"La Germania - si ha la sensazione che già da tempo sia stata preparata dagli Stati Uniti per i "valori occidentali", vale a dire per il ruolo di comandante in capo nella parte ucraina della guerra globale. La germanizzazione del conflitto ucraino eviterebbe all'amministrazione Biden di doversi impegnare e di dover chiedere il sostegno dei cinesi per ritirarsi da una guerra che rischia di diventare impopolare a livello nazionale" scrive Wolfgang Streeck. Per il grande intellettuale tedesco potrebbe essere proprio la Germania, sotto la pressione americana, a prendere la leadership nella guerra in Ucraina. Ne scrive Wolfgang Streeck su Makroskop.de
Sotto la pressione degli Stati Uniti, il coinvolgimento indiretto della Germania nella guerra in Ucraina potrebbe diventare sempre più diretto - e svilupparsi in modo simile al suo ruolo nella fornitura di armi.
La legge di Hofstadter, diretta discendente della legge di Murphy, è nota sotto questa forma: "Tutto richiede più tempo di quanto si pensasse". L'anno scorso, il signore della guerra russo, Putin, ha avuto modo di conoscerla. Se avesse seguito l'esempio di Trotsky e Mao Zedong e avesse dedicato un po' di tempo alla lettura di Clausewitz, avrebbe potuto risparmiarsi lo shock. Dopo il fallimento della presa di Kiev, che avrebbe dovuto essere completata in una o due settimane, Putin ha dovuto affrontare la spiacevole prospettiva di una guerra di durata indeterminata non solo con Kiev ma anche, in una forma o nell'altra, con gli Stati Uniti, se veramente intende porre fine una volta per tutte al fascismo endogeno e all'occidentalismo esogeno dell'Ucraina.
Pochi mesi dopo, anche l'omologo americano di Putin, Biden, si è dovuto rendere conto di una cosa simile. Non c'era alcuna vittoria ucraina in vista e l'arsenale di sanzioni economiche occidentali contro la Russia e gli amici oligarchi di Putin aveva fatto sorprendentemente pochi danni alla capacità della Russia di resistere nel Donbass e nella penisola di Crimea. Le elezioni di midterm del novembre 2022, inoltre, hanno reso inequivocabilmente chiaro che la disponibilità dell'elettorato americano a finanziare le avventure della squadra Biden-Blinken-Sullivan-Nuland è tutt'altro che illimitata e che l'incombente guerra di logoramento, di cui non si intravede la fine, potrebbe diventare un peso mortale nelle elezioni presidenziali del 2024.
Dal momento che un ritiro come quello dall'Afghanistan, rimasto indimenticabile persino per l'opinione pubblica americana, notoriamente ignara, è fuori questione, e che d'altra parte Putin non ha altra scelta che continuare o affondare, spetta ora a Biden decidere come procedere.
Alternativa 1: "congelamento"
All'inizio di marzo 2023, sembra che gli Stati Uniti si trovino a dover scegliere tra due alternative, e in fretta. La prima è la via d'uscita cinese. Dopo la visita di un giorno di Scholz a Pechino il 4 novembre, la Cina e Xi in persona hanno ripetutamente insistito sul fatto che l'uso di armi nucleari, comprese quelle di natura tattica, deve essere escluso in ogni caso. Per ragioni ben comprensibili, ciò preoccupa la Russia più degli Stati Uniti o dell'Ucraina, date le carenze ormai ampiamente visibili delle forze armate convenzionali russe. Con un bilancio militare di poco superiore a quello della Germania - e che si è presumibilmente dimostrato inadeguato nell'ambito della attuale svolta storica - la Russia, a differenza della Germania, deve mantenere un'arma nucleare con capacità strategiche intercontinentali equivalenti a quelle degli Stati Uniti. Le conseguenze sono state evidenti quando l'esercito russo si è dimostrato incapace di prendere Kiev, che dista solo 300 chilometri dal confine russo-ucraino.
