martedì 27 febbraio 2018

"L'Italia dovrebbe negoziare un'uscita ordinata dall'euro"

Lucio Baccaro, economista e filosofo italiano, è il nuovo direttore del prestigioso Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung (MPIfG) di Colonia. In una recentissima intervista alla FAZ si schiera a favore di un'uscita ordinata dell'Italia dalla moneta unica. Dalla FAZ.net


Non ci sono molti ricercatori italiani di punta che riescono a fare carriera in Germania. Lucio Baccaro in questo senso è un'eccezione: dallo scorso settembre l'economista politico nato in Puglia nel 1966 è il nuovo direttore del prestigioso Istituto Max Planck per lo studio della società di Colonia. E ovviamente non vuole essere da meno rispetto al suo predecessore Wolfgang Streeck, il quale amava inserirsi nei dibattiti sociali: in una intervista alla FAZ Baccaro si schiera a favore di una uscita ordinata del suo paese dalla moneta unica. L'errore è stato soprattutto entrare nella moneta unica. "L'Italia dovrebbe negoziare un'uscita? Nel complesso sì!", dice Baccaro.

Il ricercatore giustifica la sua posizione, insolita fra gli economisti tedeschi, con i problemi strutturali dell'economia italiana emersi durante un lungo arco di tempo. L'uscita dall'euro potrebbe aiutare a risolverli. "Al momento dell'adesione alla moneta unica nel 1999 molti italiani hanno sognato di poter giocare nella Premier League delle economie nazionali", secondo Baccaro, "ma questo si è rivelato un errore". Lo sviluppo della Grecia all'interno dell'euro è stato un disastro. "L'Italia è il secondo disastro in ordine di grandezza", ha detto Baccaro. La produttività delle imprese italiane è stagnante da 2 decenni, l'economia cresce piu' lentamente di quella tedesca o francese e il rapporto debito pubblico/PIL è con oltre il 130% circa il doppio del rapporto tedesco. Con l'ingresso nella moneta unica il paese del sud-europa si è privato della possibilità di recuperare competitività internazionale attraverso gli aggiustamenti del tasso di cambio - "legandosi entrambe le mani all'albero della UE".

Baccaro, che oltre al suo incarico a Colonia ha una cattedra in sociologia all'Università di Ginevra, non è un amico delle politiche di austerità, tanto criticate nel sud-Europa e che spesso hanno imposto riforme strutturali dolorose. Al loro posto il ricercatore sostiene la necessità di favorire politiche sul lato della domanda che possano aiutare i paesi a crescita più' lenta. Soprattutto chiede che sia lo stato ad intervenire. "Quando la domanda interna e la domanda estera tendono a stagnare, spetta al governo spendere di piu', almeno all'inizio", ha detto il ricercatore. Nel caso dell'Italia cio' sarebbe difficilmente conciliabile con le regole del Trattato di Maastricht, secondo il quale il deficit annuo non dovrebbe superare il 3% del PIL, per Baccaro non si tratta di un criterio di esclusione: "abbiamo bisogno di alleggerire alcune di queste restrizioni, possibilmente quella del limite del 3%".

Anche se Baccaro, che originariamente ha studiato filosofia e in seguito economia, arriva alle sue conclusioni partendo da un punto diverso - la sua posizione sull'euro e sui programmi di spesa non è molto lontana da quella del partito euroscettico della Lega Nord o del partito di Silvio Berlusconi (Forza Italia). 

All'economia tedesca il nuovo direttore dell'Istituto Max Planck dà una pagella con luci e ombre. Da un lato "quella tedesca è la sola economia che nel passato è riuscita a passare da una crescita guidata dai salari ad una guidata dalle esportazioni". Dall'altro lato questo stesso modello di sviluppo in futuro potrebbe rivelarsi fatale per la Germania. All'ombra delle aziende esportatrici di successo è nato un ampio settore a basso salario - soprattutto nel settore dei servizi - con le conseguenti disuguaglianze sociali. La Germania non ha utilizzato le abbondanti entrate fiscali per cercare di aiutare questo gruppo sociale. 

lunedì 26 febbraio 2018

Il funerale della socialdemocrazia tedesca

I sondaggi parlano di una SPD in caduta libera rispetto al magro 20,5% ottenuto alle ultime elezioni di settembre. Con un'altra Große Koalition le cose non potrebbero che peggiorare e per AfD probabilmente si aprirebbe un'autostrada elettorale. Ecco perché la SPD dovrebbe rifiutare l'abbraccio mortale della CDU e spingere Merkel a formare un governo di minoranza. Ne parla Timothy Garton Ash su The Guardian.


Il 4 marzo sarà un giorno molto importante per l'Europa. Nello stesso giorno si terranno le elezioni generali in Italia e scopriremo se un referendum interno ai socialdemocratici tedeschi darà il via libera al governo di Grande Coalizione a Berlino e quindi al proseguimento dell'attuale collaborazione con i cristiano-democratici di Angela Merkel.

