mercoledì 20 giugno 2012

Quando tocca a noi?


Da due settimane i Bund scendono e in Germania ci si comincia a interrogare: siamo ancora un paese sicuro per i mercati finanziari? Da Handelsblatt.de
Fino ad ora la Germania nella crisi se l'è cavata bene. Ma le cose presto potrebbero cambiare. I primi dubbi cominciano ad affiorare fra gli investitori: la Repubblica Federale è davvero sicura come fino ad ora tutti hanno creduto?

La Germania ha sicuramente tratto vantaggio dalla crisi europea. Mai fino ad ora un ministro delle finanze tedesco si era potuto indebitare con un tasso così basso come è accaduto negli ultimi mesi. Gli investitori stranieri hanno inondato la Germania di denaro perchè solo i titoli del debito tedesco sul mercato vengono considerati come sicuri. Fino ad ora è stato così, ma le cose potrebbero cambiare.

Alcuni investitori cominciano a chiedersi se è veramente così intelligente prestare denaro allo stato ad un tasso vicino allo zero. Fra gli scettici: Bill Gross di Pacific Investment Management Co (Pimco), uno dei piu' grandi gestori. "La Germania per me implica un rischio di credito. Non è un mercato attrattivo", ci dice Gross. Nel mercato dei titoli del debito pubblico si è formata una bolla. "Sui Bundesanleihen (Bund) sarei cauto, perché ci sono pochi scenari nei quali potrebbero svilupparsi positivamente" ci dice.

Nel settore Gross è conosciuto come il "Re delle obbligazioni". Le sue parole sono importanti. Gestisce il piu' grande fondo obbligazionario del mondo. Che cosa rende gli investitori scettici? Gli impegni assunti dalla Germania nella crisi del debito sono sempre piu' grandi. Sicuramente le obbligazioni tedesche hanno tratto vantaggio dalla crisi - i rendimenti sui titoli a 2 anni sono scesi anche sotto lo 0% - ma ora è rimasto davvero poco margine, ha detto Gross in un'intervista a Bloomberg. Le conseguenze: Pimco ha ridotto nel portafoglio la percentuale di titoli tedeschi.

La Germania è il piu' grande pagatore nei pacchetti di salvataggio per la Grecia. Se la Grecia dovesse fallire e uscire dall'euro, i contraccolpi per la Repubblica Federale sarebbero pesanti. Gli esperti stimano i costi diretti, causati da un'uscita di Atene dalla moneta unica, fra i 70 e i 100 miliardi di Euro.

In totale la Germania garantisce 211 miliardi di Euro per il fondo di salvataggio EFSF. A questi si devono aggiungere ulteriori miliardi per il fondo ESM. Allo stesso tempo, Spagna e Italia rischiano di perdere l'accesso ai mercati: esattamente i paesi che dovrebbero garantire i prestiti del fondo. 

"Se ci sarà una unione fiscale, sarà la Germania a dover pagare. Se ci sarà una unione bancaria, sarà sempre la Germania a dover pagare. Il paese non è piu' un rifugio sicuro", ci dice Bill Blain di  Newedge Group a Londra. Gli investitori cominciano a calcolare lentamente i danni potenziali che la Germania potrebbe subire.

Anche Ralf Ahrens, gestore del fondo pensione Frankfurt Trust, ci dice: "Se la crisi Euro continua, arriverà il momento in cui si dovrà fare una unione fiscale, e ci sarà una condivisione dei debiti. E allora in quel momento il mercato comincerà a riflettere sul merito di credito della Germania".

La stessa cancelliera qualche giorno fa aveva messo in guardia, dopo tutti i fondi di salvataggio approvati,  dal non sopravvalutare la capacità di spesa della Germania. 

Le grandi agenzie di Rating Moody’s, Fitch e S&P sono ancora calme. Continuano a dare alla Germania il massimo rating. Altri la vedono in maniera un po' diversa. Il servizio di informazione finanziaria D&B, che fra l'altro valuta la solidità finanziaria degli stati, ha abbassato il rating della Germania da DB1 a DB2. Gli sviluppi futuri sembrano negativi, ci dice Thomas Dold, presidente di D&B Germania. "Sebbene abbiamo avuto fino all'ultimo la speranza, che la forza economica tedesca potesse fungere da stimolo per gli altri paesi, o almeno rallentarne la caduta, i nuovi dati economici non possono sostenere questa tesi".

Fino ad ora si poteva almeno contare sull'economia tedesca. Ma questa potrebbe aver già superato la fase di crescita. Gli esperti finanziari e gli investitori istituzionali si aspettano un rallentamento dell'economia. Questo emerge chiaramente nell'indicatore sulla congiuntura redatto dal Zentrums für Europäische Wirtschaftsforschung (ZEW). L'indice rispetto a maggio ha perso 27.7 punti, ed ora è a meno 16.9 punti, come comunicato martedi dallo ZEW di Mannheim.  E' la caduta piu' forte dell'indicatore dall'ottobre 1998. 

"Le aspettative degli esperti finanziari mettono in guardia da valutazioni troppo positive sulla congiuntura tedesca", ci dice il presidente di ZEW Wolfgang Franz. I rischi di un rallentamento fra i piu' importanti partner commerciali, sono ovvii. A questo si aggiugne la "situazione di grande incertezza nell'area Euro", ci dice Franz.

Nel mercato obbligazionario i dubbi degli investitori non emergono ancora chiaramente. Il rendimento dei decennali è sempre all'1.51 %. Ancora molto basso, ma piu' alto rispetto a inizio giugno. Il primo giugno il rendimento aveva raggiungo l' 1.127 %.

