lunedì 8 marzo 2021

Die Lobby Republik e l'affarismo del deputato bavarese

Il potere invisibile delle lobby spesso sconfina nella corruzione e nell'affarismo, come ci mostra la vicenda del deputato bavarese Georg Nüßlein, politico di professione e lobbista di lungo corso, ora indagato per una vicenda di corruzione legata alla fornitura di mascherine ai ministeri tedeschi. Probabile che quando su questa vicenda si saranno spenti i riflettori, qualcuno gli offrirà un altro bel posto in un altro consiglio di amministrazione, in modo da poter continuare a monetizzare i suoi preziosi contatti nella politica che conta. Ne scrive Wirtschaftswoche.de



Il deputato della CSU non solo ha guadagnato soldi con le mascherine fornite ai ministeri della salute grazie alla sua intermediazione. Ma ha ricevuto anche dei pagamenti da altre aziende per i suoi contatti politici. Il suo ritiro dalla politica era inevitabile.


(...) Georg Nüßlein, vicepresidente del gruppo parlamentare della CDU/CSU, oltre al suo incarico politico si occupava anche di molte altre cose. A differenza della maggior parte dei parlamentari, tuttavia, non gli piaceva farlo gratis. E questo non riguarda solo un affare da 14 milioni di euro messo in piedi con le mascherine protettive consegnate al governo federale e ad altre autorità pubbliche e per le quali il deputato di Neu-Ulm aveva ricevuto 660.000 euro di provvigioni. Ci sono anche numerosi altri accordi fra aziende private e il settore pubblico in cui Nüßlein è stato coinvolto. Attraverso la sua società Tectum Holding GmbH, non ha solo intermediato la consegna delle mascherine al Ministero Federale della Salute, ma anche a diversi dipartimenti regionali.

Tectum Holding sembrerebbe un'arma multiuso. Il proprietario Nüßlein l'ha usata per gestire l'asset management, la consulenza finanziaria e, apparentemente, per farsi pagare le commissioni legate alle forniture governative, come ad esempio la vendita di mascherine anti-Corona per i ministeri della salute. Non si sa quale reddito generi con la Tectum Holding - Nüßlein a tale proposito non ha dato nessuna comunicazione al Bundestag.




Buoni affari con le ferrovie

Il deputato, oltre ad aver già lavorato per l'azienda di cosmetici "Veronas Dreams" dell'ex icona pubblicitaria Verona Feldbusch, infatti, non si occupa solo di gestire le proprie aziende. Nüßlein siede anche in molti consigli di amministrazione dove può usare proficuamente i suoi contatti politici. Ad esempio, l'economista e scienziato sociale di formazione e politico di professione, è anche un membro del consiglio di sorveglianza della Sfirion AG di Monaco, una società di ingegneria gestita dal proprietario e specializzata nella gestione di progetti nel settore delle costruzioni. Uno dei suoi clienti è la Deutsche Bahn AG. Da quando Nüsslein è nel consiglio di sorveglianza della Sfirion AG, gli affari con l'azienda statale si sono sviluppati in maniera particolarmente positiva, soprattutto da quando nel 2009 il Ministero federale dei trasporti è tornato alla CSU, dopo anni di leadership socialdemocratica.

Che il ministro dei trasporti fosse Peter Ramsauer, Alexander Dobrindt, Christian Schmidt o Andreas Scheuer - tutti da tempo sono buoni amici di partito nella CSU di Nüßlein e tutti sono stati responsabili d'ufficio per le ferrovie. In ogni caso, secondo un insider di Berlino, le vendite della Sfiron AG alla Deutsche Bahn dal 2009 sono quasi raddoppiate. Quale sia stato il ruolo di Nüßlein in queste relazioni, se abbia effettivamente promosso l'azienda che ha co-supervisionato presso i suoi amici di partito della CSU e se abbia ricevuto altri pagamenti oltre al suo compenso nel consiglio di sorveglianza al momento non lo si può escludere, tuttavia resta da chiarire. L'ufficio di Nüßlein da giorni non risponde alle domande della stampa, e anche la Sfirion AG si rifiuta di rispondere alle richieste scritte.

La gente si conosce, la gente si aiuta a vicenda

La rete di amigo di Nüßlein, tuttavia, non arriva solo al Ministero dei Trasporti. Il suo vecchio collega di partito Alfred Sauter, membro della presidenza della CSU, ex ministro della giustizia bavarese e oggi membro del parlamento regionale bavarese e avvocato, ha aiutato Nüßlein nei suoi affari. Nei dossier d'inchiesta della procura di Monaco contro Nüßlein e l'uomo d'affari Thomas Limberger per sospetta corruzione in relazione all'affare delle mascherine, il nome di Alfred Sauter appare in ogni caso.

L'influente politico della CSU nei documenti viene indicato come testimone. In risposta alle domande della stampa, Sauter ha riferito di aver solo redatto un contratto tra il Ministero della Salute bavarese e un fornitore di mascherine. Naturalmente per fare ciò gli è stata pagata una parcella come avvocato, secondo Sauter, che lavora in uno studio legale con l'ex politico della CSU Peter Gauweiler. Sauter non ha commentato la questione sul ruolo di Nüßlein.

Sauter e Nüßlein si conoscono bene. Sauter rappresenta la circoscrizione di Günzburg nel parlamento regionale bavarese - una città che si trova anche nella circoscrizione elettorale di Nüßlein al Bundestag. E anche Thomas Limberger conosce bene entrambi i politici della CSU. E i 660.000 euro arrivati a Nüßlein provengono dalla società di Limberger nel Liechtenstein, soldi che fino ad ora non erano stati comunicati all'ufficio delle imposte come notifica anticipata dell'IVA. Nelle indagini della procura e nelle perquisizioni sono stati coinvolti più di 30 funzionari - anche in Liechtenstein. Quando le indagini saranno completate, al momento non è ancora prevedibile, ha detto il pubblico ministero. L'immunità parlamentare di Nüsslein è stata revocata all'unanimità dal Bundestag, e la sua carica di vicepresidente del gruppo parlamentare è stata sospesa. Il suo avvocato respinge le accuse considerandole "infondate".

La direzione del gruppo parlamentare mette in guardia dal fare affari paralleli

Nell'Unione sono scioccati e scuotono la testa. Il sospetto che nella crisi causata dal Coronavirus qualcuno di loro si sia arricchito illegalmente è - secondo un insider della CSU - "per tutti noi terribile". Che anche il deputato della CDU al Bundestag Nikolas Löbel si sia guadagnato una piccola fortuna intermediando una fornitura di mascherine, è un ulteriore caso a cui si aggiunge un ulteriore danno d'immagine per la politica. Non aiuta il fatto che Nüßlein abbia annunciato il suo ritiro dalla politica e Löbel intenda dimetteresi dal suo seggio nella commissione affari esteri.

