domenica 28 febbraio 2021

Perché il militarismo franco-tedesco in Libia e in Mali è stato un fallimento

Doveva essere il nucleo del futuro esercito europeo invece il nuovo militarismo franco-tedesco in Libia e in Mali sta raccogliendo solo insuccessi. Se ne sono accorti anche i potenti Think tank berlinesi che in un recente documento hanno messo nero su bianco tutti i fallimenti del nuovo militarismo europeo. Ne scrive Der Spiegel


In Mali, 20 caschi blu sono rimasti feriti quando le milizie locali hanno aperto il fuoco su di loro; in Niger, sette operatori elettorali sono stati uccisi da una mina; a Tripoli, invece, dei terroristi hanno sparato sul convoglio del ministro degli interni, sfuggito per un pelo - sono state due settimane decisamente normali nel Sahara e in Libia.

Nell'ultimo decennio, la Libia, il Mali, il Niger e il Burkina Faso sono scivolati in maniera inesorabile sempre di piu' verso il caos. "Sahelistan" è il nome dato alla parte meridionale della regione, un focolaio di terrorismo, un paradiso per i contrabbandieri, un campo di battaglia per le milizie e le etnie rivali. Il Mediterraneo separa l'Unione Europea dall'anarchia e dalla violenza.

Francia e Germania nella regione sono diplomaticamente molto attive, e i loro soldati già da tempo si trovano in Africa occidentale. Ma uno studio del Think tank Stiftung Wissenschaft und Politik, con sede a Berlino, ha dato una valutazione negativa di questo impegno militare: in Libia siamo al "disastro" mentre in Mali "non vi è stato alcun successo". Mentre i soldati della Bundeswehr a Camp Castor in Mali si nascondono dietro i sacchi di sabbia, le forze militari francesi fanno affidamento sugli alleati sbagliati, nota l'autore dello studio Wolfram Lacher.



Il "Sahelistan" è un focolaio di terrorismo

Il dittatore libico Muammar Gheddafi è stato rovesciato nel 2011 e il suo paese da allora si trova nel pieno di una guerra civile; nel 2012, le forze militari hanno temporaneamente preso il potere a Bamako, in Mali, mentre i ribelli islamisti stavano avanzando da nord. Le truppe francesi sono intervenute e li hanno respinti. I caschi blu sono presenti sul terreno dal 2013, fra di loro ci sono anche 1000 tedeschi, non solo soldati, ma anche operatori umanitari. Parigi, inoltre, ha inviato delle forze speciali per dare la caccia ai terroristi.


Ma tutto ciò finora non è servito a molto:
nel Sahel ogni anno vengono massacrate diverse migliaia di civili, e recentemente sono morti più soldati internazionali lì che in Afghanistan.

"La ragione delle strategie fallimentari o addirittura controproducenti di Germania e Francia in entrambi i paesi in crisi è il fatto che la stabilizzazione in quanto obiettivo da perseguire, fino ad ora ha avuto un ruolo subordinato", scrive Lacher. Secondo le sue conclusioni, infatti, Parigi sembra più preoccupata di condurre una guerra di alto profilo contro il terrorismo in Africa. E le truppe tedesche sono state inviate nell'ambito della missione ONU Minusma, sostiene l'autore, principalmente perché Berlino voleva mostrare al mondo, e alla Francia in particolare, che ora la Germania ha iniziato ad assumersi maggiori responsabilità internazionali. Le azioni di questi due "partner difficili", inoltre, sono fra loro mal coordinate.


L'impegno tedesco in Libia manca di idee e di iniziativa

Nella Libia devastata dalla guerra civile è stata soprattutto la Francia a sprecare la capacità dell'Europa "di influenzare il conflitto", scrive Lacher. Oggi le truppe turche, i militari russi e i mercenari al soldo degli Emirati Arabi Uniti tengono in piedi un equilibrio traballante tra la parte occidentale e quella orientale del paese.

La Francia, critica Lacher, ha inizialmente sostenuto in maniera unilaterale il leader delle milizie orientali Khalifa Haftar, con commandos speciali e ricognizioni, ma anche dal punto di vista diplomatico.

Il presidente Emmanuel Macron per molto tempo ha considerato l'esercito del generale come una forza relativamente disciplinata che combatte gli islamisti. Ha ignorato il fatto che Haftar calpesta i principi democratici e punta apertamente a una vittoria militare sul governo di unità nell'ovest del paese, governo riconosciuto a livello internazionale. Macron, scrive Lacher, ha dato una speranza in chiave internazionale al signore della guerra e lo ha protetto dalle critiche: "La politica francese, all'epoca era quella di dare una possibilità alla guerra di Haftar". L'ultima grande offensiva di quest'ultimo su Tripoli era stata fermata dall'intervento turco.

Nel frattempo, il coinvolgimento tedesco in Libia è rimasto privo di idee e di iniziativa. La Repubblica Federale ha messo a disposizione la sua capitale Berlino come luogo di incontro per i negoziati, ma non ha concretizzato nessuna proposta di mediazione seria. Nel frattempo i mediatori internazionali stanno cercando di dare vita ad un governo congiunto per la Libia.

I tedeschi oziosi, i francesi iperattivi - questo è il quadro che si sta ripetendo anche in Mali. "Barkhane" è il nome del comando francese nel Sahel con circa 5000 uomini. Da lì con i droni e i commando speciali, le truppe francesi danno la caccia ai leader terroristi islamici.

La Francia ha una visione unidimensionale del conflitto in Mali

I tedeschi, invece, addestrano i soldati maliani e per il resto raramente lasciano il loro campo. "Le uniche due vittime della Bundeswehr durante il suo coinvolgimento nella "più pericolosa missione ONU del mondo" sono dovute a un errore di manutenzione che ha portato allo schianto di un elicottero", scrive Lacher.

Lacher tuttavia è molto critico anche nei confronti delle operazioni militari dei francesi. "Barkhane" si affida spesso ai partner sbagliati. Le truppe, ad esempio, hanno stretto alleanze con diverse milizie locali. Gli attacchi aerei a loro sostegno hanno provocato numerose vittime civili. Mentre le milizie hanno usato l'appoggio aereo per regolare dei vecchi conti con i gruppi rivali.

Lacher accusa la leadership francese di avere un'immagine troppo unidimensionale del conflitto. In Mali non c'è un governo ben intenzionato che combatte contro dei ribelli islamici. Non c'è una linea di demarcazione così netta fra le parti: i salafiti sono anche i leader delle comunità locali, il governo di Bamako è ritenuto molto corrotto, ed è intrecciato con le élite regionali che coordinano il traffico di droga attraverso il Sahara. Le operazioni dei francesi, in questo modo, hanno invece alimentato conflitti e rivalità. La situazione in Mali e dintorni è oggi più confusa di quanto "anche gli osservatori più pessimisti" avrebbero mai potuto immaginare, conclude Lacher.

giovedì 25 febbraio 2021

Draghi il Salvatore, ovvero l'ultima carta dell'UE

"L'Italia resta un vulcano socio-politico, sia per le élite italiane che per l'UE. Non solo Berlusconi, Monti e Renzi ne sono usciti bruciati - ma nemmeno il mago Draghi sarà in grado di spegnere questo fuoco. (...) Da lui ci si aspetta un colpo di stato istituzionale nella breve finestra di opportunità data dalla temporanea crisi del populismo, una manovra in grado di limitare le fondamenta della democrazia parlamentare" scrive il grande intellettuale austriaco Wilhelm Langthaler. Per Langtahler "In Italia è in corso una grande lotta di classe, l'atto finale di una tragedia iniziata con la famigerata Tangentopoli", da Makroskop.de una riflessione molto interessante del grande intellettuale austriaco Wilhelm Langthaler. 