Nel mercato dei Credit default swap (CDS) la situazione sembra diversa. Con i CDS gli investitori si assicurano contro il default da parte degli stati. Il costo dei CDS rispecchia il rischio fallimento - piu' è elevato, maggiore è la probabilità.

Nessuno si aspetta un fallimento della Germania. Ma é chiaro che la Germania non è immune alla crisi dei vicini. Da marzo i costi per l'assicurazione dei titoli tedeschi sono quasi raddoppiati. Attualmente il premio di rischio è intorno ai 104 punti base. Traduzione: chi vuole assicurare titoli per un valore di 10 milioni di Euro, deve pagare ogni anno 104.000 Euro.

C'è un trend abbastanza riconoscibile: la grande fuga verso i titoli di stato tedeschi potrebbe essere alla fine. Bill Gross  ipotizza un solo scenario in cui i Bund continuano a crescere: un'uscita della Germania dall'Euro-zona. Tuttavia anche il "Re delle obbligazioni" non è infallibile. Un anno fa aveva predetto uno storno dei titoli del debito pubblico americani. Invece il corso dei titoli americani nei mesi seguenti è cresciuto -  e Gross si è dovuto ricredere un po' mestamente ed è saltato sul treno già in corsa.

lunedì 18 giugno 2012

SPD non pervenuta

Mark Schieritz, economista e commentatore su Die Zeit, torna chiedersi quale sia la proposta socialdemocratica per superare la crisi del debito: esiste una proposta diversa da quella di Merkel?
Stephan scrive su "wiesaussieht" di Wladimir Woytinsky - un sindacalista della Repubblica di Weimar - e fa un commento perfetto per l'occasione:

Poiché abbiamo anche degli ignoranti di economia "à la Hollande", che parlano con grande entusiasmo di crescita, ma alla domanda, da dove dovrebbe arrivare questa crescita, entrano in crisi. Si pensa che calmando i mercati finanziari e portando i bilanci in pareggio si possa trovare la panacea di tutti i mali. Quando si parla dei debiti degli altri, ogni compagno si scopre nazionalista. La BCE è un tabu' europeo, e l'innalzamento delle tasse anche etc. etc....

Esattamente questo è il dilemma della SPD. Si parla con molto entusiasmo di crescita ma poi ( a parte la tassa sulle transazioni finanziarie, di cui si può' pensare ciò che si vuole, ma che non porterà molto alla soluzione della crisi) si torna a chiedere quello che la cancelliera in ogni caso già vuole: piu' fondi per la BEI e un uso piu' efficiente dei fondi strutturali EU.

Recentemente ho avuto sul tavolo i documenti sulla crescita dal ministero dell'economia e il progetto della SPD e dei Verdi, non ci sono grandi differenze. Che si parli di Eurobond o di un ruolo piu' attivo della BCE - per i socialdemocratici tedeschi non è nemmeno pensabile.

Ora si potrebbe dire: la cancelliera sta facendo tutto correttamente, e la messa in comune dei debiti, sia direttamente che indirettamente, è un errore. E' una posizione di cui si può discutere molto, ma una legittima posizione. La SPD è critica con il governo, ma non è capace di presentare un'alternativa. E' incredibile, e sempre piu' ridicolo.

Qualcuno dovrebbe chiedere: sviluppate alla fine un'alternativa - o restate in silenzio. 

domenica 17 giugno 2012

4 chiacchiere con Hans Werner Sinn


FAZ.net pubblica una lunga conversazione con Hans Werner Sinn, l'economista tedesco piu' famoso. Accanto ai suoi temi tradizionali, scopriamo che anche a Sinn questa Europa non piace proprio.
Hans Werner Sinn è l'economista tedesco piu' famoso. Gli abbiamo chiesto di descrivere quali sono i pericoli, quali le opportunità e cosa dovremmo fare. Una conversazione che va oltre l'economia.

Uscirà un'Europa diversa. Hans Werner Sinn, che ci dice questo, è l'economista tedesco piu' famoso e si riferisce prima di tutto agli aspetti economici. Non solo economici: considera anche i cambiamenti politici che nascono dai mutamenti economici. Stiamo assistendo ad un flusso di credito pubblico, ci dice, che guidato da una precisa scelta politica, sposta il risparmio tedesco verso il sud Europa. A causa delle decisioni politiche della BCE, e grazie ai fondi di salvataggio sempre piu' grandi, gli investitori non hanno piu' la possibilità di scegliere dove investire. Di fatto viene offerta una garanzia con denaro pubblico e i capitali si spostano dove questi, a causa del rischio eccessivo, non sarebbero mai andati.

Ci si deve immaginare H.W. Sinn come un uomo alquanto tranquillo. Ma la politica finanziaria europea mette la sua compostezza alla prova. Secondo lui si sta ripetendo esattamente lo stesso errore che ci ha portato alla crisi. Che il capitale a causa delle differenze di costo del lavoro fluisca dai paesi ricchi verso quelli poveri, non è un principio sbagliato. Il capitale nei pasi piu' poveri puo' essere piu' produttivo di quanto non accada da noi. Questo processo si è realizzato tuttavia con troppo slancio: abbiamo avuto una bolla inflattiva, i prezzi immobiliari sono cresciuti, le persone hanno pensato che i prezzi sarebbero saliti per sempre, hanno investito e si è messo in movimento un meccanismo impossibile da fermare, che è andato molto oltre l'obiettivo fissato. 

I problemi sono stati risolti con la stampa di denaro.

