giovedì 12 aprile 2012

Allargamento del fondo salva stati o rottura dell'Euro.


Wolfgang Münchau su Der Spiegel di fronte alle difficoltà della Spagna avverte i suoi connazionali: o accettiamo un allargamento del fondo salva stati o rischiamo una rottura della zona Euro.

La Bce ha pompato verso le  banche quasi un trilione di Euro per stabilizzare la situazione. Ma l'idea di poter comprare tempo si è rivelata illusoria. In Spagna la situazione è peggiorata, sui mercati finanziari regna la nervosità. Siamo di nuovo al punto in cui ci trovavamo prima di Natale.

Non è passato molto dall'ultima volta in cui la Germania a Brussel ha bocciato un ulteriore allargamento del fondo salva stati, i mercati nel frattempo si erano calmati. Questo non è sorprendente. Due settimane fa in Europa regnava ancora un grande ottimismo. Che cosa è cambiato in queste settimane?

Due diverse convinzioni hanno preso piede. La prima riguarda la Spagna, la seconda la Banca Centrale Europea. Sui mercati ci si attende che la Spagna già quest'anno avrà bisogno di un pacchetto di aiuti. Se questo accadesse, il fondo di salvataggio si rivelerebbe subito troppo piccolo. Fra pochi mesi saremo di nuovo davanti alla scelta, aumentare il fondo per il salvataggio degli stati o rischiare una rottura della zona Euro.

Il governo spagnolo la scorsa settimana ha votato una manovra che per quest'anno prevede un risparmio di 27 miliardi di Euro. Il problema è che la Spagna già adesso è in recessione. Il tasso di disoccupazione è già del 23%, quello dei giovani ha raggiunto e superato il 50%.

La Spagna è adesso dov'era la Grecia 2 anni fa.

Chi in tempi di recessione risparmia, si comporta in maniera pro-ciclica. Questo significa, la politica di bilancio rafforza la recessione. Il meccanismo coinvolge un'interazione fra risparmio dello stato, risparmio privato, una caduta ulteriore del prezzo degli immobili, conseguenti perdite bancarie, una restrizione del credito,  una recessione ancora piu' acuta, deficit piu' alti e un programma di risparmi ancora piu' forte. Potrebbero essere necessari molti anni per uscire da un circolo vizioso di queste dimensioni. Per la Spagna mi aspetto una recessione che durerà per almeno 10 anni.

L'ironia è che la percentuale di indebitamento della Spagna cresce sebbene il paese stia ripagando il suo debito. Il motivo è che che la percentuale è un quoziente: se il denominatore - la performance economica - cade più rapidamente del nominatore  -  i debiti -  allora il numero sale.

I mercati non credono piu' ad una stabilizzazione dei debiti della Spagna. Non è un caso che l'ultimo attacco di panico sia arrivato esattamente nella stessa settimana in cui il presidente Mariano Rajoy ha annunciato misure di risparmio per ulteriori 10 miliardi di Euro per il 2012, ottenuti con i tagli alla sanità e alla scuola. La Spagna è adesso dove la Grecia era 2 anni fa.

Da questo circolo vizioso ci sono solo 2 vie di uscita. La prima è un'uscita dall'Euro. La seconda è un programma di salvataggio che termini con un parziale taglio del debito nel settore privato. Decisivi non saranno i debiti dello stato, ma i debiti delle banche.  Anche le banche dovranno essere portate sotto un ombrello di salvataggio, e lì essere obbligate all'insolvenza o alla fusione, attraverso una copertura dei costi. Non ci sono altre vie di uscita.

La seconda ragione per il pessimismo dei mercati è una diversa percezione della politica della BCE. In dicembre e febbraio la BCE ha pompato quasi un trilione di liquidità al settore bancario. I mercati hanno reagito con una certa euforia. L'idea era quella di prestare denaro alle banche con un basso tasso e una durata triennale. In questo modo le banche avrebbero acquistato obbligazioni governative di breve durata e stabilizzato il mercato delle obbligazioni. La BCE non poteva acquistare per motivi giuridici le obbligazioni. Così ha scelto di passare attraverso le banche.

La politica BCE ha avuto l'effetto di una droga.

Questa teoria ha però una serie di imprecisioni, che ora sono diventate evidenti. Il primo è che l'azione procede indirettamente e quindi è costosa. Solo una piccola parte del denaro arriva effettivamente all'acquisto di obbligazioni. La BCE avrebbe ottenuto molto di piu' con un piccolo programma di acquisto diretto. Non è nemmeno moralmente ed economicamente chiaro perchè si dà il denaro alle banche di nascosto, ma lo si nega ai governi. In Spagna il problema non era il settore pubblico, ma piuttosto le banche.