La direzione del gruppo parlamentare dell'Unione ha espressamente messo in guardia i deputati dal fare affari con la fornitura di mascherine. "Qualsiasi attività nel quadro di un mandato parlamentare non deve essere legata a interessi finanziari personali", ha scritto il leader del gruppo parlamentare dell'Unione Ralph Brinkhaus (CDU) e il capogruppo della CSU Alexander Dobrindt in una lettera ai loro colleghi di partito. Il segretario generale della CDU Paul Ziemiak ha definito questi affari come "profondamente indecenti".

sabato 6 marzo 2021

Quella barriera insormontabile che divide Italia e Germania e che minaccia l'euro

A dividere Italia e Germania non ci sono solo le Alpi, ma c'è anche una enorme barriera in termini di politiche sociali, economiche e salariali. Data la lentezza degli aggiustamenti reciproci, secondo l'economista tedesco Thomas Meyer, è lecito avere dei forti dubbi sulla sopravvivenza dell'euro. Ne scrive Thomas Mayer su Die Welt


Il futuro dell'euro dipenderà dalla capacità delle parti sociali, dei politici e dei cittadini dei paesi dell'eurozona di adattarsi alle politiche salariali e sociali necessarie all'interno di un'unione monetaria. Ma Italia e Germania sono ancora lontane dal riuscire a farlo.

Si dice che i tedeschi amino gli italiani ma che non li rispettino. Al contrario, si dice gli italiani rispettano i tedeschi, ma che non li amano.

Quando si parla di come gestire il denaro, si ha come l'impressione che gli italiani rispettino così tanto i tedeschi che non vogliano altro che la corresponsabilità tedesca sul debito pubblico italiano. E i tedeschi amino così tanto gli italiani che vorrebbero far uscire l'Italia dall'unione monetaria.

Non c'è dubbio che la relazione è difficile, e la barriera tra i due paesi a volte sembra alta come le Alpi.

Gli esperti descrivono le differenze e le somiglianze

Quanto siano effettivamente alte queste barriere nell'ambito delle politiche monetarie e finanziarie viene esaminato nella raccolta antologica "The Value of Money – Controversial Economic Cultures", pubblicata dal Centro italo-tedesco di "Villa Vigoni".

22 contributi da parte di economisti, giornalisti e politici tedeschi e italiani esplorano le differenze e le somiglianze in termini di sviluppo economico e di visione dell'Unione economica e monetaria europea, a nord e a sud delle Alpi.

Tra gli autori ci sono nomi noti come l'ex Ministro italiano delle finanze Giulio Tremonti e Pier Carlo Padoan, così come gli ex membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea Gertrude Tumpel-Gugerell e Otmar Issing. Anche l'ex presidente della BCE Jean-Claude Trichet ha contribuito scrivendone la prefazione.

Il trauma tedesco dell'iperinflazione

Il quadro che emerge dai contributi sulla visione tedesca e italiana dell'unione monetaria è certamente complesso. Ma è possibile discernere i contorni delle differenze e delle somiglianze italo-tedesche.


In Germania, la visione dell'ordine monetario è ancora fortemente influenzata dal trauma dell'iperinflazione dopo la prima guerra mondiale e dalla riforma monetaria dopo la seconda guerra mondiale. La risposta a questi traumi fu un orientamento ordoliberale della politica economica in cui erano le regole, invece della discrezionalità, a determinare le decisioni.

La banca centrale, indipendente e non influenzabile della politica, doveva garantire all'economia una moneta stabile come base per lo sviluppo economico. L'economia tedesca era orientata verso i mercati mondiali, e per molto tempo l'opinione pubblica tedesca si era potuta immaginare un'unione monetaria europea solo come il "culmine" di un aggiustamento strutturale e di una integrazione fra gli stati nazionali nell'ambito di un mercato comune europeo.

Politica monetaria e fiscale in stretta collaborazione

L'Italia al contrario, solo nella sfera politica ha compiuto una chiara rottura con la sua eredità fascista, ma ha invece mantenuto alcune delle istituzioni di base create durante il ventennio fascista. La struttura corporativa della società e dell'economia, ad esempio, continuano ad esistere, con attori economici orientati più verso il mercato interno che verso quello mondiale.

La politica economica italiana viene determinata da decisioni discrezionali degli attori politici, invece che da regole. La politica monetaria e la politica fiscale hanno agito di concerto e Banca d'Italia, grazie al suo ruolo di supervisore, ha sempre avuto una forte influenza sulle banche commerciali.

L'opinione pubblica italiana si augurava che le istituzioni europee potessero avere un'influenza stabilizzatrice sulle politiche nazionali. Ci si aspettava quindi che il necessario aggiustamento economico e l'integrazione europea sarebbero state forzati attraverso l'introduzione di una moneta comune.

Il tasso di cambio della lira è rimasto stabile

Ma nella storia economica dei due paesi ci sono anche notevoli somiglianze. Se si guarda allo sviluppo dell'inflazione, dei tassi d'interesse, dei tassi di cambio e del debito pubblico sin dalla fondazione dei due stati nazionali, è sorprendente che l'Italia fino agli anni '70 abbia avuto uno sviluppo dei tassi d'interesse e del tasso di cambio della moneta, paragonabile o migliore, rispetto a quello della Germania.



A differenza della Germania, l'Italia non ha mai sperimentato l'iperinflazione, la riforma monetaria o un default sul debito sovrano. Durante il periodo del gold standard (fino alla prima guerra mondiale) e del sistema monetario di Bretton Woods (fino ai primi anni '70), il tasso di cambio della lira è rimasto stabile.

A differenza della Germania, dopo entrambe le guerre mondiali, lo Stato italiano ha ripagato tutti i debiti accumulati durante il periodo bellico. E' stato solo negli anni '70 che in Italia l'inflazione ha iniziato a salire più rapidamente, la moneta si è svalutata e lo stato ha continuato ad accumulare un elevato debito pubblico.

L'economia italiana deve adattarsi

A differenza delle istituzioni in materia di politica economica e monetaria, tra i responsabili della politica estera e i capi di stato di entrambi i paesi, c'è da sempre un ampio accordo in merito ai benefici di una più profonda integrazione europea. E dal 1990 anche la Germania sperimenta una divisione regionale del potere economico tra Est e Ovest, simile alla divisione tra Nord e Sud presente in Italia sin dalla fondazione dello stato unitario.

Fra gli autori dei testi c'è un ampio accordo in merito alla necessità di realizzare grandi aggiustamenti strutturali sul lato dell'economia italiana per quanto riguarda i requisiti di una moneta comune. Gli autori tedeschi tuttavia hanno una visione più modesta delle prospettive di un tale successo e sono decisamente più scettici sul futuro dell'unione monetaria.

