Visualizzazione post con etichetta Makroskop. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Makroskop. Mostra tutti i post

martedì 9 febbraio 2021

Le nuove armi della Commissione Europea

"L'unico modo sensato di affrontare queste aberrazioni dell'integrazione europea è quello di minimizzarle ed eliminarle. Per il Recovery Fund, ciò significa che tutte le condizionalità che nulla hanno a che fare con l'effettivo uso dei fondi dovranno essere totalemente respinte", scrive il grande intellettuale tedesco Martin Hoepfner. La Commissione attraverso il Recovery Fund, secondo Hoepfner, intende mostrate tutto il lato autoritario del potere europeo, collegando l'erogazione dei fondi all'applicazione delle condizionalità dettate dalla stesssa Commissione, ovviamente al di fuori del processo democratico. I burocrati di Bruxelles, nel frattempo, tramite delle raccomandazioni hanno voluto mostrare i muscoli anche alla Germania, per Hoepfner tuttavia alla Cancelleria e nei ministeri tedeschi nessuno passerà notti insonni. Una riflessione molto interessante di Martin Hoepfner sul lato autoritario del potere europeo, da Makroskop.de


La settimana scorsa la stampa ha riportato una notizia importante. La Commissione europea ha comunicato alla Cancelleria e ai ministeri delle finanze e dell'economia che per poter ricevere i circa 24 miliardi di euro del Fondo per la ricostruzione ai quali avrebbe accesso, la Germania deve migliorare il suo programma di riforme. In particolare, Handelsblatt (25.1.21, pp. 8-9) e la FAZ (26.1.21, p. 16) riportano che la Germania dovrebbe riformare il suo sistema fiscale troppo progressivo, rafforzare la sostenibilità finanziaria del suo sistema pensionistico, liberalizzare le professioni regolamentate e abolire la separazione dei coniugi in ambito fiscale (Ehegattensplitting).

Ma tutto ciò sembra un po' strano. Condizioni per ottenere il denaro dal fondo di ricostruzione: non si trattava invece di discutere dell'uso concreto dei fondi, della digitalizzazione, della protezione del clima e dei meccanismi relativi allo stato di diritto? Il sistema tedesco di separazione fiscale fra i coniugi fa parte forse delle competenze dell'UE? Oppure, senza che ce ne fossimo accorti, contribuisce per caso a quegli squilibri interni all'Europa che hanno effettivamente bisogno di essere corretti e quindi rientrano nell'ambito delle procedure di controllo e di correzione macroeconomica gestite tramite il mecccanismo delle sanzioni?

Anche se questo fosse il caso (ma non è così ovviamente), cosa ha a che fare tutto ciò con il fondo per la ricostruzione? Scomponiamo e valutiamo i fatti.



Le condizionalità si spostano verso il fondo per la ricostruzione

Come è noto, la maratona negoziale del Consiglio europeo del luglio 2020 ha portato alla decisione di istituire un fondo per la ricostruzione da finanziare con dei prestiti comuni, fondo che dovrà fornire nei prossimi tre anni sovvenzioni a fondo perduto per 312,5 miliardi di euro e prestiti per 360 miliardi di euro (qui una valutazione economica). Un quinto del denaro è destinato ad accelerare la digitalizzazione e un terzo alla protezione del clima. I fondi saranno distribuiti tra i paesi partecipanti sulla base di un calcolo derivante dalla gravità del crollo del PIL causato dal Coronavirus lo scorso anno e il tasso di disoccupazione.

Tali fondi, tuttavia, non potranno essere spostati da una parte all'altra del continente senza condizionalità e controlli. Gli obiettivi dovranno essere ben definiti e non vi è alcun dubbio che dovranno essere effettuati dei controlli per assicurarsi che i fondi non finiscano in qualche pantano di corruzione. Tutti almeno sono d'accordo su questo punto. Ma la Commissione, il Parlamento europeo (PE) e alcuni Stati membri - soprattutto i "Cinque paesi Frugali" del nord volevano di più, mentre la Germania a causa della sua presidenza di turno sull'argomento è stata più moderata. In particolare si trattava di collegare il fondo a dei requisiti che nulla hanno a che fare con gli obiettivi e le procedure del fondo. Il Parlamento europeo, in particolare, voleva un meccanismo rigido fondato sullo Stato di diritto per poter agire contro Polonia e Ungheria (Andreas Nölke qui), e la Commissione, in particolare, chiedeva un collegamento con le raccomandazioni specifiche per i paesi del semestre europeo.

I negoziati su queste condizionalità si sono trascinati per quasi 6 mesi. L'accordo nell'ambito della cosiddetta "procedura del trilogo" fra la Commissione, il Consiglio e il PE è stato raggiunto solo poco prima di Natale, il 17 dicembre 2020. Purtroppo, il racconto che ne è stato fatto al termine era quasi esclusivamente incentrato sul meccanismo riguardante lo stato di diritto. Perché questo significava lasciare nascosto un fatto cruciale: vale a dire, che la Commissione aveva vinto su tutta la linea nel collegare il fondo ai requisiti specifici per ogni paese previsti dal semestre europeo (ecco il documento). La Commissione ha ottenuto esattamente quello che fin dall'inizio desiderava.

Il semestre europeo

Il semestre europeo esiste, almeno sotto questo nome, dal 2011, e riunisce diverse procedure sulla base delle quali l'UE può dare raccomandazioni di riforma ai suoi membri con diversi livelli di cogenza, senza bisogno di disporre di un proprio potere legislativo. Ne fanno parte le raccomandazioni generali specifiche per ogni singolo paese rivolte ai membri dell'UE a partire dal lancio della strategia Europa 2020; la procedura per i disavanzi eccessivi basata su sanzioni per i membri dell'eurozona, nata e cresciuta nell'ambito del Patto di stabilità e crescita del 1997, a sua volta radicato nei criteri di convergenza previsti dal trattato di Maastricht del 1992; e la procedura di sorveglianza e correzione macroeconomica introdotta nel 2012, in base alla quale le sanzioni possono anche essere imposte come ultima risorsa in caso di non osservanza. In altre parole una complicata proliferazione di procedure, giustamente accorpata al ciclo annuale dei semestri - se non altro, affinché le raccomandazioni delle singole procedure non si contraddicano grottescamente tra di loro.



