancari anche i titoli di stato dei paesi europei in crisi saranno considerati fra i titoli privi di rischio - basta!

Il motivo lo si capisce immediatamente se si dà un'occhiata ai bilanci - soprattutto del settore bancario italiano. Negli ultimi due anni le banche italiane hanno comprato titoli di stato nazionali per 175 miliardi di Euro, un aumento del 73%. 

In questo modo le banche italiane con 415 miliardi di Euro di titoli di stato nei loro libri detengono quasi un quarto del debito pubblico italiano, con una quota di circa il 10% sul totale degli attivi. Solo la Spagna puo' competere con un aumento dell'81% dei titoli di stato in mano alle banche.

Poiché contemporaneamente la quota dei crediti incagliati in Italia ha raggiunto il livello record del 15% sull'intero volume dei prestiti, diventa subito chiaro, quali saranno i problemi dei bilanci bancari al momento delle verifiche.

Anche solo la creazione di un fondo di sicurezza adeguato a coprire i rischi sui presiti in sofferenza metterebbe alcuni istituti di fronte ad enormi problemi. La banca americana Morgan Stanley ha calcolato che le banche italiane dovrebbero mettere a bilancio un fondo previsionale di circa 50 miliardi di Euro.

Ulteriori perdite di valore dei titoli di stato supererebbero le capacità finanziarie delle banche. Invece di una rinnovata fiducia sui mercati, avremmo un'ondata di ristrutturazioni bancarie, con tutti gli effetti negativi sulla stabilità del settore bancario e lo sviluppo economico. Non solo nei paesi in questione, ma in tutta la zona Euro.

Si deve riconoscere che il presidente BCE Mario Draghi non intende rischiare questo scenario apocalittico. Perché pensa come un politico sempre in cerca di un compromesso praticabile. Ma, primo non è un politico eletto, secondo, deve agire considerando l'Eurozona nel suo complesso. Quello che sta facendo, sembra piuttosto una politica clientelare fatta su misura dei singoli paesi.

Tuttavia, altre banche in altri paesi non sono certo insoddisfatte per le politiche di Draghi. La considerazione speciale per le banche italiane, per loro equivale a maggiori possibilità di superare gli stress-test senza grandi danni alla loro reputazione. E' cosi' semplice.

Si pone nuovamente la domanda fondamentale: si puo' considerare seriamente un test sui bilanci bancari, in cui il valore dei crediti viene misurato in maniera alquanto discutibile? E che valore ha un test in cui la diversa qualità dei titoli di stato non viene adeguatamente presa in considerazione?

La risposta è semplice: la tattica di Draghi danneggia la credibilità della BCE e non genera nuova fiducia nel settore bancario europeo.

domenica 24 novembre 2013

La crisi italiana spiegata da Piller

E' interessante conoscere la rappresentazione della crisi italiana offerta dalla stampa tedesca. Tobias Piller sulla FAZ ancora una volta non si sottrae al ruolo di primo della klasse: lasciate stare i vostri sogni di svalutazione, una moneta debole non vi aiuterebbe. Da FAZ.net
Il risanamento dell'economia italiana non fa passi avanti. Non serve a molto che il Presidente del consiglio Letta vada all'estero a parlare di riforme, a dire che l'Italia ha rimesso a posto le finanze pubbliche con le proprie forze, "senza aver ricevuto un solo Euro di aiuti dall'Europa". Il primo ministro italiano trascura le garanzie messe sul tavolo da Francoforte e Bruxelles per non far sprofondare l'Italia nel circolo vizioso della sfiducia degli investitori e della speculazione dei mercati. Il premio al rischio italiano è stato contenuto solo grazie alle garanzie del presidente BCE Mario Draghi, all'acquisto dei titoli di stato italiani e al generoso finanziamento delle banche europee. Allo stesso tempo l'Italia ha beneficiato della creazione dei fondi di salvataggio e dei meccanismi per limitare il rendimento dei titoli di stato.