Prologo: tutto è iniziato con Maastricht. Con la svolta fra il 1989 e il 1991, e con quella grande trasformazione della politica economica che avrebbe portato alla firma del Trattato di Maastricht. L'Italia sarà il paese dell'UE che nel corso degli anni più di tutti subirà le conseguenze politiche ed economiche del trattato.

Il crollo del consenso sociale nello stivale è il prezzo che l'Italia ha dovuto pagare per tutto ciò. E già l'era Berlusconi poteva essere considerata una forma di populismo borghese di destra che cercava di mascherare questo crollo: l'Italia era sotto la curatela del Fondo Monetario Internazionale e aveva perso la propria sovranità fiscale.

Cosa tutto cio' potesse significare in concreto, Berlusconi lo aveva già capito quando ha esitato ad attuare la politica di austerità che un po' tutte le parti gli stavano chiedendo ed è quindi incorso nell'ira delle istituzioni europee. L'UE, la BCE e "i mercati", che stavano mostrando il pollice verso al paese richiedendo dei premi al rischio sempre più alti sui titoli di stato italiani, nel 2011 con una sorta di colpo di stato costituzionale hanno messo bruscamente fine al suo governo. Il presidente Giorgio Napolitano, con l'appoggio dell'UE, infatti, già dal 2008 stava lavorando alla caduta del governo Berlusconi e dopo le sue dimissioni quasi forzate, ha messo al suo posto l'eurocrate e banchiere Mario Monti. Il suo governo "tecnico" ha ulteriormente radicalizzato l'austerità neoliberista a cui il paese era stato sottoposto sin dagli anni '90, fino a quando poi non è stato seguito dal governo del blairiano di sinistra Matteo Renzi.

In un certo senso Renzi è l'anello mancante, il collegamento tra il passato e il presente. Perché quello che non è riuscito ad ottenere con il suo referendum costituzionale del 2016, ora dovrebbe riuscire a farlo Mario Draghi - cioè una ristrutturazione della Repubblica conforme all'UE - al quale Renzi ha spianato la strada.


Dopo il fallimento del referendum di Renzi, la sua stella si è eclissata con la stessa rapidità con cui era nata. Renzi ancora una volta avrebbe voluto svolgere il suo ruolo di Kingmaker, ma temporaneamente c'è stato un interludio di populismo cresciuto all'esterno del sistema, il che spiega gli attuali sentimenti delle élite nei confronti di Draghi. Con un terzo dei voti, i Cinque Stelle in un colpo solo nel 2018 sono diventati il centro del sistema politico esercitando una chiara opposizione al regime UE. Spinti dalla pressione della strada, erano riusciti a far uscire la Lega dall'alleanza di destra dando vita a quello che in Italia era stato chiamato il governo sovranista.

Ancora una volta il Presidente era intervenuto in violazione della Costituzione parlamentare smontando i vertici del governo anti-UE. Invece di Paolo Savona, come previsto, il primo ministro Giuseppe Conte aveva lasciato che Sergio Mattarella gli dettasse per il Ministero dell'economia il nome dell'economista Giovanna Tria, considerato uno strumento al servizio delle élite dell'UE. Così, dopo che i Cinque stelle si sono visti tarpare le ali e non sono riusciti a mettere in piedi le riforme sociali progressiste che avevano promesso, è iniziata la fulminea ascesa del populismo di destra della Lega di Matteo Salvini. Dopo poco più di un anno Salvini ha pensato di poter rovesciare Conte, di fatto però ha aperto la strada a un governo social-liberale, il Conte II - con la partecipazione di Renzi.

La ristrutturazione delle istituzioni

Quanto recentemente fatto da Renzi per rovesciare il secondo governo Conte ha poca rilevanza. C'era solo una cosa su cui le élite erano ampiamente d'accordo: niente nuove elezioni. Già si stava diffondendo l'odore del vecchio bipolarismo, la cui legge non scritta avrebbe previsto un'altra coalizione di destra. Ma il Quirinale non è stato al gioco, e ancora una volta il presidente Mattarella ha agito come un distruttore della Costituzione, invece che come un suo difensore.

L'intervento costante del Presidente chiarisce qual'è la strada che Renzi già nel 2016 avrebbe voluto percorrere: il presidenzialismo come risposta alla crisi della democrazia e della sovranità iniziata al più tardi con la crisi finanziaria. Da decenni, infatti, le élite sono alle prese con la ristrutturazione autoritaria delle istituzioni. La Costituzione progressista del 1948 è una spina nel fianco perché rende difficile l'attuazione tecnocratica degli orientamenti neoliberali dell'UE. La ristrutturazione sembra essere lo strumento per rendere permanente la ritirata della democrazia italiana.

Questo percorso fornisce una duplice salvaguardia: da un lato terrebbe sotto controllo il costante battibecco all'interno delle élite, e dall'altro, terrebbe permanentemente lontana dalle istituzioni l'opposizione latente del popolo .

In Francia, questo sistema ha funzionato discretamente bene per almeno mezzo secolo. Le regolari esplosioni di rabbia in strada finora sono state soppresse con successo dalla polizia, senza mai riuscire ad entrare nella sfera politica. Ma l'Italia non è la Francia.


Arriva Draghi

Già da alcuni anni le élite del paese si erano tenute pronte Mario Draghi come asso nella manica. All'inizio si pensava di offrirgli il posto da Presidente della Repubblica, che dovrà essere rinnovato nel 2022. Ora però Draghi è necessario in un'altra posizione, perché il sistema del bipolarismo sembra aver perso ogni efficacia, come del resto è accaduto con i numerosi interventi di chirurgia estetica di Berlusconi che non sono mai riusciti a ringiovanirlo. Con il Centrodestra al governo (coalizione liberale di destra) la prevedibile crisi politico-sociale nel dopo Coronavirus sarebbe stata difficile da gestire. Per questo sono necessarie altre armi. Qual è dunque la funzione del governo di tutti i partiti di Draghi?

In primo luogo, in questo momento il populismo di destra e di sinistra è in grande difficoltà. C'è un'opportunità storica per riassorbirlo. Se si riuscirà a farlo resta una questione aperta, ma se lo si può fare, questo probabilmente è il momento giusto per farlo. In ogni caso, il populismo attualmente sembra essere stato decapitato e l'operazione tecnocratica potrebbe rivelarsi vincente se si riuscisse a impedire l'emergere di una nuova articolazione politica, almeno per un certo periodo di tempo.

In secondo luogo, la stessa vita e la carriera di Draghi promettono ciò che i suoi sostenitori sperano: un europeo dichiarato, anzi per certi aspetti il proconsole dell'UE, l'incarnazione di un eurocrate che torna a casa per ripulirla e salvarla. Alla luce dell'opposizione manifesta e del rifiuto dei dettami neoliberisti dell'UE, il sostegno parlamentare e mediatico di cui sembra godere Draghi può essere considerato piu' che straordinario. E questo permetterà persino una certa popolarizzazione del governo in ampi settori dell'opinione pubblica - sempre che si possa evitare l'emergere di una forte opposizione.


Nessun Monti 2.0 - il programma di Draghi

In altre parole Draghi dovrà affrontare un compito erculeo. Potrà farcela? Una cosa è certa: se quando l'epidemia avrà fatto il proprio corso e l'eccezione imposta dal Covid sarà terminata Draghi dovesse ritornare alla vecchia austerità dell'UE, allora il suo fallimento sarà pressoche certo. Sembra che anche lui lo sappia, e pare che anche Berlino e Bruxelles abbiano iniziato a capirlo. Un Monti 2.0 sembra quindi essere fuori questione.