Con l'operazione della BCE c'è un ulteriore problema. Le banche per ottenere la liquidità devono depositare delle garanzie presso la BCE. A tal fine sono stati utilizzati dei titoli di stato recentemente acquistati. Poiché avevano bisogno di ulteriori garanzie, hanno dovuto cercare soluzioni diverse. La conseguenza: le garanzie che vengono utilizzate nel mercato ipotecario sono diventate scarse. Con l'operazione della BCE molte banche non hanno piu' accesso a questa normale fonte di finanziamento privato. La politica BCE ha funzionato come una droga. Coloro che vi hanno fatto ricorso sono diventati immediamente dipendenti.

La politica BCE ha così apparentemente risolto la crisi bancaria. In verità la situazione delle banche è pessima come mai fino ad ora. E come in Giappone negli anni '90 i governi non hanno nessuna strategia per risolvere effettivamente questi problemi. La tesi piu' assurda era che la politica di liquidità della BCE avrebbe dato ai governi il tempo per risolvere la crisi. Si trattava di una illusione temporale. Ha permesso ai leader di negare la realtà per altri 3 mesi e spingere la questione in sordina.

Appena dopo Pasqua siamo al punto in cui eravamo prima di Natale.

venerdì 6 aprile 2012

Metà Europa in deflazione, solo per non far lamentare la Germania.

Mark Schieritz, il popolare economista tedesco, columnist di Die Zeit, sul suo blog dedica un commento a Mario Draghi e alla sua paura dell'inflazione: è soltanto un pavido oppure bluffa per non spaventare i tedeschi?

Come far tornare la zona Euro in equilibrio macroeconomico, questa è il grande punto interrogativo della crisi. Sembra esserci un accordo generale sul fatto che i paesi della periferia attraverso una riduzione dei costi devono far crescere la loro competitività. Questo significa che il loro tasso di inflazione rimarrà sotto il 2%.  Su questo non c'è nulla da obiettare.

Ma che cosa significa per i paesi core? Mario Draghi oggi durante la conferenza stampa ha respinto l'idea che paesi come la Germania debbano in cambio consentire un aumento dell'inflazione. Il suo argomento è simile alle argomentazioni della BCE nel dibattito sui deficit delle partite correnti: la correzione deve arrivare dalla riduzione dei prezzi nei paesi in deficit, e non da una stimolazione della domanda nei paesi in avanzo.


Se si astrae dagli effetti positivi sul mercato del lavoro che potrebbero esserci, questo significa che l'Euro zona costituirà un avanzo commerciale con il resto del mondo.

Io non credo che questo possa funzionare - ma ciò non è tutto. La domanda sul riequilibrio della bilancia commerciale è un tema economico su cui si può discutere a lungo. La questione dell'obiettivo di inflazione invece è una questione aritmetica: se nel sud i prezzi stagnano, i prezzi in Germania DEVONO salire in maniera molto forte, per poter raggiungere l'obiettivo del 2%.

Goldman Sachs ha esaminato la questione:

In order for Euro area inflation to average 2% over the adjustment period, German inflation would need to average significantly more than this. In the calculations, Germany’s inflation rate averages between 3.3% and 4.7% over a 10-year period

Questi tassi di inflazione negli anni '50 e '60 non erano rari, e allora non hanno fatto danni all'economia. Lo stesso accadrebbe oggi, in quanto una crescita dell'inflazione sarebbe in definitiva la consequenza di accordi salariali collettivi più alti che le aziende trasferirebbero sui prezzi e contro i quali non ci sarebbe nulla da obiettare. Oppure come Joachim Fels di Morgan Stanley questa settimana ha formulato chiaramente sulla FAZ:

I tedeschi dovranno imparare ad amare l'inflazione

La paura della BCE di fronte alla fobia dell'inflazione dei tedeschi è ovviamente così grande, che loro non intendono provarla in nessun modo. Il prezzo: il non raggiungimento degli obiettivi di inflazione programmati e ancora più miseria nel sud Europa. Perciò, più bassa è l'inflazione in Germania, maggiore dovrà essere l'aggiustamento nel sud Europa. 

Ancora una volta Goldman:

Assuming an implicit ECB target of 1% inflation for Euro area wide consumer prices (…) implies Greece and Portugal would experience outright deflation under the three criteria of external sustainability. More notably, those countries are joined by France, Italy and Spain—all of which experience outright deflation.

Metà Europa in deflazione, solo per fare in modo che nessuno in Germania si lamenti: chi aveva detto che il board BCE è nelle mani del Club Med?

mercoledì 4 aprile 2012

Non siamo noi a dover inflazionare, sono gli altri a dover deflazionare!