Segnalando alla Russia, che dipende da lei come il suo più vicino e potente alleato, che una risposta nucleare a un'avanzata ucraina armata dagli americani non era auspicabile, la Cina ha fatto un favore importante agli Stati Uniti e alla NATO, così importante che è difficile credere che sia stato concesso senza una contropartita. Ci sono infatti indicazioni che in cambio gli Stati Uniti si siano impegnati a limitare la forza militare dell'Ucraina a un livello che non potesse mettere la Russia in una situazione tale da costringerla a ricorrere alle armi nucleari - tattiche. Il risultato di un tale tacito accordo, se esiste, come sembra probabile, sarebbe un "congelamento" della guerra: uno stallo sulle attuali posizioni territoriali dei due eserciti che potrebbe durare anni.
Se gli Stati Uniti fossero disposti a stare al gioco, questo tipo di diplomazia potrebbe continuare sotto l'egida della Cina. Non è molto lontano da una situazione di stallo o di un cessate il fuoco, e poi forse potrebbe portare a qualcosa di simile a un accordo di pace, anche se si trattasse di una pace disordinata come accadde in Bosnia e in Kosovo. Gli Stati Uniti dovrebbero costringere il governo ucraino a farne parte, cosa che non dovrebbe essere troppo difficile, visto che sono stati loro stessi a nominarlo: "Il Signore ha dato e il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore".
Dal punto di vista americano, tuttavia, un importante difetto di questo tipo di soluzione sarebbe che i cinesi potrebbero aspettarsi concessioni in Asia in cambio dei loro buoni uffici e dell'aiuto alla rielezione di Biden, il che renderebbe più difficile per Biden fare ciò che chiaramente vuole fare dopo l'Ucraina: attaccare la Cina in un modo o nell'altro per evitare quella che nel dibattito strategico statunitense odierno viene definita la "trappola di Tucidide", ossia la necessità per un egemone in carica di attaccare un rivale in ascesa abbastanza presto, quando si puo' essere relativamente ancora sicuri di vincere la guerra.
Alternativa 2: La Germanizzazione
Per quanto la prospettiva di una via d'uscita dal pantano ucraino possa essere allettante, ci sono segnali che indicano che gli Stati Uniti si stanno orientando verso un secondo approccio alternativo che potrebbe essere definito di europeizzazione, o addirittura di germanizzazione della guerra. Ricordiamo la cosiddetta vietnamizzazione della guerra in Vietnam. Alla fine forse non ha funzionato - gli Stati Uniti sono stati sconfitti, non il loro proxy regionale, che non è mai stato altro che un fantoccio americano - ma ha dato respiro agli Stati Uniti e ha permesso alla loro macchina propagandistica di vendere all'opinione pubblica americana la prospettiva di un ritiro onorevole dal campo di battaglia, in cui il massacro sarebbe stato lasciato a un alleato politicamente affidabile e militarmente capace.
Negli anni Sessanta nel Sud-Est asiatico non c'era un alleato di questo tipo, ma nell'Europa del 2020 le cose potrebbero essere diverse. A differenza dell'Afghanistan, gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi lentamente dalle attività operative della guerra, supervisionandola invece di guidarla, lasciando il supporto materiale, le decisioni tattiche e la consegna delle brutte notizie al governo ucraino ad un subcomandante locale che potrebbe fungere da capro espiatorio e fustigatore in caso di fallimento.
Chi potrebbe assumersi questo compito? È chiaro che l'Unione Europea non può farlo. E' guidata da un ex ministro della Difesa, ma la sua incompetenza è diventata evidente da quando, grazie al trasferimento a Bruxelles, per un soffio ha evitato un'inchiesta parlamentare sui suoi fallimenti ministeriali. Ma soprattutto, l'UE non dispone di fondi veri e propri e chi a Bruxelles decide cosa fare con chi è un mistero anche per gli addetti ai lavori, il che porta regolarmente a decisioni lente, poco chiare e prive di responsabilità - non proprio ciò che serve in una guerra.
Il compito non può essere affidato al Regno Unito, che con la Brexit si è sganciato dall'apparato legislativo dell'UE. Il Regno Unito inoltre funge già da comando ausiliario globale per conto degli Stati Uniti nella costruzione di un fronte mondiale contro la Cina. Non è nemmeno in discussione il famoso "tandem" franco-tedesco, che nessuno con certezza può ammettere che sia qualcosa di più di una chimera giornalistica o diplomatica.