Corrispondentemente vago è anche il programma del governo Draghi; si parla di riformare il sistema giudiziario, la pubblica amministrazione e il sistema fiscale - niente di diverso da quello che già la maggior parte degli italiani pensa che debba essere fatto. Il cavallo di battaglia dell'UE, e cioè l'innalzamento dell'età pensionabile, per ora resta in secondo piano, anche se la riforma delle pensioni del governo Conte, progressiva nel suo approccio, verrà gradualmente abbandonata. Anche ulteriori tagli salariali (parola in codice riforma del mercato del lavoro) non sembrano essere in alcun modo al centro della discussione.

Molto più significativa invece è la saga di Draghi sul debito buono e quello cattivo. Il debito buono, sostiene, è quello che sarà usato per fare investimenti produttivi. Questo è un annuncio molto importante. Draghi sta mettendo tutte le sue uova in un solo paniere, vale a dire i sussidi e i prestiti concessi come aiuti anti-Corona, e accolti dall'UE come una pietra miliare oppure come il cosiddetto "momento Hamilton". Ma in verità la quantità di denaro che l'Italia può aspettarsi di ricevere è alquanto ridotta rispetto allo stimolo della domanda necessario e potenzialmente soggetto a delle condizionalità molto dure e di orientamento neo-liberista che potrebbero far deragliare il tentativo semi-keynesiano di stimolare l'economia.

E' lecito dubitare sul fatto che l'operazione possa funzionare, dato che ci sono molti punti interrogativi. La crisi sociale è enorme e la calma politica viene mantenuta solo grazie all'eccezionalità dettata dal Coronavirus. Per poter avere un impatto politico, le misure di rafforzamento della domanda dovranno arrivare rapidamente e in maniera massiccia, almeno entro le prossime elezioni. Ma questo è esattamente ciò che l'UE non può e non deve permettersi di fare, perché è in gioco la costituzione de facto dei trattati UE.

La storia inoltre ci ha insegnato - non ultimo in Francia sotto Mitterrand - che lo stimolo della domanda interna per essere efficace deve essere affiancato dal protezionismo. Questo significherebbe una politica economica che non solo all'interno dell'eurozona e del mercato unico con la sua dottrina del libero scambio è impossibile, ma che Draghi dovrebbe anche impedire. La missione di Draghi è quindi praticamente impossibile a meno che gli impulsi non arrivino dall'economia globale.



Perché Draghi è l'ultimo carta dell'UE

L'Italia resta un vulcano socio-politico, sia per le élite italiane che per l'UE. Non solo Berlusconi, Monti e Renzi ne sono usciti bruciati - ma nemmeno il mago Draghi sarà in grado di spegnere questo fuoco.

Ci si aspetta piuttosto che Draghi faccia qualcos'altro. Da lui ci si aspetta un colpo di stato istituzionale nella breve finestra di opportunità data dalla temporanea crisi del populismo, una manovra in grado di limitare le fondamenta della democrazia parlamentare. Al suo posto, si vorrebbe mettere in piedi un sistema bonapartista con l'aiuto del quale le rivendicazioni socio-politiche possano essere strutturalmente soppresse in modo ancora più efficace rispetto a quanto non avvenisse già in passato.

In Italia è in corso una grande lotta di classe, l'atto finale di una tragedia iniziata con la famigerata Tangentopoli, vale a dire l'esplosione del sistema di corruzione, abuso d'ufficio e finanziamento illegale dei partiti della Prima Repubblica ad inizio degli anni '90. Per l'UE, Draghi è l'asso nella manica, mentre i difensori della sovranità democratica attualmente sembrano essere più acefali che mai.

Ma un guardaroba pieno di camicie di forza istituzionali fatte su misura europea sta provocando anche dei contro-movimenti e una radicalizzazione anti-istituzionale. Una specie di "gilet gialli à la italienne" potrebbero essere già nell'aria. La resistenza alle chiusure, soprattutto nel Sud, con la loro forte componente sociale, ne ha già offerto un assaggio. A differenza della Francia, l'opposizione popolare non può piu' essere tenuta lontana dalle istituzioni politiche, come l'esempio dei 5 Stelle ha già dimostrato.

Oggi la rappresentanza politica dei sempre più numerosi emarginati sociali è orfana, ma questo non durerà. Se Draghi fallisce, la crisi del regime neoliberista si intensificherebbe, non solo in Italia, ma in tutta l'UE.

martedì 23 febbraio 2021

La Polonia supera l'Italia

Per la prima volta nella storia del commercio estero tedesco, la Polonia nel 2020 ha superato l'Italia sia nell'export che nell'import con la Germania, relegando il belpaese in sesta posizione, dietro ai polacchi appunto. Anche i francesi continuano a perdere terreno e nel 2020 incassano un altro gigantesco disavanzo commerciale nei confronti dei tedeschi, per quanto tempo ancora i francesi potranno andare avanti con numeri del genere? Domanda non banale, dalla cui risposta dipende la sostenibilità della moneta unica. Dati da Destatis.de


La Repubblica popolare cinese anche nel 2020 per il quinto anno consecutivo è stato il più importante partner commerciale della Germania. Come riportato dall'Ufficio Federale di Statistica (Destatis), stando ai dati preliminari, tra i due paesi nel 2020 sono state scambiate merci per un valore di 212,1 miliardi di euro. Nonostante la crisi causata dal Coronavirus, il volume del commercio estero con la Cina è comunque aumentato del 3,0% rispetto al 2019. Seguono al secondo posto tra i più importanti partner commerciali i Paesi Bassi con un fatturato complessivo proveniente dal commercio estero pari a 172,8 miliardi di euro (-8,7%) e gli Stati Uniti con 171,6 miliardi di euro (-9,7%). 


Principali partner commerciali della Germania nel 2020



Primi 10 partner commerciali della Germania per import ed export

Dal 2015 la Cina resta il più grande importatore  

L'importanza della Cina per le importazioni tedesche è in costante crescita: nel 1980, infatti, la Cina si trovava al 35° posto nella classifica dei paesi importatori, nel 1990 invece era già al 14°. Dal 2015 la Repubblica Popolare Cinese è lo stato da cui arriva la maggior parte delle importazioni tedesche. Nel 2020, sono state importate dalla Cina merci per un valore di 116,3 miliardi di euro. Anche le importazioni sono aumentate del 5,6% rispetto al 2019. I Paesi Bassi (con 88,5 miliardi di euro) e gli Stati Uniti (con 67,8 miliardi di euro) nel 2020 sono stati il secondo e il terzo paese per volume delle importazioni. La crisi causata dal Coronavirus, tuttavia, ha portato a dei cali significativi: le importazioni dai Paesi Bassi rispetto al 2019 sono diminuite del 9,6% mentre quelle dagli Stati Uniti del 5,0%. 


Primi 10 partner commerciali per somma di import ed export e primi 10 avanzi commerciali tedeschi

Gli Stati Uniti restano ancora il cliente più importante per l'export tedesco

La maggior parte delle esportazioni tedesche, anche nel 2020, sono andate negli Stati Uniti, come del resto accade dal 2015, anche se le esportazioni di beni verso l'America sono diminuite del 12,5% rispetto al 2019 passando a 103,8 miliardi di euro. La Repubblica Popolare Cinese è al secondo posto nella classifica dei paesi importatori con 95,9 miliardi di euro (-0,1%) mentre la Francia si trova al terzo con 91,1 miliardi di euro (-14,6%). 

La Germania nel 2020 ha registrato i maggiori avanzi commerciali con gli Stati Uniti (36,1 miliardi di euro), la Francia (34,4 miliardi di euro) e il Regno Unito (32,2 miliardi di euro). Il saldo commerciale estero del 2020 con la Repubblica cinese ha mostrato invece un disavanzo commerciale: complessivamente il valore delle merci importate dalla Cina ha superato il valore di quelle esportate per un valore di 20,4 miliardi di euro. 



domenica 21 febbraio 2021

Quanto ha risparmiato il governo tedesco grazie ai tassi di interesse a zero?