Dal punto di vista italiano, sarebbe auspicabile una maggiore integrazione europea in materia di politica fiscale, nel settore bancario e finanziario e nella politica estera.

Nella parte finale della sua prefazione, Jean-Claude Trichet mette il dito nella piaga: il futuro dell'euro dipenderà soprattutto dalla capacità delle parti sociali nei paesi dell'eurozona, sostenute dai rispettivi cittadini, di adattarsi alla politica salariale (e si potrebbe aggiungere "politica sociale") necessaria all'interno di un'unione monetaria. Oggi, tuttavia, entrambi i paesi sono ancora abbastanza lontani da questo obiettivo.





venerdì 5 marzo 2021

Un anno di coronavirus: perché l'UE non può essere la soluzione

Dopo un anno di coronavirus, per il giornalista tedesco Eric Bonse, solo una cosa è certa: l'UE nella sua forma attuale non può essere la soluzione alla crisi causata dal coronavirus. Una riflessione semplice ma non banale del sempre interessante Eric Bonse da Bruxelles su Lost in Europe



Nella guerra contro il Coronavirus sempre più paesi dell'UE stanno facendo da soli senza Bruxelles. L'Austria e la Danimarca stanno addirittura cercando di costruire un'alleanza con Israele. Non è bello, ma è comprensibile: l'UE non è il quadro giusto all'interno del quale poter risolvere questa crisi.

Gli ultimi 12 mesi lo hanno dimostrato con chiarezza. La Commissione europea - che non ha quasi nessuna competenza in materia di politica sanitaria - quando è intervenuta, ha agito troppo lentamente o nel modo sbagliato.

Anche le autorità dell'UE responsabili per le epidemie e i medicinali, l'ECDC e l'EMA, sono irrimediabilmente sovraccariche di lavoro. Dovranno essere riformate prima di poter assegnare loro nuovi compiti.

Non è nemmeno utile che Bruxelles pretenda di coordinare l'approvvigionamento dei vaccini e di portare avanti la vaccinazione. La verità è che dietro le quinte sono i paesi dell'UE a tirare le fila.

Abbiamo a che fare con un approccio intergovernativo senza base giuridica e senza che nessuno prenda l'iniziativa e/o la responsabilità. E questo effettivamente alla fine non potrà funzionare.

Abbiamo inoltre un Parlamento europeo che non esercita nemmeno le funzioni di controllo di base. Ed è per questo che non può correggere gli errori commessi dalla Commissione e dalle autorità UE preposte.

Conclusione: la UE nella sua forma attuale non è il quadro giusto all'interno del quale poter gestire e risolvere la crisi. Non è stata creata con questo scopo e non ha né l'esperienza necessaria né le risorse.

Per fare passi in avanti nella crisi causata dal Coronavirus e recuperare il ritardo, quello che serve ora è un'avanguardia di paesi UE senza rallentatori e senza ostacoli burocratici - in altre parole senza Bruxelles.

La Germania, la Francia e l'Italia dovrebbero fare da apripista; Bruxelles potrebbe poi garantire che tutti siano considerati e che nessuno venga lasciato fuori.

Soprattutto, però, la Commissione UE dovrebbe finalmente concentrarsi sugli ambiti per i quali è effettivamente responsabile: il mercato interno, la libertà di movimento nell'area Schengen e i diritti fondamentali dei cittadini.

Tutto questo però nella crisi causata dal Coronavirus è andato perduto. La Von der Leyen deve finalmente fare il suo lavoro e far rispettare i diritti garantiti dai trattati - se necessario contro Berlino, Parigi o Roma.

Questa è la classica divisione del lavoro nell'UE - e questo è l'unico modo in cui può funzionare...

mercoledì 3 marzo 2021

Perché l'esportismo tedesco resta un pericolo per la democrazia

Il giornalista e scrittore tedesco Herbert Storn ci spiega i pericoli di un modello di crescita tutto basato sull'export e sull'avanzo commerciale con l'estero, come quello tedesco.  Una riflessione molto interessante sugli effetti della politica del "Germany First" di Herbert Storn, da Makroskop.de



È indiscutibile che il modello fondato sul surplus commerciale con l'estero si basi sull'idea della concorrenza - qualcuno vince a spese di qualcun'altro (beggar-my-neighbour). E qui non sono di nessun aiuto le argomentazioni di teoria economica sul libero scambio come elemento di sviluppo per tutti i "partner" coinvolti e non serve a nulla ripetere a mo' di preghiera la possibilità di un "win-win" reciproco.

Alla base dei valori della democrazia, tuttavia, ci sono la cooperazione, il consenso e la protezione delle minoranze. Il solo esercizio verbale di questi concetti  purtroppo non è sufficiente!

Questa contraddizione fondamentale è aggravata dall'aggressività che accompagna la concorrenza di tipo capitalista con la tipica lotta sui prezzi, il dumping salariale, le acquisizioni, l'outsourcing, i licenziamenti dei dipendenti e la formazione dei monopoli.

Anche il MEMORANDUM ha ripetutamente criticato l'aggressiva politica commerciale portata avanti per molti anni dalla Germania, considerandola responsabile del rafforzamento delle forze e dei partiti antidemocratici in Europa, e in Germania di AfD (Memo 2018): se l'economia interna continua a trasferire reddito dal lavoro al capitale e lo Stato è incatenato da una controproducente politica di freno all'indebitamento, questa situazione contribuirà ad una ulteriore divisione economica e politica.

Queste fondamentali contraddizioni del modello basato sul surplus commerciale mettono continuamente in discussione l'approvazione della popolazione nei confronti di questo tipo di politica. Le contraddizioni devono quindi essere nascoste oppure essere negate attraverso la tipica ideologia di "autodifesa" come ad esempio:

- Il nostro modello di crescita e stile di vita sarà sostenibile solo se restiamo i migliori!

- Se vogliamo mantenere il nostro modello di stato sociale, a livello internazionale dobbiamo essere davanti a tutti!" 

In questo modo non è possibile sviluppare e comunicare alcuna strategia. Le alternative basate sulla solidarietà hanno poche possibilità, a dominare sono la concorrenza e l'ipocrisia. Nel frattempo, però, i lavoratori di interi settori vivono e guadagnano al di sotto del livello che sarebbe loro possibile se solo il modello fondato sul surplus delle esportazioni venisse messo in discussione e sostituito da una strategia equilibrata maggiormente orientata alla domanda interna, in linea con la legge della stabilità.

Ma se la competitività aziendale diventa la misura principale dell'efficacia politica, allora diventa anche chiaro quali dovrebbero essere le priorità dei governi federali e statali. Ed è qui che bisognerebbe utilizzare il ritorno sul capitale come metrica. Il rendimento medio sul patrimonio netto delle aziende tedesche nel periodo dal 2005 al 2016, infatti, è stato del 23,2% prima delle tasse, e del 18,2% dopo le tasse.