Ancora una volta Werner Sinn, con un nuovo commento sulla conservatrice Wirtschaftswoche, ci ricorda il punto di vista tedesco sulla crisi del sud Europa: riducete salari e prezzi e tornerete alla crescita. Ma non eravamo parte di una UNIONE?

Per recuperare competitività i paesi della zona Euro devono diventare più economici. Ma di questo ancora non c'è alcuna traccia. Gli immensi deficit delle partite correnti potrebbero restare invariati - e i miliardi di aiuti finanziari pagati dai contribuenti continueranno a scomparire.

Chi si trova oggi ad analizzare la crisi dell'unione monetaria e vuole valutare le misure di salvataggio, deve confrontarsi con 2 teorie divergenti: la teoria del denaro in vetrina e quella del barile senza fondo. Secondo il primo punto di vista, la politica deve semplicemente raccogliere del denaro nel fondo lussemburghese di salvataggio EFSF.

In questo modo il mercato dei capitali si calma, gli interessi crollano, e i paesi del sud Europa ritornano ad essere solventi. Il denaro dei contribuenti può restare inutilizzato in vetrina. Secondo l'altra teoria, i paesi in crisi nonostante i fondi di salvataggio resteranno cronicamente in deficit, in quanto per loro, la strada verso una svalutazione, a causa dell'Euro, è sbarrata. Una svalutazione interna resta troppo difficile.

La Grecia deve diventare del 37% più economica.

I fondi di salvataggio scompaiono in immensi deficit delle partite correnti (120 miliardi solo nel 2011 fra Italia, Grecia, Portogallo e Spagna) ed eliminano ogni incentivo a mettere un fondo al barile. Il criterio decisivo per decidere fra queste 2 teorie è l'interrogativo, se i paesi in crisi riusciranno a diventare più economici - visto che solo in questo modo la domanda interna ed esterna dei loro prodotti potrà crescere.

Se la Grecia diventasse più economica del 37%, raggiungerebbe gli stessi livelli di prezzo della Turchia. I turisti stranieri tornerebbero nel paese, e i greci la smetterebbero di comprare pomodori olandesi e olio di oliva italiano. Qualsiasi paese, non importa quanto sia produttivo, può diventare competitivio, se è conveniente abbastanza. Per quanto riguarda i prezzi dobbiamo mettere le lancette indietro, in quanto nel sud Europa, a causa dell'Euro, sono cresciuti troppo.

Il credito a buon mercato, arrivato con l'Euro, ha fatto crescere delle bolle inflattive. I paesi GIIPS (Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna), misurati con il deflatore del PIL, in confronto ai loro partner commerciali nell'area Euro, dal 1995 (anno in cui l'Euro è stato annunciato in maniera vincolante) fino al 2008 ( anno della crisi Lehman) sono diventati del 30 % più costosi.

Una considerevole parte di questa crescita dei prezzi dovrà essere stornata, perchè il credito non arriva più a queste economie. E fa bene a non arrivare. Purtroppo, per quanto riguarda i prezzi del sud Europa non è successo molto. Mentre l'Irlanda, misurata dal deflatore del Pil, nei 5 anni dal 2006 al 2011 (terzo trimestre di ogni anno) in relazione al resto della zona Euro ha ridotto i prezzi del 15 %, i paesi del sud Europa sono diventati più costosi del 15%.

L'indice dei prezzi greco in questo periodo di tempo è cresciuto del 7%, il doppio di quanto possa essere ricondotto all'aumento dell'IVA da parte del governo. In Italia è cresciuto del 2%, in Portogallo dello 0.6 %, in Spagna dello 0.3 %. Anche durante la crisi non si assiste ad un andamento diverso.

Mentre l'Irlanda dal 2008 al 2011 (rispettivamente il terzo trimestre) è diventata più economica del 9.8 %, la Grecia è diventata più costosa del 2.5 %, Italia del 1.2% e il Portogallo dello 0.5 %. Solo la Spagna ha abbassato il proprio livello dei prezzi dello 0.9 %. Ora Norbert Haering argomenta su Handelsblatt, che il deflatore del PIL sarebbe un indice non adeguato per misurare la competitività di un paese, perchè è fortemente influenzato dai prezzi degli immobili. Bisognerebbe invece orientarsi al costo del lavoro per ogni unità di prodotto.

Il deflatore del PIL è adeguato

L'argomento non regge. Prima di tutto i prezzi delle case non vanno nel deflatore del PIL. Quello che accanto ai prezzi dei beni e servizi finisce in questo indice, sono gli affitti e i prezzi delle nuove costruzioni, ma questi non sono così volatili come i prezzi degli immobili. Secondo, il costo del lavoro per unità di prodotto è definito come la relazione fra costo del lavoro e PIL reale. Dipendono anch'essi dal deflatore del PIL e non offrono nessuna misura dei prezzi diversa da questo.