Resta la Germania - e in effetti, a posteriori, si ha la sensazione che già da tempo sia stata preparata dagli Stati Uniti per i "valori occidentali" - vale a dire per il ruolo di comandante in capo nella parte ucraina della guerra globale. La germanizzazione del conflitto ucraino eviterebbe all'amministrazione Biden di doversi impegnare e di dover chiedere il sostegno dei cinesi per ritirarsi da una guerra che rischia di diventare impopolare a livello nazionale. Gli sforzi americani per utilizzare la Germania come proxy europeo possono attingere all'eredità della Seconda guerra mondiale, vale a dire una forte presenza militare statunitense nel paese, ancora basata sulle rivendicazioni legali che risalgono alla resa incondizionata della Germania nel 1945.
Attualmente sono circa 35.000 i soldati americani di stanza in Germania, con 25.000 familiari e 17.000 civili, più di qualsiasi altra parte del mondo ad eccezione, presumibilmente, di Okinawa. In tutto il Paese, gli Stati Uniti mantengono 181 basi militari, le più grandi delle quali sono Ramstein in Renania-Palatinato e Grafenwoehr in Baviera. Ramstein ha avuto il ruolo di quartier generale operativo nella cosiddetta "guerra al terrore" - tra l'altro da li' vengono coordinati i voli navetta per i prigionieri di tutto il mondo verso Guantanamo - ed è tuttora il posto di comando per tutti gli interventi americani in Medio Oriente. Infine, le basi americane in Germania ospitano un numero imprecisato di testate nucleari, alcune delle quali possono essere lanciate dall'aviazione tedesca con cacciabombardieri certificati dagli Stati Uniti (nell'ambito della cosiddetta "condivisione nucleare") verso obiettivi specificati dagli USA.
Nel dopoguerra, i governi tedeschi, infatti, hanno ripetutamente cercato di sviluppare una propria politica di sicurezza nazionale - come la politica di distensione di Willy Brandt, guardata con sospetto da Nixon e Kissinger; c'è stato poi il rifiuto di Schröder, insieme a Chirac, di unirsi alla "coalizione dei volenterosi" nella fallita ricerca di armi di distruzione di massa in Iraq; Il veto posto da Merkel nel 2008, insieme a Sarkozy, all'ammissione dell'Ucraina e della Georgia alla NATO; il tentativo di Merkel, insieme a Hollande, di mediare un qualche tipo di accordo tra Russia e Ucraina, culminato negli accordi di Minsk I e II; e l'ostinato rifiuto di Merkel di prendere sul serio l'obiettivo della NATO di un bilancio della difesa pari al due per cento del prodotto nazionale.
Nel 2022, tuttavia, il declino del Partito Socialdemocratico e l'ascesa dei Verdi hanno definitivamente indebolito la capacità e la volontà della Germania di lottare per un minimo di autonomia strategica. Ciò si è resto evidente due giorni dopo l'inizio della guerra nel discorso di svolta di Scholz al Bundestag, di fatto una promessa fatta agli Stati Uniti che l'insubordinazione in stile Brandt, Schröder e Merkel non si sarebbe ripetuta.
Una prova dopo l'altra
Scholz forse sperava che il fondo speciale da 100 miliardi di euro, destinato a riarmare la Bundeswehr, fatto con del nuovo debito e invisibile nei normali conti di bilancio, avrebbe placato qualsiasi sospetto di disobbedienza tedesca. Invece, il primo anno di guerra in Ucraina ha visto una serie di test, concepiti e condotti dagli esperti statunitensi di governance globale per esplorare la reale profondità della conversione della Germania: dal pacifismo postbellico all'occidentalismo anglo-americano. Quando, poche settimane dopo il discorso della svolta, gli osservatori scettici hanno notato che nessuno dei 100 miliardi di euro di denaro fresco fosse stato ancora speso - una situazione che perdura tuttora - per il governo tedesco non è stato sufficiente sottolineare che le nuove attrezzature dovranno essere prima ordinate, poi pagate e che prima di essere ordinate devono anche essere selezionate. Per dimostrare la sua buona volontà, la Germania si è quindi affrettata a firmare un contratto per 35 aerei F-35 - con il governo americano e non, come ci si sarebbe potuti aspettare, con i produttori Lockheed Martin e Northrop Grumman. L'aereo, da tempo oggetto del desiderio del ministro degli Esteri verde, dovrà sostituire la flotta di Tornado, presumibilmente obsoleta che la Germania mantiene per la sua condivisione nucleare. Per una cifra stimata in otto miliardi di dollari, comprese le riparazioni e la manutenzione, gli aerei dovrebbero essere consegnati verso la fine del decennio con un contratto che sorprendentemente dà al governo americano il diritto di ritoccare unilateralmente il prezzo verso l'alto se dovesse ritenerlo opportuno.