La saggezza convenzionale ci dice che questo dovrebbe essere un buon risultato per l'Europa. Io penso invece che la saggezza convenzionale si sbagli. Come indossare un corsetto medico per cercare di alleviare un problema grave alla schiena e poi continuare la stessa vita di prima: un'altra grande coalizione sarebbe forse una buona cosa nel breve periodo ma cattiva nel lungo. Bisogna affrontare le cause, non i sintomi. E c'è un'alternativa. 

Questa settimana ho trascorso due giorni a Berlino e non ho mai visto meno entusiasmo per un possibile nuovo governo. Dovrebbe essere un matrimonio, ma invece sembra di essere ad un funerale. Ed è ciò' che potrebbe diventare: il funerale della SPD, uno dei più' antichi ed importanti partiti europei di centro-sinistra. In un sondaggio scioccante di pochi giorni fa il partito di estrema destra AfD veniva dato al 16%, mezzo punto in più' dei socialdemocratici. Potrebbe essere solo un fuoco di paglia, ma già il 20.5% ottenuto alle ultime elezioni è stato il risultato più' basso di sempre.

Sappiamo dalla storia che una grande coalizione fra il principale partito di centro-sinistra e quello di centro-destra tende a rafforzare le ali estreme - e questo è già accaduto. Il risultato di questa stessa grande coalizione - o Groko - che ha governato per 8 dei precedenti 12 anni, è stato proprio il voto dato ad AfD da parte di un elettore tedesco su 8. E guardate che messo accanto ad AfD lo Ukip sembra un partito moderato e Silvio Berlusconi un distinto gentiluomo conservatore.

...

Certo, nuove elezioni ora, dopo 5 mesi di confusione politica senza precedenti potrebbero produrre un voto di protesta ancora piu' ampio a favore di AfD. Ma c'è un'alternativa migliore che la Cancelliera e il Presidente Federale potrebbero tentare se i militanti del partito socialdemocratico dovessero votare no: un governo di minoranza cristiano-democratico guidato da Merkel. Il governo di minoranza sarebbe sicuramente un'innovazione nella storia della Repubblica federale, anche se è già stato messo in pratica in molte altre democrazie e nella costituzione tedesca non c'è scritto da nessuna parte che non lo si possa fare anche in Germania. In realtà, il ruolo importante che la Costituzione deliberatamente conferisce al Cancelliere potrebbe rendere più facile sostenere un governo di minoranza. I principali partiti d'opposizione, i Liberali, i Verdi, nonché i Socialdemocratici, offrirebbero sicuramente il loro sostegno sulle politiche europee o di sicurezza, come del resto sulle leggi di bilancio e sui voti di fiducia. Si', il governo di minoranza potrebbe perdere alcuni voti parlamentari su altri temi, ma come sottolineato dallo storico tedesco Heinrich-August Winkler, cio' aumenterebbe l'importanza dei dibattiti parlamentari e il lavoro delle specifiche commissioni. Sarebbe un male per una democrazia parlamentare? Al contrario.

La riposta di Berlino alle proposte di Macron sull'Europa sarebbe un po' meno entusiasta, specialmente in merito all'Eurozona. Ma si tratterebbe di una sintesi molto piu' realistica della posizione su cui si trova la maggioranza dei tedeschi sull'argomento. Sicuramente molto lontana dalla visione dell'ex leader della SPD Martin Schulz, quella degli Stati Uniti d'Europa da creare entro il 2025. Allo stesso tempo i cristiano-democratici sarebbero spronati ad offrire qualcosa in piu' a Macron sui temi della politica estera, della sicurezza e della difesa comune - specialmente di fronte al terribile trio Brexit, Trump e Putin. Sarebbe un male per l'Europa? Al contrario.

Un governo di minoranza sotto Merkel probabilmente non durerebbe un intero mandato, ma non sarebbe nemmeno la fine del mondo. Sono un grande ammiratore di Merkel, ma ci stiamo decisamente avvicinando al momento di un cambiamento al vertice. La democrazia è anche questo. Un'elezione nel 2019 o 2020 con dei partiti di opposizione meglio delineati e con un nuovo e piu' giovane leader cristiano-democratico difficilmente potrebbe essere peggiore di quella imposta da una grande coalizione stantia e in rovina.

Il motto silenziosamente sospeso sulla saggezza convenzionale che domina a Berlino è un motto conservatore usato per la prima volta nel 1957: Keine Experimente!  (nessun esperimento!). Ma ciò' di cui invece la Germania avrebbe bisogno in questo momento è il grido di Willy Brandt del 1969: Mehr Demokratie wagen! (osare piu' democrazia!). L'esperimento di un governo di minoranza creerebbe alcune incertezze nel breve periodo, ma nel lungo periodo sarebbe un vantaggio sia per la Germania che per l'Europa. 

domenica 25 febbraio 2018

Sahra Wagenknecht:"aiutiamoli a casa loro"

Le Tafel sono associazioni di volontariato che distribuiscono ai bisognosi i generi alimentari ricevuti in dono dai supermercati o dalle aziende. Nei giorni scorsi la Tafel di Essen ha deciso di dare la precedenza ai tedeschi nella distribuzione degli alimenti. Ne è nato un dibattito politico che sembra fatto apposta per portare acqua al mulino di AfD. Sahra Wagenknecht, leader della Linke, con un'intervista coraggiosa a DLF dice quello che anche a sinistra sono in molti a pensare: "aiutiamoli a casa loro!". Da deutschlandfunk.de


DLF: Lei ha detto che non bisogna consentire le strumentalizzazioni.Tuttavia lei stessa viene accusata nel suo partito, nella Linke, di voler favorire la gente del posto o che almeno si è espressa in questa direzione. Non è stata anche lei in passato a favorire proprio questo conflitto?