I prezzi e i salari nei paesi del sud, finanziati con credito a basso costo, sono cresciuti molto piu' rapidamente della produttività. Risultato: questi paesi hanno perso la loro competitività. Questo ha portato a deficit commerciali con l'estero che per essere finanziati hanno richiesto sempre piu' credito. La crisi finanziaria americana nel frattempo ha reso tutti piu' nervosi e si è iniziato a non fidarsi dei paesi del sud. Il credito che le banche e le assicurazioni tedesche direttamente o attraverso i loro clienti francesi avevano concesso in Grecia, ha smesso di fluire. Poi, secondo Sinn, questi paesi hanno risolto i loro problemi con la stampa di denaro. I greci volevano continuare a comprare le auto tedesche e si sono stampati il denaro di cui avevano bisogno per importare le auto.

Ma come funziona? Prima della crisi il denaro fluiva da Parigi ad Atene, ad esempio perché una banca francese lo aveva prestato ad una greca, i greci si compravano un auto tedesca, e il denaro usciva di nuovo dalla Grecia. Ora invece dalla Grecia esce solamente denaro. Questo deflusso di denaro viene misurato esattamente dai cosiddetti saldi Target. L'offerta di moneta in Grecia è sempre piu' ridotta e questo denaro viene "stampato", naturalmente non in banconote o monete, ma in forma elettronica. Che i saldi Target misurino il deflusso di denaro dalla Grecia, e indirettamente la quantità di denaro stampato, Sinn è stato il primo economista a scoprirlo. I saldi Target sono quindi uno strumento per la sostituzione dei flussi di credito privato attraverso la stampa di denaro.

Dietro al nostro avanzo commerciale, ci dice Sinn, c'è un risparmio tedesco: vendiamo all'estero piu' merci e guadagnamo da questo scambio, piu' di quanto compriamo all'estero. Dall'estero, perciò, le nostre banche e assicurazoni, per nostro conto, acquistano titoli di credito e altre attività.

Se il gioco si rompe...

Oggi l'area Euro non è piu' cosi'. I paesi del sud non piazzano piu' i loro titoli di debito presso istituti di credito tedeschi, ma si stampano il denaro per l'acquisto di beni. Fino ad ora le nostre banche hanno comprato all'estero con i nostri risparmi dei titoli negoziabili. "Ora", secondo Sinn "non funziona piu' così, le banche e le assicurazioni depositano il loro denaro presso la Bundesbank, e la Bundesbank riceve un credito verso l'Eurosistema; saldi di cui all'inizio si diceva fossero irrilevanti, posizioni statistiche di compensazione senza alcuna importanza".

Se il salvataggio greco dovesse fallire, lo stato e le sue banche andassero fallite, allora nell'Eurosistema sorgerebbero perdite per tutti gli altri membri. Perdite che sarebbero da suddividere fraternamente secondo la percentuale di partecipazione al capitale.  La Germania ne detiene il 28%. Circa 640 miliardi di Euro dei nostri patrimoni privati, che in forma di assicurazioni sulla vita o depositi sono stati impiegati all'estero e sono oggi dei crediti verso la Bundesbank. E  la Bundesbank a sua volta ha crediti verso il sistema BCE: crediti che non hanno una scadenza, e che vengono remunerati ad un tasso dell'1%. "Se il sistema dovesse esplodere, rimarrebbero 640 miliardi di crediti verso un sistema che non esiste piu'".

Per Sinn ne consegue: "siamo diventati ricattabili. La posizione nella negoziazione dipende normalmente da quello che potrebbe succedere nel caso estremo". Questo fa chiarezza su quali concessioni si è disposti a fare. "Negli ultimi anni abbiamo avuto saldi commerciali attivi per centinaia di miliardi di Euro verso il sud Europa ma abbiamo ricevuto in cambio solo dei crediti Target. Il sud Europa ha semplicemnte segnato sul conto".

Ma come si comportano le altre aree valutarie quando ci sono degli squilibri nella bilancia delle partite correnti? Gli americani, chiarisce Sinn, non permettono che i diversi distretti territoriali della FED facciano aumentare i saldi senza limite. In principio ognuno dei 12 distretti FED può ottenere piu' denaro di quanto ne sia necessario all'interno del distretto.  Denaro che i cittadini bonificano verso altri distretti per poter acquistare merci o per saldare debiti. Ma quando questo accade, i distretti della banca federale, che hanno ricevuto il denaro per conto della FED, una volta l'anno, ripagano i saldi con dei titoli realmente negoziabili.

Denaro che prima di tutto alimenta il consumo

Anche i saldi Target americani durante la crisi sono cresciuti, ma nel frattempo sono stati rimborsati fino a raggiungere un ammontare di 21 miliardi di Euro. Nell'Eurozona ci sono 947 miliardi di Euro segnati sulla lavagna, e la somma negli ultimi tempi è cresciuta rapidamente.  L'area Euro è stata salvata dirottando il risparmio di tedeschi, olandesi e finlandesi; purtroppo, aggiunge Sinn "senze che i risparmiatori o i loro rappresentanti capissero quello che stava accadendo".

Così questi paesi sono rimasti in vita economicamente con i risparmi di una minoranza. Gli scenari futuri disegnati da Sinn sono poco piacevoli: "Un giorno potrebbe anche accadere che gli stati indebitati ci dicano: abbiamo accumulato molto debito, che cosa volete fare, volete mandarci una nave per poter caricare tutti i soldi che vi dobbiamo? Purtroppo non possiamo pagare. Ci dovrete cancellare i debiti, come ora nel caso della Grecia. E allore per evitare il collasso di stati come l'Italia, si metterà in piedi una unione di trasferimento, permettendo in questo modo un finanziamento continuo di questi debiti".