Se sulla stampa popolare Mario Draghi diventa Draghila, la verità è che dati alla mano, grazie alla liquidità illimitata della banca centrale e allo status di titolo "risk-free" di cui godono i bund tedeschi, il governo federale nell'ultimo decennio ha risparmiato oltre 200 miliardi di euro in termini di interessi passivi sui titoli di stato. Risparmi che molto probabilmente si sono tradotti in minori tasse e in un generoso aumento delle retribuzioni per i dipendenti pubblici. Ne scrive Handelsblatt.de



È sempre lo stesso rituale: ogni anno, quando l'uomo di Olaf Scholz (SPD) al bilancio pubblico, il segretario di Stato Werner Gatzer (SPD), presenta il prossimo bilancio federale, ogni volta gli chieodono quanto potrebbe ancora risparmiare sulla spesa per interessi. E ogni volta, Gatzer afferma che siamo già al "capolinea". Non c'è davvero più nulla da risparmiare. E ogni volta che si parla di bilancio pubblico i politici si sentono presi in giro.

E il 2020 è un esempio perfetto di come funziona. Nel 2016, infatti, il governo federale nella sua pianificazione finanziaria per il 2020 ipotizzava una spesa per interessi pari a 21,9 miliardi di euro. Alla fine, invece, sono stati spesi appena 6,5 miliardi di euro, quindi molto meno di quanto era stato pianificato. E così va avanti da anni. Dallo scoppio della crisi finanziaria, infatti, i tassi d'interesse sono scesi ai minimi e poi lì sono rimasti. Molti risparmiatori sono sull'orlo della disperazione perché sui loro risparmi non incassono più interessi. Ma c'è anche un grande vincitore: lo Stato.


Dalla crisi finanziaria del 2008, infatti, grazie ai bassi tassi d'interesse, il governo federale in totale ha risparmiato 210,8 miliardi di euro in termini di interessi  passivi non sborsati rispetto a quanto era stato originariamente preventivato. Questo è il risultato di una risposta del Ministero delle Finanze a una interrogazione parlamentare dei Verdi a disposizione di Handelsblatt.

Nella sua pianificazione finanziaria per gli anni dal 2008 al 2020, infatti, il governo federale originariamente aveva previsto di dover spendere un totale di 533,9 miliardi di euro per il pagamento degli interessi sul debito. "La somma degli importi riportati al termine degli esercizi di bilancio negli anni dal 2008 al 2020" alla fine è ammontata invece a soli 323,1 miliardi di euro, secondo la risposta all'interrogazione del Ministero federale delle Finanze. Una differenza di quasi 211 miliardi euro.

Con i titoli di stato di nuova emissione, il governo federale lo scorso anno ha addirittura guadagnato 6,9 miliardi euro. Invece di pretendere interessi, infatti, quando lo stato si è indebitato con loro, gli investitori hanno dovuto pagare al governo tedesco del denaro aggiuntivo.


La Germania come porto sicuro

La ragione di questa assurdità è dovuta al fatto che gli investitori di tutto il mondo sono in cerca di investimenti sicuri. I requisiti normativi stanno costringendo le assicurazioni, ad esempio, a investire i loro soldi in titoli considerati sicuri. E I titoli di debito tedeschi vengono considerati particolarmente sicuri. Il fatto che il governo non debba quasi più pagare alcun interesse sul debito, e in alcuni casi quando deve emettere nuovo debito ci possa anche guadagnare, sta giocando un ruolo decisivo nel dibattito tedesco sull'indebitamento.



Per molto tempo, infatti, lo "Schwarze Null", cioè il bilancio federale in pareggio, è stato considerato accettabile da una ampia maggioranza politica. E il pareggio di bilancio ancorato nella Legge Fondamentale era ritenuto sacrosanto. A causa del Coronavirus, però, lo "Schwarze Null" ormai fa parte del passato, ma anche il pareggio di bilancio in Costituzione è sempre più sotto tiro, recentemente è stato addirittura il capo ufficio alla Cancelleria Helge Braun (CDU) a suggerirne l'allentamento.

La SPD, i Verdi e la Linke, ma anche molti economisti, chiedono di sfruttare la fase dei bassi tassi d'interesse per fare più debito e di usare 500 miliardi di euro per programmare un piano di investimenti.

Secondo Sven-Christian Kindler, dei Verdi, dagli anni '80 i tassi d'interesse reali nei principali paesi industrializzati, compresa la Germania, sono in costante calo. "L'allarmismo dell'Unione sul pericolo di un aumento dei tassi d'interesse serve solo a giustificare la loro posizione ideologica contro l'indebitamento, e non ha nulla a che fare con la realtà economica. Chi in una situazione simile intende rinunciare a prendere denaro in prestito per finanziare il costo della crisi e gli investimenti sta agendo contro ogni razionalità economica".

L'argomento è il seguente: quando i tassi di interesse sono bassi e il debito non costa nulla, sarebbe da stupidi non approfittarne. La Germania ha bisogno di fare degli importanti investimenti pubblici, investimenti nella protezione del clima, nella digitalizzazione, nell'educazione e nella costruzione di alloggi a prezzi accessibili. "Ecco perché ora è arrivato il momento giusto per lanciare un grande fondo di investimento da 500 miliardi di euro da spendere in dieci anni", ha detto Kindler. Per questo, il pareggio di bilancio dovrebbe essere riformato.

L'Unione tuttavia non vuole allontanarsi dal pareggio di bilancio. Ci sono anche economisti che mettono in guardia dall'accettare i bassi tassi d'interesse come se fossero un dono di Dio. Se i tassi d'interesse dovessero aumentare di nuovo, la spesa per interessi della Germania tornerebbe rapidamente a crescere, sostengono. Nel 2008, ad esempio, il governo federale spendeva 40 miliardi euro solo per pagare gli interessi - e all'epoca il livello di indebitamento era più basso di quello attuale.

Questo è il motivo per cui la CDU/CSU non vogliono allontanarsi troppo dal pareggio di bilancio. La politica finanziaria potrebbe diventare quindi un punto centrale della contesa durante la prossima campagna elettorale.

venerdì 19 febbraio 2021

Heiner Flassbeck - Buona fortuna, Mario!

"Non illudiamoci, con questa Germania non è possibile fare l'Europa. Come potrebbe il primo ministro italiano riuscire a fare quello che il presidente della BCE non è riuscito a fare, cioè lanciare una discussione calma e razionale sulla politica economica... in cui i tedeschi capiscano da subito che non se la caveranno con i loro soliti vecchi luoghi comuni neoliberisti e monetaristi e le loro ambizioni mercantiliste. Tutti quelli che hanno ancora la testa sul collo non possono che tifare per Mario Draghi", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Per Flassbeck il potenziale politico di Mario Draghi in Europa è enorme, ma anche le resistenze che incontrerà sul suo percorso saranno molto forti, soprattutto nel nord del continente. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop.de

Pover'uomo, ho pensato immediatamente quando ho sentito che Mario Draghi aveva accettato il mandato da Presidente del consiglio per formare il nuovo governo italiano. Ma riflettendo, invece, mi sono poi reso conto che Mario, che conosco da più di 20 anni, e dal mio punto di vista può anche essere povero - e forse anche dal suo - probabilmente per l'Italia rappresenta invece un'opportunità unica.

Quale paese può dire di avere un primo ministro che non solo ha ricevuto un ampio sostegno dai partiti rappresentati in Parlamento, sia di destra che di sinistra, ma che ha anche collezionato un'esperienza unica sia in campo interno che internazionale. Mario Draghi sin dai primi anni '90 ha fatto parte (e si è assunto la responsabilità) di tutti i principali organismi che si occupano di economia globale, europea ed italiana. Ha assunto la più importante posizione in materia di politica economica all'interno dell'eurozona in un momento in cui l'Unione Monetaria (UEM) era sull'orlo del collasso, offrendole un appiglio in una fase cruciale.