Alla fine l'accordo sugli F-35 non ha dato ai tedeschi altro che una breve tregua. Mentre i lobbisti tedeschi e di altri Paesi e le forze armate discutevano su come spendere al meglio il resto del fondo speciale, Scholz, per placare l'impazienza americana, ha licenziato il ministro della Difesa, un politico SPD di lungo corso che era stato nominato contro la sua volontà, a quanto pare per soddisfare una presunta esigenza generale di parità di genere nel gabinetto federale. Poco prima che se ne andasse, uno dei suoi potenziali successori come garante della Bundeswehr ha chiesto un aumento del fondo speciale da 100 miliardi a 300 miliardi. Pochi giorni dopo, l'incarico è passato ad un altro uomo della SPD, all'epoca ministro degli Interni della Bassa Sassonia, che non ha alcuna esperienza militare, ma che emana qualcosa di simile a una competenza gestionale completa. Uno dei suoi primi atti in carica è stato quello di risolvere un'ambiguità fino ad allora accuratamente coltivata nel discorso della svolta, ovvero se i 100 miliardi dovevano essere utilizzati per aumentare il bilancio regolare della difesa fino alla soglia del due per cento fissato dalla NATO o se dovessero essere aggiunti a quel due per cento come una sorta di punizione per i fallimenti del passato.
Secondo il nuovo uomo, Pistorius, era quest'ultimo lo scenario da prendere in considerazione - il che per lui significava che la spesa per la difesa sarebbe dovuta aumentare di 10 miliardi di euro all'anno per diversi anni, in aggiunta e indipendentemente dalla spesa del fondo speciale. Quando l'allora Segretario Generale della NATO Stoltenberg, che sta per diventare capo della Banca Centrale Norvegese - una posizione di prestigio ma simbolica, se mai ce ne fosse stata una - ha fatto sapere che d'ora in poi il 2% deve essere considerato il minimo da superare, Pistorius è stato uno dei primi ad acconsentire pubblicamente.
Il test successivo, nel settembre 2022, è stata la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 da parte di un commando americano-norvegese, come riportato da Seymour Hersh. In questo caso, il compito del governo tedesco è stato proprio quello di fingere di non sapere chi fosse stato, di mantenere un generale silenzio sull'evento e di far sì che la stampa tedesca facesse lo stesso o dicesse al pubblico che era stato "Putin". La prova è stata superata a pieni voti. Quando, poche settimane dopo l'incidente, una deputata al Bundestag della Linke - l'unica su 736 membri - ha chiesto al governo cosa sapesse in merito, le è stato risposto che per motivi di "interesse supremo dello Stato" non era possibile rispondere a tali domande né ora né in futuro. Il giorno dopo che Hersh ha reso pubbliche le sue scoperte, la Frankfurter Allgemeine titolava: "Cremlino: gli USA hanno danneggiato gli oleodotti".
„Stand with Ukraine!“
Un'altra prova di lealtà durata a lungo, parallelamente alla battaglia sul bilancio, ha riguardato la fornitura di armi e munizioni all'esercito ucraino. Dal 2014, infatti, l'Ucraina è il Paese industrializzato con l'aumento annuale del budget per la difesa di gran lunga più elevato, spese militari pagate non dai suoi oligarchi ma dagli Stati Uniti, che di fatto puntavano alla cosiddetta "interoperabilità" tra l'esercito ucraino e la NATO (da raggiungere entro il 2020, secondo le cifre ufficiali). Mentre questo deve essere stato un motivo di preoccupazione per i generali russi - che ovviamente sapevano del declino delle loro forze convenzionali dopo la decisione di Putin di tenere il passo con la modernizzazione delle forze nucleari americane - ai Paesi della NATO è stato chiesto fin dal primo giorno dell'attacco russo di inviare armi all'Ucraina, sempre di piu' e in numero sempre maggiore.