Che l'Italia abbia promesso alla BCE di fare le riforme necessarie e che ai partner europei abbia garantito il pareggio di bilancio, è già stato dimenticato. Nonostante la retorica del Presidente del consiglio, il suo governo in sette mesi non ha prodotto alcuna riforma significativa, al massimo un paio di corretture microscopiche senza alcun effetto sulla crescita.

Mentre l'Italia si trova in recessione da piu' di due anni, cresce il desiderio di ricette keynesiane: rafforzare la congiuntura con maggiore spesa pubblica, svalutare, abbassare i tassi di interesse, stampare denaro. Non si discute pero' se queste ricette usate negli anni '70 e '80 possano funzionare ancora oggi.

Non ci sono piu' spazi di manovra

Come panacea contro la crisi economica la grande maggioranza dei politici, dei sindacalisti e degli economisti italiani pensa unicamente ad una spesa pubblica aggiuntiva, preferibilmente sopra il limite europeo del 3% di deficit/PIL. Si ricorda volentieri l'ultima fase di crescita italiana in cui i politici hanno utilizzato i soldi pubblici come leva dello sviluppo economico. Si dimentica che i politici orientati alle clientele e corrotti in questo modo cercavano solo di legittimare la loro spesa eccessiva. Soprattutto la spesa pubblica irresponsabile dal 1980 al 1992 ha fatto crescere il rapporto deficit/PIL dal 60 al 120 %.

Con un debito pubblico al 134 % del PIL, come previsto dalla Commissione europea per il 2014, non ci sono piu' margini di manovra. E' indispensabile capire se lo stato, che anche quest'anno gestira oltre il 51% del PIL, intende accrescere ulteriormente il suo ruolo nell'economia. Sull'Italia restano pero' grandi dubbi, data l'estrema inefficienza dell'organizzazione statale. Ogni Euro gestito dal settore privato, di conseguenza, porterebbe maggiori benefici alla crescita economica.

Quando gli italiani pensano al denaro in mani private, pensano soprattutto che i consumatori dovrebbero avere maggiori risorse, e cio' dovrebbe essere fatto con tagli fiscali da finanziare con l'indebitamento. In questo modo la congiuntura sarebbe rianimata da un aumento della domanda. Questa idea pero' nell'economia globale sembra obsoleta e inadeguata. Probabilmente negli anni in cui i mercati erano piu' chiusi e c'erano delle barriere all'importazione, era piu' facile fare qualcosa per la congiuntura interna. Ora invece gli effetti di un amuento dei consumi dipendono dal livello di competitività dell'offerta nazionale. Ma se gli italiani continuano a comprare sempre piu' auto e dispositivi tecnici stranieri oppure fanno viaggi all'estero, l'aumento dei consumi porterà con sé un aumento anche dell'import.

Dare slancio alle imprese italiane di successo

Anche per un altro degli strumenti tanto amati dagli italiani, la svalutazione della moneta, ci si è dimenticati di studiare gli effetti nell'attuale economia globale. Cio' non impedisce pero' agli economisti e ai politici italiani di lamentarsi in continuazione per il tasso di cambio dell'Euro troppo elevato e di sperare in rimedi semplici.

Ma la strada della svalutazione, tante volte utilizzata ai tempi della Lira, oggi sarebbe probabilmente un vicolo cieco: in passato con la discesa del tasso di cambio in un mercato ristretto composto da pochi paesi industrializzati, i prodotti italiani e le vacanze in Italia diventavano immediatamente piu' economici, e i consumatori tedeschi, ad esempio, potevano comprarne di piu'. Ma oggi con una svalutazione dei prodotti italiani non sarebbe cosi' semplice aumentare le vendite, perché in questo segmento di mercato a basso prezzo si affollano concorrenti provenienti da altri continenti.

Gli strumenti tradizionali non possono piu' aiutare gli italiani. Sarebbe molto meglio se il governo si occupasse un po' di piu' della competitività: soprattutto come fare per convincere i suoi imprenditori di successo ad investire nuovamente nel proprio paese e a creare posti di lavoro. E per fare questo il presidente del consiglio Letta dovrebbe finalmente usare la parola "riforme".