Una parte del problema per Sinn è anche nel fatto che molto del denaro fluito verso i paesi del Sud, è servito a finanziare i consumi. "In Spagna almeno si è investito nelle infrastrutture. Ma in Grecia? Se si fosse investito nelle infrastrutture, la produttività sarebbe cresciuta e i greci avrebbero almeno dei prezzi competitivi e sarebbero in grado di vendere i loro beni. Ma non lo hanno fatto. Con l'Euro il paese è diventato troppo caro".

La Grecia dovrebbe diventare piu' economica del 37%, solo per raggiungere lo stesso livello della Turchia. Poiché i redditi erano alti e l'export troppo caro, il paese ha importato molto di piu' di quanto abbia esportato. Le persone capaci si sono spostate dal settore dell'export a quello dell'import. "Questa del resto oggi è la lobby piu' potente che impedisce al paese di tornare ad essere competitivo, visto che per tornare competitivi è necessario abbassare i prezzi. Con prezzi e tassi di interesse determinati, una riduzione dei prezzi si ha solo se si aumenta la produttività;  con una produttività determinata, accade solamente quando i salari o i tassi di interesse decrescono. In entrambi i casi non è facile, l'aumento della produttività richiede molti anni. Diventare piu' economici con una riduzione dei salari, va a sbattere contro la dura resistenza dei sindacati. Bisogna considerare: in Germania i prezzi fra il 1929 e il 1933 sono caduti del 23%. Ma sappiamo che cosa stava accadento allora".

Si continua a comprare tempo.

Questo non sta funzionando. E invece? "Quello che trovo terribile è che i politici europei ci vogliono convincere che esiste una soluzione per tenere la Grecia nella moneta unica: soluzione che di fatto non esiste. Credo che in molti tengano viva questa illusione per un solo motivo: hanno bisogno della Grecia come un ostaggio, in modo che il denaro per i salvataggi continui a fluire e gli stati onorino i loro debiti. La politica ha proclamato il dogma: ogni paese, grazie al denaro per i salvataggi, potrà rimanere nell'area Euro, anche se non è competitivo. Altrimenti è l'intera Europa a cadere". In realtà è solo un modo per comprare tempo - si compra tempo per aiutare gli attuali proprietari dei titoli del debito pubblico.

Fino a qui l'economia, ma che cosa significa politicamente? Sinn ha una sensazione spiacevole quando pensa che i suoi figli o i suoi nipoti saranno creditori dei paesi del sud Europa :"Non mi posso immaginare che sia un processo pacifico. La mia Europa era costruita sul buon vicinato, un Europa dove ci si può anche aiutare, dove si va daccordo insieme, ci si visita amichevolmente, e si fanno degli scambi. Non certo un Europa dove si fanno dei debiti enormi con i vicini di casa".

Sinn pensa che inviare un commissario per il risparmio in Grecia sia una pessima idea. "In questo modo attiriamo l'odio verso di noi. Invece di dare regole sul bilancio, dovremmo limitare i crediti pubblici che siamo disposti a concedere. Anche se in realtà sono dei regali veri e propri". Sarebbe stato molto meglio se avessimo donato direttamente il denaro, invece di farlo tramite un istituzione europea, dove il denaro è stato concesso con decisioni a maggioranza, e noi siamo diventati i cattivi. "Se avessimo organizzato spontaneamente un piano Marshall con lo stesso denaro, saremmo diventati gli eroi".

Che cosa possiamo fare allora? Per Sinn la Grecia ha solo una possibilità per tornare competitiva: uscire dall'Euro e svalutare. "Dopo le guerre abbiamo avuto molti fallimenti statali con svalutazione del cambio, e quasi sempre la svalutazione è stata la ricetta giusta. Nella transizione ci sono sempre difficoltà, c'è la tempesta sulle banche, che le persone svuotano, quando cominciano a fiutarla. Ma anche se portassero tutto il loro denaro fuori dal paese, questo non sarebbe nulla in confronto ai costi dei salvataggi".

116 piani Marshall per la Grecia

Dopo l'uscita, la Dracma si svaluterebbe automaticamente nei confronti dell'Euro, e l'economia greca riprenderebbe a crescere. " I greci tornerebbero a comprare i propri pomodori e il proprio olio di oliva, i turisti non andrebbero piu' in Turcia, ma in Grecia. Ma soprattutto i greci facoltosi tornerebbero in Grecia per fare acquisti a basso prezzo e per rifondare le aziende". Le difficoltà durerebbero, secondo l'esperienza del fallimento  e della svalutazione argentina, nemmeno un anno. In questo periodo sarebbe possibile sostenere la Grecia. 

In Grecia queste considerazioni sono un tabù politico, perchè i greci sanno, che se restano nell'Euro, potranno essere ancora sostenuti, e le banche poi sono indebitate in Euro. Anche la UE non ama fare riflessioni di questo tipo, perché fino a quando l'uscita della Grecia viene dipinta come un evento catastrofico, può spingere verso una unione di trasferimento .

Ci sono sicuramente degli effetti contagio. Ma dobbiamo confrontarli con quelli derivanti da un finanziamento duraturo di questi paesi. "Le somme di cui stiamo parlando sono gigantesche. La Grecia, inclusi i crediti Target e il taglio del debito ha ricevuto circa 460 miliardi di Euro. Il PIL annuo di questo paese è di 170 miliardi di Euro. Abbiamo già concesso fra 2 e 3 volte il PIL del paese. Un altro confronto: se avessimo voluto mettere in piedi un piano Marshall , che in proporzione al PIL abbia le stesse dimensioni  di quello ricevuto dalla Germania, allora la Grecia dovrebbe aver ricevuto 4 miliardi di Euro. Di fatto la Grecia ha ricevuto 116 piani Marshall".