Wagenknecht: non si tratta solo di favorire, si tratta piuttosto di fare in modo che non siano proprio coloro a cui già ora le cose vanno male ad essere ulteriormente gravati dal peso dell'immigrazione. E queste sono le conseguenze della politica del governo federale. La responsabilità non è dei rifugiati ma della politica che ha creato le condizioni affinché potessero arrivare in massa e che ora non si preoccupa affatto del modo in cui i problemi connessi devono essere risolti. Le Tafel sono solo una parte della storia, ma ce ne sono certamente altre, ci sono le scuole sovraffollate e i problemi abitativi. Ci sono molti problemi che si sono aggravati a causa della crisi dei migranti. E il governo federale continua come se non fosse successo niente, lascia i comuni da soli, lascia le Tafel da sole. E ora fanno finta di arrabbiarsi quando da qualche parte si accende un conflitto come questo, io lo trovo ipocrita.

DLF: il governo federale la vede in maniera diversa. Nel vostro stesso partito i vertici dicono chiaramente che stanno perseguendo un corso politico favorevole ai profughi, vogliono le frontiere aperte, vogliono proteggere le persone in difficoltà, anche se poi ci saranno sempre piu' persone che arrivano in Germania. E questo significa anche che le Tafel saranno frequentate sempre piu'  da una maggioranza di stranieri che hanno bisogno di aiuto. Qual'è allora la posizione della Linke?

Wagenknecht: riteniamo che le persone perseguitate politicamente abbiano diritto all'asilo. Ma riteniamo che né per la Germania né per i paesi di origine sia opportuno promuovere e favorire la migrazione di manodopera. Da un lato nei paesi di origine è soprattutto la classe media istruita a migrare, e questo avviene a spese dei piu' poveri, che non vengono perché non possono. E non abbiamo interesse a creare ulteriore concorrenza in Germania nel settore a basso salario dando alle  imprese ancora di piu' la possibilità di giocare mettendo l'uno contro l'altro, perché tanto avranno sempre qualcuno che a causa della situazione personale è disposto a lavorare per un salario peggiore. Tutto cio' non ha senso e noi non lo appoggiamo.

DLF: chi sono allora gli elettori della Linke? La gente del posto oppure gli immigrati bisognosi?

Wagenknecht: ci impegniamo per le persone a cui le cose non  vanno bene, che sono anche i perdenti delle politiche degli ultimi anni. E vorremmo anche un ordine economico globale che impedisca alle persone di essere cacciate dalle loro case. Ad esempio quando parliamo di rifugiati vediamo che solo il 10% di tutti i rifugiati ce la fa ad arrivare nei paesi sviluppati, il 90% vive vicino alla propria terra di origine, la maggior parte di loro viene lasciata da sola e senza aiuto. Dobbiamo aiutarli in quei paesi, a casa loro.

DLF: è una tipica posizione della CDU quella da lei rappresentata.

Wagenknecht: quella che le ho appena descritto non è una posizione della CDU ma è la realtà. Il 90% delle persone vive in quei paesi. E se anche questa fosse la posizione della CDU allora mi chiedo perché la signora Merkel ha tagliato i trasferimenti tedeschi all'UNHCR, ad esempio, durante la grande ondata di rifugiati. Questo è stato uno dei motivi per cui così tante persone sono arrivate in Europa dai paesi confinanti con la Siria. Perché in quei paesi hanno condizioni miserabili. E ora assistiamo ad una escalation nella guerra in Siria a causa dell'intervento della Turchia. La Turchia è un nostro alleato, i carri armati tedeschi vengono usati per uccidere e, naturalmente, causano la fuga delle persone, creano rifugiati e i flussi di rifugiati. E penso che se vuoi davvero fare qualcosa affinché non ci sia cosi' tanta gente che fugge in Europa, dovresti finalmente smettere di vendere armi in tali conflitti e anche impegnarti chiaramente nei confronti dei nostri alleati in modo da fermare la guerra.

DLF: Bernd Riexinger, il vostro collega di partito, ha detto che i rifugiati di oggi sono gli operai di domani. La sinistra può davvero permettersi di perdere la futura clientela di migranti?

