H. W. Sinn su Handelsblatt mette in discussione il risultato del famoso studio del CEP di Friburgo secondo il quale la Germania sarebbe il vero vincitore nella guerra dell'euro. Per il professore il discorso è un po' piu' complesso e lo studio del CEP sarebbe piu' che altro il tentativo di portare acqua al mulino dell'unione di trasferimento. Ne scrive H. W. Sinn su Handelsblatt
La Germania, secondo uno studio condotto da Matthias Kulla e Alessandro Gasparotti del Centro per la politica europea (CEP), sarebbe il grande euro-vincitore. Dal 1999 al 2017 l'euro avrebbe garantito alla Germania un profitto cumulato di poco meno di 1,9 trilioni di euro rispetto a un gruppo di controllo di paesi che dal 1980 al 1996 avrebbero goduto di una crescita economica simile. E' opportuno avere dei dubbi sulla portata di questi risultati.
Per la Germania, come gruppo di controllo, lo studio prende in considerazione paesi come il Bahrein, il Giappone, la Svizzera e il Regno Unito, poiché negli anni fra il 1980 e il 1996 in quei paesi è stata osservata in media una crescita pro-capite simile. Ma questo confronto non può funzionare perché i dati tedeschi a causa della riunificazione, nel bel mezzo di questo periodo, presentano una frattura strutturale.
Il fatto che il nostro paese dopo aver superato i problemi dell'unificazione sia cresciuto più rapidamente del Bahrain non ha nulla a che fare con l'euro. La gamma delle possibili spiegazioni spazia dalle riforme di Schröder, alla crescita dell'outsourcing e dell'innovazione industriale fino al boom delle costruzioni.
Naturalmente anche la svalutazione reale che la Germania ha vissuto all'interno dell'eurozona a causa dell'inflazione negli altri paesi ha permesso al PIL reale di crescere grazie alle esportazioni. Ma questa svalutazione allo stesso tempo ha reso la Germania relativamente più povera.
Fra i paesi che oggi hanno l'euro, il PIL nominale pro-capite tedesco nel 1996 era il secondo dopo quello del Lussemburgo. Poi nella difficile fase iniziale dell'euro è sceso fino al settimo posto del 2005. Dopo la crisi finanziaria, la Germania ha fatto meglio degli altri paesi e il PIL pro capito tedesco è risalito al sesto posto, dove si trova ancora oggi. I dati di un euro-vincitore dovrebbero essere diversi.
Il problema è che le esportazioni nel calcolo del PIL sono considerate come un indice di prosperità, anche se in realtà lo diventano solo nel momento in cui sarà certo che immediatamente o successivamente potranno essere convertite in importazioni per una somma di pari valore. In effetti le eccedenze commerciali tedesche non sono sempre state investite in maniera ragionevole, e spesso sono state utilizzate per acquistare titoli di debito esteri alquanto problematici. Una parte di questi titoli consisteva in obbligazioni di dubbia utilità, in gran parte di provenienza americana, il cui mancato rimborso ha contribuito al fatto che la Germania abbia dovuto cancellare centinaia di miliardi di euro di crediti esteri dal suo bilancio delle attività nette sull'estero.
Un'altra parte è rappresentata dai crediti contabili della Bundesbank all'interno del sistema Target, che a fine 2017 superavano i 900 miliardi di euro. Ciò rappresentava circa la metà delle attività estere tedesche residue, dopo le svalutazioni, generate grazie alle eccedenze nell'export.
I crediti Target sono crediti senza scadenza che la Bundesbank non potrà mai esigere e che vengono remunerati al tasso di rifinanziamento principale. E presto potrebbero finire nel fuoco se la Lega in Italia dovesse trasformare in realtà la sua minaccia di voler uscire dalla moneta unica. Ma anche se non dovesse accadere nulla di drammatico, restano privi di valore in quanto il loro tasso di interesse attualmente è pari a zero e probabilmente resterà a zero ancora per molto tempo. Per una società privata un credito senza scadenza, che non genera interessi e il cui tasso di interesse in seguito potrà crescere solo con l'accordo dei debitori, sarebbe un credito senza valore da svalutare completamente.
In questo contesto bisogna notare che la Germania sul suo enorme patrimonio estero netto in generale ha ottenuto solo degli interessi molto bassi. Se la Germania nel periodo che va dal dal 2008 al 2017 su queste attività estere nette avesse ottenuto lo stesso tasso di rendimento che aveva prima della crisi Lehmann, in questi anni ci sarebbero stati 600 miliardi di euro in più disponibili per il consumo di beni stranieri.