Nulla di tutto ciò, naturalmente, può garantire che sarà anche in grado di partecipare agli intrighi e ai complotti tipici della politica, e di portare a termine e con successo anche questo incarico. Ma il potenziale della sua ambizione politica è enorme, data la sua vasta esperienza e conoscenza sulle questioni cruciali. E in ogni caso è molto più grande di quello di qualsiasi altro politico a cui è stato permesso di prendere il timone a Roma, almeno negli ultimi trent'anni.



L'Italia e l'unione monetaria

Chiunque abbia avuto a che fare con l'Italia, al di là dei soliti pregiudizi molto diffusi - soprattutto in Germania -, saprà bene che la questione italiana, il problema italiano, diciamo così, è un problema essenzialmente legato all'ingresso dell'Italia nell'unione monetaria. A causa della particolare posizione di partenza dell'Italia, che ho descritto in dettaglio nel numero tematico di MAKROSKOP - "Debito ed espiazione", sin dagli esordi dell'euro, il paese è sempre stato sulla difensiva. La ragione più semplice è che l'Italia e gli altri paesi membri dell'eurozona morivano dalla voglia di rinunciare alla loro "sovranità monetaria" (che in realtà non avevano mai posseduto) e per farlo erano pronti a ingoiare un certo numero di rospi (tedeschi) molto grassi.

La speranza di poter avere, grazie ad una grande area monetaria europea, una politica economica che, come negli Stati Uniti, sarebbe stata orientata soprattutto alle esigenze interne di un'economia grande e relativamente chiusa e di conseguenza, avrebbe messo la domanda interna e l'occupazione al centro degli  sforzi della banca centrale, all'inizio non era affatto infondata. Alla fine però, la Bundesbank, da sempre concentrata sulla stabilizzazione dei prezzi, era stata sostituita da un'istituzione che, per essere sicuri, nella interpretazione letterale dei trattati (e naturalmente su veemente insistenza tedesca) era ancora più votata al contenimento dell'inflazione come suo unico obiettivo centrale. Ma chiunque abbia preso seriamente in considerazione le "soluzioni" europee, all'epoca sapeva bene che in questa Europa, appunto, le pietanze non potevano essere "mangiate così calde come venivano cucinate".

Anche fra i firmatari del trattato di Maastricht, infatti, nessuno poteva immaginare che subito dopo l'avvio dell'unione monetaria il paese più grande avrebbe cominciato a "olandesizzare" se stesso, cioè a vivere a spese dei suoi vicini, come aveva già fatto "con un certo successo" l'Olanda negli anni '80 grazie alla sua politica di dumping salariale. Che a farlo invece sia stato proprio un governo tedesco rosso-verde, tra tutti, un governo inciampato su questa "via d'uscita" a causa della sua completa incompetenza economica, è stata una coincidenza. Ma il fatto che in questo modo abbia bloccato lo sviluppo economico di tutta l'Europa, può essere considerata un'esperienza davvero unica in Europa.

La Germania, tra le altre cose, nonostante i suoi successi alquanto superficiali, ha rovinato per sempre il proprio sistema economico di successo, che dagli anni '70 era diventato l'ancora di tutte le alleanze monetarie europee, in quanto di fatto ha reso impossibile al paese raggiungere un elevato livello di occupazione senza un surplus delle partite correnti.



Per l'Italia questo processo è stato senza dubbio fatale, perché firmando il Trattato di Maastricht si è messa addosso un vestito fiscale che sarebbe stato sopportabile solo se l'Italia avesse avuto un grande successo nelle esportazioni e/o se la crescita fosse stata spinta dagli investimenti delle imprese in un'Europa complessivamente fiorente. La Germania, tuttavia, con la sua condotta ha bloccato il primo e il secondo percorso perché la sua politica di dumping salariale ha di fatto sbarrato la strada dell'export agli altri paesi dell'unione monetaria e allo stesso tempo ha soffocato la propria domanda interna e quella europea. Tutti gli altri paesi dell'unione monetaria, infatti, per non affondare in maniera irrimediabile nei loro mercati di esportazione, hanno dovuto seguire questo modello insensato.


Il margine di manovra di Mario Draghi e il suo più grande avversario

Mario Draghi lo sa bene, e già solo per questo è fondamentalmente diverso da praticamente tutti gli altri politici europei. Sa che ha bisogno di una politica fiscale espansiva (senza condizionalità europea) per far uscire l'economia italiana dalla profonda depressione in cui si trova. E sa che c'è bisogno di un cambiamento nell'equilibrio competitivo in Europa, soprattutto se Italia e Francia nel lungo periodo vorranno avere qualche speranza di successo. Sa anche che ogni suo passo sarà sotto esame e che da un momento all'altro nel nord del continente potrebbe scoppiare una tempesta che lo spazzerebbe via anche politicamente.

Il grande vantaggio di Draghi è la sua profonda conoscenza delle istituzioni. Non combatterà sul fronte sbagliato. Dopo tutto, data la sua lunga esperienza in un numero infinito di commissioni, sa bene che il suo avversario più importante non è a Bruxelles, ma a Berlino. E' soprattutto è qui che si differenzia dagli ingenui di destra e di sinistra che siedono nelle loro stanzette e scrivono e blaterano sull'Europa neoliberista e sulla Commissione europea, senza però aver mai visto un'istituzione europea o internazionale da vicino e i veri equilibri di potere al loro interno.

Il più grande avversario di Draghi sarà il "nocciolo duro della CDU/CSU", che per il dopo crisi ha già in mente la reimposizione delle vecchie regole sul debito e pensa a delle condizioni dure da imporre a chiunque voglia prendere in prestito anche un solo euro da Bruxelles.



Draghi sa anche fin troppo bene, dopo aver trascorso molto tempo a Francoforte, che i sentimenti profusi dagli oppositori dichiarati della BCE in Germania (compresa la Corte costituzionale federale con la sua assurda sentenza sulla proporzionalità della politica monetaria europea), indirizzati a qualsiasi cosa assomigli a un trattamento equo dei paesi europei da parte della BCE, per l'Italia saranno particolarmente problematici. L'Italia potrà sempre trovarsi nella posizione di dover contare sul sostegno diretto o indiretto della BCE, visto l'umore assolutamente irrazionale dei "mercati". Di conseguenza, dovrà fare molta attenzione quando discuteterà la questione, alla fine inevitabile, cioè se e in che modo il mandato della BCE potrà essere adattato ai tempi moderni, anche dopo il Coronavirus.

Draghi ha bisogno di amici

Chiunque debba affrontare un avversario forte avrà bisogno di amici forti. Il nuovo presidente del consiglio italiano non porterà a termine la sua impresa, se non riuscirà a fare quello in cui tutti coloro che nell'unione monetaria hanno cercato di cambiare qualcosa finora hanno fallito. Ha bisogno di una forte coalizione di paesi che siano pronti a sfidare apertamente e dichiaratamente il dominio e la ristrettezza di vedute della Germania. Proprio in questi giorni possiamo assistere al modo in cui il presidente bavarese, il ministro federale della sanità e il ministro federale dell'interno sul tema dell'apertura delle frontiere si rifiutino di accettare qualsiasi avvertimento da Bruxelles, e come il presidente tedesco della Commissione, invece di battere i pugni sul tavolo, preferisca restare nobilmente in silenzio.

