Visualizzazione post con etichetta Wolfgang Streeck. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Wolfgang Streeck. Mostra tutti i post

giovedì 21 gennaio 2021

Wolfgang Streeck - A Bruxelles non hanno imparato nulla dalla Brexit

"La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo grazie al quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi delle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sulla Brexit. Da Makroskop una rilfessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sugli effetti della Brexit.


Da alcuni anni a Bruxelles si fa il possibile per non imparare nulla dalla Brexit, e per come stanno andando le cose, sembra anche funzionare.

Cosa si sarebbe potuto imparare? Niente di meno, ad esempio, che trovare un modo per scrollarsi di dosso la chimera tecnocratica, mercatocentrica e antidemocratica tipica di un impero neoliberale europeo centralizzato di fine Novecento, e per trasformare quindi l'Unione Europea in una comunità pacifica di Stati sovrani vicini e legati tra loro da una rete di rapporti di cooperazione reciproca non gerarchica, volontaria e paritaria.

Il sovranazionalismo è una scusa

Il funzionamento interno dell'Unione Europea è infinitamente complicato e decisamente opaco, ma c'è un principio che sembra valere ovunque. Per capirlo, bisogna comprendere la politica interna dei tre principali Stati membri, Germania, Francia e Italia, e le loro complesse relazioni trilaterali. Il sovranazionalismo non è altro che un velo dietro il quale si svolge l'azione vera, nazionale e internazionale.

La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo tramite il quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi alle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista



Gli inglesi non l'hanno mai capito veramente. Anche il servizio diplomatico britannico ha sempre trovato alquanto impenetrabile il sottobosco di Bruxelles. Mentre la Thatcher odiava l'UE - troppo straniera per i suoi gusti - Blair credeva di poterne diventare il suo Napoleone trasformandola, insieme a Chirac e Schröder, in una macchina per la ristrutturazione neoliberista: come un "grande unificatore continentale", questa volta però dall'esterno. Ma non è andata così: Francia e Germania lo lasciarono da solo a fare l'aiutante del suo amico americano, facendolo andare da solo in guerra in Iraq, fino ad arrivare poi alla sua caduta.


Nel 2015 Cameron poi ha appreso che anche la grande e potente Gran Bretagna, abituata da sempre a governare le onde degli oceani del mondo, non era riuscita ad ottenere da Merkel nemmeno le piu' minuscole concessioni sulla libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico, concessioni di cui aveva bisogno per poter vincere il referendum del 2016 - che, dopo tutto, avrebbe dovuto scolpire nella pietra l'adesione britannica all'UE.

La mancanza di comprensione reciproca ha portato alla Brexit

E in Germania poi nessuno si è mai preoccupato di come le frontiere aperte di Merkel nell'estate del 2015, quando la Cancelliera permise a un milione di rifugiati di entrare nel Paese, avrebbero potuto influenzare il voto britannico. La maggior parte dei rifugiati, infatti, proveniva dalla Siria, da dove erano stati sfollati a causa di una guerra civile che l'amico americano della Germania continuava ad alimentare senza tuttavia riuscire a fermarla. Per Merkel, questa era l'occasione per correggere l'immagine da "regina di ghiaccio" concquistata nella primavera dello stesso anno, quando aveva fatto sapere che "non possiamo accettarli tutti".

La mancanza di comprensione è stata reciproca. Nessuno nel continente credeva che il governo Cameron avrebbe potuto perdere la scommessa del referendum. Gli unici britannici con cui le classi istruite del continente parlavano, del resto, appartenevano per lo piu' alle classi istruite delle isole britanniche, ed erano incondizionatamente innamorati dell'UE per una serie di ragioni, spesso incompatibili tra loro. Per gli euroidealisti di centro-sinistra, l'UE poteva essere considerata l'anteprima di un futuro politico senza la macchia di un passato politico, uno stato virtuoso per antonomasia, se non altro perché non era ancora uno Stato - "Europa" come opportunità per la rifondazione morale dall'alto di un paese post-imperiale.