Wagenknecht: questa è una posizione troppo semplice. Prima di tutto, ci auguriamo che tutti coloro che vivono in Germania abbiano anche la possibilità di trovare un lavoro, cosa che attualmente resta un grosso problema. Dopo tutto, la maggior parte delle persone arrivate in Germania nell'ultima ondata migratoria non ha ancora un lavoro, e hanno grandi difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro. E non è nemmeno la nostra posizione, quella di portare più gente possibile in Germania, questo deve essere molto chiaro, non può essere una posizione di sinistra. Puoi aiutare solo le persone che le tue infrastrutture e le tue capacità ti permettono di aiutare.

DLF: ma questo non faceva parte del vostro programma di partito

Wagenknecht: beh, questo è solo normale e ragionevole buon senso, vale a dire che non si possono aiutare le persone quando le risorse non sono disponibili, non serve a nessuno in verità...

DLF: quindi è il resto del suo partito a comportarsi in maniera irragionevole?

Wagenknecht: non serve a nessuno un'integrazione che non funziona. Dobbiamo evitare che emergano mondi paralleli, dobbiamo prevenire, anche nell'interesse di coloro che vengono in Germania, che la xenofobia si intensifichi. Ed è altrettanto vero che se parli oggi con persone immigrate in passato, ti accorgi che non sono affatto d'accordo sul fatto che ci sia bisogno di più' immigrazione. Perché in molti casi anche loro lavorano nel settore a basso salario e anche loro sono colpiti quando la pressione salariale aumenta, e sono proprio loro a vivere in quelle zone residenziali e vogliono che gli affitti non continuino a salire. Non è difficile capire che si tratta di una posizione che viene sostenuta proprio nelle zone ad elevata immigrazione.

Le radici intrinsecamente antidemocratiche e fasciste del pareggio di bilancio

Su Kontrast.at un articolo molto interessante ripercorre le origini intrinsecamente fasciste e reazionarie del cosiddetto "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse), la legge tedesca che ha ispirato il pareggio di bilancio inserito poi nella Costituzione italiana. Sia in Italia che in Germania non sarebbe mai stato introdotto senza il voto favorevole dei principali partiti socialdemocratici. Da Kontrast.at


Il cosiddetto "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse) è un'idea peculiare degli anni '40 riconducibile ad un ristretto gruppo di uomini facoltosi che erano soliti riunirsi sulle Alpi svizzere. Nato dalle idee di uno strano personaggio con una certa predilezione per i regimi autoritari, ha avuto bisogno di un po' di tempo prima di affermarsi economicamente; una rete neo-liberale fatta di giornalisti, politici e think tank con molto denaro e molto potere nel corso degli anni è riuscita a farlo emergere e a dargli una grande visibilità. Con un grande danno per la collettività.

Era il 1947 quando sulle montagne svizzere poco piu' di una decina di uomini decise di cambiare radicalmente le regole della convivenza globale: era nata la „Mont Pèlerin Society“. Da allora un network di giornalisti, politici e think tank finanziati da super-ricchi, industriali ed ereditieri si riunisce regolarmente per portare avanti un progetto finalizzato ad imporre l'ideologia economica neoliberista - nella gestione dello stato, nell'economia e nella mente delle persone. "Il liberalismo in quanto principio dominante se non principio assoluto di organizzazione sociale" in molti campi ha imposto un pensiero che considera l'uomo un „Homo oeconomicus“ interamente orientato al raggiungimento del profitto e al perseguimento del proprio interesse economico. L'amicizia, l'amore, oppure il prendersi cura dell'altro, secondo questa ideologia non avrebbero alcuna importanza. Una concezione dell'uomo che ci rivela molto sui seguaci di questo pensiero.

Negli anni '40 il neoliberismo era ancora marginale, nessuno lo prendeva sul serio. Tuttavia nel corso dei decenni il lavoro sistematico condotto da una rete di think tank, politici e giornalisti è riuscito a trasformarlo in una corrente mainstream.

Gli inventori del pareggio di bilancio - non erano amici della democrazia

E' proprio da questa area politica che arriva l'idea del cosiddetto "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse). L'ideatore è stato il defunto economista ed ex presidente della „Mont Pèlerin Society“, James McGill Buchanan. Quando la storica Nancy MacLean dopo la scomparsa di Buchanan ha perlustrato la sua tenuta, ha scoperto che l'economista per diversi anni era stato finanziato direttamente dall'industriale statunitense Charles G. Koch, il nono uomo piu' ricco al mondo. Tra Koch e Buchanan non scorreva solo denaro ma anche idee. Si incontravano regolarmente per lo scambio di opinioni, occasioni in cui ad esempio i due parlavano di come si potevano contenere e limitare le istituzioni democratiche:

"Buchanan non era un grande amico della democrazia, per lui il dispotismo era un'alternativa possibile e forse migliore. In questo senso Buchanan era convinto che i politici eletti democraticamente e le loro azioni dovevano essere fortemente limitate. Ad esempio attraverso un "freno all'indebitamento" che stabilisca quanto uno stato puo' spendere, indipendentemente da cio' che è necessario socialmente o dall'andamento dell'economia."