Non illudiamoci, con questa Germania non è possibile fare l'Europa. Come potrebbe il primo ministro italiano riuscire a fare quello che il presidente della BCE non è riuscito a fare, cioè lanciare una discussione calma e razionale sulla politica economica in questa grande e autoreferenziale Europa? Una discussione in cui i tedeschi si rendano conto sin da subito che questa volta non se la caveranno con i loro soliti vecchi luoghi comuni neoliberisti e monetaristi e le loro ambizioni mercantiliste. Tutti quelli che hanno ancora la testa sul collo non possono che tifare per Mario Draghi. Da parte mia, non posso che augurargli con tutto il cuore buona fortuna!




martedì 16 febbraio 2021

Dalla concorrenza sulla qualità al dumping salariale

"Oggi il vero progresso tecnologico avviene principalmente negli Stati Uniti e in Cina. L'economia tedesca, fondata sull'export, d'altro canto, fino ad ora è riuscita a tenere la testa fuori dall'acqua solo grazie alla moderazione salariale e alla bassa pressione fiscale. Nel breve periodo (e nella concorrenza intra-europea) questa competizione sul prezzo fondata sul dumping salariale può ancora funzionare, ma nel lungo periodo (e a livello globale) difficilmente funzionerà" scrive il grande intellettuale tedesco Andreas Nölke, che su Makroskop propone una rilfessione molto interessante sulla principale malattia che da almeno due decenni affligge l'economia tedesca, l'Esportismo, vale a dire la profonda dipendenza dall'export. Andreas Nölke da Makroskop.de


Chi difende gli avanzi commerciali tedeschi, spesso sostiene che in fondo non è colpa nostra se il mondo è così interessato ai nostri meravigliosi prodotti. Il mondo adora le auto e le macchine tedesche.

Ora questo potrebbe anche essere vero in alcuni casi, se consideriamo le nostre esportazioni nel settore dell'ingegneria meccanica di punta o delle automobili di lusso. Ma se si dà un'occhiata più sistematica allo sviluppo delle esportazioni tedesche, si noterà che una parte crescente di queste esportazioni viene venduta essenzialmente perché è "a buon mercato".

In linea di principio, l'acquisto di un prodotto riguarda sempre entrambi gli aspetti: qualità e prezzo. Nel caso delle esportazioni tedesche, tuttavia, c'è uno spostamento alquanto problematico verso questo secondo aspetto. Su questo argomento ormai è già disponibile un grande numero di studi empirici.


Dalla concorrenza sulla qualità al dumping

Negli ultimi cinque decenni l'economia tedesca si è trasformata da un'economia forte nell'export, ma relativamente equilibrata, in un'economia estremamente dipendente dalle esportazioni. Colpisce il fatto che l'intensificazione "patologica" dell'orientamento all'export tedesco non sia stato accompagnato da innovazioni tecnologiche di rilievo, ma sempre più da una spinta alla concorrenza sui prezzi. Il successo nelle esportazioni tuttavia non è da considerarsi un segno di potenza industriale, ma di debolezza - anche se questa debolezza è solo quella dei nostri vicini europei ("troppo cari").


Arndt Sorge e Wolfgang Streeck, ad esempio, facendo riferimento al loro concetto di "produzione di qualità diversificata", tipica dell'industria tedesca, notano che questa in termini di caratteristiche fondamentali resta ancora in parte intatta, come ad esempio la differenziazione di prodotto, anche se ora fondamentalmente non si basa piu' sui "beneficial constraints" del salario elevato e delle innovazioni che ne conseguono, ma si fonda sempre piu' spesso sui dei vantaggi legati al costo.

Dopo un primo crollo iniziale avvenuto intorno al 1980, sin dalla metà degli anni '90, l'industria tedesca ha interrotto la sua tendenza di lungo periodo finalizzata ad un "upgrading" verso una qualità maggiore, e da allora h puntato sempre di piu' sui vantaggi legati al prezzo. Lucio Baccaro ha mappato quantitativamente questo sviluppo calcolando il rapporto tra i prezzi delle esportazioni e quelli delle importazioni. Al più tardi a partire dal 1995, questo rapporto - come indicatore dell'upgrading - non è piu' cresciuto, in netto contrasto con lo sviluppo osservato nei decenni precedenti. L'argomento secondo il quale le esportazioni tedesche a partire da metà anni '90 sono diventate più competitive in termini di prezzi viene confermato anche dalla Bundesbank, indipendentemente dagli indicatori scelti.

La rilevanza del prezzo delle esportazioni diventa particolarmente chiara se si fa un confronto con l'Italia, un concorrente tradizionalmente molto competitivo nei settori chiave dell'export tedesco, tra questi la produzione di automobili e di macchinari. Nel frattempo, però, in termini di performance dell'export la Germania ha nettamente superato l'Italia, anche se, stando ad uno studio del Fondo Monetario Internazionale, questo successo per circa la metà sarebbe da attribuire ad un accrescimento della produttività tedesca - in parte dovuto anche alla moderazione salariale praticata in Germania.

L'OCSE riporta che, soprattutto nel primo decennio del millennio, vi è stata una chiara tendenza dell'economia tedesca a raggiungere i suoi successi nell'export non più attraverso la qualità dei propri prodotti, ma sempre più spesso grazie al contenimento dei prezzi, in contrasto con le fasi precedenti in cui erano soprattutto le innovazioni - misurate, per esempio, dal numero di domande di brevetto - a garantire tali successi.


Un'analisi dettagliata sul "commercio internazionale di beni ad alta intensità di ricerca" mostra anche che i vantaggi comparativi della Germania restano prevalentemente e relativamente stabili nelle "tecnologie ad alto valore" (veicoli a motore, ingegneria meccanica), ma non nelle attuali "tecnologie d'avanguardia", con alcune eccezioni nel settore della tecnologia medica, della misurazione e del controllo. La Cina, invece, ha notevolmente ampliato le sue quote di mercato in entrambi i segmenti, soprattutto nelle tecnologie di punta.

E anche nelle tecnologie di fascia alta del settore automobilistico e della componentistica, il successo dell'export si basa sempre di più sulla concorrenza di prezzo, invece che su quella fondata sulla qualità, sempre stando a questo studio. Dopo tutto, in Germania non si producono solo veicoli di lusso per i quali - in quanto status symbol - il prezzo ha relativamente poca importanza. Baccaro e Benassi giungono a conclusioni simili, misurando una maggiore sensibilità al prezzo delle esportazioni tedesche nel settore automobilisitico e dell'ingegneria meccanica negli anni a partire dal 1990, in contrasto con i decenni precedenti.

Questi risultati sono ulteriormente confermati da un recente studio di Sebastian Dullien, Heike Joebges e Gabriel Palazzo. Lo studio evidenzia l'importanza della competitività di prezzo per le esportazioni tedesche, comprese le esportazioni di beni "high-tech". Questa competitività basata sui costi è stata notevolmente migliorata nei primi anni '80 da un lato e in seguito tra il 1995 e il 2012, vale a dire dopo le 2 grandi crisi dell'economia tedesca.

La fine dello stallo

Queste osservazioni, tuttavia, non sono di buon auspicio per lo sviluppo di lungo periodo dell'economia tedesca. Da tempo, infatti, questa ha smesso di essere alla frontiera del progresso tecnologico, ad esempio nelle biotecnologie o nell'economia digitale. È innovativa in alcune sue aree, ma solo per quanto riguarda lo sviluppo incrementale di innovazioni tecnologiche che nelle loro caratteristiche di base sono già vecchie di molti decenni, specialmente nella chimica, nell'ingegneria meccanica e nell'industria automobilistica, basata sui motori a combustione.

Oggi il vero progresso tecnologico avviene principalmente negli Stati Uniti e in Cina. L'economia tedesca, fondata sull'export, d'altro canto, fino ad ora è riuscita a tenere la testa fuori dall'acqua solo grazie alla moderazione salariale e alla bassa pressione fiscale. Nel breve periodo (e nella concorrenza intra-europea) questa competizione di prezzo basata sul dumping salariale può ancora funzionare, ma nel lungo periodo (e a livello globale) difficilmente funzionerà.