Terzo, il costo del lavoro per unità di prodotto è rilevante per la competitività, se influenza i prezzi. Una produttività crescente, che con salari invariati conduce a costi per unità di prodotto inferiori, non aumenta la competitività, fino a quando non conduce a prezzi più bassi. Anche le riduzioni dei salari sono irrilevanti, se non conducono ad una riduzione dei prezzi.

Quarto, i costi del lavoro nella maggior parte dei paesi presi in esame sono ulteriormente cresciuti. Dal 2008 al 2011 sono cresciuti del 2.3% in Grecia, in Italia del 4.5 %, in Portogallo dell' 1.8%. Solo la Spagna è riuscita ad ottenere un meno 3.2 %. A parte le buone intenzioni, non c'è ancora nessun segno che i paesi in crisi faranno i compiti per casa loro assegnati. Dobbiamo invece temere che i deficit delle partite correnti restino in queste condizioni ancora a lungo e la crisi di debito del sud Europa si aggravi ulteriormente. E tutto quello che è stato messo in vetrina venga saccheggiato.

Balcanizzazione della zona Euro


Frankfurter Allgemeine Zeitung, ci racconta che  Weidmann, dopo aver preso lezioni private da Werner Sinn, ha deciso di non accettare più le obbligazioni bancarie dei paesi in crisi: primo passo verso la balcanizzazione?
La Bundesbank ha fatto il primo piccolo passo verso una riduzione dei rischi nel proprio bilancio. Non intende più accettare come garanzia determinate obbligazioni garantite dai paesi deboli dell'Eurozona.

La Bundesbank e il suo presidente Jens Weidmann fino ad ora sono i primi fra le 17 banche centrali a non voler più accettare, a partire da maggio, le obbligazioni bancarie garantite da Grecia, Irlanda e Portogallo.

Il consiglio direttivo della BCE ha autorizzato le 17 banche centrali, a non accettare determinate obbligazioni bancarie garantite dai paesi in crisi. La Bundesbank è stata la prima banca centrale dell'Eurosistema a far sapere di voler utilizzare questa possibilità.

Decisione con effetto segnalazione

Non si tratta di grandi somme. Ma la decisione lancia un segnale chiaro nel dibattito sull'uscita da una politica monetaria giudicata eccessivamente espansiva. Dal provvedimento saranno coinvole le obbligazioni bancarie, garantite dai paesi destinatari di aiuti finanziari, Grecia, Portogallo e Irlanda  e che fino ad ora erano state accettate come garanzia. Queste obbligazioni sono principalmente offerte come collaterale dalle banche centrali dei paesi in crisi. Secondo gli ambienti vicini alla Bundesbank, nel suo bilancio la banca centrale avrebbe circa mezzo miliardo di euro di queste obbligazioni. Fino ad ora la banca centrale ha dovuto accettare queste obbligazioni e in caso di un evento negativo avrebbe dovuto sopportare le perdite autonomamente.

La somma complessiva delle obbligazioni bancarie garantite dagli stati in crisi, utilizzate come garanzia, avrebbe un valore di circa 90 miliardi di euro, si dice negli ambienti bancari di Francoforte. Se a queste si aggiungono le obbligazioni bancarie degli altri paesi Euro, secondo fonte BCE, si arriva a circa 160 miliardi di euro. Solo di obbligazioni italiane di questo tipo, dovrebbero esserci circa 50 miliardi depositati come garanzia. Questi titoli provenienti da altri paesi europei non sono coinvolti dalla decisione BCE. Le banche centrali potranno quindi rifiutare come garanzia le obbligazioni bancarie garantite dai paesi destinatari di aiuti finanziari - Grecia, Portogallo e Irlanda. Inoltre, potranno fare lo stesso con le obbligazioni bancarie garantite da stati con un rating "BB" o peggiore. Al momento, tutti i paesi europei con eccezione dei 3 paesi sopracitati, hanno un rating superiore.

Balcanizzazione della zona Euro

La Bundesbank e tutte le altre banche centrali potranno accettare come garanzia le obbligazioni bancarie garantite da Italia e Spagna. Tuttavia, su queste obbligazioni, eventuali perdite saranno sostenute dall'intero Eurosistema, diversamente dai titoli garantiti da Irlanda, Portogallo e Grecia.