L'esempio irlandese, secondo Sinn, ci fa vedere chiaramente che i mercati finanziari non mettono tutti i paesi in crisi nella stesso pentolone, come suggerisce la teoria del contagio: "L'Irlanda dal luglio dello scorso anno ha avuto un diverso andamento dei propri titoli:  il paese è riuscito ad eliminare i suoi deficit delle partite correnti". L'Irlanda è il solo paese ad aver veramente ridotto i suoi prezzi: negli ultimi 5 anni, in rapporto ai suoi concorrenti europei del 15%. Questo potrebbe essere dovuto alla forte lobby delle esportazioni locali e alla debolezza dei sindacati. Ma il motivo principale è stata la fortuna di essere entrato in crisi prima degli altri paesi, il fatto è che "l'Irlanda già nel 2006, 2 anni prima degli altri paesi, era entrata in difficoltà, e allora non c'erano fondi di salvataggio. L'Irlanda si è dovuta salvare da sola".

L'ambiguità del dono e del salvataggio

La dura verità, a cui nessuno sembra essere ancora giunto, per Sinn è, che un'industria dell'export esiste, se riesce a guadagnarsi il denaro, per poter importare i beni dall'estero. "Non è possibile aiutare i paesi regalando denaro. Questo lo ha detto anche un ministro greco in una recente intervista alla FAZ, quando ha affermato che la UE con i suoi aiuti ha distrutto l'industria dell'export di quel paese. Il denaro regalato causa sempre la distruzione della competitività. Gli economisti chiamano questo fenomeno la "malattia olandese", perché in Olanda l'industria dell'export è stata fortemente danneggiata, quando i giacimenti di gas hanno portato ad una rivalutazione della moneta". 

E se la parola "regalo" ha un doppio significato, anche la parola "salvataggio" è ambigua. Ad esempio si potrà dire, abbiamo salvato la Grecia. Sinn si domanda, se veramente la stiamo salvando, e chi stiamo salvando? "Salviamo i greci? Quello che in ogni caso stiamo salvando sono i portafogli obbligazionari. Per questo motivo Wall Street festeggia".

In Germania dietro questi salvataggi c'è il nostro passato. Noi tedeschi possiamo trovare un futuro solo in Europa. Il paradosso è che con la buona intenzione di rafforzare l'Europa, al contrario la si sta abbattendo.

Le banche e le assicurazioni spingono chiaramente per questo corso: hanno ancora molti assets in questi paesi, e ogni strategia di salvataggio dal loro punto di vista è desiderabile. Non vogliono essere salvate direttamente, perché  lo stato ne diventerebbe comproprietario. Dal punto di vista del contribuente, al contrario, sarebbe 10 volte piu' economico salvare le banche direttamente invece di farlo indirettamente. 

Che cosa significa questo per la Germania? Il resto di questo decennio per la Germania sarà un decennio d'oro. Potremmo perdere una parte del nostro patrimonio, ma avremo molta occupazione. Non bisogna naturalmente trascurare il fatto che per la Germania questa crisi ha avuto il vantaggio di invertire il flusso di capitali. "Ora sappiamo quanto può essere rischioso investire all'estero, e allora tutti vanno in cerca di investimenti sicuri in Germania, anche con una bassa remunerazione. Per questo oggi i tassi di interesse in Germania sono i piu' bassi nella storia della Germania, e abbiamo un boom delle costruzioni".

Problemi demografici

Nel prossimo decennio arriveranno i problemi demografici. "I babyboomer oggi hanno circa 47 anni, fra 13 anni, nel 2025,  avranno 60 anni, e poi andranno poco a poco in pensione. Nel 2030 la maggior parte sarà in pensione. La transizione sarà molto difficile per la Germania. Il debito pubblico sarà eccessivo per essere sostenuto dai lavoratori restanti. E presto andrà delusa la speranza che le assicurazioni private possano sostenere la seconda gamba della previdenza."

Questo significa che lo standard di vita che con i contributi pensionistici versati e con i risparmi accumulati ci immaginavamo di avere, non si realizzerà. Per ragioni demografiche ma anche a causa della crisi del debito. Quando una società ha troppo poco capitale umano, il capitale fisico deve mettersi al suo posto. Bisogna risparmiare. E ora scopriamo: questo risparmio è scomparso, perché è stato investito in obbligazioni nei paesi del sud Europa oppure è rappresentato da crediti verso la Bundesbank, che a sua volta ha dei crediti nei confronti delle banche centrali del sud Europa.

Una situazione senza via di uscita? Sinn non sarebbe un'economista, se dicesse di sì. Le uniche vie di uscita sono: prolungare l'età lavorativa, aumentare la formazione di capitale in Germania, piu' figli e l'immigrazione. Che cosa dovremmo consigliare ai nostri figli? "Certamente di non lasciare il paese. Il capitale del mondo arriva in Germania e Svizzera, perché qui abbiamo un sistema giuridico funzionante, una forte base industriale, un eccellente sistema di formazione professionale per i giovani che mantiene molto bassa la criminalità di strada e il disordine".