In un tale quadro, i rendimenti del 25 % richiesti in maniera magniloquente nel 2009 dall'allora capo della Deutsche Bank, Josef Ackermann, potevano essere addirittura comprensibili. Ma tali rendimenti possono essere raggiunti solo con una politica aziendale corrispondentemente aggressiva a spese della collettività, il che in democrazia può portare rapidamente a dei disordini.

Il danno collaterale di una cosiddetta politica di Germany First è che per essere attuata richiede somme di denaro sostanziali che mancheranno altrove. Tutto ciò si riflette in infrastrutture trascurate, in tagli massicci fra i dipendenti dello stato fino alle sue istituzioni di controllo, in un sistema scolastico trascurato (evidente nella crisi causata dal Coronavirus, non ultimo nelle attrezzature informatiche), in ospedali dove mancano 100.000 infermieri e in una politica fiscale e sociale che coccola le aziende e discrimina i beneficiari di Hartz IV, solo per evidenziare alcuni punti salienti.

In Germania, l'antica fissazione sugli avanzi commerciali è aggravata da una seconda fissazione ideologica, vale a dire l'opinione che il settore privato possa "fare" meglio dello stato, spingendo il governo addirittura a sostenere la massima "il privato prima dello stato". (...)

Nel 2011 nella Costituzione dell'Assia è stato addirittura aggiunto un ulteriore "divieto di indebitamento", vale a dire una ulteriore leva per lo snellimento automatico dello Stato tramite lo strangolamento dei margini di bilancio. E' del fondatore della Fondazione Bertelsmann, Reinhard Mohn, la famosa frase secondo cui sarebbe una benedizione se lo stato finisse i soldi. Cosi', Arvato, la controllata di Bertelsmann potrà prendere il suo posto e persino arrivare a guadagnare dei soldi esercitando alcune funzioni dello stato.

Ma quanto piu' si privatizza, tanto meno saranno gli argomenti su cui è possibile decidere democraticamente!

I principali sostenitori di questa strategia sono la CDU e la FDP. Ma anche i Verdi, sin dalla loro fondazione nel 1980 hanno sempre di più abbandonato le loro rivendicazioni sociali - uno dei loro quattro obiettivi originali (ecologia, sociale, democrazia di base e non violenza) - in favore di uno scetticismo di fondo nei confronti dello stato. Non è una coincidenza che la CDU e i Verdi nel Baden-Württemberg e nell'Assia stiano così bene insieme. Con la SPD, lo stato avrebbe avuto un maggiore peso programmatico, ma questo peso viene impiegato per rafforzare l'economia tedesca.

La Germania in questo modo ha un consenso quadripartititico che individua la sua missione nel rafforzamento della competitività delle imprese tedesche sui mercati mondiali. Gli elettori possono solo scegliere fra accettare questo modello oppure essere ignorati. A fare in modo che ciò accada, ci penseranno i media.


Ma a rendere difficile l'influenza dell'elettorato sulla politica c'è anche qualcos'altro.

Se lo Stato e le grandi aziende sono unite dall'obiettivo condiviso della competitività globale, allora non ci sarà davvero bisogno del classico lobbismo. In questo caso, infatti, l'incastro fra il personale è appropriato e utile. Il veicolo comune per tutto ciò è noto come effetto delle porte girevoli, vale a dire il passaggio di personale da funzioni statali di primo piano al (lobbismo) per le aziende e viceversa. Gli esempi sono leggendari; il più recente e prominente può essere quello di Mario Draghi, passato dalla Banca Mondiale al Ministero delle Finanze italiano, poi a Goldmann Sachs, poi alla Banca Centrale Italiana, alla BCE, e ora alla carica di primo ministro italiano.

Poiché l'effetto delle porte girevoli non è sufficiente per servire nel dettaglio i multiformi interessi delle aziende, i politici eletti hanno bisogno anche di consiglieri. Ma coloro che potrebbero fornire una visione controversa e scelte alternative per il bene comune, si trovano invece di fronte ad un esercito di generalisti e specialisti molto preparati.

Per il ruolo di "consulenti" la maggior parte delle persone tende a immaginarsi degli individui o dei piccoli uffici. In realtà si tratta di grandi multinazionali che massimizzano il profitto e sono anche specializzate in vari campi di attività: le agenzie di rating, gli studi di contabilità, gli studi legali e i consulenti di gestione.

Nel complesso, il loro numero di dipendenti raggiunge probabilmente i due milioni. Il nuovo segretario generale della CDU, Paul Ziemiak, in passato ha lavorato per la società di revisione Pricewaterhouse Coopers. Il senatore alle finanze di Berlino Matthias Kollatz, della SPD, in precedenza ne era stato un consulente senior. L'amministratore delegato Stefanie Frensch dell'azienda statale berlinese per la costruzione di alloggi Howoge è arrivata da Ernst & Young Real Estate GmbH per poi passare a una società immobiliare privata. Il suo successore Ulrich Schiller proviene dalla società di edilizia privata Vonovia, prima della quale era stato amministratore delegato per il predecessore di Vonovia, Deutsche Annington.

Questi sono solo alcuni degli esempi che dimostrano quanto sia naturale cambiare carriera passando da aziende orientate al profitto ad aziende pubbliche che invece dovrebbero esssere maggiormente impegnate nel perseguimento del bene comune, e viceversa. Werner Rügemer ha aggiornato un'altra volta il ruolo di cerniera tra le strategie aziendali e la politica nel suo libro "I capitalisti del XXI secolo". Egli definisce il coordinamento degli interessi dei capitalisti con quelli della politica "l'esercito privato del capitale transatlantico":

"Il loro staff è composto da professionisti laureati e ben retribuiti, provenienti dalle più prestigiose università private e pubbliche e dalle business school, addestrati ad avere un'immagine elitaria di sé. Sono gli attori di uno stato che nelle principali democrazie occidentali capitaliste è ormai ampiamente privatizzato ".

E anche la Corte dei conti federale afferma che il permanente ricorso da parte dello Stato a delle società di consulenza esterna aumenta il rischio legato al controllo delle attività e porta ad una perdita della capacità di controllare la società da parte della politica. Non è la politica a sostenere le aziende, ma sono le aziende stesse che fanno politica e spesso presentano ai politici il fatto compiuto.

Rudolf Hickel del gruppo di lavoro „Alternative Wirtschaftspolitik“ ha descritto i rappresentanti eletti dal popolo come dei "nani del sistema capitalista". Harald Schumann nel 2016 ha parlato di capitolazione della classe politica. Aveva capito che sono proprio i ricchi e i loro fiduciari alla guida delle grandi aziende che possono influenzare l'opinione pubblica in modo molto significativo. Perché non solo hanno gli investimenti, ma anche i mezzi per creare il giusto clima sociale.