Il semestre europeo di per sé non è una brutta cosa. Per quale motivo la Commissione non dovrebbe confrontare fra loro le politiche dei paesi dell'UE, identificarne gli obiettivi e, se possibile, le pratiche migliori, esaminare la generalizzabilità e la trasferibilità delle pratiche identificate e formulare consigli? E perché non dovrebbe anche essere garantito che almeno dopo averle "lette, derise e prese a pugni" - i governi non siano quindi chiamati ad affrontare seriamente le raccomandazioni e a formulare una risposta alla Commissione? Anche se naturalmente le raccomandazioni che escono dal semestre non sempre piacciono (per non dire altro), l'UE non dovrebbe astenersi dal perseguire tali forme di coordinamento "soft", oltre alla comune attività di legislazione.

Ma attenzione: se, con un processo graduale le raccomandazioni si appoggiano sempre di piu' alla possibilità di applicare sanzioni, a un certo punto non saranno più raccomandazioni, ma indicazioni per il legislatore costituitosi nell'ambito del processo democratico. Anche le direttive e i regolamenti europei alla fine sono delle istruzioni. Nell'ambito del Semestre, tuttavia, stiamo parlando di aree sulle quali l'UE non approva alcuna legge che sia vincolante per tutti, anzi, per le quali all'interno dei trattati spesso l'UE non ha avuto alcun potere normativo. Questo è esattamente il tipo di processo in cui siamo attualmente impegnati. Una procedura che doveva servire a un coordinamento morbido, sempre piu' spesso invece viene dotata del morso che trasforma le raccomandazioni non vincolanti in istruzioni obbligatorie sostenute da sanzioni.

La Commissione da molto tempo si sforza di individuare delle possibilità che vadano al di là della legislazione europea - con successo (Annika Holz qui). La storia recente dell'integrazione europea non è precisamente una storia fatta di ampliamento delle competenze legislative europee, ma una storia di irrigidimento delle direttive che vanno al di là della legislazione. L'UE ha fatto un grande passo in avanti durante e dopo l'eurocrisi introducendo delle procedure di correzione macroeconomica basate su delle sanzioni. È andata ancora piu' in là nel 2014, quando l'UE ha creato la possibilità di non erogare i fondi strutturali in caso di mancato rispetto delle raccomandazioni del semestre europeo. Ora continua su questa strada con delle ampie condizionalità previste nell'ambito del fondo per la ricostruzione. Sarà quindi necessario applicare un sottoinsieme significativo di raccomandazioni per poter prelevare denaro dal fondo (vedi pagine 12, 33 e 53 qui).

La strana scelta delle richieste fatte alla Germania

La minaccia fatta alla Germania di voler trattenere il denaro dal fondo per la ricostruzione è prima di tutto un atto simbolico. La Commissione vuole dimostrare i suoi nuovi strumenti di tortura e ovviamente dice a se stessa: se deve essere fatto, allora facciamolo per bene. Per la sua dimostrazione di potere, ha scelto raccomandazioni politiche particolarmente controverse, come l'abolizione del sistema di separazione coniugale in ambito fiscale, per il quale è davvero necessario usare una lente d'ingrandimento per poter individuare una qualche relazione a questioni di natura transnazionale.

Ecco una selezione di raccomandazioni per il 2019 (cioè un riferimento agli squilibri macroeconomici dell'eurozona) chiaramente più vicina ad una serie di problemi transnazionali a cui sarebbe stato opporturno ricorrere in relazione al fondo di recupero: la crescita troppo moderata dei salari (paragrafo 2), il tasso di investimenti pubblici troppo basso soprattutto a livello comunale (paragrafi 3 e 7), la spesa per l'istruzione troppo bassa (paragrafo 8), la costruzione di case al di sotto degli obiettivi (paragrafo 13) e l'ulteriore diminuzione della copertura della contrattazione collettiva (come se la Commissione esattamente su questo punto in Europa meridionale non avesse dichiarato guerra  - paragrafo 18).

La Commissione avrebbe anche potuto scegliersi delle raccomandazioni politicamente meno controverse, come ad esempio la correzione del basso livello di tasse ambientali in Germania (paragrafo 15) o ad esempio, il rafforzamento del personale docente nelle scuole (paragrafo 19). E nel contesto della pandemia, che in definitiva è stato l'impulso per il fondo di ricostruzione, un richiamo per aumentare l'attrattività delle professioni infermieristiche sarebbe stato abbastanza comprensibile (questa richiesta si trova anche nelle attuali raccomandazioni del 2020, paragrafo 19).

La provocazione della Commissione tuttavia non farà passare ai funzionari della Cancelleria e ai ministeri coinvolti notti insonni. Si può in pratica escludere che la dimostrazione di forza alla fine porti la Commissione a trattenere dei fondi nell'ambito del Recovery Fund a cui la Germania avrebbe diritto. In ogni caso, il piano tedesco di ricostruzione e resilienza, al quale la Commissione ha risposto, è un documento preliminare (si può leggere qui, alle pagine 14-15 ci sono le informazioni sulla compatibilità con le raccomandazioni del semestre). Il piano definitivo e corretto dovrà essere inviato alla Commissione entro l'aprile di quest'anno, dovrà poi essere valutato e, ci si aspetta che il Consiglio gli dia il via libera per lo sblocco dei fondi. Questo tuttavia però non dovrebbe oscurare la china scivolosa che l'integrazione europea ha preso su questo tema.

L'integrazione europea sulla strada sbagliata

Per chiarezza distinguiamo due modi di fare politica europea. Nella prima modalità, gli stati membri definiscono i campi politici nei quali vogliono agire congiuntamente sulla base di costellazioni di problemi transnazionali. Sulla scelta tra le alternative della decisione ha luogo a livello europeo una discussione comune. Tanto più queste discussioni paneuropee verranno condotte, tanto più si svilupperà una sfera pubblica europea - attualmente debole nel migliore dei casi. In questo modo, potrà gradualmente emergere uno spazio politico comune con veri partiti europei, mentre la politica europea potrà essere controllata democraticamente attraverso le elezioni.