Per gli autori dello studio questi aspetti non sono rilevanti, perché il reddito proveniente dagli investimenti esteri non è nemmeno parte del prodotto interno lordo. Gli autori vedono il prodotto interno lordo tedesco come una misura di prosperità, anche se questo viene definito come i redditi dei tedeschi e degli stranieri realizzati in Germania più i deprezzamenti. Se per il loro confronto avessero usato il reddito nazionale, avrebbero potuto individuare le perdite.
Alla luce di questi deficit, lo studio del CEP dovrebbe essere considerato inutilizzabile. Ma sarà utilizzato lo stesso perché è l'acqua che serve al mulino di coloro che ora chiedono una ridistribuzione fiscale nella zona euro, per poter chiedere al presunto euro-profittatore tedesco di passare dalla cassa.
Famoso lo è sicuramente quello studio! :)
RispondiEliminaSinceramente io di economisti che accusino la Germania di essersi arricchita troppo con l'euro non ne ho sentiti molti. Ma al contrario ne ho sentiti molti che appunto sottolineano che l'enorme disfunzionalità dell'euro consiste proprio nel fatto di imporre svalutazione interna per inseguire un surplus commerciale che non è affatto in grado di generare prosperità. Sinn di fatto lo conferma. Forse lui dimentica che a differenza di quanto dicono alcuni giornali del suo paese (che sostengono che negli ultimi anni eurozona abbia vissuto una crescita "sostenuta") se invece che accumulare un mostruoso surplus massacrando il proprio mercato interno la Germania avesse fatto da vera locomotiva d'Europa, non ci sarebbero 1000 miliardi di crediti target2 (che sono serviti per pagare le esportazioni tedesche) gli altri paesi sarebbero cresciuti di più e forse la Bce avrebbe potuto davvero alzare i tassi. Il motivo per cui "gli altri" parlano di unione di trasferimenti, è proprio perché ritengono che porterebbe una stabilità al sistema per TUTTI, Germania compresa.
RispondiEliminaMa la teoria difesa da Si nn è molto semplice (ed inquietante):
Il sistema economico serve solo a garantire profitti alle aziende dei paesi più produttivi, chiunque altro MERITA di scomparire. Quindi la politica economica giusta è quella che fa gli interessi del più forte, non di TUTTI I CITTADINI DELL'UE INDIPENDENTEMENTE DAL PAESE.
"economisti che accusino la Germania di essersi arricchita troppo con l'euro non ne ho sentiti molti"
RispondiEliminaIo ho sentito invece molti economisti sostenere che una fetta ristretta di tedeschi ha avuto moltissimo da guadagnare dall'Euro! Sicuramente non tutti, e questo spiega il malcontento abbastanza evidente che si vede nel paese. Che la Germania abbia goduto di una sostanziale sottovalutazione nell'Euro è praticamente indubbio, altrimenti non si spiegherebbero i surplus commerciali assurdi. Che questo si traduca in un vantaggio per tutti è tutto un altro discorso, ma è anche abbastanza ovvio.
"Il motivo per cui "gli altri" parlano di unione di trasferimenti, è proprio perché ritengono che porterebbe una stabilità al sistema per TUTTI, Germania compresa"
Discorso vecchio: porterebbe stabilità ma certificherebbe il sostanziale sottosviluppo della periferia a favore del Centro. Si ripeterebbero le dinamiche perverse già viste con l'unificazione italiana, in cui vi è un Nord produttivo e un Sud sussidiato per comprare le merci prodotte al Nord.
E' questo il "grande futuro" che la UE doveva garantire? Direi che la montagna ha partorito il topolino! Anzi, la CIOFECA! No, grazie.
Guarda, capisco il tuo livore sul finale, ma è bene che ti metti il cuore in pace. Non si può essere tutti contemporaneamente produttivi allo stesso modo. E se si applica a sistemi economici diversamente produttivi un cambio fisso le economie divergeranno per forza. Questo porterà inevitabilmente alla crisi. Ora la cosa da definire è a cosa serva l'economia. Se l'obiettivo è l'uomo e la sua prosperità, o come dice la nostra costituzione "il pieno sviluppo della persona umana" e "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, sociale ed economica", l'unico strumento per garantire a tutti (anche ai vari sud del mondo) pari diritti e libertà (pari vuol dire uguali ma proprio uguali) è la solidarietà, nella forma di compensazioni. Si possono fare trasferimenti o si può aggiustare il cambio. Rifiutarsi di farlo vuol dire acuire le sofferenze e impedire permanentemente a chi è meno produttivo di crescere. Cioè esattamente il mondo di chi invece ritiene che chi è meno produttivo non ha diritto a niente. A te la scelta.
EliminaSappi però che i meno produttivi saranno inevitabilmente sempre molti di più e dopo un po' non accettano più di annaspare. La storia ci dice che in questi casi c'è un metodo standard per resettare tutto, ma è abbastanza catastrofico.