Del resto la questione è stata sottolineata anche dal cabaret politico: "La democrazia arriva dal popolo. Ma per andare dove?".

Quanto hanno guadagnato i tedeschi in media nel 2020?

Quanto hanno guadagnato in media i tedeschi nel 2020? Prova a rispondere Die Welt analizzando i dati forniti da Stepstone.de e quelli ufficiali raccolti dall'Ufficio nazionale di statistica, ne scrive Die Welt

stipendio medio Germania 2020

1. Lo stipendio medio in Germania nel 2020

Un dipendente a tempo pieno in Germania, secondo i dati dell'Ufficio federale di statistica, nel 2020 guadagnava in media 3.994 euro lordi al mese. Nel 2018 erano 3.880 euro lordi al mese, mentre nel 2008 erano stati 3.103 euro lordi. Nei dati gli statistici non hanno incluso i pagamenti straordinari come i bonus per le vacanze o il Natale (Urlaubs-Weihnachtsgeld).

Circa due terzi dei tedeschi, tuttavia, ricevono dei salari mensili lordi al di sotto della media dei 3.994 euro lordi. Appena un terzo di essi riceve un valore lordo superiore alla media. Questo gruppo di dipendenti, infatti, ha dei guadagni lordi così alti che "sposta verso l'alto" il valore medio di tutti i lavoratori dipendenti.

Il portale del lavoro Stepstone ha analizzato nel dettaglio gli stipendi degli specialisti e dei manager. Secondo questi dati, infatti, un lavoratore specializzato in Germania guadagna in media 58.800 euro lordi all'anno. La base dei dati analizzati è costituita da 128.000 stipendi, rilevati fra ottobre 2018 e ottobre 2019. In questo caso i pagamenti straordinari come i bonus e le commissioni erano incluse nel calcolo.



2. Il confronto fra gli stipendi: queste sono le professioni che guadagnano di più

Secondo l'analisi di Stepstone, fra i laureati i medici sono quelli che in media guadagnano di più. In media incassano uno stipendio lordo di 92.300 euro all'anno. Anche se tra le singole professioni mediche ci sono notevoli differenze è comunque vero che nessun altro gruppo di laureati raggiunge un reddito simile.

I consulenti finanziari, i controller e gli altri esperti finanziari guadagnano in media 76.400 euro lordi all'anno. E questo li rende il secondo gruppo di laureati meglio pagati del paese. Al terzo posto ci sono gli avvocati. Una laurea in legge garantisce loro uno stipendio medio di 70.000 euro lordi annui.2018

Leggi anche: Quanto guadagnano i tedeschi in media nel 2018



3. Occupazioni legate all'apprendistato: redditi bassi ma anche alti

Trovare la professione giusta? Spesso è tutt'altro che facile per i giovani. Si tratta di sondare le preferenze e le inclinazioni. Ma anche il guadagno gioca un ruolo importante. Molti credono sia possibile raggiungere un reddito buono o molto buono solo con una laurea.

È sicuramente vero che in una tale analisi una laurea è abbastanza profittevole: secondo l'Ufficio federale di statistica, infatti, nel 2014 i laureati guadagnavano un salario orario di oltre 27 euro lordi, mentre i dipendenti con una formazione professionale guadagnavano solo circa 16 euro lordi all'ora. Stipendi più alti, tuttavia, talvolta sono possibili anche fra gli apprendisti.

I controllori del traffico aereo, ad esempio, tra i non laureati sono tra i meglio pagati: il lavoro infatti è alquanto complesso. I candidati per una posizione di apprendistato devono aver fatto l'Abitur, parlare fluentemente l'inglese e aver superato un difficile test di selezione. Secondo l'Agenzia Federale per il Lavoro (BA), i controllori di volo arrivano a guadagnare tra i 6.400 e gli 8.900 euro lordi al mese.


4. Stipendi diversi in diversi settori

Anche il settore di appartenenza influenza il livello dello stipendio. Secondo l'Ufficio Federale di Statistica, infatti, gli impiegati a tempo pieno nel settore della fornitura di energia sono quelli che guadagnano di più, con un guadagno mensile lordo di 5.137 euro, esclusi i pagamenti straordinari. I guadagni minori, invece, vengono registrati nel settore dell'ospitalità con 2.451 euro.

La società Compensation Partner affiliata di Stepstone ha utilizzato i dati disponibili su 132.218 stipendi per confrontare fra loro gli stessi gruppi occupazionali in settori diversi, come ad esempio gli specialisti delle risorse umane o gli amministratori di rete.

Il risultato: nelle biotecnologie i datori di lavoro pagano salari fino al 39% più alti rispetto alla media delle aziende del resto dell'economia. Anche i dipendenti dell'industria dei semiconduttori guadagnano bene (30 % sopra la media).

Il settore peggiore è quello dei call center. I datori di lavoro in questi settori pagano salari fino al 31% più bassi rispetto alla media delle aziende del resto dell'economia. A confronto, anche i lavoratori delle agenzie interinali prendono meno (20 % sotto la media).



5. stipendi medi dei dirigenti

Essere un manager non significa necessariamente guadagnare molto. Chi lavora nel settore alberghiero o nella ristorazione, ad esempio, non dovrebbe avere aspettative finanziariamente troppo ambiziose in merito ad un salto di carriera. I manager di questo settore, infatti, in media guadagnano 56.600 euro lordi, come mostrano i dati di Stepstone.

Secondo l'Ufficio Federale di Statistica, per fare parte del 10% degli stipendi piu' alti bisogna invece riuscire a guadagnare almeno 66.000 euro lordi all'anno. I manager dei settori classici delle PMI tedesche come l'ingegneria meccanica e l'impiantistica, l'industria metallurgica o l'elettrotecnica, guadagnano già ben oltre i 90.000 euro lordi all'anno. E nei settori della tecnologia medica, farmaceutica, della consulenza gestionale, della revisione contabile e del diritto, la cifra supera addirittura i 100.000 euro l'anno.

6. Il gap retributivo di genere

La differenza di stipendio tra uomini e donne in Germania continua a ridursi. L'anno scorso, il salario orario lordo medio delle donne era di 17,72 euro lordi l'ora e restava inferiore del 20 % rispetto a quello degli uomini che invece ammonta a 22,61 euro lordi. Lo dimostrano le cifre dell'Ufficio federale di statistica. Un anno fa, la differenza era stata del 21% e nel 2014 del 22%. E questo mette la Germania al penultimo posto in Europa, davanti all'Estonia.

Il divario salariale è ancora significativamente più basso nell'est del paese, pari al 7 %, rispetto all'Ovest, dove raggiunge il 21 %. E questo dipende più che altro dal fatto che le donne nell'ex DDR avevano anche maggiore accesso alle professioni tecniche meglio pagate e lavoravano più frequentemente in posizioni a tempo pieno.