Quindi rimanere qui e risparmiare? "Sì, ma non risparmiate in ogni modo possibile, piuttosto in forma di titoli come le azioni, o in beni, meglio se con un registro della proprietà. Consiglio di concentrarsi su quello che ci sta vicino in maniera diretta: meglio rinnovare il bagno che comprare un certificato complicato. Vorrei anche consigliare: diventate cittadini responsabili e fate in modo che non si possa fare di voi qualsiasi cosa. Perchè è proprio così: chi pensa a breve termine, dovrà subirne le conseguenze per un lungo periodo" 

venerdì 15 giugno 2012

L'unione fiscale secondo Weidmann

Il presidente della Bundesbank delinea la futura unione fiscale e indica i passi necessari per l'introduzione degli Eurobonds: il governo di Berlino si allinea? da FAZ.net
Come dovrebbe essere una unione fiscale europea che funzioni veramente? Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann sull'argomento ha esposto la sua proposta.

Il presidente della Bundesbank Weidmann giovedi ha descritto il percorso verso una unione fiscale sostenibile. L'elemento irrinunciabile della sua proposta sono le rigide regole di bilancio. "Nel caso in cui un paese non rispetti le regole fissate sul bilancio pubblico, la sovranità dovrà ritornare automaticamente a livello europeo, in modo che il raggiungimento degli obiettivi fissati possa essere perseguito e garantito" ha detto Weidmann a Mannheim. Sarebbe desiderabile ad esempio una istituzione europea sovraordinata, che non solo possa pretendere un aumento delle tasse o un taglio alla spesa fiscale, ma anche senza una maggioranza in parlamento possa far applicare le sue decisioni in quel paese.

Se il rispetto delle regole di bilancio fosse garantito, sarebbe allora realizzabile una garanzia comune sotto forma di unione bancaria o di titoli del debito pubblico comuni, ha continuato Weidmann. Per la prima volta la Bundesbank ha descritto nel dettaglio, a quali condizioni sarebbe possibile realizzare gli Eurobonds.

Sarà decisivo prima di tutto un quadro legislativo affidabile e di lungo periodo: solo in un secondo momento potrà avvenire la messa in comune dei debiti. Se l'ordine fosse invertito, "ci potremmo aspettare che il secondo passo non avvenga mai, oppure che non sia adeguato", ha avvertito Weidmann. "Una responsabilità comune sui debiti può essere realizzata solo alla fine, non all'inizio del processo".

E' un equivoco pensare che la responsabilità comune sui debiti possa risolvere la crisi attuale, ha detto il presidente Bundesbank. Non sarebbe possibile in alcun modo nascondere la mancanza di progressi. "La condivisione della responsabilità sui debiti non può essere la risposta a una mancanza di riforme in Europa". Nonostante tutte le modifiche al quadro normativo, anche all'interno di una unione fiscale gli stati con degli squilibri finanziari o economici dovranno mettere in ordine i propri conti. "A seconda del progetto, una unione fiscale potrebbe contenere anche degli elementi di una unione di trasferimento" ha detto Weidmann.  E' tuttavia convinto che i cittadini non potrebbero accettare in alcun modo che i problemi strutturali nei singoli paesi siano alimentati con dei trasferimenti.

La legittimazione democratica come prerequisito

La condizione necessaria per una unione fiscale sostenibile, accanto ai diritti di intervento diretto, è la indispensabile legittimazione democratica in tutti i paesi membri. La sovranità nazionale e l'autodeterminazione dovranno essere cedute. Per fare questo è indispensabile una chiara espressione della volontà popolare.

"Solo in questo modo si crea fiducia e si fa in modo che il  nuovo quadro legislativo ottenga accettazione e sostegno dalla popolazione e quindi diventi stabile", ha detto Weidmann. Inoltre, sono necessari dei grandi cambiamenti nei trattati europei e nelle costituzioni nazionali. "Questo processo richiede tempo, ma è assolutamente necessario", ha continuato Weidmann. Dal punto di vista tedesco è importante che i fondamenti di una unione fiscale orientata alla stabilità siano protetti: non dovrà essere possibile modificarli con una semplice decisione a maggioranza. 

Chi ha messo nei guai la Spagna?


Mark Schieritz, economista e giornalista, su Die Zeit commenta il fallimento del salvataggio spagnolo: il governo tedesco ha commesso l'ennesimo errore. Ma questa volta costerà caro.
Il downgrade della Spagna è l'effetto di una politica di salvataggio sbagliata. La responsabilità di questo errore è prima di tutto del governo tedesco.

In questa crisi sono state prese molte decisioni sbagliate, ma nessuna di queste è stata così sbagliata come il pacchetto di salvataggio per la Spagna - e raramente era accaduto prima che la responsabilità fosse così chiaramente del governo federale.

La Germania - con gli applausi dell'opposizione - ha evitato che il fondo di salvataggio si facesse carico di risanare direttamente le banche. Al contrario, sono stati concessi crediti allo stato, in modo che possa intervenire autonomamente sulle banche nazionali. L'argomento a sostegno è che altrimenti non sarebbe stato possibile imporre alla Spagna delle condizioni rigorose per il salvataggio. 

Accade anche con i prestiti: fanno aumentare i debiti, e quindi è logico che l'agenzia di Rating Moody's declassi il debito spagnolo. L'operazione di salvataggio potrebbe di fatto far perdere alla Spagna ogni accesso al mercato dei capitali - e quindi i titoli del debito pubblico spagnolo perderebbero ulteriormente valore. Ma poiché le banche spagnole sono in possesso di molti titoli di stato spagnoli, nei loro bilanci si apriranno dei nuovi buchi. 

Detto diversamente: il credito di emergenza degli europei metterà nei guai lo stato spagnolo e le banche spagnole. Operazione riuscita, ma il paziente è morto. Se si intende continuare con i salvataggi in questo modo, l'Euro presto diventerà solo storia.