Questa è più o meno la visione positiva della politica europea. Al momento, tuttavia, non c'è molto che suggerisca che questa possa diventare realtà. L'errata introduzione dell'euro, purtroppo, ha reso un cattivo servizio alla nascita di uno spazio politico comune, in quanto ha rafforzato le linee di conflitto che non corrono tra i partiti europei, ma tra i paesi. E questo è l'esatto contrario di uno spazio politico comune; il modo in cui i conflitti vengono risolti non può essere democratizzato (i partiti, non i paesi, possono essere eletti). Da buoni europei, tuttavia, non desideriamo forse che le possibilità di realizzare questa visione in futuro possano tornare a crescere?

Le direttive specifiche di Bruxelles, che differiscono da paese a paese, tuttavia, sono qualcosa di completamente diverso. In linea di principio non possono essere democratizzate a livello europeo, cioè non possono essere controllate per mezzo di elezioni democratiche a livello europeo, perché hanno non uno, ma 27 contenuti diversi. E a livello degli Stati membri hanno l'effetto di distruggere la democrazia.

Esse non tracciano la visione di una marcia verso una lontana Europa democratica, ma l'incubo di un approfondimento dell'Europa tecnocratica e autoritaria già esistente. Allo stesso modo, segnano l'arroganza da parte di Bruxelles di voler sapere meglio dei cittadini dei singoli paesi, cosa deve accadere nella politica degli stati membri. Il bilancio finale di questa arroganza è disastroso. Purtroppo, anche nello spazio progressista, le reazioni rimangono per lo piu' di accettazione. La tentazione di unirsi a loro è ovvia; dopo tutto, le risorse di potere che giacciono dormienti nell'Europa autoritaria sono inesauribili e allettanti. A chi non piacerebbe avere qualche briciola?

Tutto questo, ci si chiede da piu' parti, non sarebbe in qualche modo sostenibile se solo il Parlamento europeo oppure le parti sociali si mettessero di traverso? O forse il Comitato delle Regioni? Posso solo mettere in guardia dal tentativo di fare la pace con le modalità autoritarie tipiche della politica europea. L'unico modo sensato di affrontare queste aberrazioni dell'integrazione europea è quello di minimizzarle e abolirle. Per il Fondo di ricostruzione, questo significa che tutte le condizionalità che non hanno nulla a che fare con l'uso effettivo dei fondi dovranno essere fondamentalmente respinte.






giovedì 21 gennaio 2021

Wolfgang Streeck - A Bruxelles non hanno imparato nulla dalla Brexit

"La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo grazie al quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi delle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sulla Brexit. Da Makroskop una rilfessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sugli effetti della Brexit.


Da alcuni anni a Bruxelles si fa il possibile per non imparare nulla dalla Brexit, e per come stanno andando le cose, sembra anche funzionare.

Cosa si sarebbe potuto imparare? Niente di meno, ad esempio, che trovare un modo per scrollarsi di dosso la chimera tecnocratica, mercatocentrica e antidemocratica tipica di un impero neoliberale europeo centralizzato di fine Novecento, e per trasformare quindi l'Unione Europea in una comunità pacifica di Stati sovrani vicini e legati tra loro da una rete di rapporti di cooperazione reciproca non gerarchica, volontaria e paritaria.

Il sovranazionalismo è una scusa

Il funzionamento interno dell'Unione Europea è infinitamente complicato e decisamente opaco, ma c'è un principio che sembra valere ovunque. Per capirlo, bisogna comprendere la politica interna dei tre principali Stati membri, Germania, Francia e Italia, e le loro complesse relazioni trilaterali. Il sovranazionalismo non è altro che un velo dietro il quale si svolge l'azione vera, nazionale e internazionale.

La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo tramite il quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi alle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista



Gli inglesi non l'hanno mai capito veramente. Anche il servizio diplomatico britannico ha sempre trovato alquanto impenetrabile il sottobosco di Bruxelles. Mentre la Thatcher odiava l'UE - troppo straniera per i suoi gusti - Blair credeva di poterne diventare il suo Napoleone trasformandola, insieme a Chirac e Schröder, in una macchina per la ristrutturazione neoliberista: come un "grande unificatore continentale", questa volta però dall'esterno. Ma non è andata così: Francia e Germania lo lasciarono da solo a fare l'aiutante del suo amico americano, facendolo andare da solo in guerra in Iraq, fino ad arrivare poi alla sua caduta.


Nel 2015 Cameron poi ha appreso che anche la grande e potente Gran Bretagna, abituata da sempre a governare le onde degli oceani del mondo, non era riuscita ad ottenere da Merkel nemmeno le piu' minuscole concessioni sulla libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico, concessioni di cui aveva bisogno per poter vincere il referendum del 2016 - che, dopo tutto, avrebbe dovuto scolpire nella pietra l'adesione britannica all'UE.

La mancanza di comprensione reciproca ha portato alla Brexit

E in Germania poi nessuno si è mai preoccupato di come le frontiere aperte di Merkel nell'estate del 2015, quando la Cancelliera permise a un milione di rifugiati di entrare nel Paese, avrebbero potuto influenzare il voto britannico. La maggior parte dei rifugiati, infatti, proveniva dalla Siria, da dove erano stati sfollati a causa di una guerra civile che l'amico americano della Germania continuava ad alimentare senza tuttavia riuscire a fermarla. Per Merkel, questa era l'occasione per correggere l'immagine da "regina di ghiaccio" concquistata nella primavera dello stesso anno, quando aveva fatto sapere che "non possiamo accettarli tutti".

La mancanza di comprensione è stata reciproca. Nessuno nel continente credeva che il governo Cameron avrebbe potuto perdere la scommessa del referendum. Gli unici britannici con cui le classi istruite del continente parlavano, del resto, appartenevano per lo piu' alle classi istruite delle isole britanniche, ed erano incondizionatamente innamorati dell'UE per una serie di ragioni, spesso incompatibili tra loro. Per gli euroidealisti di centro-sinistra, l'UE poteva essere considerata l'anteprima di un futuro politico senza la macchia di un passato politico, uno stato virtuoso per antonomasia, se non altro perché non era ancora uno Stato - "Europa" come opportunità per la rifondazione morale dall'alto di un paese post-imperiale.