Secondo l'Ufficio federale di statistica, tre quarti del divario salariale - noto anche come gender pay gap - sono da attribuire a ragioni strutturali. Ad esempio, nelle occupazioni tipicamente femminili vengono pagati salari orari di solito piu' bassi e le donne lavorano più spesso a tempo parziale e con minore frequenza in posizioni manageriali qualificate.


Leggi gli ultimi articoli sullo stipendio medio in Germania

domenica 28 febbraio 2021

Perché il militarismo franco-tedesco in Libia e in Mali è stato un fallimento

Doveva essere il nucleo del futuro esercito europeo invece il nuovo militarismo franco-tedesco in Libia e in Mali sta raccogliendo solo insuccessi. Se ne sono accorti anche i potenti Think tank berlinesi che in un recente documento hanno messo nero su bianco tutti i fallimenti del nuovo militarismo europeo. Ne scrive Der Spiegel


In Mali, 20 caschi blu sono rimasti feriti quando le milizie locali hanno aperto il fuoco su di loro; in Niger, sette operatori elettorali sono stati uccisi da una mina; a Tripoli, invece, dei terroristi hanno sparato sul convoglio del ministro degli interni, sfuggito per un pelo - sono state due settimane decisamente normali nel Sahara e in Libia.

Nell'ultimo decennio, la Libia, il Mali, il Niger e il Burkina Faso sono scivolati in maniera inesorabile sempre di piu' verso il caos. "Sahelistan" è il nome dato alla parte meridionale della regione, un focolaio di terrorismo, un paradiso per i contrabbandieri, un campo di battaglia per le milizie e le etnie rivali. Il Mediterraneo separa l'Unione Europea dall'anarchia e dalla violenza.

Francia e Germania nella regione sono diplomaticamente molto attive, e i loro soldati già da tempo si trovano in Africa occidentale. Ma uno studio del Think tank Stiftung Wissenschaft und Politik, con sede a Berlino, ha dato una valutazione negativa di questo impegno militare: in Libia siamo al "disastro" mentre in Mali "non vi è stato alcun successo". Mentre i soldati della Bundeswehr a Camp Castor in Mali si nascondono dietro i sacchi di sabbia, le forze militari francesi fanno affidamento sugli alleati sbagliati, nota l'autore dello studio Wolfram Lacher.



Il "Sahelistan" è un focolaio di terrorismo

Il dittatore libico Muammar Gheddafi è stato rovesciato nel 2011 e il suo paese da allora si trova nel pieno di una guerra civile; nel 2012, le forze militari hanno temporaneamente preso il potere a Bamako, in Mali, mentre i ribelli islamisti stavano avanzando da nord. Le truppe francesi sono intervenute e li hanno respinti. I caschi blu sono presenti sul terreno dal 2013, fra di loro ci sono anche 1000 tedeschi, non solo soldati, ma anche operatori umanitari. Parigi, inoltre, ha inviato delle forze speciali per dare la caccia ai terroristi.


Ma tutto ciò finora non è servito a molto:
nel Sahel ogni anno vengono massacrate diverse migliaia di civili, e recentemente sono morti più soldati internazionali lì che in Afghanistan.

"La ragione delle strategie fallimentari o addirittura controproducenti di Germania e Francia in entrambi i paesi in crisi è il fatto che la stabilizzazione in quanto obiettivo da perseguire, fino ad ora ha avuto un ruolo subordinato", scrive Lacher. Secondo le sue conclusioni, infatti, Parigi sembra più preoccupata di condurre una guerra di alto profilo contro il terrorismo in Africa. E le truppe tedesche sono state inviate nell'ambito della missione ONU Minusma, sostiene l'autore, principalmente perché Berlino voleva mostrare al mondo, e alla Francia in particolare, che ora la Germania ha iniziato ad assumersi maggiori responsabilità internazionali. Le azioni di questi due "partner difficili", inoltre, sono fra loro mal coordinate.


L'impegno tedesco in Libia manca di idee e di iniziativa

Nella Libia devastata dalla guerra civile è stata soprattutto la Francia a sprecare la capacità dell'Europa "di influenzare il conflitto", scrive Lacher. Oggi le truppe turche, i militari russi e i mercenari al soldo degli Emirati Arabi Uniti tengono in piedi un equilibrio traballante tra la parte occidentale e quella orientale del paese.

La Francia, critica Lacher, ha inizialmente sostenuto in maniera unilaterale il leader delle milizie orientali Khalifa Haftar, con commandos speciali e ricognizioni, ma anche dal punto di vista diplomatico.

Il presidente Emmanuel Macron per molto tempo ha considerato l'esercito del generale come una forza relativamente disciplinata che combatte gli islamisti. Ha ignorato il fatto che Haftar calpesta i principi democratici e punta apertamente a una vittoria militare sul governo di unità nell'ovest del paese, governo riconosciuto a livello internazionale. Macron, scrive Lacher, ha dato una speranza in chiave internazionale al signore della guerra e lo ha protetto dalle critiche: "La politica francese, all'epoca era quella di dare una possibilità alla guerra di Haftar". L'ultima grande offensiva di quest'ultimo su Tripoli era stata fermata dall'intervento turco.

Nel frattempo, il coinvolgimento tedesco in Libia è rimasto privo di idee e di iniziativa. La Repubblica Federale ha messo a disposizione la sua capitale Berlino come luogo di incontro per i negoziati, ma non ha concretizzato nessuna proposta di mediazione seria. Nel frattempo i mediatori internazionali stanno cercando di dare vita ad un governo congiunto per la Libia.

I tedeschi oziosi, i francesi iperattivi - questo è il quadro che si sta ripetendo anche in Mali. "Barkhane" è il nome del comando francese nel Sahel con circa 5000 uomini. Da lì con i droni e i commando speciali, le truppe francesi danno la caccia ai leader terroristi islamici.

La Francia ha una visione unidimensionale del conflitto in Mali

I tedeschi, invece, addestrano i soldati maliani e per il resto raramente lasciano il loro campo. "Le uniche due vittime della Bundeswehr durante il suo coinvolgimento nella "più pericolosa missione ONU del mondo" sono dovute a un errore di manutenzione che ha portato allo schianto di un elicottero", scrive Lacher.

Lacher tuttavia è molto critico anche nei confronti delle operazioni militari dei francesi. "Barkhane" si affida spesso ai partner sbagliati. Le truppe, ad esempio, hanno stretto alleanze con diverse milizie locali. Gli attacchi aerei a loro sostegno hanno provocato numerose vittime civili. Mentre le milizie hanno usato l'appoggio aereo per regolare dei vecchi conti con i gruppi rivali.