Oggi ho ascoltato e letto i bizzarri commenti degli esponenti di maggioranza di ambedue le formazioni politiche sul tema TAV e mi è venuto in mente il post che Giorgia Meloni ha pubblicato sul social Twitter venerdì scorso (se ricordo bene) a proposito delle grandi opere ferme. E' una lista lunga, una lista che rappresenta quanta spesa è ferma, sebbene a fronte di denaro stanziato, per un motivo o l'altro ma di cui l'euro e l'appartenenza alla UE non c'entrano nulla. Rammento poi quanto affermato in una recente trasmissione televisiva dalla europarlamentare Laura Comi, la quale faceva presente la quantità di fondi europei da noi non utilizzata perché non siamo stato capaci di ottenerli, mentre i Paesi dell'est hanno ad esempio una percentuale notevolmente maggiore di fondi utilizzati rispetto a quelli messi a disposizione. C'entra la moneta unica con questa incapacità? O piuttosto la incompetenza dei nostri amministratori a tutti i livelli di enti amministrativi? Sento ripetere la 'tiritera' che l'euro ha costretto Paesi come l'Italia ad una svalutazione interna (leggi abbassamento dei salari) per mantenere la competitività con le produzioni di nazioni come quelle del centro e nord Europa. Vado a vedere i dati Istat (e non solo!) e leggo che nel settore manifatturiero, ovvero quello in questione per quanto riguarda lo scambio di beni sul mercato internazionale, i salari sono aumentati più della produttività (quando i manuali di economia affermano che questi devono crescere di pari passo) e poco più dell'inflazione. Ad esempio nel periodo 2005-2018 Istat dice che l'indice delle retribuzioni contrattuali orarie per operai e impiegati (2010=100) è passato da 86,6 a 109,2, ovvero il 26% in più mentre per lo stesso periodo l'indice per le rivalutazioni monetarie per la medesima categoria è stato di 1,21 cioè i prezzi sono aumentati del 21%. Per curiosità, sempre da Istat, vado a vedere il dato relativo alla costruzione di immobili residenziali nel periodo 1999-2007 (prima dell'avvento della prima ondata di crisi non dovuta certo alla moneta unica) e rilevo che sono stati concessi 2,3 milioni di permessi di costruzione contro 1,8 milioni degli otto anni precedenti (1991-1999) e gli otto anni dal 1980 al 1988 con 2 milioni di autorizzazioni. Questi dati rispecchiano la percentuale aumentata sensibilmente di cittadini proprietari di abitazioni proprio negli anni a partire dal 1999. Insomma, non c'è dato che fornisca una correlazione euro-insieme di critiche ad essa addebitate! Su una cosa siamo ai vertici in Europa: il piagnisteo!
RispondiEliminaNon c'è dato? Guarda a caso produttività, occupazione, tassi di crescita, salari, servizi pubblici. Leggi il monito degli economisti firmato da 300 economisti e ricercatori pubblicato sul financial times.
RispondiEliminaNon ci sono dati eppure il parere mainstream (non sto scherzando, la quasi totalità degli economisti del mondo, anche se sui giornali nostrani non trova spazio) è che l'euro sia un assurdo esperimento fallito su tutti i fronti. E che se non lo si vuole correggere avrebbe molto più senso smantellarlo per il bene degli europei e anche un po' della stabilità geopolitica mondiale. Perché che ti piaccia o no, la guerra commerciale al mondo la stiamo facendo noi, e l'euro è la nostra arma principale. Poi se si estende il concetto di "euro" a tutti i meccanismi che lo tengono in piedi ti sorprenderà sapere che è impossibile (letteralmente) crescere senza accumulare surplus commerciali consistenti (http://www.risorse-associazione.it/index.php/altro/documenti/articoli-e-saggi-in-rete/263-crescita-e-moneta-unica-il-paradosso-della-politica-fiscale), il che vuol dire a spese degli altri, che non continueranno a pagare ancora per molto. Neanche Monti sostiene che non ci sono dati che testimoniano che l'euro non funziona.
Cerca meglio.
C'è un rapporto diretto tra le regole europee e la mancanza di investimenti... Anche in germania. La stessa cosa vale per i co-finanziamenti europei... Cose arcinote ma di che stiamo a parlare...
RispondiEliminaDal 1999 al 2007 la spesa pubblica è aumentata del 35%, con una media del 3,9% annuo. La spesa in conto capitale nello stesso periodo del 42%, di cui in investimenti fissi lordi del 36%. Poi è sopraggiunta la crisi finanziaria e la stretta sulle regole di bilancio ma, a guardare i dati Istat, dal 2007 al 2017 la spesa corrente è aumentata di 93 mld mentre quella in conto capitale è diminuita di 6 mld e di 12 mld quella in investimenti fissi lordi. E' una scelta politica come ripartire la spesa complessiva, 10 o anche 20 miliardi per gli investimenti si potevano trovare anche conciliando le regole UE. C'è chi ci ha anche fatto una analisi di spending review e ha scritto un libro. Le amministrazioni pubbliche raccolgono oltre metà della ricchezza in chiaro prodotta dai contribuenti e stiamo a parlare di vincoli di bilancio esterni!