In altre parole: aver salvato i posti di lavoro attraverso la moderazione salariale e l'austerità nelle recenti crisi economiche può aver contribuito a stabilizzare questo modello. Nel frattempo, però, questa strategia sembra essere arrivata al capolinea.

Nel lungo periodo, un'economia con un elevato costo del lavoro, come quella tedesca, può sopravvivere solo se si investe molto di più nella ricerca, nella tecnologia e nelle competenze della forza lavoro - e se la crescita economica e i posti lavoro non dipenderanno solo dagli sviluppi incerti dei mercati di esportazione esteri, ma anche, in modo complementare, da una domanda interna stabile.

In questo contesto, sarebbe un errore molto grande reagire alla recessione del 2021 causata dal Coronavirus continuando a spingere il modello di export basato sulla compressione dei costi, ad esempio attraverso l'austerità e la moderazione salariale collettiva. Questo non farebbe altro che intensificare ulteriormente una disuguaglianza di per sé già molto  pronunciata.

Affinché le esportazioni possano avere un ruolo cruciale, ma all'interno di una struttura economica più equilibrata, sarebbe utile se queste esportazioni fossero realizzate grazie a prodotti di qualità e non solo attraverso una concorrenza basata su dei prezzi sempre piu' bassi. Quest'ultima è incompatibile con la necessaria stimolazione della domanda interna fatta attraverso l'aumento dei salari e la spesa pubblica. Anche nel lungo periodo, non si può vincere contro i paesi a basso salario.

La qualità superiore dei prodotti - oppure un loro posizionamento piu' alto come oggetti di status - permetterebbero d'altra parte anche di strappare prezzi più alti e sarebbero quindi compatibili con la necessità di aumentare i salari e quindi riequilibrare l'economia tedesca. Sono necessari anche maggiori investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende, che a loro volta serviranno ad aumentare la domanda interna. I salari più alti fungono quindi da "beneficial constraints" (Wolfgang Streeck), e costringono le imprese a fare il loro bene, cioè a fare gli investimenti.


In Germania ci sono ancora i presupposti per fare export di qualità e ad alto prezzo

Ribilanciare l'economia con una strategia di alti salari non è fattibile con ogni struttura dell'export. Quando i salari e i prezzi aumentano, i paesi con una struttura dell'export elastica al prezzo, come ad esempio quelli legati al tessile di base, devono fare i conti con un brusco crollo delle loro esportazioni, dato che i compratori possono facilmente passare ad altri fornitori.

Non è così facile, inoltre, per un paese passare da beni semplici a beni più evoluti e a livelli di tecnologia piu' elevati. Ci sono inoltre notevoli ostacoli, che in particolare nel lungo periodo possono ostacolare una ripresa delle economie dell'Europa meridionale, come dimostrano Jakob Kapeller, Claudius Gräbner e Philipp Heimberger. L'economia tedesca, d'altra parte, in un confronto interno all'UE occupa ancora una posizione di primo piano per quanto riguarda il concetto di "complessità economica", un importante indicatore della capacità tecnologica di un paese, un concetto sviluppato da un gruppo di ricercatori dell'Università di Harvard.

La Germania ha ancora dei presupposti tutto sommato buoni per poter riequilibrare con successo la sua economia nell'ambito di un confronto europeo. Certo, abbiamo visto che la quota di esportazioni tedesche elastiche rispetto al prezzo negli ultimi decenni è aumentata - uno sviluppo molto problematico. Ma se confrontiamo la posizione relativa della Germania con quella degli altri classici paesi più industrializzati sia all'interno dell'UE (Francia, Italia, Spagna) che all'esterno (Regno Unito, Giappone, Stati Uniti), vedremo che la Germania mantiene una quota relativamente più alta del suo export in termini di beni sofisticati e meno sensibili al prezzo rispetto a questi paesi, stando ad uno studio realizzato dall'Istituto di ricerca economica della Bassa Sassonia.

Per la Germania - come accade all'orbo in mezzo ai ciechi, per così dire - nel confronto internazionale, dovrebbe essere ancora più facile mantenere un alto livello di esportazioni anche a fronte di una ridotta competitività di prezzo dovuta a dei salari più alti, diversamente da quanto accade in Italia, ad esempio, dove negli ultimi decenni ci sono state notevoli perdite in termini di quote di mercato causate da beni maggiormente sensibili al prezzo, ad esempio il tessile e i mobili, come risultato dell'ascesa della Cina.

Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale citati in precedenza, non esiste nessun'altro paese al mondo il cui profilo dei beni esportati negli ultimi decenni abbia avuto cosi' tanta somiglianza con quello della Cina, piu' di quanto è accaduto all'Italia. L'Italia è stato quindi il paese che negli ultimi decenni piu' di tutti ha sofferto a causa del "miracolo economico cinese".

Lo stesso destino nel prossimo futuro potrebbe toccare anche alla Germania - dato il "miglioramento" del portafoglio dell'export cinese. Non è ancora troppo tardi per cercare di difendere il vantaggio competitivo tramite investimenti maggiori nella ricerca, nello sviluppo e nella formazione di lavoratori altamente qualificati e ben pagati.

Ma questo riequilibrio sarà un adattamento doloroso per alcune parti significative dell'industria tedesca. E questo è particolarmente vero per quelle aziende che negli ultimi decenni hanno investito sempre meno in innovazione e produttività e si sono invece sempre piu' adagiate sulla moderazione salariale e su di una moneta sottovalutata. In molti casi, senza il sostegno attivo dello Stato, tutto questo non sarà possibile, specie nell'area della politica per lo sviluppo tecnologico

venerdì 12 febbraio 2021

Cosi' la stampa tedesca ha sostenuto la formazione del governo Draghi

La stampa tedesca che conta sta accompagnando con un certo ottimismo e un discreto supporto mediatico la formazione del governo Draghi. Per i commentatori tedeschi, infatti, il nuovo governo dovrà salvare l'Italia dal fallimento finanziario e in questo modo difendere gli interessi geostrategici della potenza dominante all'interno dell'eurozona. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy




...e rapidamente".

I principali media tedeschi stanno accompagnando con un certo ottimismo la formazione di un nuovo governo in Italia, in alcuni casi stanno dando anche istruzioni dettagliate per l'azione. L'ex presidente della BCE Mario Draghi, con la prospettiva di diventare il nuovo Presidente del Consiglio, dovrà governare un'economia in uno stato miserabile, riferisce ad esempio Der Spiegel: "debito record, nessuna crescita, ricchezza in calo, demografia in declino." [1] Draghi deve affrontare "due compiti principali": accelerare la campagna di vaccinazione e "spendere in maniera saggia" i fondi UE anti-crisi che ammontano a oltre 200 miliardi di euro e che dall'estate inizieranno ad affluire. E questo dovrà essere fatto nel quadro di un programma che soddisfi i requisiti dell'UE - "e in maniera rapida". L'Italia ha attraversato "un decennio e mezzo molto brutto" iniziato con l'introduzione dell'euro, durante il quale il paese "è diventato più povero". In Germania, invece, "il prodotto interno lordo per abitante è aumentato di circa un ottavo", stando ad un commento che si astiene dal menzionare il ruolo fatale avuto dall'enorme surplus commerciale tedesco nei confronti degli stati meridionali dell'eurozona. L'Italia ora è minacciata nientemeno che dalla "rovina", e potrebbe trasformarsi in una "Argentina europea", scrive invece Manager Magazine [2]. Ma questo non è un destino inesorabile; Draghi sarà chiamato ad usare i miliardi dell'UE in modo "abile e produttivo", a stimolare gli investimenti privati e ad avviare un "programma di rinnovamento necessario" per stimolare un "cambio di umore".