Buchanan nella sua avversione per la democrazia si è spinto ancora oltre appoggiando la sanguinosa dittatura in Cile attiva sotto Augusto Pinochet. Ha contribuito a scrivere la Costituzione dello stato autoritario sud-americano ed è stato consigliere di Pinochet sulle questioni di politica economica. Le conseguenze di quelle politiche furono tagli radicali, privatizzazioni catastrofiche e lo smantellamento dei diritti dei lavoratori.

Bilanci pubblici e privati sullo stesso piano.

Per decenni il debito pubblico è stato considerato una conseguenza delle crisi economiche, non una sua causa. Le reti neo-liberiste hanno tuttavia cercato di capovolgere la situazione e negli anni successivi al 2008/2009 sono riuscite ad imporsi e a far passare l'idea che i bilanci pubblici e privati possano essere messi sullo stesso piano. Il risultato è stato un programma di austerità che ha fatto scivolare le economie in una crisi sempre piu' profonda.

L'idea alla base del "freno all'indebitamento" risiede nella convinzione che i bilanci pubblici e quelli privati funzionino allo stesso modo. L'intero quadro finanziario riguardante diversi milioni di persone dovrebbe essere organizzato esattamente come il bilancio di una famiglia di 3 o 4 persone. E' ovvio che si tratta di una conclusione completamente errata: il settore pubblico investe nelle infrastrutture, costruisce e gestisce gli ospedali, le scuole e le università, finanzia i vigili del fuoco, la protezione civile e la polizia. Ed è grazie ad una migliore formazione, ad infrastrutture piu' solide e ad una maggiore sicurezza che gli investimenti contribuiscono ad incrementare i redditi. Una riduzione delle uscite porta spesso anche ad una riduzione delle entrate. Per le famiglie private non puo' valere la stessa dinamica delle entrate e delle uscite.

Il freno all'indebitamento è un freno agli investimenti

Dal punto di vista macroeconomico il freno all'indebitamento (Schuldenbremse) è un freno agli investimenti: i margini di manovra politici vengono fortemente limitati, coloro che vivono del loro lavoro subiscono i tagli, i titolari dei grandi patrimoni invece ottengono vantaggi fiscali. Il freno agli investimenti è esattamente il contrario del concetto di giustizia - sia all'interno della società che tra le generazioni: la ricchezza viene infatti redistribuita da coloro che lavorano a coloro che invece vivono dei loro patrimoni e possedimenti. Il motore economico dello sviluppo si ferma e le società neo-liberiste vivono consumando le loro risorse. Sarebbe molto piu' importante invece investire nell'economia reale e rafforzare i settori fondamentali per il futuro invece di seguire un piano egoistico creato da un piccolo e bizzarro gruppo di persone.



lunedì 23 ottobre 2017

Perché i minijob non possono essere la soluzione

I grandi quotidiani nazionali italiani ci ricordano quanto siano utili e belli i minijob alla tedesca e che sarebbe arrivato il momento di introdurli anche nella nostra penisola. Le cose non stanno esattamente cosi'. Una ricerca del prestigioso Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) riportata da Die Welt evidenzia che al boom dei minijob corrisponde un boom del doppio lavoro. Il motivo: le esenzioni fiscali garantite dai minijob (fino a 450 € al mese) spingono i lavoratori ad iniziare un secondo lavoro. Invece della crescita professionale nell'impiego principale, i minijob di fatto incentivano la creazione continua di milioni nuovi lavoretti che molto spesso sono dei veri e propri "dead-end job". Da Die Welt


Il mercato del lavoro tedesco passa da un record all'altro: mai fino ad ora la disoccupazione era stata cosi' bassa, mai nella Repubblica Federale c'erano state cosi' tante persone occupate - e il loro numero dovrebbe continuare a crescere anche questo e il prossimo anno.

Le cifre ufficiali tuttavia non riflettono le vere dimensioni della crescita occupazionale perché la parte piu' ampia del boom occupazionale da alcuni anni ha luogo in un'area del mercato del lavoro che non compare nelle statistiche ufficiali: e cioè nel doppio lavoro.

Un recente studio dell'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) illustra la crescita quasi esplosiva dei secondi lavori: nel primo trimestre di quest'anno c‘erano 3.07 milioni di lavoratori dipendenti, autonomi o pubblici con un secondo lavoro. Il numero di coloro che hanno piu' di un lavoro dal 2003 è piu' che raddoppiato.



Nessuna tassa

Due sono i fattori che piu‘ di tutti stanno alimentando questo sviluppo; accanto al buon andamento del mercato del lavoro c'è stata soprattutto una modifica della normativa: dal primo aprile 2003 infatti sono cambiate le leggi che regolano i minijobs. Il limite massimo di guadagno è passato prima da 325 a 400 euro e in seguito ha raggiunto i 450 euro mensili; i minijobs di fatto sono stati esentati dalle tasse e dai contributi.

Chi lavora con uno o piu' minijob e guadagna fino a 450 euro, infatti, non deve pagare né le imposte sul reddito né i contributi previdenziali. La maggior parte dei lavoratori si fa esentare anche dal versamento dei contributi previdenziali. Solo il datore di lavoro versa alla Minijob-Zentrale una somma forfettaria per coprire i contributi sociali e le tasse.