EliminaRidicolaggine per ridicolaggine http://www.letteradeglieconomisti.it
RispondiEliminaSiamo nel 2010 (e senza andare a tirare fuori il famoso discorso del 78 di napolitano alla Camera contrario all ingresso nello sme che parlava di disoccupazione e deflazione..).. Non c'erano dubbi allora sul come sarebbe andata... Ce li poniamo adesso sul come funziona?
Dal 2010 al 2018 il PIL dell'eurozona a 19 è aumentato del 21% in termini nominali e i prezzi del 11%. La disoccupazione è calata dal 10,2% al 8,2% (Francia e Italia frenano la tendenza). Non c'è prova che ad un maggiore deficit si sarebbe avuta una maggiore crescita. Con buona pace di costoro che firmarono la lettera.
EliminaNon c'è prova. Una c'è e si chiama storia, l'altra si chiama realtà. Tutti i paesi che non hanno l'euro e non si sono preoccupati di tenere il deficit sotto una soglia che non ha alcun fondamento (non sto scjerzandoscherzando, il 3% è il deficit che ai tassi di crescita e inflazione del 92 avrebbe fatto calare il debito. Ai tassi di crescita e inflazione del 92) sono cresciuti di più, hanno occupazione più elevata, sono più produttivi. Inoltre il mondo intero ha vissuto una sola crisi mentre grazie all'euro e alle politiche "illuminate" dei paladini del sogno europeo (nei sogni per definizione quello che succede non è reale) ne hanno vissuta un'altra e stiamo entrando nella terza.
EliminaGuarda, io la pensavo esattamente come te. Cerca informazioni, perché vedrai che andando a fondo non troverai altro che critiche strutturali.
Nessun economista che vuole essere preso sul serio come tale si sogna di scrivere articoli scientifici che difendono a spada tratta l'euro (per il semplice motivo che non sarebbe scientifico e non verrebbe nemmeno pubblicato).
L'euro è una scelta politica, che semplicemente si basa sul sottomettere salari e occupazione a tutti i capricci dei mercati. Come previsto sta facendo a pezzi il mondo del lavoro e la produttività, e di conseguenza la tenuta delle economie.
Cerca a caso tra gli scritti di Sapir, Tooze, Stiglitz, Krugman, Kaldor ecc. Chi con grande anticipo chi più tardi hanno tutti sottolineato che l'euro così come non può che compromettere sul lungo periodo la stabilità economica e sociale.
Il simpatico Sinn stesso, che ha la memoria corta, proponeva (in mezzo a un delirio di teorie contraddittorie e assurde, come ad esempio che la crisi del 2011 è stata si dovuta a una pessima allocazione di capitale da parte del mercato, ma che non eè colpa del mercato che rimane bravissimo ad allocarlo) qualche hanno fa di istituire clausole di uscita perché riteneva assurdo e controproducente imporre politiche di austerità che avrebbero solo compromesso e non ripristinato la competitività dei paesi meno produttivi e messo a repentaglio la stabilità sociale.
https://www.economiaepolitica.it/il-pensiero-economico/la-debolezza-teorica-del-dogmatismo-ordoliberale-tedesco/
Se posso permettermi una domanda ti chiederei che lavoro fai e come ti mantieni.
Sei sicuro di ciò che hai scritto? PIL eurozona 2015 +2,1%; 2016 +2,0%; 2017 +2,4%; 2018 +1,8%. Nello stesso quinquennio la disoccupazione, sempre nell'eurozona, è scesa dal 10,9& al 8,2% nonostante i non buoni dati di Italia e Francia (Francia che ha registrato deficit ben oltre i parametri previsti dai trattati). L'eurozona non è l'Italia e l'Italia è parte dell'eurozona.
EliminaUnknown ha ragione, in modo decisivo. La comprensione storica, nemesi dell'imbonimento letterario/pubblicitario (perfino da una folta accademia di credo "globalista") ha prove massicce a svantaggio dell'euro, e di come la progressiva divaricazione socio-economica dei Paesi membri proseguirà in modo ineliminabile nel quadro attuale dei trattati. Bisogna uscire da questi ultimi, pur non escludendo la (non) impossibile idea di ritrattandoli sostanzialmente, anzitutto recuperando il pieno diritti di stringere nuove allanze; questo perché i trattati commerciali bilaterali sono il pane (reciproco) di un'economia in crescita con l'altra, e infatti/purtroppo vengono attualmente viziati da n un comune cappio al collo (aka, troika) penzolante in una stanza di carcerati.
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