La Bundesbank è stata fino ad ora la sola delle 17 banche centrali nazionali a voler rifiutare da maggio i prestiti bancari garantiti dai 3 paesi. Fino ad ora, ad eccezione della Bundesbank, nessun'altra banca centrale si è espressa ufficialmente sull'argomento, conferma la BCE.  Altre banche centrali sottolineano, che con il passo della Bundesbank prosegue la balcanizzazione della zona Euro. Molti rappresentanti delle banche centrali europee hanno fortemente criticato questa posizione, in quanto il principio delle regole uniformi per tutta l'area monetaria in questo modo sarà fortemente indebolito.

lunedì 2 aprile 2012

La dichiarazione di Bogenberg e il problema dei crediti Target

Il prestigioso istituto IFO di Monaco ed il suo presidente, Hans Werner Sinn, rilanciano il dibattito sui rischi dei saldi Target: c'è bisogno di una politica monetaria e di una banca centrale che possano e sappiano tutelare gli interessi tedeschi.

Con la dichiarazione di Bogenberg, pubblicata nel dicembre 2011, l'associazione degli amici dell'Istituto IFO e il board dell'IFO Institute hanno pubblicato un elenco di proposte.  Tali proposte erano finalizzate a prevenire l'accettazione da parte della Germania di eccessive responsabilità per il pacchetto di salvataggio previsto dalla comunità degli stati,  e il conseguente indebolimento dei processi di mercato causati da tale pacchetto di aiuti. 

La dichiarazione faceva riferimento alle seguenti proposte:

- La BCE deve limitare il suo mandato alla formulazione della politica monetaria e abbandonare il suo ruolo di fornitore di liquidità di ultima istanza. Organismi eletti democraticamente devono essere responsabili per i pacchetti di salvataggio.

- La distribuzione dei diritti di voto e le regole di decision making all'interno degli organi decisionali BCE devono essere rivisti.

- I crediti Target devono essere saldati una volta all'anno con collaterali negoziabili  come avviene negli USA.

- Il package di bailout deve essere completato da un meccanismo di crisi chiaro e da un processo di insolvenza teso a limitare le misure di salvataggio prese dalle comunità degli stati.

- Nel medio termine le banche devono coprire l'acquisto di bond pubblici con l'emissione di azioni e accettare lo stato come comproprietario, se necessario, se non hanno le risorse per ricapitalizzare autonomamente.

- Paesi che non sono in grado di ripagare i loro debiti devono abbandonare l'unione monetaria.
Crediti-debiti esteri in rapporto al PIL, in grigio gli importi dei saldi target
Nella nuova nuova pubblicazione IFO, il Prof. Hans Werner Sinn, presidente dell'Istituo IFO, si focalizza sui crediti Target, offre una visione generale dei fatti e fornisce le ultime cifre. Con la lettera del governatore Jens Weidmann alla BCE, la Bundesbank abbandona la precedente posizione secondo la quale i saldi Target sono statisticamente irrilevanti e rappresentano un normale effetto collaterale della creazione di moneta nel sistema monetario europeo. La Bundesbank adesso condivide la nostra preoccupazione sul fatto che i saldi Target fra le banche centrali sono cresciuti eccessivamente. Le preoccupazioni riguardano anche il fatto che le banche centrali nell'area Euro possano non essere nella posizione di sostenere perdite potenziali. 

Contemporaneamente il governo federale tedesco continua a sostenere la visione secondo cui i saldi Target non costituiscono un credito. Sinn contraddice questa opinione nell'ultima pubblicazione IFO. A questo aggiunge anche:

- I debiti esteri della Spagna sono più grandi di tutti quelli degli altri paesi in crisi messi insieme.

- Paesi Bassi e Olanda hanno accumulato crediti Target per oltre la metà del valore dei loro crediti esteri.

 - La fuga di capitali dall'Italia è stata compensata dai crediti target, che rappresentano un dato piu' alto del deficit delle partite correnti accumulato negli ultimi 4 anni.

- Il valore complessivo dei crediti target della Bundesbank verso l'Eurosistema corrispondono a 13.000 € per ogni membro della popolazione attiva.

- Negli ultimi 4 anni la somma ottenuta dalla Germania per i suoi attivi di bilancia commerciale corrisponde ai crediti target della Bundesbank.

Allo stato attuale il sistema finanziario europeo non può resistere con la sua attuale struttura politica ed economica in quanto sta distruggendo il mercato dei capitali e minacciando la stabilità di alcuni paesi.  I rischi assunti e le garanzie offerte sono cresciuti intollerabilmente forzando alcuni paesi a fornire credito ad altri senza che questa decisione fosse validata dai parlamenti nazionali. I crediti Target della Germania hanno ormai raggiunto i 547 miliardi di Euro. Se i depositi presso la BCE riempiti con il "big bazooka", e se il board BCE accetterà obbligazioni societarie per 500 miliardi come collaterale, allora l'intero ammontare dei crediti verso l'estero della Germania potà essere usato nel processo compulsivo di offerta di credito ai paesi dell'europa periferica. 
Diritto di voto nella BCE a confronto con le garanzie dei vari paesi
La politica BCE non solo significa che i risparmiatori tedeschi sono stati derubati dei loro normali tassi di interesse e che per le loro polizze di assicurazione sarà sempre piu' difficile generare interessi adeguati, ma soprattutto espone la Germania ad enormi rischi. Se l'Euro dovesse dissolversi, la Germania resterebbe con dei crediti verso un sistema che non esiste piu'. Inoltre, se uno o piu' paesi dovessero abbandonare l'euro e dichiarare insolvenza, allora la Germania dovrà sopportare le perdite dovute ai crediti Target.