Questa nuova normativa ha reso i minijob improvvisamente molto attraenti per tutte le persone che al di fuori degli orari del lavoro principale intendono guadagnare qualcosa. Nei mesi successivi all'entrata in vigore della legge infatti è cresciuto radicalmente il numero di coloro che svolgono 2 o piu' lavori.



Ci sono piu' offerte di lavoro

Da allora il numero di persone con doppia occupazione continua a crescere. I due ricercatori dello IAB, Sabine Klinger e Enzo Weber, sostengono che l’andamento sia da ricondurre allo sviluppo storicamente buono del mercato del lavoro. Chi ha un secondo lavoro beneficia del fatto che nel complesso c'è una maggiore offerta di posti di lavoro. "La crescita relativa del doppio lavoro è stata sicuramente piu' pronunciata rispetto a quella dei dipendenti con una sola occupazione", scrivono gli autori.

Cio' è confermato anche da una ulteriore analisi statistica: soprattutto nelle regioni in cui c'è piena occupazione, come il Baden-Württemberg o la Baviera, negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il numero di minijob svolti come un secondo lavoro.

Un altro fattore importante secondo gli autori potrebbe essere il fatto che fino al 2010 i salari reali sono cresciuti solo per i lavoratori piu' qualificati. Molti lavoratori hanno percio' avvertito la pressione e la necessità finanziaria di migliorare il reddito derivante dall'attività principale.

In un'analisi separata, gli autori dello studio Klinger e Weber, utilizzando i dati della Bundesagentur für Arbeit, hanno cercato di capire chi sono coloro che svolgono un secondo lavoro. Non c'è da sorprendersi nello scoprire che sono soprattutto gli occupati che guadagnano molto poco ad avere un secondo lavoro. Di conseguenza la probabilità di svolgere un secondo lavoro è sicuramente piu' alta nelle fasce di reddito piu' basse.

Molte donne hanno due posti di lavoro

Nell'ambito di questa indagine, fatta sui dati del ministero, non erano considerati i lavoratori autonomi. "Se lo studio dovesse prendere in considerazione anche i lavoratori autonomi che hanno un secondo lavoro, nelle statistiche probabilmente comparirebbero anche persone con una buona situazione finanziaria", dice l'autore Enzo Weber. "Spesso si tratta  di persone che cercano di guadagnare autonomamente un po' di soldi sfruttando le loro elevate competenze".

Attualmente gli esperti del mercato del lavoro distinguono tra due gruppi di secondi lavori: nel primo ci sono persone che svolgono un secondo lavoro perché con la loro attività principale guadagnano troppo poco e quindi dipendono dal reddito percepito con il secondo lavoro. Nel secondo gruppo ci sono invece coloro che hanno solo un part-time e che vorrebbero lavorare di piu'

In questo secondo gruppo ci sono soprattutto donne; sono infatti le donne ad essere sovrarappresentate fra coloro che esercitano un secondo lavoro, cosi' come fra i lavoratori a basso reddito. Ad un altro  gruppo appartengono invece gli scienziati o i ricercatori che per ragioni di prestigio svolgono un secondo lavoro oppure coloro che semplicemente provano piacere nello svolgere una seconda attività; è il caso ad esempio dei manager che insegnano all'università, o degli impiegati che dopo il lavoro vanno a suonare con una band musicale.

I vantaggi dovrebbero essere eliminati

Gli autori  fondamentalmente criticano il fatto che lo stato sovvenziona i minijobs attraverso l'esenzione delle tasse e dei contributi. "Questo beneficio statale nei confronti dei minijobs non è necessario e dovrebbe essere annullato", afferma Weber, direttore della ricerca IAB. Utlizzare le esenzioni fiscali dei minijobs per spingere le persone ad avere piu' di un lavoro è una scelta miope.

"Al momento il sostegno fiscale del governo incentiva le persone ad intraprendere un minijob come secondo lavoro, un lavoro che di fatto non porta nulla se non un po' piu' di soldi. Sarebbe invece necessario migliorare le opportunità di reddito nel lavoro principale, ad esempio attraverso una riduzione dei contributi e delle tasse per i redditi piu' bassi", sostiene Weber.