Altri che invece sapevano come funziona Bruxelles, devono aver riso di ciò sotto i baffi - soprattutto una classe politica che da tempo aveva imparato ad apprezzare la possibilità di spedire le questioni difficili direttamente nelle viscere dell'imperscrutabile Leviatano di Bruxelles, dove potevano essere spezzettate e smontate in modo irriconoscibile.

Tra questi ultimi c'erano i Blairiani post-Blair del Partito Laburista. Dopo aver perso il potere e dovendo confrontarsi con una classe operaia che secondo la buona tradizione britannica vedevano come arretrata, erano finalmente felici di poter importare un residuo di politica sociale e regionale da Bruxelles. Ma in questo modo non gli sarà sfuggito che Bruxelles invece non era stata in grado di offrire nulla di significativo, anche perché i governi britannici, incluso il New Labour, avevano già fatto fuori la "dimensione sociale" del "mercato unico" sottoponendolo ai sacri imperativi della "competitività" economica. E questo era destinato a ritorcersi contro di loro, proprio nel momento in cui gli elettori hanno cominciato a chiedersi perché il loro governo nazionale li avesse lasciati indifesi di fronte alla natura selvaggia dei mercati globali, consegnando la responsabilità sui loro cittadini a una potenza e a un tribunale straniero.

Le trattative sul divorzio condotte a porte chiuse

Quando Cameron, deluso da Merkel e Co, ha perso il referendum, lo shock è stato profondo, ma poi la politica dell'UE ha ripreso il suo ritmo abituale. La Francia vi ha visto un'opportunità per rispolverare il suo concetto originale di Europa integrata: vale a dire un'estensione dello Stato francese, con l'obiettivo specifico di incorporare la Germania in un'alleanza dominata dalla Francia. Nel caso in cui la Gran Bretagna avesse cambiato idea e i Remainers avessero prevalso, il ritorno all'ovile avrebbe dovuto essere abbastanza umiliante da precludere ogni possibilità di una futura leadership britannica.

Da parte dell'UE, le trattative per il divorzio sono state condotte dal diplomatico francese Michel Barnier, uno dei tecnocrati più importanti sulla scena di Bruxelles. Ha giocato in maniera dura fin dall'inizio, lasciando i revisionisti referendari sul lato britannico, come si dice, "a soffrire la fame". Ma questo non significava voler rendere facile la partenza degli inglesi. Ed è qui che è entrata in gioco la Germania, con il suo forte interesse a mantenere la disciplina tra gli Stati membri dell'UE. Macron e Merkel sin dall'inizio hanno insistito sul fatto che l'accordo per il divorzio avrebbe dovuto essere costoso per la Gran Bretagna, preferibilmente con l'impegno ad accettare per sempre le regole del mercato unico e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, anche dopo l'uscita. Per la Germania si trattava di dimostrare agli altri Stati membri dell'UE che qualsiasi tentativo di rinegoziare i rapporti con Bruxelles sarebbe stato inutile e che i diritti speciali sia all'interno che all'esterno dell'Unione erano del tutto fuori discussione.

Sarà compito degli storici scoprire che cosa è accaduto realmente tra Francia e Germania durante i negoziati fra UE e Regno Unito. Non esiste al mondo un sistema politico democratico, o apparentemente democratico, che funzioni cosi' tanto a porte chiuse come accade all'Unione Europea. Malgrado l'interesse dello Stato tedesco per la disciplina europea, l'industria tedesca delle esportazioni deve essere stata interessata a mantenere un rapporto economico amichevole con la Gran Bretagna post-Brexit e deve averlo comunicato al governo tedesco senza mezzi termini.

Pubblicamente, però, non c'è stato alcun segnale di ciò: né nella strategia di negoziazione di Barnier né nelle dichiarazioni di Merkel. Molto probabilmente perché la Germania all'epoca stava subendo la pressione di Macron finalizzata a sfruttare l'uscita del Regno Unito come un'opportunità per una maggiore e più rigorosa centralizzazione, soprattutto in termini fiscali - un tema sul quale la riluttanza della Germania ad accettare accordi che in futuro potrebbero costarle cari aveva incontrato il tacito sostegno britannico, anche se il Regno Unito non era un membro dell'eurozona.

Con l'avvicinarsi del giorno del "Deal or no-Deal" si è messo in pratica il consueto rituale del negoziato fino all'ultimo minuto, e Merkel probabilmente è riuscita ad imporre il suo peso politico in sostegno delle richieste dell'industria tedesca dell'export. Il Regno Unito era stato umiliato a sufficienza. Durante le ultime sessioni negoziali, Barnier, sebbene ancora presente, non ha più parlato in nome dell'UE; il suo posto è stato preso da uno stretto collaboratore della Von der Leyen. Per concludere in bellezza, la Francia ha utilizzato il nuovo ceppo "britannico" del coronavirus per bloccare due giorni il traffico merci dal Regno Unito verso il continente, ma questo non ha potuto impedire la conclusione dell'accordo. La strategia di negoziazione ad alto rischio di Johnson è stata premiata con un trattato grazie al quale giustamente il premier ha potuto rivendicare il ripristino della sovranità britannica. Ha pagato con un bel po' di pesce, ma questo punto è stato misericordiosamente coperto dall'ulteriore sviluppo della pandemia.

Quali saranno le conseguenze di quanto accaduto?

La Francia ha assunto 1.300 funzionari doganali supplementari che potranno essere impiegati per perturbare le relazioni economiche tra la Gran Bretagna e il continente, Germania compresa, ogni volta che il governo francese dovesse ritenere che le "condizioni concorrenziali eque" contenute nell'accordo non vengano più rispettate. Francia e Germania sono riuscite a dissuadere gli altri Paesi dell'Unione Europea, soprattutto ad est, dal rivendicare l'accordo con la Gran Bretagna come un precedente per le loro aspirazioni ad avere una maggiore autonomia nazionale. La pressione all'interno dell'UE in favore di un'alleanza più cooperativa e meno gerarchica non si è concretizzata. E i successori di Merkel dovranno affrontare un rapporto con la Francia ancora più complesso che in passato, dovendo ora resistere agli abbracci francesi senza il sostegno britannico, sullo sfondo delle incertezze dell'amministrazione Biden.