Il boom degli italiani in Germania

I dati appena pubblicati dallo Statistisches Bundesamtes confermano quello che sapevamo già: è in corso un boom di emigrazione italiana in Germania. Nei primi 6 mesi del 2013 gli arrivi dal nostro paese sono cresciuti di oltre il 40%. Da destatis.de
Nella prima metà del 2013 secondo i dati dello Statistisches Bundesamtes (Destatis) circa 550.000 persone si sono trasferite in Germania. Sono 55.00 arrivi in piu' rispetto ai primi mesi del 2012 (+11%). Per il terzo semestre consecutivo c'è stato un aumento in doppia cifra del tasso di immigrazione. Allo stesso tempo nella prima meta del 2013 circa 349.000 persone hanno lasciato la Germania (+10%). Nel complesso il saldo migratorio è passato da + 182.000  a + 206.000  (+13%), come negli anni precedenti il saldo è rimasto ad un livello elevato.

Fra tutti gli arrivati nella prima metà del 2013, circa 501.000 persone avevano una cittadinanza straniera, pari a 54.000 persone (+12%) in piu' rispetto alla prima metà del 2012. Il numero di arrivi di tedeschi, con circa 54.000 rientri, è rimasto sui livelli dell'anno precedente.

La maggior parte dei nuovi arrivati stranieri proviene dai paesi dell'Unione europea (UE): il numero degli arrivi è salito a 334.000, un aumento del 9%. La maggior parte degli immigrati stranieri, come negli anni passati, arriva dalla Polonia (93.000), seguiti dalla Romania (67.000) e dalla Bulgaria (29.000). Come è già accaduto nella prima metà del 2012 è crescituo il numero di arrivi dai paesi UE colpiti dalla crisi finanziaria ed economica: dalla Spagna gli arrivi sono saliti del 39%, dal Portogallo del 26% e dall'Italia del 41%. Gli arrivi dalla Grecia sono invece scesi del 4.5 % rispetto all'anno precedente.

Fra gli stati europei che non appartengono all'UE l'immigrazione è aumentata del 21 %, dall'Africa del 38%, dall'America del 2% e dall'Asia del 14%. Particolarmente forte è stata la crescita di stranieri in arrivo dalla Siria (+178% a 6.000 arrivi), dalla Federazione Russa (+127% a 16.000 arrivi), dalla Libia (+219% a 2.000 arrivi) e dalla  Somalia (+143% a 1.000 arrivi).

Primi 20 paesi per numero di arrivi Arrivi
Prima metà 2013 Differenza prima metà 2012 Vs. prima metà 2013
Totale di cui Totale di cui Totale di cui
Stranieri stranieri stranieri
Numero %
Totale 555 169 501 026 54 574 54 064 10,9 12,1
Di cui:
Polen 96 537 92 943 4 137 4 151 4,5 4,7
Rumänien 67 327 66 904 7 450 7 391 12,4 12,4
Bulgarien 29 375 29 202 406 395 1,4 1,4
Italien 27 895 26 494 7 751 7 647 38,5 40,6
Ungarn 26 991 26 577 1 576 1 549 6,2 6,2
Spanien 19 057 15 483 4 389 4 354 29,9 39,1
Russische Föderation 17 044 15 812 8 718 8 842 104,7 126,9
Griechenland 15 718 15 120 – 859 – 718 – 5,2 – 4,5
Vereinigte Staaten, auch USA 13 906 9 455 219 444 1,6 4,9
Türkei 12 508 10 725 – 1 601 – 1 848 – 11,3 – 14,7
Frankreich 9 600 6 892 343 335 3,7 5,1
Serbien 9 436 9 315 1 640 1 626 21,0 21,1
Indien 8 789 8 287 586 536 7,1 6,9
Schweiz 8 370 2 681 307 107 3,8 4,2
Österreich 8 328 5 109 – 210 – 177 – 2,5 – 3,3
Vereinigtes Königreich 8 081 5 214 1 38 0,0 0,7
China 7 859 6 779 – 139 – 100 – 1,7 – 1,5
Portugal 7 612 7 272 1 456 1 496 23,7 25,9
Kroatien 7 164 7 026 645 650 9,9 10,2
Slowakei 7 111 7 011 287 252 4,2 3,7