La proposta di introdurre il sistema USA in Europa (dove i debiti target sono saldati una volta all'anno con collaterali negoziabili) non significa abbondonare del tutto i saldi target, o rifiutarsi di fornire assitenza ai paesi in crisi. Tuttavia, la sua implementazione fermerebbe quei paesi che usano la stampante di denaro e rassicurerebbe la Germania che non sta consegnando il suo export invano.
Partite correnti tedesche in rapporto a quelle dei GIIPS
Inoltre, questa proposta renderebbe la Germania meno indifesa verso i ricatti quando si tratta di decidere su ulteriori pacchetti di salvataggio. Adesso tutti sanno che la Germania è costretta a sostenere ogni pacchetto di salvataggio perché i suoi crescenti crediti Target sono a rischio. Questa situazione è inaccettabile se i paesi devono coesistere e cooperare felicemente. 

domenica 1 aprile 2012

Il libro nero del lavoro interinale


Die Zeit ci racconta il lavoro interinale e i suoi effetti sul mercato del lavoro: è solo un mezzo per ridurre il costo del lavoro oppure una reale possibilità di inserimento per i disoccupati? 
La IG Metall mette alla gogna le aziende che fanno estremo ricorso al lavoro in affitto. Nella lista compaiono Porsche, BMW e una controllata Daimler.

Dell'azienda Stelo Telc nessuno conosce il nome. Sebbene sia controllata al 100 % da Daimler. Stelo Tec ha sede a Mannheim e lì produce con un piccolo staff pezzi per motori automobilistici. Di questa azienda normalmente non si interesserebbe nessuno. Ora compare invece in cima alla lista stilata dai sindacati. Le aziende in questa lista impiegano poco personale fisso e un grande numero di lavoratori interinali. Presso la Stelo Tec la quota di lavoratori interinali, secondo le cifre della IG Metall, raggiunge il 66.7 %. E' il valore piu' alto che i sindacati hanno riscontrato in seguito ad una ricerca eseguita su 600 aziende del Baden Wuerttemberg. Questi dati emergono da una piccola pubblicazione della IG Metall il cui titolo è il "Libro nero del lavoro in affitto".

Qualche anno fa i sindacalisti di Ver.di con un altro libro nero avevano denunciato i misfatti dei supermercati LIDL. Adesso la IG Metall fa la stessa cosa - secondo il principio del naming and shaming - nei confronti delle aziende del lavoro temporaneo e dei loro clienti. Alla gogna vengono messe alcune delle piu' importanti società dell'economia tedesca - ad esempio Porsche, BMW, e anche la controllata di Daimler. Le diverse associazioni circondariali del sindacato hanno fatto una lista di chi e di quanti lavoratori in affitto impiega. Il libro riporta i racconti anonimi dei lavoratori e delle loro cattive esperienze fatte con questa forma di lavoro. E' il punto più alto di una lunga campagna, che non a caso è diventata più forte proprio ora. 

Grandi scelte attendono infatti il settore del lavoro temporaneo. Si tratta del salario di 900.000 occupati, di aumenti salariali fino al 50% e delle regole che dovranno essere applicate in questo speciale settore del mercato lavorativo. Da un lato le parti sociali cercano di trovare un accordo. Dall'altro, il ministro del lavoro Ursula Von der Leyen ha dichiarato all'inizio del 2011, che le parti sociali entro un anno devono raggiungere un accordo sull'uguaglianza di salario fra dipendenti a tempo e dipendenti in affitto. In caso contrario il legislatore dovrà intervenire. Il termine fissato dal ministro scade questo mese.

Anche nel centro di sviluppo Porsche ci sono lavoratori temporanei.

I sindacati chiariscono che non sono contrari al lavoro interinale. Ma gli abusi finalizzati a ridurre il costo del lavoro non sono tollerabili. Ci sono stati eccessi. In quali casi i sindacati vedano un abuso non emerge chiaramente dalle liste da loro pubblicate. Tanto più che i numeri pubblicati non sembrano sempre corretti. Bei Stelco TEC il consiglio di fabbrica ha chiarito che la percentuale dei lavoratori interinali non è del 67 % ma del 40 % - una cifra comunque sempre alta. Un portavoce di Daimler giustifica questa percentuale molto alta con il fatto che l'azienda opera in un ambiente di mercato molto ciclico. Inoltre, l'azienda si trova in una fase di lancio di un nuovo camion, per questo motivo i lavoratori in affitto completano gli organici stabili. Presumibilmente il lavoro temporaneo sarebbe utilizzato presso la loro azienda da oltre 6 anni.