Per quanto riguarda il Regno Unito, per il gruppo Lexit ora sarà di nuovo il Parlamento britannico a governare, indipendentemente rispetto ai trattati europei e alla Corte di giustizia europea, e quando le cose andranno male i cittadini britannici potranno chiamare in causa solo il loro governo nazionale. Gli euro-revisionisti, inoltre, chiamati dai loro avversari "Remoaners", sembrano aver rinunciato a fare la loro opposizione, almeno per ora, anche se presumibilmente continueranno a cercare delle tutele nei confronti del rigido parlamentarismo maggioritario dello stato britannico.

E' possibile che la Scozia possa separarsi dal Regno Unito, se il Partito nazionale scozzese riuscisse a capitalizzare il sentimento pro-europeo con la promessa di candidarsi per il posto lasciato vuoto dallo stato britannico alla Tavola Rotonda di Re Emmanuel, per il momento composta da 27 membri. Ciò equivarrebbe a cedere la sovranità nazionale scozzese a Bruxelles, subito dopo averla riottenuta da Londra, dimenticando le contrastanti esperienze storiche fatte dalla Scozia con gli alleati e i governanti francesi.

Fino a quando ci sarà la prospettiva di un'adesione scozzese all'UE, si può escludere che Bruxelles abbia effettivamente imparato qualcosa dalla Brexit. D'altra parte, dato che l'apprendimento a Bruxelles in ogni caso è un fenomeno alquanto insolito, la questione potrà essere lasciata al buon senso degli scozzesi.


domenica 12 luglio 2020

Heiner Flassbeck - Anche i giudici supremi possono sbagliare

"Non vi è alcuna separazione o demarcazione netta tra politica monetaria e politica economica, non c'è mai stata e mai ci sarà. Non sarà mai ripetuto a sufficienza: la separazione prevista dal Trattato di Maastricht è dovuta esclusivamente al monetarismo, una dottrina sui sistemi monetari fondamentalmente errata che a livello globale e nella maggior parte dei paesi è stata superata e messa da parte da almeno vent'anni. Per quanti decenni ancora nei tribunali europei si dovrà discutere di tali assurdità?", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck dopo il recente voto del Bundestag che di fatto archivia la sentenza della Corte di Karlsruhe del 5 maggio. Per Flassbeck ancora una volta in Germania si è scelto di continuare a mettere la polvere sotto il tappeto, invece di affrontare il problema di fondo: la profonda inadeguatezza dei trattati europei. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop


Quello che è accaduto alla sentenza della Corte costituzionale federale probabilmente potrebbe essere considerato come un funerale di terza categoria. Nei giorni scorsi, infatti, il Bundestag ha esaminato e approvato il materiale che la BCE ha fatto pervenire al Parlamento tedesco tramite la Bundesbank.

Questo materiale spiega come la BCE, in tutte le sue decisioni, abbia fatto in modo che il principio di proporzionalità, richiesto - in modo del tutto sproporzionato - dalla Corte costituzionale, non venisse violato. La maggioranza del Bundestag è giunta alla conclusione che la proporzionalità è stata soddisfatta anche nel senso della sentenza della massima Corte tedesca e che ora si possa passare al normale ordine del giorno. La Corte di Karlsruhe probabilmente sarà soddisfatta. La Corte costituzionale, come ha recentemente confermato il relatore della sentenza della BCE, il giudice Peter Huber, non ha nulla a che vedere con l'esecuzione effettiva della sentenza.

Dopo una conclusione della vicenda piuttosto tranquilla, i querelanti in azione permanente della truppa di Gauweiler, probabilmente stanno già preparando un altro ricorso e proveranno ad attaccare un'altra volta il nuovo programma di acquisti della BCE. Il tribunale poi per diversi anni ancora sarà impegnato a cercare di emettere una sentenza su una questione che è completamente estranea ai giudici, pur con il loro alto livello di competenza giuridica, e che probabilmente rimarrà tale per sempre.

Questo dimostra che mettere la polvere sotto il tappeto, il  principio politico di fondo in Germania, è la più assurda fra tutte le "soluzioni" possibili, perché alla fine ci sarà sempre qualche "testa dura" che avrà l'audacia di sollevare il tappeto. Se la politica si fosse occupata pubblicamente e seriamente del verdetto e avesse chiarito alla Corte costituzionale quanto questo fosse sbagliato, avrebbe reso un servizio duraturo alla democrazia, allo stato di diritto e probabilmente anche alla Corte.

Se la terra fosse piatta per legge...

E' chiaro che se al tribunale di Karlsruhe fosse stato risparmiato di dover trattare un'altra volta con la BCE, alla fine gli avrebbero fatto un favore. In ogni caso, quello che dice il giudice Huber alla FAZ suona più o meno come una "voglia zero", sempre che sia permesso descrivere la motivazione della più alta corte tedesca in modo così irrispettoso. Anche dal punto di vista del contenuto, le successive esternazioni dei giudici hanno una nota di rassegnazione che non può essere ignorata. Ovviamente la Corte di Karlsruhe è rimasta scioccata dalla veemenza e dalla forza delle critiche espresse nei confronti della sua sentenza. Ma proprio questo punto solleva una questione di principio, che in uno Stato di diritto non dovrebbe mai essere evitata: come bisogna affrontate un verdetto della massima Corte che di fatto è evidentemente sbagliato?



Il giudice Huber dice infatti intervistato dalla FAZ:

"La demarcazione fra politica monetaria e politica economica viene indicata dai trattati. In ogni caso, finora non c'è stata alcuna demarcazione di competenze ad averci convinto pienamente. Questo non significa che non esista, e sarei felice di esserne sorpreso"

Sì, non ci si può fare nulla, quello che dicono i Trattati è immutabile. Se i "Trattati" affermassero che la terra è piatta, i giudici sosterrebbero allora che non vi è alcuna prova di una tesi sferica che possa convincere i giuristi e che quindi si deve continuare ad agire come se la terra fosse un disco?