La Spagna presto avrà bisogno di molto denaro.

Senza dubbio non esistono soluzioni facili. Il fondo di salvataggio per ora non è equipaggiato per il salvataggio degli istituti di credito: in cambio delle sue iniezioni di denaro dovrebbe ricevere delle azioni bancarie e dovrebbe sovraintendere alla gestione e alla ristruttrazione degli istituti di credito.

Dovrà essere ridisegnato per essere all'altezza dei compiti affidati. Il governo federale sull'argomento non si è immischiato troppo perché temeva un dibattito interno sugli strumenti di salvataggio. Invece, un problema di ingegneria finanziaria (Come possiamo risanare le banche in maniera efficiente?) è stato reinterpretato in uno morale (Vogliono prendere i nostri soldi ma dobbiamo impedirlo).

Risultato: la Spagna a breve avrà bisogno di piu' soldi e ai tedeschi costerà molto

giovedì 14 giugno 2012

La cancelliera è pronta ad andare lontano?


Die Zeit commenta il discorso della cancelliera al Bundestag: è finalmente pronta a collaborare con gli altri paesi per la soluzione della crisi? Karsten Polke-Majewski da Zeit.de
La metà del mondo accusa Merkel di condurre la moneta unica verso il baratro. La sua risposta è un'offerta: se il sud Europa risparmia, la Germania rinuncia alla sovranità.

La cancelliera non ci libererà dalla crisi con la velocità di un fulmine. La sua risposta a tutte le richieste di trovare in fretta una soluzione alla crisi è tiepida: la forza della Germania non è infinita e non può essere sopravvalutata. Crescita e consolidamento fiscale devono andare mano nella mano. L'Europa deve rivedere le scelte non fatte 20 anni fa: costruire una unione politica come fondamento dell'unione monetaria. Come si può fare tutto questo? Passo dopo passo.

Queste parole pronunciate durante il suo intervento prima dell'incontro del G20, il prossimo lunedi, non sono la risposta che il mondo voleva sentire. Soprattutto di fronte alle nuove minacciose notizie in arrivo da Spagna, Italia, Cipro e poco prima delle decisive elezioni in Grecia.

La parole di Merkel hanno 2 destinatari. Il primo è l'America, e il suo messaggio è: la pressione produce contropressione. Se voi pretendete che la Germania apra i cordoni della borsa, allora io vi ricordo del vostro gigantesco disavanzo di bilancio pubblico o del fatto che gli Stati Uniti non sono stati capaci di regolamentare i mercati finanziari dopo la crisi bancaria del 2008.

Il secondo destinatario è l'Europa.  E qui le cose si fanno difficili. Perché l'Europa non vive solamente una crisi finanziaria ma anche una crisi di fiducia. Per Merkel la situazione si presenta in questo modo: in Italia le riforme sono ferme, in Francia è stata abbassata l'età pensionabile, in Grecia i politici vogliono rinegoziare il pacchetto di salvataggio. Di nuovo l'Europa non è in grado di mantenere le regole che si è data, ha detto la cancelliera. Perché la Germania dovrebbe dare piu' denaro, se non si può contare sulle promesse fatte?

Per i paesi del Sud il problema è in Germania: perchè un paese forte approfitta della debolezza degli altri e cerca di imporre la propria visione politica ed economia in tutta la zona Euro. Allo stesso tempo con la sua avidità spinge gli altri paesi verso la rovina, come accade ora con il pacchetto di salvataggio per la Spagna.

E' possibile risolvere questa contrapposizione? La chiave della soluzione potrebbe essere in quello che Merkel chiama unione politica. Sul tema a Brussel circolano molte idee: un'unione bancaria con un controllo indipendente; una unione fiscale con regole comuni per i bilanci pubblici; si discute perfino di una nuova organizzazione dei controlli democratici all'interno dell'EU. Il messaggio di Merkel all'Europa suona perciò: sono pronta ad andare lontano, e a rinunciare alla sovranità. Solo se, anche gli altri lavorano per un sistema affidabile e non agiscono a breve termine seguendo solo gli egoismi nazionali.

Münchau: con l'uscita dell'Italia dall'Euro, inizierebbe la nostra crisi

Wolfgang Münchau su Der Spiegel ci ricorda ancora una volta quanto la Germania avrebbe da perdere dalla fine dell'Euro. La Germania è davvero ricattabile e i paesi del sud Europa ne sono consapevoli?
Dopo le banche spagnole, anche l'Italia dovrà chiedere la protezione del fondo salva stati? Gli aiuti disponibili non saranno abbastanza - l'Eurozona rischia il crollo. Ma come avverrà il crollo?

Abbiamo avuto diversi avvertimenti, come recentemente quello di Christine Lagarde o di George Soros: l'Euro rischia di disintegrarsi entro tre mesi. Io condivido la previsione. Al centro del problema non c'è la Grecia, ma Spagna e Italia.  Il punto è che i meccanismi attuali di salvataggio in caso di escalation della crisi non sarebbero sufficienti.

Dall'inizio: dopo una breve fase di euforia, i mercati hanno espresso una forte perplessità nei confronti del piano di salvataggio proposto per la Spagna. Con le 2 inizioni di liquidità di dicembre e febbraio, la BCE ha aiutato le banche spagnole ad acquistare titoli di stato spagnoli. Con il salvataggio approvato nel fine settimana, si è invece dato allo stato spagnolo del denaro per salvare le banche. Nei mercati finanziari, questa doppio salvataggio, viene paragaonato a 2 ubriachi in un bar che si appoggiano l'uno all'altro per restare in piedi.