Lacher accusa la leadership francese di avere un'immagine troppo unidimensionale del conflitto. In Mali non c'è un governo ben intenzionato che combatte contro dei ribelli islamici. Non c'è una linea di demarcazione così netta fra le parti: i salafiti sono anche i leader delle comunità locali, il governo di Bamako è ritenuto molto corrotto, ed è intrecciato con le élite regionali che coordinano il traffico di droga attraverso il Sahara. Le operazioni dei francesi, in questo modo, hanno invece alimentato conflitti e rivalità. La situazione in Mali e dintorni è oggi più confusa di quanto "anche gli osservatori più pessimisti" avrebbero mai potuto immaginare, conclude Lacher.

giovedì 25 febbraio 2021

Draghi il Salvatore, ovvero l'ultima carta dell'UE

"L'Italia resta un vulcano socio-politico, sia per le élite italiane che per l'UE. Non solo Berlusconi, Monti e Renzi ne sono usciti bruciati - ma nemmeno il mago Draghi sarà in grado di spegnere questo fuoco. (...) Da lui ci si aspetta un colpo di stato istituzionale nella breve finestra di opportunità data dalla temporanea crisi del populismo, una manovra in grado di limitare le fondamenta della democrazia parlamentare" scrive il grande intellettuale austriaco Wilhelm Langthaler. Per Langtahler "In Italia è in corso una grande lotta di classe, l'atto finale di una tragedia iniziata con la famigerata Tangentopoli", da Makroskop.de una riflessione molto interessante del grande intellettuale austriaco Wilhelm Langthaler. 



Prologo: tutto è iniziato con Maastricht. Con la svolta fra il 1989 e il 1991, e con quella grande trasformazione della politica economica che avrebbe portato alla firma del Trattato di Maastricht. L'Italia sarà il paese dell'UE che nel corso degli anni più di tutti subirà le conseguenze politiche ed economiche del trattato.

Il crollo del consenso sociale nello stivale è il prezzo che l'Italia ha dovuto pagare per tutto ciò. E già l'era Berlusconi poteva essere considerata una forma di populismo borghese di destra che cercava di mascherare questo crollo: l'Italia era sotto la curatela del Fondo Monetario Internazionale e aveva perso la propria sovranità fiscale.

Cosa tutto cio' potesse significare in concreto, Berlusconi lo aveva già capito quando ha esitato ad attuare la politica di austerità che un po' tutte le parti gli stavano chiedendo ed è quindi incorso nell'ira delle istituzioni europee. L'UE, la BCE e "i mercati", che stavano mostrando il pollice verso al paese richiedendo dei premi al rischio sempre più alti sui titoli di stato italiani, nel 2011 con una sorta di colpo di stato costituzionale hanno messo bruscamente fine al suo governo. Il presidente Giorgio Napolitano, con l'appoggio dell'UE, infatti, già dal 2008 stava lavorando alla caduta del governo Berlusconi e dopo le sue dimissioni quasi forzate, ha messo al suo posto l'eurocrate e banchiere Mario Monti. Il suo governo "tecnico" ha ulteriormente radicalizzato l'austerità neoliberista a cui il paese era stato sottoposto sin dagli anni '90, fino a quando poi non è stato seguito dal governo del blairiano di sinistra Matteo Renzi.

In un certo senso Renzi è l'anello mancante, il collegamento tra il passato e il presente. Perché quello che non è riuscito ad ottenere con il suo referendum costituzionale del 2016, ora dovrebbe riuscire a farlo Mario Draghi - cioè una ristrutturazione della Repubblica conforme all'UE - al quale Renzi ha spianato la strada.


Dopo il fallimento del referendum di Renzi, la sua stella si è eclissata con la stessa rapidità con cui era nata. Renzi ancora una volta avrebbe voluto svolgere il suo ruolo di Kingmaker, ma temporaneamente c'è stato un interludio di populismo cresciuto all'esterno del sistema, il che spiega gli attuali sentimenti delle élite nei confronti di Draghi. Con un terzo dei voti, i Cinque Stelle in un colpo solo nel 2018 sono diventati il centro del sistema politico esercitando una chiara opposizione al regime UE. Spinti dalla pressione della strada, erano riusciti a far uscire la Lega dall'alleanza di destra dando vita a quello che in Italia era stato chiamato il governo sovranista.

Ancora una volta il Presidente era intervenuto in violazione della Costituzione parlamentare smontando i vertici del governo anti-UE. Invece di Paolo Savona, come previsto, il primo ministro Giuseppe Conte aveva lasciato che Sergio Mattarella gli dettasse per il Ministero dell'economia il nome dell'economista Giovanna Tria, considerato uno strumento al servizio delle élite dell'UE. Così, dopo che i Cinque stelle si sono visti tarpare le ali e non sono riusciti a mettere in piedi le riforme sociali progressiste che avevano promesso, è iniziata la fulminea ascesa del populismo di destra della Lega di Matteo Salvini. Dopo poco più di un anno Salvini ha pensato di poter rovesciare Conte, di fatto però ha aperto la strada a un governo social-liberale, il Conte II - con la partecipazione di Renzi.

La ristrutturazione delle istituzioni

Quanto recentemente fatto da Renzi per rovesciare il secondo governo Conte ha poca rilevanza. C'era solo una cosa su cui le élite erano ampiamente d'accordo: niente nuove elezioni. Già si stava diffondendo l'odore del vecchio bipolarismo, la cui legge non scritta avrebbe previsto un'altra coalizione di destra. Ma il Quirinale non è stato al gioco, e ancora una volta il presidente Mattarella ha agito come un distruttore della Costituzione, invece che come un suo difensore.

L'intervento costante del Presidente chiarisce qual'è la strada che Renzi già nel 2016 avrebbe voluto percorrere: il presidenzialismo come risposta alla crisi della democrazia e della sovranità iniziata al più tardi con la crisi finanziaria. Da decenni, infatti, le élite sono alle prese con la ristrutturazione autoritaria delle istituzioni. La Costituzione progressista del 1948 è una spina nel fianco perché rende difficile l'attuazione tecnocratica degli orientamenti neoliberali dell'UE. La ristrutturazione sembra essere lo strumento per rendere permanente la ritirata della democrazia italiana.

Questo percorso fornisce una duplice salvaguardia: da un lato terrebbe sotto controllo il costante battibecco all'interno delle élite, e dall'altro, terrebbe permanentemente lontana dalle istituzioni l'opposizione latente del popolo .

In Francia, questo sistema ha funzionato discretamente bene per almeno mezzo secolo. Le regolari esplosioni di rabbia in strada finora sono state soppresse con successo dalla polizia, senza mai riuscire ad entrare nella sfera politica. Ma l'Italia non è la Francia.