La giurisprudenza, ed è quello che si può concludere da queste parole, di fatto non ha alcuna procedura e nessun mezzo per proteggersi dall'essere vittima di leggi che contengono qualcosa di impossibile da attuare o di semplicemente sbagliato.

Non vi è alcuna separazione o demarcazione netta tra politica monetaria e politica economica, non c'è mai stata e mai ci sarà. Non sarà mai ripetuto a sufficienza: la separazione prevista dal Trattato di Maastricht è dovuta esclusivamente al monetarismo, una dottrina sui sistemi monetari fondamentalmente errata che a livello globale e nella maggior parte dei paesi è stata superata e messa da parte da almeno vent'anni. Per quanti altri decenni ancora i tribunali europei dovranno discutere di questa assurdità e si faranno trascinare da queste assurdità impersonate da soggetti come il signor Gauweiler, che sono completamente ignoranti in materia di politica economica?

In altri casi, al contrario, la Corte costituzionale federale era stata meno impotente quando si era trattato di giudicare su leggi che considerava insostenibili. Perché invece la Corte costituzionale in questo caso non afferma chiaramente che gli Stati europei possono ovviamente cooperare in materia di politica monetaria, ma non è possibile farlo nel modo in cui viene stabilito dai trattati.

... dovremmo poi anche rispettare questa legge?

Molti dicono che l'Europa deve convivere con il fatto che queste leggi (i trattati) esisteranno per sempre, perché non sarà mai raggiunta l'unanimità necessaria per una modifica dei trattati da parte dell'esecutivo. Ma questo è un argomento senza senso. Se non si riesce a rispettare i trattati, non si è tenuti a rispettarli. Nessuno deve rispettare i trattati che si basano su degli errori oggettivi.

Ed è quello che abbiamo in questo caso. Al momento della firma del Trattato di Maastricht, infatti, le parti contraenti hanno erroneamente ritenuto che esistesse una politica monetaria e del cambio che potesse essere chiaramente distinta dal resto della politica economica e che non potesse avere un impatto "sproporzionato" sull'economia reale. Ma non può esistere nulla del genere. L'unica cosa che si può fare ora, quindi, sarà chiarire chi e in quale forma potrà dare lo stimolo necessario a modificare questi trattati.

Come nel resto della vita giuridica, l'impulso a cambiare le leggi può venire anche dai tribunali. Se la Corte Costituzionale tedesca dovesse ammettere il suo errore, dovrebbe anche cogliere la prossima occasione per far capire al legislatore tedesco e, tramite la Corte di Giustizia europea, al legislatore europeo, che i cittadini europei non devono e non possono vivere con leggi che non possono essere rispettate. Invece di esigere che la politica rispetti dei vecchi trattati ormai tramontati, il grande potere indipendente all'interno dello Stato dovrebbe obbligare i politici a negoziare dei nuovi trattati piu' realistici.

Chi non vuole abusare del potere deve sapere

Per prepararsi a ciò, tuttavia i giudici dovranno informarsi in modo molto più ampio e approfondito. La sentenza sbagliata della Corte di Karlsruhe si basa chiaramente su informazioni insufficienti in merito al quadro complessivo, dato che il tribunale ha raccolto informazioni in modo estremamente unilaterale. L'Associazione Federale delle Banche Tedesche non è certo un'organizzazione presso la quale il più alto tribunale tedesco può rifinanziarsi spiritualmente e mentalmente.

Se, d'altra parte, il tribunale avesse preso piu' tempo per ascoltare gli esperti di tutte le direzioni economiche e si fosse formato un giudizio autonomo su questa base, probabilmente avrebbe scoperto da solo ciò che è ovvio a tutti, e cioè che il monetarismo non poteva essere una base adeguata per il Trattato di Maastricht, ed oggi è diventato completamente obsoleto.

Ci sarebbe voluta poi tutta l'abilità dei giudici per arrivare da questa intuizione fino ad una soluzione costruttiva per l'Europa intera. Anche in questo caso, infatti, una richiesta di rinvio da parte della Corte di Giustizia sarebbe stata comunque un modo per risollevare fino al giusto livello decisionale una questione indubbiamente europea. Entrambi i tribunali avrebbero dovuto chiedere in maniera congiunta al legislatore europeo, attraverso la Commissione europea, di redigere dei nuovi trattati e di sottoporli alle istituzioni europee. I Trattati, avrebbero dovuto affermare i giudici, indirizzano la vita politica europea e rendono la politica monetaria della BCE una parte integrante della politica economica europea, che a sua volta fornisce il quadro macroeconomico per le azioni dei governi nazionali.

Finora, di conseguenza, facendo riferimento a quanto affermato dal giudice Huber, non vi è stata una delimitazione convincente delle competenze, poiché questa non può emergere dai fatti. Nulla di ciò che la BCE finora ha riferito sarà in grado di dimostrare la ripartizione delle competenze attesa dal tribunale di Karlsruhe. L'unica cosa che sarà provata è che la BCE ha valutato le conseguenze delle sue politiche, le ha comunicate all'esterno e ne ha discusso con i politici.

Non è quello che la Corte si aspettava. Di conseguenza, sarebbe sbagliato accettare semplicemente questo messaggio da parte dei politici e della BCE. Dei giudici intelligenti non aspettano che l'impossibile diventi possibile, ma fanno in modo che le leggi corrispondano alle reali possibilità delle persone.


mercoledì 1 luglio 2020

Heiner Flassbeck - La banalità di Weidmann

"Se volete capire cosa ci sia di fondamentalmente sbagliato in Germania, allora basta leggere le interviste al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Weidmann probabilmente crede che possano tornare i bei tempi andati in cui gli altri peaesi europei si indebitavano e l'industria tedesca continuava ad esportare come se non ci fosse un domani. La situazione, purtroppo per gli industriali tedeschi, è cambiata, e prima lo capiscono meglio sarà per tutti. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop.de


Se volete capire cosa ci sia di fondamentalmente sbagliato in Germania, allora dovreste leggere l'intervista che il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha rilasciato alla FAZ. Se l'avete letta, la maggior parte di voi dirà: sì, come al solito, è quello che ci si può aspettare oggi da un politico.