I tassi a 10 anni sui titoli spagnoli sono al momento intorno al 6.8 % - e questo nel mezzo di una recessione e con una disoccupazione di quasi il 30%. E' solo una questione di tempo: la Spagna dovrà chiedere la protezione del fondo salva stati. Secondo le stime di JP Morgan la Spagna dal 2012 al 2014 dovrà finanziare 350 miliardi di Euro di debito pubblico. Con i 100 miliardi che saranno concessi alle banche, l'intero meccanismo di finanziamento del  fondo di salvataggio sarebbe esaurito. Rimarrebbe forse spazio per Cipro, ma nulla per gli altri.

Il problema non è la grandezza del fondo ESM, ma la sua struttura. Gli stati che rimangono fuori dall'ombrello, garantiscono per tutti quelli che sono sotto la protezione del fondo. Se la Spagna chiede aiuto al fondo, succedono 2 cose allo stesso tempo. Le garanzie totali offerte crescono. E sono sempre meno i paesi a garantire per questi prestiti. 

L'Italia non era preparata all'Euro.

La Spagna può ancora trovare un po' di spazio sotto la copertura del fondo, ma per l'Italia non c'è alcuna soluzione. Con i tassi di interesse oltre il 6%, un debito pubblico del 120% del PIL, ed una mancanza di crescita strutturale, l'Italia non potrà restare nell'Euro. L'Italia ha bisogno degli Eurobonds - probabilmente anche di un taglio del debito e di una strategia per il miglioramento della competitività. 

La nomina di Mario Monti come capo di governo l'anno scorso era stata accolta con una certa euforia dai mercati, ma il bilancio è deludente. Ha puntato sulle riforme sbagliate, e gli è mancata una base di potere politico. I sondaggi sulla sua popolarità sono crollati, e all'interno della coalizione che lo sostiene gli manca spesso l'appoggio. Alcuni parlano addirittura della necessità di elezioni anticipate.

Ma il problema dell'Italia non è il suo primo ministro. Il paese non era preparato all'Euro. Con l'ingresso nella moneta unica ha perso progressivamente la sua competitività. Anche negli anni buoni l'economia cresce di appena l'1%. E ora il paese è in una profonda recessione e ha un governo debole con poco tempo disponibile. 

L'Italia non è molto lontana dal punto in cui, senza l'aiuto esterno, non potrà rifinanziarsi sui mercati. Ma l'Italia è troppo grande per il fondo di salvataggio: secondo JP Morgan da qui al 2014 dovrà rifinanziare sui mercati 640 miliardi di Euro. Italia e Spagna insieme arrivano a 1  trilione di Euro. Si dovrebbe raddoppiare le disponibilità del fondo per poter coprire i fabbisogni di entrambi i paesi. E l'onere  complessivo dovrebbe essere sostenuto da Germania e Francia insieme. Sarebbe un suicidio economico e politico.

La combinazione di unione bancaria, fiscale e politica potrebbe risolvere il problema. E non sarebbe merito del nobile principio dell'unione politica, ma del concreto alleggerimento del debito che in questa situazione avrebbe un effetto positivo. Risolvere la crisi con un comunicato stampa sarà tuttavia difficile. Se al vertice di fine mese ci si mette d'accordo su un piano di unione politica da realizzare in 10 anni, l'effetto non sfiorerà nemmeno i mercati, e l'Italia resterà nella solita trappola del debito.

Allora in Italia, a causa dei tassi di interesse troppo alti, la pressione politica per un'uscita dall'Euro potrebbe crescere. In una tale situazione, mi aspetto che l'Italia non onori il suo debito estero. A differenza della Spagna, l'Italia sarebbe in grado di fare un'operazione di questo tipo. Nonostante il livello elevato del vecchio debito, il paese ha infatti un deficit  relativamente basso, che rende il paese abbastanza indipendente dal mondo esterno.

Un'uscita dell'Italia farebbe molto male alla zona Euro.

Con un'uscita dall'Euro e un taglio del debito, la crisi interna italiana sarebbe bruscamente interrotta. La nostra invece sarebbe appena iniziata. La grande maggioranza delle banche europee sarebbe a un passo dal collasso. I debiti tedeschi crescerebbero molto rapidamente, perchè si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e si dovrebbero coprire le centinaia di miliardi di Euro di perdite legate al sistema Target -2. E chi pensa che fra i paesi europei non ci sarebbero profonde divergenze, allora non riesce a capire quello che sta succedendo in una crisi così profonda.

Un'uscita italiana danneggerebbe probabilmente molto piu' noi che l'Italia stessa - e questo sicuramente indebolisce la posizione tedesca nel negoziato. Non riesco proprio ad immaginare chi in Germania, a parte alcuni funzionari pubblici o degli economisti in pensione, possa avere interesse al collasso della moneta unica.

Quando l'ex capo economista della BCE Otmar Issing sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung argomenta contro l'unione fiscale e l'unione bancaria, nasconde le conseguenze che ci sarebbero se si seguisse il suo ragionamento. Poiché è un uomo intelligente, suppongo che prenda in considerazione tacitamente il collasso della moneta unica. Si occupa solo dei principi. La domanda che dovremo porci è se questi principi valgono una nuova crisi economica mondiale. Vogliamo ripetere gli errori che le precedenti generazioni hanno fatto seguendo fermamente i loro principi?

Comunque vada, sono gli ultimi mesi di questa fase della crisi. Potrebbe arrivare l'unione politica con una condivisione dei debiti: allora il conflitto si sposterebbe alla politica interna. Oppure l'Euro si disintegra. E allora avremo una categoria di crisi completamente nuova.
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