L'esempio della Stelo Telc è abbastanza insolito, in quanto l'utilizzo dei lavoratori interinali presso Daimler è stato quasi sempre concordato con il consiglio di fabbrica (Betriebsrat). Il numero dei lavoratori interinali di regola non dovrebbe mai superare l'8% dei lavoratori stabili. Inoltre, a differenza di quanto accade presso Stelo Tec vige una regola di uguale paga: i lavoratori in affitto ricevono la stessa paga dei dipendenti a tempo indeterminato. Secondo le informazioni fornite da Daimler la paga oraria sarebbe di 17.05 €. Questi sono quasi 10 € in piu' del salario minimo per il lavoro temporaneo, in vigore dall'inizio di quest'anno.

Anche in altre aziende esistono regole per i lavorotori interinali. Presso Porsche i lavoratori a tempo secondo le informazioni fornite dal capo del consigliio di fabbrica Uwe Hück, ricevono "la stessa retribuzione, le stesse maggiorazioni per gli straordinari, e le stesse pause dei dipendenti regolari". Inoltre per lo stabilimento principale è stato concordato che i lavoratori temporanei impiegati nella produzione ricevano dopo 5 mesi di lavoro in affitto un contratto a tempo determinato da Porsche. Questa regola non vale solo per gli ingegneri.  Stranamente però il centro di sviluppo Porsche di Weissau emerge nella lista compilata da Ig Metall. Qui su 3.649 impiegati stabilmente, lavorano 890 impiegati interinali. Il portavoce di Porsche al riguardo conferma un numero di lavoratori interinali a 3 cifre, che a causa di un lavoro basato sui progetti subisce delle grandi oscillazioni. 

In molte aziende si muove qualcosa. Anche alla BMW. Da settimane il produttore di automobili discute con il consiglio di fabbrica sull'assunzione dei 1.100 lavoratori temporanei impiegati nello stabilimento di Leipzig. Jens Koehler del consiglio di fabbrica chiarisce: "Stiamo negoziando a livello aziendale sul lavoro interinale e sugli altri strumenti di flessibilità. Sono molto fiducioso che presto su questa strada giungeremo ad un accordo".

"Il lavoro temporaneo è giusto", sostengono i datori di lavoro in una campagna contraria.

Le agenzie di lavoro interinale si difendono con una loro campagna contro il tentativo di demonizzazione. Presentano su internet le opinioni di decine di lavoratori che con nome e foto  chiariscono perché per loro il lavoro temporaneo è giusto. Gli esempi vanno dai lavoratori del magazzino fino agli informatici.  Secondo i loro racconti, i contratti di lavoro in affitto avrebbero portato loro grandi vantaggi. In concomitanza con questi sforzi di PR, le parti sociali negoziano un nuovo accordo salariale. La IG Metall pretende dalle associazioni imprenditoriali di poter inserire un diritto di veto del consiglio di fabbrica all'assunzione di lavoratori temporanei. Contemporaneamente la negoziazione fra le parti sociali è finalizzata al raggiungimento dello stesso livello salariale. Le negoziazioni sono ancora aperte ma è già prevedibile che uno stesso livello di salario non sarà definito dalla contrattazione collettiva. I sindacati  vogliono stabilire  gli aumenti salariali per ogni settore. Accanto a questo, sarà necessario un intervento legislativo, per coprie le aree non raggiunte dalla contrattazione sindacale collettiva. 

In questo modo la palla viene rimandata nel campo della politica. Il ministro del lavoro Ursula von der Leyen non potrà evitare, da sola o con l'aiuto delle sue commissioni di esperti, di decidere a quali limitazioni dovrà essere sottoposto il lavoro in affitto. All'inizio della scorsa settimana uno studio pubblicato dalla fondazione Bertelsmann ha riacceso la discussione sugli effetti del lavoro temporaneo. Secondo questo studio, il lavoro interinale non minaccia in alcun modo i posti fissi.  In media i lavoratori a tempo vengono impiegati presso un'azienda per non più di 3 mesi. Solo il 3% delle imprese avrebbe ridotto gli impiegati stabili per far crescere il numero dei dipendenti interinali. In molti casi le cose sarebbero andate diversamente: entrambi i gruppi di lavoratori sono cresciuti, oppure i lavoratori temporanei sono stati rimpiazzati da lavoratori a tempo indeterminato. 