giovedì 21 novembre 2013

Posen: le politiche imposte dalla Germania hanno causato sofferenze inutili nel sud-Europa

Il grande economista Adam Posen intervistato da Handelsblatt lo dice senza giri di parole: i paesi del nord-Europa hanno causato sofferenze inutili ai paesi del sud. Da Handelsblatt.de
HB: Herr Posen, lei è un critico molto severo della politica economica tedesca. Perché?

Posen: Si', in primo luogo lo stato e le imprese tedesche investono poco. Secondo, pagano i loro lavoratori troppo poco. Entrambi i fattori causano squilibri globali e mettono gli altri paesi in difficoltà - soprattutto in Europa. Negli ultimi 15 anni gli aumenti salariali in Germania non hanno quasi mai recuperato gli aumenti di produttività.

HB: Ma se paragonati ai colleghi americani, i lavoratori tedeschi non se la passano male...

Posen: Questo non è il punto. In rapporto alla produttività i salari in Germania sono troppo bassi. I lavoratori vengono truffati. La Germania non fa concorrenza sulla qualità, ma sui prezzi, altrimenti i salari non sarebbero cosi' bassi.

HB: Gli avanzi commerciali tedeschi non sono il risultato di un piano statale. I salari sono determinati dalla contrattazione collettiva tra datori di lavoro e sindacati. Lo stato non puo' fare molto.

Posen: Invece è proprio una pianificazione statale. Lo stato in Germania ha una forte influenza sulle parti sociali. Puo' aumentare i salari nel settore pubblico oppure rafforzare la competitività nel settore privato. Al momento gli investimenti sono troppo bassi e c'è troppo denaro che resta fermo nelle aziende.

HB: Perché i sindacati tedeschi avrebbero accettato dei salari troppo bassi?

Posen: I sindacati avevano paura di perdere iscritti. Molte aziende hanno spostato una parte della loro produzione verso l'Europa orientale, per questa ragione i sindacati si sono trovati sotto pressione ed hanno dovuto fare delle concessioni. Per poter mantenere il loro numero di iscritti, hanno sacrificato tutto il resto

HB: Salari piu' alti indebolirebbero la competitività tedesca. Non è certo nell'interesse della Germania...

Posen: Fondamentalmente possiamo dire che l'economia tedesca avrebbe dei grandi benefici se il lavoratore medio avesse piu' denaro in tasca da spendere. Sarebbe un aiuto anche per gli investimenti delle imprese.

HB: La popolazione tedesca è sempre piu' anziana. Molti economisti tedeschi sostengono che gli avanzi commerciali attuali sono necessari per compensare i deficit futuri dovuti all'invecchiamento della popolazione. Non c'è qualcosa di vero?

Posen: E' un errore, se si tengono i salari dei lavoratori troppo bassi e si investe troppo poco, il reddito futuro è destinato a calare

HB: Il nuovo governo tedesco potrebbe introdurre un salario minimo di 8.5 € l'ora. Molti economisti tedeschi mettono in guardia dalla perdita di posti di lavoro - soprattutto nella Germania dell'est. Che cosa ne pensa?

Posen: Da un aumento salariale cosi' piccolo non vedo alcun rischio per la competitività della Germania dell'est. Esiste già un mercato del lavoro unico per l'intera Germania. Se al governo sta a cuore la Germania dell'est, potrà garantire maggiori trasferimenti finanziari a queste regioni

HB: Secondo le stime di alcuni economisti, circa un terzo degli occupati nella Germania dell'est guadagna meno di 8.5 € lordi l'ora. Lei non crede che molti posti di lavoro sarebbero a rischio se i salari fossero aumentati in un colpo solo come accadde dopo la riunificazione?