Quando è diventato chiaro che l'Ucraina non sarebbe stata in grado di sostenersi senza un costante aiuto materiale da parte del risorgente Occidente, gli Stati Uniti hanno insistito affinché i Paesi europei si facessero carico di una quota crescente dell'onere, compresi e soprattutto quei paesi colpevoli di aver trascurato i propri eserciti, in particolare la Germania.
Ben presto, però, è apparso a tutti chiaro che gli eserciti nazionali non erano affatto entusiasti di dover consegnare all'Ucraina alcuni dei loro equipaggiamenti più preziosi, che, secondo loro, avrebbero compromesso la capacità di difendere il proprio Paese. Alla base della loro riluttanza, infatti, potrebbe esserci il timore che quanto consegnato agli ucraini sarebbe caduto nelle mani del nemico, venisse irrimediabilmente danneggiato sul campo di battaglia o fosse venduto sul mercato nero internazionale, senza poter sperare di riaverlo indietro, anche se formalmente solo in prestito. Un'altra preoccupazione riguarda le prospettive di riarmo da parte dei governi nazionali quando la guerra sarà terminata e l'Ucraina sarà stata ricostruita dall'"Europa", meglio che mai, come Ursula von der Leyen da Bruxelles non si stanca mai di ripetere.
C'erano anche timori, tipicamente espressi da alti ufficiali militari in pensione, che i Paesi europei sarebbero stati trascinati in una guerra la cui guida e gli obiettivi sarebbero stati definiti dagli ucraini, come richiesto dagli Stati Uniti e dall'opinione pubblica. Non ultimo, sembra esserci il timore che, se la guerra dovesse finire bruscamente, l'Ucraina avrebbe l'esercito di terra più grande e meglio equipaggiato d'Europa.
Ancora una volta è stata la Germania, di gran lunga il più importante Paese dell'Europa occidentale, a dover dimostrare più di ogni altro la sua volontà di stare dalla parte dell'Ucraina ("Stand with Ukraine!") sotto gli occhi attenti degli Stati Uniti e dei media internazionali. Inizialmente, l'allora Ministro della Difesa tedesco aveva offerto 5.000 elmetti e gilet antiproiettile come sostegno alle forze armate ucraine, cosa che è stata considerata come ridicola dagli alleati e sempre di più dalla loro stessa opinione pubblica. Nei mesi successivi sono state richieste e consegnate armi sempre più potenti, tra cui un missile antiaereo come l'Iris-T, che non ha nemmeno raggiunto le truppe tedesche, e il potente obice semovente 2000. Ogni volta, il governo Scholz ha inizialmente tracciato una linea rossa, per poi oltrepassarla sotto la pressione dei suoi alleati e dei due partner minori della coalizione, i Verdi e i Liberali - i Verdi controllano il ministero degli Esteri, la FDP la commissione Difesa del Bundestag, presieduta da un membro della FDP di Düsseldorf, sede della Rheinmetall, uno dei maggiori produttori di armi in Europa e non solo.
Nell'inverno del 2022, il dibattito sul riarmo dell'Ucraina invece ha iniziato a concentrarsi sui carri armati. Anche in questo caso la Germania doveva essere spinta passo dopo passo verso modelli sempre più potenti, a partire dai veicoli da combattimento per la fanteria - i veicoli corazzati per il trasporto del personale - fino al famoso carro armato tedesco Leopard 2, un successo mondiale da esportazione costruito da un consorzio guidato appunto da Rheinmetall (circa 3.600 Leopard 2 della linea più avanzata 2A5-plus sono stati venduti in tutto il mondo, fra gli altri anche a ferventi sostenitori dei valori occidentali come l'Arabia Saudita sotto forma di ringraziamento per la sua instancabile opera di pacificazione dello Yemen).