Lo sviluppo del mercato del lavoro sembra sostenere questa ipotesi. Il lavoro in affitto lo scorso anno è cresciuto di 80.000 posizioni, i lavori coperti da assicurazione sociale (esclusi minijob) sono cresciuti di almeno 700.000 unità. In circa 10 anni il numero dei lavoratori temporanei è cresciuto fino a raggiungere il 2% attuale. Nonostante casi di abuso da parte di alcune aziende, i lavoratori a tempo rappresentano ancora una nicchia del mercato del lavoro. 

Secondo gli esperti, questo sarebbe un motivo per essere prudenti sull'introduzione dell'obbligo di salario identico. Joachim Möller, capo di IAB (Institut fuer Arbeitsmarkt und Berufsforschung) suggerisce di pareggiare il salario dei lavoratori interinali non immediatamento, ma entro un certo numero di mesi dal loro arrivo in azienda. Altrimenti il lavoro a tempo rischierebbe di perdere la propria funzione di possibilità di ingresso nel mondo del lavoro per i disoccupati.

Ricco aumento per i dipendenti statali


Handelsblatt ci racconta il risultato della lunga trattativa  sul nuovo contratto dei dipendenti statali: un sostanzioso aumento del 6.3% biennale che promette di far crescere il salario reale.

E' stata una battaglia durata fino all'alba: anche i sindacalisti esperti sono stati provati dalla lunga maratona della negoziazione. Alla fine l'accordo è stato fatto, e con soddisfazione. 

I 2 milioni di occupati nei comuni e nel governo federale riceveranno nei prossimi 2 anni un aumento del 6.3%. I datori di lavoro e i sindacati dopo un lungo tiro alla fune hanno trovato un accordo sabato mattina sul nuovo contratto di lavoro. Sono previsti dei miglioramenti anche  per i tirocinanti, che in futuro potranno ottenere un lavoro permanente dopo un primo contratto annuale di inserimento. 

Il ministro degli interni Hans Peter Friedrich (CSU) si è espresso positivamente: "Vogliamo pagare i dipendenti del settore pubblico in maniera corretta". A partire da mercoledi,  in oltre 40 ore di contrattazione,  i vertici dei datori di lavoro e dei sindacati a Potsdam hanno sondato le possibilità di trovare un'intesa. L'adozione della bozza di contratto sembrava ormai nell'aria.

Nella notte di sabato i vertici del sindacato Ver.di hanno avuto bisogno  di ulteriori 7 ore di discussione, prima che la grossa commissione con una risicata minoranza approvasse il documento.   Il punto critico per Ver.di era la mancanza della componente sociale del salario. I sindacati avevano infatti richiesto un forte aumento per i percettori di redditi bassi. Il capo di Ver.di, Frank Bsirske, ha ritenuto responsabili i datori di lavoro per la loro massiccia opposizione alla proposta.

Secondo il piano concordato, i salari dovrebbero aumentare dal primo di marzo in maniera retroattiva del 3.5 %. Ulteriori aumenti del 1.4% seguiranno in gennaio e agosto 2013. Se si prendono in considerazione gli interessi composti, nella terza fase si arriva ad un aumento del 6,41 %. Il sindacato Ver.di e il sindacato dei dipendenti federali avrebbero preteso un aumento del 6.5 %.

I comuni calcolano la loro spesa maggiore causata dal nuovo contratto in circa 4.3 miliardi di Euro (dal 2013). Al governo federale costerà invece 550 milioni di Euro. Il ministro Friedrich ha annunciato che agirà con fermezza per fare in modo che gli aumenti concordati vengano applicati nella stessa misura anche per i dipendenti federali.

Il timoniere del sindacato Ver.di ha messo in difficoltà l'intero paese con una lunga sequenza di scioperi. La sua linea dura gli ha infatti assicurato l'approvazione dei dipendenti pubblici - ma nel mondo politico ed economico non è certo molto amato.

Il presidente dei datori di lavoro comunali Tomas Bohle e il ministro Friedrich hanno dichiarato che in considerazione delle possibilità offerte dal bilancio pubblico sono " arrivati fino alla soglia di dolore". Altri scioperi sono stati comunque evitati. Allo stesso tempo, la durata biennale del contratto dà ai datori di lavoro la possibilità di pianificare il futuro. 

Bsirske ha dichiarato che senza il grande impegno degli scioperanti l'accordo non sarebbe stato possibile. In questo modo si "è riusciti a salvaguardare gli stipendi reali per il 2012 e 2013". Il presidente dell'unione sindacale DBB, Frank Stöhr, ha dichiarato che i dipendenti pubblici restano al passo con il generale aumento dei salari. Qualsiasi altro accordo non solo non sarebbe stata giusto,  ma avrebbe messo a rischio l'assunzione di personale qualificato nel settore pubblico.