Posen: Le stime degli economisti variano molto. Guardi cosa dice il DIW (Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung). Sono molto piu' moderati, ed io credo ai loro dati.

HB: Ma anche gli economisti del DIW avvertono che un salario minimo troppo alto potrebbe costare posti di lavoro.

Posen: In alcuni casi il salario minimo costerà dei posti di lavoro - in altri casi invece, grazie ad una domanda aggiuntiva, si creeranno nuovi posti di lavoro. Una cosa del genere è normale in una economia di mercato. Introdurre un salario minimo ha delle conseguenze, come del resto evitare di introdurlo. Tutte le democrazie sviluppate del mondo hanno un salario minimo. E' impensabile che un salario minimo possa causare danni solo in Germania.

HB: Secondo lei cosa deve ancora cambiare nella politica economica tedesca - oltre ai salari piu' alti?

Posen: In primo luogo sono necessari piu' investimenti. La Germania poi, attraverso l'UE, dovrebbe mettere a disposizione piu' denaro per i progetti pubblici europei. In secondo luogo dovrebbe tassare di piu' le aziende che dispongono di grandi riserve di liquidità. Terzo, i tedeschi dovrebbero finalmente capire che la BCE ha un mandato per la difesa della stabilità dei prezzi.

HB: Nessuno lo mette in dubbio...

Posen: No, stabilità dei prezzi significa che la BCE deve garantire un'inflazione vicina al 2%. I tedeschi dovrebbero finalmente smetterla di tentare di impedire alla BCE di aumentare l'inflazione in Europa. Io pero' temo: non riusciranno mai a capirlo.

HB: I tedeschi sono molto critici verso una politica monetaria molto espansiva. Temono che sui paesi in crisi si possa ridurre la pressione per fare le riforme. Lei non vede questo pericolo?

Posen: Se il governo tedesco vuole imporre una politica di riforme, lo deve fare fare a livello dei ministri delle finanze europei oppur nel Consiglio europeo. Non puo' certo nascondersi dietro la BCE. Si tratta di una decisione politica, che devono prendere rappresentanti eletti democraticamente - e non i rappresentanti non eletti della BCE. Se la Germania mina le fondamenta della BCE per imporre la sua politica economica, tradisce l'Europa.

HB: Nella crisi Euro ci sono dei progressi. Paesi periferici come la Spagna, il Portogallo o la Grecia hanno portato le loro partite correnti in pareggio. Questo non dimostra forse che il corso intrapreso ha avuto successo?

Posen: No, la Germania e gli altri paesi del nord con le politiche imposte agli altri paesi, Portogallo, Spagna o Irlanda, hanno solo causato sofferenze inutili.

HB: Perché?

Posen: In tutti i paesi periferici c'era un eccesso di debito nel settore privato. Si doveva offrire la possibilità di tagliare una parte di questi debiti. Invece si è preferito imporre ai paesi colpiti degli aggiustamenti troppo rapidi ed una politica di austerità eccessiva. Nella valutazione di una strategia non si tratta solo di raggiungere un obiettivo. Ma è anche importante capire se il percorso scelto è il migliore fra quelli disponibili.

HB: Sui temi importanti di politica economica, lei ed alcuni dei suoi colleghi americani avete posizioni molto diverse da quelle della maggioranza degli economisti tedeschi. Lei pensa che le posizioni possano presto convergere?

Posen: Lo stato delle cose è il seguente: nessuno in Germania crede al main-stream economico. Gli argomenti di cui abbiamo discusso, ad esempio l'invecchiamento della popolazione, sono utilizzati come un pretesto per spostare piu' avanti i veri problemi. Per questo ho poca speranza che qualcosa possa cambiare nella politica tedesca. Non dovrebbe pero' impedire almeno di tentarci.