Seguendo l'esempio dell'UE

Draghi tuttavia in quanto futuro primo ministro ha un "grande vantaggio", riporta il commento: gli avversari politici in Italia potranno essere messi a tacere indicando la necessità di rispettare i "requisiti indicati da Bruxelles" e necessari per l'ottenimento dei fondi contro la crisi. Se l'Italia intende ricevere gli oltre 200 miliardi di euro del fondo, il paese dovrà necessariamente "adeguarsi alle linee guida indicate dall'UE". Il nuovo capo del governo potrà usare questa "leva" nelle prevedibili lotte per il potere. Chiunque si opporrà a Draghi rischia di non incassare i soldi del fondo anti-crisi da Bruxelles e di avere "un brusco risveglio da uno stato di limbo alquanto precario", scrive sempre Manager Magazin. Altri commentatori, invece, notano che l'Italia soffre di un enorme "arretrato in termini di riforme non fatte" che Draghi dovrà rapidamente smaltire in quanto primo ministro, scrive invece la FAZ [3]. Il paese dell'Europa del sud ha bisogno di investire nell'istruzione e nelle tecnologie legate al futuro; inoltre restano in sospeso le riforme strutturali "del sistema giudiziario, nell'amministrazione pubblica, e nella politica" che Draghi deve attuare in quanto "salvatore dell'Italia", scrive invece Deutschlandfunk [4]. L'ex-capo della banca centrale dovrà affrontare un "compito erculeo"; i fondi dell'UE contro la crisi rappresentano una "opportunità storica" che dovrà essere colta. I media conservatori tedeschi chiedono anche "l'innalzamento dell'età pensionabile" e la "rimozione degli ostacoli alla crescita"; questi provvedimenti dovranno essere attuati nell'ambito di un "grande" pacchetto di riforme, scrive Die Welt [5]. L'ex-capo della banca centrale si trova ora ad affrontare un "compito erculeo"; i fondi anti-crisi dell'UE rappresentano una "opportunità storica" che dovrà essere colta.


La posta in gioco è alta, anche per la Germania

Dai media conservatori allo stesso tempo si leva anche qualche voce cauta. Se l'ex capo della BCE in futuro dovesse essere alla guida dell'Italia e trovarsi a "capo di un governo di tecnocrati", non solo plasmerebbe la terza economia dell'eurozona, ma in una certa misura anche "l'intera Unione Europea", scrive Die Welt; e questo anche per la Germania significherebbe mettere molto in gioco. [6] Draghi, infatti, come capo della BCE dal 2012 con la sua politica monetaria espansiva ha difeso l'euro "a tutti i costi", salvando l'eurozona e "salvando l'Italia dal crollo". Ma questo ha avuto anche delle "conseguenze negative e gravi": gli ampi acquisti di titoli di stato da parte della BCE al culmine della crisi dell'eurozona hanno portato a "un rallentamento dello zelo nel fare le riforme necessarie nei paesi maggiormente indebitati - soprattutto in Italia". Nei "paesi creditori", specialmente in Germania, invece, i risparmiatori hanno pagato un "prezzo elevato" a causa della politica dei tassi a zero della BCE. Draghi ancora una volta in una fase decisiva si trova in una posizione importante, mentre l'UE è di nuovo in "modalità di crisi" e per la prima volta si sta facendo carico di "un debito comune su larga scala". L'ex banchiere centrale quindi "ancora una volta sarà proprio lì, dove si prendono le decisioni più importanti per il futuro dell'Europa", nel ruolo di primo ministro italiano.

"Rapporti eccellenti in tutte le capitali".

Tutto questo solleva la questione, si dice nei circoli conservatori di destra, se "i 750 miliardi di euro del fondo saranno sufficienti" per far fronte all'attuale crisi dell'eurozona. Ci sono già state richieste da "più parti" per introdurre un "sistema permanente di trasferimenti" in modo da contrastare gli enormi squilibri dell'unione monetaria, i quali sono essenzialmente il risultato degli avanzi commerciali tedeschi. Sono in corso, inoltre, discussioni sul patto di stabilità dell'UE, che ora dovrà essere "ammorbidito" in quanto il debito pubblico nell'area monetaria nel corso della lotta contro la pandemia è salito a più del 100 % del PIL. In Italia, "si prevede addirittura un aumento dal 130 a oltre il 150 %", scrive Die Welt [7]. Poiché il governo tedesco in Europa del sud a causa del suo corso di austerità durante la crisi dell'euro viene "considerato come il grande dittatore dell'austerità", gli "ottimi rapporti di Draghi con le capitali e la Commissione UE, nonché la presidente della BCE Christine Lagarde", potrebbero rivelarsi "un capitale prezioso" nei conflitti futuri.

"Retorica anti-tedesca"

Un problema significativo, tuttavia, è che il gabinetto di tecnocrati sotto Draghi potrebbe dipendere dall'appoggio dei partiti di ultradestra. Alcune componenti del Partito Democratico (PD), infatti, si sarebbero finora rifiutate di sostenere un governo che coinvolga anche i membri del partito di destra e razzista della Lega Nord. [8] Senza i Cinque Stelle, usciti come i grandi vincitori dalle elezioni parlamentari del marzo 2018 e che ancora oggi restano il gruppo più forte in Parlamento, i numeri per Draghi potrebbero essere stretti, si dice. È peraltro vero che nel frattempo anche il Movimento Cinque Stelle avrebbe segnalato la propria disponibilità a collaborare con Draghi. Fino a poco tempo fa, tuttavia, la figura principale del movimento, l'ex comico televisivo Beppe Grillo, considerava l'ex-banchiere centrale come un "servo dell'alta finanza", scrive la FAZ [9]. Le forze intorno a Grillo, inoltre, tra tutte quelle in Parlamento, si erano opposte con forza ai tentativi tedeschi di influenzare la politica fiscale, economica e finanziaria dell'Italia. Nell'aprile 2020, ad esempio, i membri del Movimento Cinque Stelle avevano minacciato di rompere con la coalizione se l'allora governo guidato dal primo ministro Giuseppe Conte avesse accettato un pacchetto di prestiti messo insieme da Bruxelles e Berlino e basato sul denaro del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) [10]. L'ESM, ampiamente plasmato dall'ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, viene considerato come uno strumento per interferire negli affari interni dei potenziali riceventi dei prestiti, in quanto può essere utilizzato per imporre condizioni severe entrando dalla porta di servizio, per così dire. I critici in Italia lo vedono come lo strumento di un sistema repressivo che ha già affondato l'economia della Grecia negli anni della crisi finanziaria a partire dal 2010. Un influente quotidiano tedesco, la FAZ, ha recentemente liquidato le critiche al MES espresse nel parlamento italiano come "un grande momento di retorica anti-europea e anti-tedesca" [11].





1] Henrik Müller: Italiens schleichender Niedergang. spiegel.de 07.02.2021.
[2] Henrik Müller: Ich - oder der Untergang. manager-magazin.de 07.02.2021.
[3] Nikolas Busse: Was Draghis Mission wäre. faz.net 04.02.2021.
[4] Elisabeth Pongratz: Der Retter Italiens? deutschlandfunk.de 03.02.2021.
[5], [6], [7] Dorothea Siems: Italien retten, die EU prägen - "Super-Draghi" ist zurück im Zentrum der Macht. welt.de 04.02.2021.
[8] Fünf-Sterne-Bewegung und Lega signalisieren Unterstützung für Draghi. spiegel.de 07.02.2021.
[9] Matthias Rüb: Draghi gewinnt Grillo und die Fünf Sterne. faz.net 07.02.2021.
[10] Jörg Seisselberg: Italien sagt Nein zu 39 Milliarden der EU. tagesschau.de 14.04.2020
[11] Tobias Piller: "Die Deutschen klauen auch noch unser Familiensilber". faz.net 10.12.2020.