Esattamente! E questo è il problema. Nell'intervista la parte piu' interessante è proprio quello che non viene detto.

Che cosa dovrebbe dire ai cittadini un presidente della Bundesbank che politicamente vuole essere davvero indipendente? Ebbene, dovrebbe naturalmente commentare la domanda che gli viene posta dalla FAZ, ovvero se ci sono e quali sono i limiti al debito pubblico. La FAZ fa esattamente questa domanda, e usa anche una parola chiave molto interessante:

"Fare debiti non era mai stato cosi' sexy. Non ci sono limiti al debito pubblico, da quando è iniziata la crisi ce lo hanno spiegato anche molte persone che meritano di essere prese sul serio. La casalinga sveva non riesce piu' a tenere testa".

Un presidente della Bundesbank politicamente indipendente e illuminato, avrebbe dovuto rispondere che i debiti non hanno nulla a che fare con il sesso e che i tempi in cui si poteva argomentare usando la storia della casalinga sveva purtroppo sono finiti da tempo. Non è stato forse proprio lei, avrebbe dovuto chiedere al condirettore della FAZ, Gerald Braunberger, ad aver scritto piu' volte che i tempi sono cambiati perché in tutto il mondo le aziende non fanno piu' debiti e sono diventate invece delle risparmiatrici?

Cosa avrebbe dovuto dire

Il presidente della Bundesbank avrebbe dovuto sottolineare che la Bundesbank ogni anno, a partire dagli anni '50 (un risultato pionieristico!), calcola in tutti i settori i saldi netti fra accreditamento e indebitamento come supplemento ai conti nazionali (ad esempio qui), e da questi è possibile capire che non esiste più la tradizionale divisione dei ruoli: da una parte le famiglie che risparmiano per ragioni di prudenza, dall'altra le imprese che fanno i debiti rendendo cosi' possibile il risparmio. Avrebbe dovuto anche dire che in una grande economia relativamente chiusa come è l'Unione Monetaria, ciò significa necessariamente che sarà lo Stato o saranno gli Stati a doversi assumere il compito di fare debiti, almeno fino a quando non ci saranno strumenti politici disponibili (oppure ci sarà la volontà di utilizzarli) per costringere le aziende a tornare a fare debiti.

A tal proposito avrebbe dovuto anche dire che la casalinga sveva da diversi anni non trova piu' nel settore privato il solito partner che le dà la possibilità di risparmiare. La soluzione tedesca, avrebbe dovuto dire il membro del Consiglio direttivo della BCE, vale a dire quella di spostare il peso dell'indebitamento sugli altri paesi, non è un modello adatto per l'Europa e per il mondo intero. Inoltre, i tagli salariali in Europa aumenterebbero ulteriormente il rischio di una deflazione e il resto del mondo non potrebbe mai accettare delle eccedenze europee su scala tedesca. I "quattro paesi frugalisti" insieme alla Germania dovrebbero finalmente comprendere il contesto economico complessivo, per il cui rilevamento statistico, da ormai quasi settant'anni, la Bundesbank ha ottenuto un grande riconoscimento scientifico.

Ma non ha detto nulla di tutto ciò. La risposta di Jens Weidmann è stata più che banale:

"L'immagine della casalinga sveva spesso viene male interpretata. Il suo risparmio non è fine a se stesso, ma risparmia per poter spendere questi soldi in cose utili e anche per fare provviste per i momenti difficili. E questo è esattamente il caso. È stato ragionevole aver fatto uno sforzo per potersi permettere delle finanze solide in tempi normali. E ha altrettanto senso ora, in tempi difficili, usare lo spazio di manovra disponibile per fare un grande cambio di rotta". 

Per Weidmann, apparentemente erano "tempi normali" quelli in cui il più grande paese dell'Unione Monetaria realizzava delle enormi eccedenze di conto corrente grazie al dumping salariale (che la stessa Bundesbank ha ammesso qualche anno fa), senza alcun rispetto per i suoi partner e convinceva se stesso e i suoi cittadini che in una fase del genere la casalinga sveva poteva tranquillamente risparmiare.



La casalinga sveva può fare provviste?

Che la casalinga sveva voglia fare delle provviste è evidente e non è necessario sottolinearlo. Se sia realmente in grado di risparmiare in ogni circostanza, è la vera questione di fondo, e nel cercare di dare una risposta a questa domanda, un'istituzione grande ed economicamente importante come la Bundesbank, avrebbe dovuto mettere da parte tutte le considerazioni di appartenenza politica e partitica e contribuire all'educazione dei cittadini.

Se inoltre, qualcuno come il presidente della Bundesbank ha una grande responsabilità a livello europeo, allora bisogna pretendere che parli apertamente in quanto tedesco, e che parli alla coscienza del proprio paese quando - ancora una volta - sarà in procinto di rompere le porcellane europee. Chi ora sta difendendo le regole europee sul debito e sostiene che alla fine sarà il "contribuente" a dover pagare gli interessi e rimborsare i debiti, come fa Weidmann nel prosieguo dell'intervista, sta deliberatamente causando smarrimento tra la popolazione e la politica.

Nessuno potrà mai ripagare i debiti che lo Stato sta accumulando durante questa crisi, perché i normali periodi di crescita nei quali lo Stato rientra dal debito senza troppi problemi grazie agli investimenti e all'indebitamento delle aziende, resteranno un ricordo del passato, almeno per quanto ne sappiamo. Chi tuttavia continua a crederci, allora deve anche spiegare e discutere apertamente in che modo la politica possa riportare le aziende alla loro responsabilità. Se non lo fa, bisogna presumere che la popolazione sia stata deliberatamente ingannata.

Perché l'economia nel suo complesso resta un tabù?

Perché in Germania non è possibile fare un salto dal livello microeconomico a quello dell'economia nel suo complesso? Perché non è possibile dire che non ci può essere risparmio senza indebitamento e discutere apertamente delle conseguenze? Gli economisti di tutto il mondo germanofono stanno miseramente fallendo proprio su una delle questioni fondamentali che praticamente ci riguarda tutti. Sempre piu' spesso mi viene chiesto da persone intelligenti che di mestiere non sono economisti, come è possibile che una materia che vorrebbe essere una scienza, semplicemente possa ignorare la fondamentale dimensione macroeconomica del suo oggetto di studio.