In parte perché i carri armati tedeschi hanno un ruolo importante nella memoria storica russa, ma anche perché non c'era alcuna indicazione sul fatto che la Germania avrebbe avuto voce in capitolo sull'uso dei suoi carri armati (dal confine ucraino a Mosca non ci sono più di 500 chilometri), Scholz dapprima ha fornito, come di consueto, una serie di motivi per cui purtroppo non sarebbe stato possibile consegnare i Leopard 2. In risposta, alcuni alleati della Germania, in particolare Polonia, Paesi Bassi e Portogallo, hanno fatto sapere di essere pronti a regalare i loro Leopard anche se la Germania non lo avesse fatto. La Polonia ha persino annunciato che avrebbe inviato alcuni dei suoi Leopard all'Ucraina, se necessario, e senza il permesso tedesco, come del resto sarebbe stato legalmente richiesto dalle disposizioni tedesche in merito alla politica di esportazione di armi della Germania.
Il prosieguo di questa storia potrebbe essere stato determinante per l'ulteriore corso degli eventi. Messa alle strette dai suoi alleati europei, la Germania non si è piu' rifiutata di fornire carri armati Leopard all'Ucraina, a condizione che anche gli Stati Uniti accettassero di fornire il loro carro armato principale M1 Abrams (un altro successo di esportazione globale con una produzione totale fino ad oggi di 9.000 unità). Come "primo passo" la Germania ha promesso di trasferire 14 dei suoi 320 carri armati Leopard all'Ucraina entro tre mesi, dove secondo i calcoli tedeschi tali carri armati avrebbero formato un reggimento di carri. In seguito, la Germania avrebbe costruito due battaglioni composti ciascuno da 44 carri armati Leopard- 2 , utilizzando i propri carri armati e quelli forniti dai partner europei, in modo da poterli consegnare all'esercito ucraino pronti per il combattimento, dopo aver addestrato gli equipaggi e aver incluso i pezzi di ricambio e le munizioni necessarie. (Secondo le stime degli immancabili "esperti", l'Ucraina avrebbe bisogno di circa 100 Leopard dell'ultimo modello per migliorare significativamente la sua capacità di difesa).
Poco dopo, però, in occasione della cosiddetta Conferenza sulla sicurezza di Monaco, si sono verificati due spiacevoli sorprese. In primo luogo, si è scoperto che dopo aver superato la resistenza tedesca, gli alleati europei della Germania si sono accorti di ogni possibile ragione per cui si devono tenere i loro Leopard, con o senza licenza di esportazione, con il risultato che hanno dovuto lasciare la fornitura di carri armati da combattimento essenzialmente ai tedeschi, con loro grande rammarico. (In totale, le forze NATO dispongono di circa 2.100 Leopard, dei modelli 1 e 2). In secondo luogo, i giornalisti investigativi americani, sul Wall Street Journal e altrove, hanno rivelato che i carri armati Abrams non sarebbero apparsi sulla scena del conflitto per alcuni anni, se non addirittura per nulla, un fatto apparentemente trascurato dai negoziatori tedeschi, forse su richiesta dei loro interlocutori americani.
Alla fine, quindi, il governo Scholz è stato lasciato solo, essendo sostanzialmente l'unico fornitore di carri armati a Kiev. A rendere la situazione ancora più imbarazzante è stato il fatto che il giorno stesso in cui i tedeschi hanno accettato l'accordo sui Leopard, il governo ucraino ha dichiarato che la prossima voce nella sua lista dei desideri sarebbe stata la consegna di jet da combattimento, sottomarini e navi da guerra, senza i quali l'Ucraina non avrebbe avuto alcuna speranza di vincere la guerra come concordato con i suoi alleati. (L'ambasciatore ucraino di lunga data in Germania, tornato a Kiev come vice ministro degli Esteri, ha twittato in inglese il 24 gennaio: "Alleluia! Gesù Cristo! Ora, cari alleati, formiamo una potente coalizione di caccia per l'Ucraina, con jet F-16 e F-35, Eurofighter e Tornado, Rafale e Gripen e tutto ciò che potete fornire per salvare l'Ucraina!) Inoltre, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco la delegazione ucraina ha chiesto pubblicamente agli Stati Uniti e al Regno Unito bombe a grappolo e al fosforo, che sono fuori legge secondo il diritto internazionale ma, come gli ucraini hanno fatto sapere al mondo, sono stoccate in gran numero dai loro alleati occidentali. (La FAZ, sempre attenta a non confondere i suoi lettori, nel suo racconto ha definito le bombe a grappolo "controverse" piuttosto che illegali).
(Fine prima parte)