Arriva Draghi

Già da alcuni anni le élite del paese si erano tenute pronte Mario Draghi come asso nella manica. All'inizio si pensava di offrirgli il posto da Presidente della Repubblica, che dovrà essere rinnovato nel 2022. Ora però Draghi è necessario in un'altra posizione, perché il sistema del bipolarismo sembra aver perso ogni efficacia, come del resto è accaduto con i numerosi interventi di chirurgia estetica di Berlusconi che non sono mai riusciti a ringiovanirlo. Con il Centrodestra al governo (coalizione liberale di destra) la prevedibile crisi politico-sociale nel dopo Coronavirus sarebbe stata difficile da gestire. Per questo sono necessarie altre armi. Qual è dunque la funzione del governo di tutti i partiti di Draghi?

In primo luogo, in questo momento il populismo di destra e di sinistra è in grande difficoltà. C'è un'opportunità storica per riassorbirlo. Se si riuscirà a farlo resta una questione aperta, ma se lo si può fare, questo probabilmente è il momento giusto per farlo. In ogni caso, il populismo attualmente sembra essere stato decapitato e l'operazione tecnocratica potrebbe rivelarsi vincente se si riuscisse a impedire l'emergere di una nuova articolazione politica, almeno per un certo periodo di tempo.

In secondo luogo, la stessa vita e la carriera di Draghi promettono ciò che i suoi sostenitori sperano: un europeo dichiarato, anzi per certi aspetti il proconsole dell'UE, l'incarnazione di un eurocrate che torna a casa per ripulirla e salvarla. Alla luce dell'opposizione manifesta e del rifiuto dei dettami neoliberisti dell'UE, il sostegno parlamentare e mediatico di cui sembra godere Draghi può essere considerato piu' che straordinario. E questo permetterà persino una certa popolarizzazione del governo in ampi settori dell'opinione pubblica - sempre che si possa evitare l'emergere di una forte opposizione.


Nessun Monti 2.0 - il programma di Draghi

In altre parole Draghi dovrà affrontare un compito erculeo. Potrà farcela? Una cosa è certa: se quando l'epidemia avrà fatto il proprio corso e l'eccezione imposta dal Covid sarà terminata Draghi dovesse ritornare alla vecchia austerità dell'UE, allora il suo fallimento sarà pressoche certo. Sembra che anche lui lo sappia, e pare che anche Berlino e Bruxelles abbiano iniziato a capirlo. Un Monti 2.0 sembra quindi essere fuori questione.

Corrispondentemente vago è anche il programma del governo Draghi; si parla di riformare il sistema giudiziario, la pubblica amministrazione e il sistema fiscale - niente di diverso da quello che già la maggior parte degli italiani pensa che debba essere fatto. Il cavallo di battaglia dell'UE, e cioè l'innalzamento dell'età pensionabile, per ora resta in secondo piano, anche se la riforma delle pensioni del governo Conte, progressiva nel suo approccio, verrà gradualmente abbandonata. Anche ulteriori tagli salariali (parola in codice riforma del mercato del lavoro) non sembrano essere in alcun modo al centro della discussione.

Molto più significativa invece è la saga di Draghi sul debito buono e quello cattivo. Il debito buono, sostiene, è quello che sarà usato per fare investimenti produttivi. Questo è un annuncio molto importante. Draghi sta mettendo tutte le sue uova in un solo paniere, vale a dire i sussidi e i prestiti concessi come aiuti anti-Corona, e accolti dall'UE come una pietra miliare oppure come il cosiddetto "momento Hamilton". Ma in verità la quantità di denaro che l'Italia può aspettarsi di ricevere è alquanto ridotta rispetto allo stimolo della domanda necessario e potenzialmente soggetto a delle condizionalità molto dure e di orientamento neo-liberista che potrebbero far deragliare il tentativo semi-keynesiano di stimolare l'economia.

E' lecito dubitare sul fatto che l'operazione possa funzionare, dato che ci sono molti punti interrogativi. La crisi sociale è enorme e la calma politica viene mantenuta solo grazie all'eccezionalità dettata dal Coronavirus. Per poter avere un impatto politico, le misure di rafforzamento della domanda dovranno arrivare rapidamente e in maniera massiccia, almeno entro le prossime elezioni. Ma questo è esattamente ciò che l'UE non può e non deve permettersi di fare, perché è in gioco la costituzione de facto dei trattati UE.

La storia inoltre ci ha insegnato - non ultimo in Francia sotto Mitterrand - che lo stimolo della domanda interna per essere efficace deve essere affiancato dal protezionismo. Questo significherebbe una politica economica che non solo all'interno dell'eurozona e del mercato unico con la sua dottrina del libero scambio è impossibile, ma che Draghi dovrebbe anche impedire. La missione di Draghi è quindi praticamente impossibile a meno che gli impulsi non arrivino dall'economia globale.



Perché Draghi è l'ultimo carta dell'UE

L'Italia resta un vulcano socio-politico, sia per le élite italiane che per l'UE. Non solo Berlusconi, Monti e Renzi ne sono usciti bruciati - ma nemmeno il mago Draghi sarà in grado di spegnere questo fuoco.

Ci si aspetta piuttosto che Draghi faccia qualcos'altro. Da lui ci si aspetta un colpo di stato istituzionale nella breve finestra di opportunità data dalla temporanea crisi del populismo, una manovra in grado di limitare le fondamenta della democrazia parlamentare. Al suo posto, si vorrebbe mettere in piedi un sistema bonapartista con l'aiuto del quale le rivendicazioni socio-politiche possano essere strutturalmente soppresse in modo ancora più efficace rispetto a quanto non avvenisse già in passato.

In Italia è in corso una grande lotta di classe, l'atto finale di una tragedia iniziata con la famigerata Tangentopoli, vale a dire l'esplosione del sistema di corruzione, abuso d'ufficio e finanziamento illegale dei partiti della Prima Repubblica ad inizio degli anni '90. Per l'UE, Draghi è l'asso nella manica, mentre i difensori della sovranità democratica attualmente sembrano essere più acefali che mai.

Ma un guardaroba pieno di camicie di forza istituzionali fatte su misura europea sta provocando anche dei contro-movimenti e una radicalizzazione anti-istituzionale. Una specie di "gilet gialli à la italienne" potrebbero essere già nell'aria. La resistenza alle chiusure, soprattutto nel Sud, con la loro forte componente sociale, ne ha già offerto un assaggio. A differenza della Francia, l'opposizione popolare non può piu' essere tenuta lontana dalle istituzioni politiche, come l'esempio dei 5 Stelle ha già dimostrato.

Oggi la rappresentanza politica dei sempre più numerosi emarginati sociali è orfana, ma questo non durerà. Se Draghi fallisce, la crisi del regime neoliberista si intensificherebbe, non solo in Italia, ma in tutta l'UE.