"Le persone dovrebbero essere incentivate a lavorare nella loro attività principale, impegnandosi in quello che fanno, eventualmente ampliando l'orario di lavoro, in modo da svilupparsi professionalmente ed essere in grado di versare contributi per avere poi una pensione in vecchiaia. Aver ridotto le tasse e i contributi sociali per i minijob è servito solamente a mettere le persone sulla strada sbagliata".

venerdì 20 ottobre 2017

Perché la disuguaglianza sociale in Germania non è frutto del caso ma il risultato di una precisa scelta politica



Uno studio molto interessante pubblicato dalla Hans-Böckler-Stiftung e realizzato da due ricercatori del prestigioso Institut Arbeit und Qualifikation (IAQ) di Duisburg (disponibile qui per intero) ci spiega perché la disuguaglianza sociale in Germania non è frutto del caso ma è il risultato di precise scelte politiche adottate negli ultimi decenni. Una breve presentazione dell'analisi dal sito della Hans-Böckler-Stiftung




Poiché il mondo del lavoro è sempre piu' complesso le aziende si farebbero la guerra fra di loro per accaparrarsi i dipendenti piu’ qualificati. I lavoratori con una scarsa preparazione sarebbero esclusi da questo mercato e di conseguenza le differenze in termini di reddito continuerebbero ad aumentare. La maggior parte degli economisti tenta di spiegare in questo modo l'aumento della disuguaglianza sociale. Ma per Gerhard Bosch e Thorsten Kalina dell'
Institut Arbeit und Qualifikation
 (IAQ) non si tratta di una spiegazione convincente. Secondo l’analisi condotta dai 2 studiosi, il declino in termini quantitativi del lavoro meno qualificato, iniziato negli anni '70, non puo' spiegare il crollo dei salari orari medi avvenuto due decenni dopo. Soprattutto perché la teoria economica standard ignora l'influenza delle mutate relazioni di potere e i cambiamenti nelle istituzioni di mercato. Bosch e Kalina sostengono che l'aumento della disuguaglianza sociale sia da ricondurre in primo luogo all'indebolimento della contrattazione collettiva. Nel loro studio identificano 6 fattori che nel corso degli anni hanno indebolito il ruolo di equilibrio in precedenza svolto dai contratti collettivi:

- Dopo il 1990 non si è riusciti ad estendere ai nuovi Laender il sistema della contrattazione collettiva in vigore nella Germania occidentale

- La possibilità data alle imprese dell'est di sottrarsi temporaneamente alla contrattazione collettiva, nel corso degli anni si è trasformata in una regola valida per tutta la Germania. Le piccole e medie imprese nel settore dei servizi nel giro di pochi anni sono uscite dal sistema dei contratti di categoria.

- Le aziende hanno esternalizzato una parte sempre maggiore delle loro attività per risparmiare sul costo del lavoro

- La deregolamentazione avviata dall'UE ha aperto la strada alla concorrenza low cost che ha messo sotto pressione molte aree economiche regolamentate dalla contrattazione collettiva, è avvenuto ad esempio nelle telecomunicazioni, nel trasporto pubblico locale oppure nella raccolta dei rifiuti

- La corsa al ribasso nelle retribuzioni è stata facilitata dalle liberalizzazioni dell'UE nell'ambito della fornitura di servizi, soprattutto nel settore nelle costruzioni.

- A causa della forte pressione politica i sindacati hanno siglato accordi di categoria con clausole aperte che permettevano alle imprese economicamente piu' deboli di ridurre temporaneamente gli standard retributivi. Nella pratica cio' ha portato ad una riduzione permanente dei salari in molti settori.


Cio' è potuto accadere, secondo Bosch e Kalina, perché le imprese dopo la vittoria del capitalismo “nello scontro fra i sistemi economici", nell’ambito del conflitto redistributivo hanno avuto "poco rispetto nei confronti della stabilità del sistema politico". Una parte delle "élite, soprattutto nelle grandi aziende, ha iniziato a rifiutare i compromessi raggiunti dallo stato sociale nel dopoguerra".

Secondo i ricercatori anche le “riforme Hartz” avrebbero contribuito a consolidare la crescente diseguaglianza sociale. E' sicuramente vero che l'ampliamento della forbice dei redditi è iniziato prima del 2005. Ma l'aumento della pressione esercitata sui disoccupati affinché accettassero qualsiasi lavoro, anche i piu’ precari, ha fatto si' che i salari nella parte piu’ bassa della scala abbiano continuato a scendere anche durante le fasi di buona congiuntura. A cio' si deve aggiungere che il ruolo redistributivo dello stato si è ridotto: mentre la tassazione per gli imprenditori e per i redditi piu' alti scendeva, l'aumento della tassazione indiretta e la riduzione delle pensioni e delle indennità di disoccupazione gravava sulle famiglie a basso reddito in maniera piu’ che proporzionale.

Il fatto che le disuguaglianze sociali non aumentino in maniera automatica e che lo sviluppo della redistribuzione sia fortemente influenzato da fattori politici, per i 2 ricercatori deve essere considerato un elemento incoraggiante. Significa soprattutto che la disuguaglianza sociale "puo' essere ancora frenata". Con il salario minimo per legge si è fatto un primo passo in questa direzione.

mercoledì 18 ottobre 2017

Intervista a Lindner della FDP sull'unione di trasferimento

Lindner punta dritto al Ministero delle Finanze e ribadisce i punti fermi della FDP sulla riforma dell'eurozona: nessun fondo monetario europeo, smantellamento dell'ESM, una procedura per il fallimento ordinato degli stati e uscita volontaria dall'euro. Dall'intervista della FAZ al leader liberale.