Non c'è da sorprendersi se poi molte persone intelligenti hanno come l'impressione che da parte di chi deve prendere delle decisioni ci sia un qualche complotto, quando si rifiutano di seguire dei semplici passi logici che qualsiasi non economista potrebbe cogliere in pochi minuti. A questi bisogna aggiungere anche quei giornalisti che fanno domande così gentili che sembra quasi che con ogni domanda possano rompere in maniera irreparabile un uovo estremamente prezioso. E non si può certo dare torto a chi cerca spiegazioni per questo comportamento che va al di là di ciò che normalmente viene considerato "politicamente corretto".

Il fallimento degli economisti è legato al grande dibattito ideologico iniziato con il keynesianesimo. L'espansione del pensiero economico fino all'inclusione dell'ambito macroeconomico, portata avanti da Keynes, Kalecki, Robinson, ma anche da Wilhelm Lautenbach, tra gli altri, non è stata vista come una sfida scientifica, ma è stata interpretata come l'attacco da parte di un'ideologia statalista alla pura dottrina dell'economia di mercato, che pertanto doveva essere difesa con ogni mezzo possibile.

In termini puramente emotivi, i difensori dei dogmi dell'economia di mercato avevano ragione. Il pensiero macroeconomico mette in discussione le soluzioni di mercato, perché lo stato è sempre parte del problema e parte della soluzione. Costruire un dogma sulla base di questa semplicissima intuizione, vale a dire che è meglio ignorare completamente la dimensione macroeconomica piuttosto che avere sempre lo stato a bordo, ci mostra una rigidità dogmatica che non può trovare posto nella scienza. Cercare di coprire o addirittura nascondere le connessioni macroeconomiche complessive all'interno dell'economia ne testimonia il totale fallimento, a quasi cento anni dall'inizio del pensiero macroeconomico.


domenica 14 giugno 2020

La dissonanza cognitiva dell'eurozona

"La verità è che la normalità non può esistere in un sistema monetario che pone deliberatamente i bilanci degli Stati nazionali, e quindi le democrazie nazionali, sotto la spada di Damocle dei mercati finanziari. L'euro è espressione della "democrazia conforme al mercato" canonizzata dalla stessa Cancelliera tedesca", scrive il giurista e pubblicista tedesco Erik Jochem su Makroskop. Una riflessione molto interessante di Erik Jochem su Makroskop


La crisi causata dal Coronavirus non è ancora del tutto superata, come spiega Paul Steinhardt qui, e il pericolo di un crollo dell'Eurosistema non giustificherebbe in alcun modo la violazione del divieto di finanziamento agli stati (previsto dai trattati) da parte della BCE mediante il suo programma per l'acquisto di titoli di stato della zona euro, recentemente messo sotto accusa dalla Corte costituzionale federale. In democrazia non ci sarebbe spazio per un intervento straordinario delle istituzioni statali secondo il principio della "necessità non conosce comandamenti".

Questa affermazione è discutibile - e non solo dopo il Coronavirus. Naturalmente ogni sistema giuridico e democratico prevede un possibile stato di emergenza, con il quale il legislatore democratico riconosce delle situazioni eccezionali nelle quali il destinatario della norma non può più essere tenuto ad agire secondo la legge.

Il fatto che alla BCE non sia ancora stato esplicitamente concesso un tale diritto di intervento in situazioni di emergenza, non cambia il fatto che il motto di Mario Draghi, il famoso "Whatever it takes", equivalga in sostanza alla dichiarazione di uno stato di emergenza monetaria permanente per l'Eurosistema, e che tale stato di emergenza continui ancora oggi. A maggior ragione dopo il Coronavirus durerà ancora piu' a lungo, e per un periodo di tempo imprevedibile.

Se le cose sono così chiare - cioè, quando il sistema è davvero in pericolo, le regole abituali che ne impediscono la sopravvivenza diventano obsolete - perché allora questa argomentazione non ha avuto alcun ruolo nella discussione fra giuristi, né davanti alla Corte costituzionale federale, né davanti alla Corte di giustizia europea?

Perché proprio la Corte di giustizia europea si sforza di presentare il programma di acquisti della BCE come un evento ordinario di politica monetaria all'interno del mandato della BCE?

Chi nell'eurozona, da una posizione di responsabilità, discute apertamente del fatto che gli acquisti obbligazionari della BCE sono dovuti ad una situazione di emergenza che minaccia l'esistenza dell'Eurosistema, dovrebbe anche poter dire immediatamente quando questa situazione di emergenza finirà e quando ci sarà un ritorno alla normalità - che del resto è l'elemento naturale nel dibattito pubblico sulla crisi da coronavirus.

La verità, tuttavia, è che la normalità non può esistere in un sistema monetario che pone deliberatamente i bilanci degli Stati nazionali, e quindi le democrazie nazionali, sotto la spada di Damocle dei mercati finanziari. L'euro è espressione della "democrazia conforme al mercato" canonizzata dalla stessa Cancelliera tedesca.

Chi non vuole parlare di questa natura paradossale dell'euro - e quale europeista ben educato lo farebbe - non dovrebbe usare la parola "emergenza", ma in maniera alquanto innaturale dovrebbe far finta che nell'eurosistema la normalità sia possibile, come accade in altri sistemi monetari. Lo scandalo non è la crisi permanente dell'euro, ma gli acquisti obbligazionari fatti dalla BCE per gestire la crisi.

Il fatto che il dibattito sulla realtà dello stato di emergenza perpetuo sia stato completamente accantonato in favore di un dibattito sul rispetto dei trattati è politicamente devastante ed è espressione di un ristagno intellettuale senza precedenti.

Invece di scacciare Brüning come figura simbolo dell'euro, la politica ha rinunciato volontariamente allo scettro della responsabilità economica e, invece di occuparsi della realtà, ha scelto di dedicarsi interamente alla lotta tra il bene e il male. La politica come gioco dei castelli di sabbia.