FAZ: Lei sostiene che la definizione della linea politica sui temi europei sia la questione piu' difficile da affrontare nei negoziati per la coalizione Jamaika. La sua linea rossa sono la messa in comune dei debiti e la creazione di un nuovo fondo monetario. Si tratta proprio dei temi centrali del presidente francese Emmanuel Macron. Nella FDP davvero c'è unità su questi temi? A volte ad esempio il politico europeo Graf Lambsdorff usa sull'Europa parole e toni molto diversi.

Lindner: non si preoccupi. In un partito liberale ci sono sempre delle sfumature, ma sugli obiettivi restiamo uniti. La nostra preoccupazione comune è la responsabilità individuale dei membri dell'unione monetaria. Vogliamo rafforzare il principio della responsabilità, applicare le regole di Maastricht e tornare ai principi dell'economia di mercato per quanto riguarda il finanziamento degli stati. Inoltre apprendo con interesse che il presidente Macron non accetta linee rosse nel dibattito sulle riforme, mentre in realtà è il suo governo a tracciarne una quando esclude una partecipazione automatica dei creditori privati ai futuri programmi di salvataggio. Si tratterebbe di uno strumento per disciplinare la politica attraverso la concorrenza basata sul mercato.

FAZ: anche il ministro uscente Wolfgang Schäuble chiede questa partecipazione dei creditori. Vorrebbe espandere il fondo ESM, che ha ancora riserve elevate, e trasformarlo in un fondo monetario europeo - a condizione pero' che i creditori privati partecipino ai futuri programmi di salvataggio. La FDP invece vorrebbe abolire il fondo di salvataggio. Perché?

Lindner: in una unione monetaria in cui le regole sul disavanzo fissate dal trattato di Maastricht vengono di nuovo applicate, i fondi di salvataggio permanenti non sono necessari. Non ci sottrarremo al dibattito, ma le nostre proposte restano una procedura fallimentare per gli stati e l'uscita volontaria dall'euro. Per quanto riguarda il fondo monetario europeo temo che i rappresentanti della politica di stabilità si troverebbero in minoranza e che il fondo verrebbe trasformato in una stazione di pompaggio per i trasferimenti finanziari. In passato ci sono state alcune proposte di Wolfgang Schäuble anche interessanti, ma quello che poi è stato attuato alla fine si è rivelato molto diverso. Notoriamente sul terzo pacchetto di salvataggio per la Grecia Schäuble ha votato contro la sue stesse convinzioni, perché la Cancelliera lo ha messo in minoranza. Ci sarebbero state le condizioni per dare le dimissioni.

FAZ: un problema irrisolto dell'eurozona è l'eredità in termini di crediti deteriorati, non solo nelle banche italiane. Di conseguenza Italia e Francia, ma anche la Commissione Europea spingono per creare una garanzia europea sui depositi. Anche questa è una linea rossa per la FDP?

Lindner: sono i singoli stati a dover restare responsabili per il loro settore bancario. Altrimenti si creano degli incentivi sbagliati. Per quanto riguarda la stabilità finanziaria non credo alle promesse e nemmeno agli stress test. In Italia recentemente alcune banche sono state salvate con il denaro pubblico, sebbene fossero gli azionisti e gli obbligazionisti a dover garantire. Traggo le conseguenze: una garanzia comune sui depositi in una unione bancaria in cui i rischi sono condivisi, al momento non avrebbe alcuna base.

FAZ: con tali affermazioni incoraggia le speculazioni che la vorrebbero Ministro delle Finanze. Il capogruppo  parlamentare della CDU Kauder tuttavia ha affermato che vorrebbe mantenere questo posto cosi' importante nelle mani dei cristiano-democratici. A breve il sottosegretario alla Cancelleria Peter Altmaier assumerà temporaneamente la posizione di ministro in qualità di commissario del governo, visto che Schäuble sta per essere eletto alla presidenza del Bundestag. 

Lindner: prima di tutto noto che le trattative a Bruxelles continuano a ritmo serrato. Per questo mi aspetto che Frau Merkel e Herr Altmaier chiariscano che il governo federale è in carica solo per l'ordinaria amministrazione. La Germania attualmente non è in grado di decidere. Penso sia da escludere che un ministro delle finanze provvisorio possa condurre delle trattative a Bruxelles come se non fosse accaduto nulla. Non possono essere presi impegni senza una legittimazione politica.

FAZ: probabilmente non vuole dirci chi vorrebbe vedere come Ministro delle Finanze...

Lindner: per me è piu' importante una diversa politica finanziaria rispetto alla discussione sulla persona che dovrà sedere al Ministero. Tuttavia è chiaro che Wolfgang Schäuble era uno dei membri piu' importanti della Cancelleria nonché uno stretto collaboratore della stessa Cancelleria. L'assegnazione temporanea della posizione ad Altmaier ci mostra che il Ministero delle Finanze non è un correttore di bozze della Cancelleria, ma il prolungamento del suto tavolo di lavoro. Per questo motivo suggerisco la separazione politica fra Cancelleria e Ministero delle Finanze. Che a fare il ministro ci sia un liberale, poi è un aspetto secondario.