Altri che invece sapevano come funziona Bruxelles, devono aver riso di ciò sotto i baffi - soprattutto una classe politica che da tempo aveva imparato ad apprezzare la possibilità di spedire le questioni difficili direttamente nelle viscere dell'imperscrutabile Leviatano di Bruxelles, dove potevano essere spezzettate e smontate in modo irriconoscibile.

Tra questi ultimi c'erano i Blairiani post-Blair del Partito Laburista. Dopo aver perso il potere e dovendo confrontarsi con una classe operaia che secondo la buona tradizione britannica vedevano come arretrata, erano finalmente felici di poter importare un residuo di politica sociale e regionale da Bruxelles. Ma in questo modo non gli sarà sfuggito che Bruxelles invece non era stata in grado di offrire nulla di significativo, anche perché i governi britannici, incluso il New Labour, avevano già fatto fuori la "dimensione sociale" del "mercato unico" sottoponendolo ai sacri imperativi della "competitività" economica. E questo era destinato a ritorcersi contro di loro, proprio nel momento in cui gli elettori hanno cominciato a chiedersi perché il loro governo nazionale li avesse lasciati indifesi di fronte alla natura selvaggia dei mercati globali, consegnando la responsabilità sui loro cittadini a una potenza e a un tribunale straniero.

Le trattative sul divorzio condotte a porte chiuse

Quando Cameron, deluso da Merkel e Co, ha perso il referendum, lo shock è stato profondo, ma poi la politica dell'UE ha ripreso il suo ritmo abituale. La Francia vi ha visto un'opportunità per rispolverare il suo concetto originale di Europa integrata: vale a dire un'estensione dello Stato francese, con l'obiettivo specifico di incorporare la Germania in un'alleanza dominata dalla Francia. Nel caso in cui la Gran Bretagna avesse cambiato idea e i Remainers avessero prevalso, il ritorno all'ovile avrebbe dovuto essere abbastanza umiliante da precludere ogni possibilità di una futura leadership britannica.

Da parte dell'UE, le trattative per il divorzio sono state condotte dal diplomatico francese Michel Barnier, uno dei tecnocrati più importanti sulla scena di Bruxelles. Ha giocato in maniera dura fin dall'inizio, lasciando i revisionisti referendari sul lato britannico, come si dice, "a soffrire la fame". Ma questo non significava voler rendere facile la partenza degli inglesi. Ed è qui che è entrata in gioco la Germania, con il suo forte interesse a mantenere la disciplina tra gli Stati membri dell'UE. Macron e Merkel sin dall'inizio hanno insistito sul fatto che l'accordo per il divorzio avrebbe dovuto essere costoso per la Gran Bretagna, preferibilmente con l'impegno ad accettare per sempre le regole del mercato unico e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, anche dopo l'uscita. Per la Germania si trattava di dimostrare agli altri Stati membri dell'UE che qualsiasi tentativo di rinegoziare i rapporti con Bruxelles sarebbe stato inutile e che i diritti speciali sia all'interno che all'esterno dell'Unione erano del tutto fuori discussione.

Sarà compito degli storici scoprire che cosa è accaduto realmente tra Francia e Germania durante i negoziati fra UE e Regno Unito. Non esiste al mondo un sistema politico democratico, o apparentemente democratico, che funzioni cosi' tanto a porte chiuse come accade all'Unione Europea. Malgrado l'interesse dello Stato tedesco per la disciplina europea, l'industria tedesca delle esportazioni deve essere stata interessata a mantenere un rapporto economico amichevole con la Gran Bretagna post-Brexit e deve averlo comunicato al governo tedesco senza mezzi termini.

Pubblicamente, però, non c'è stato alcun segnale di ciò: né nella strategia di negoziazione di Barnier né nelle dichiarazioni di Merkel. Molto probabilmente perché la Germania all'epoca stava subendo la pressione di Macron finalizzata a sfruttare l'uscita del Regno Unito come un'opportunità per una maggiore e più rigorosa centralizzazione, soprattutto in termini fiscali - un tema sul quale la riluttanza della Germania ad accettare accordi che in futuro potrebbero costarle cari aveva incontrato il tacito sostegno britannico, anche se il Regno Unito non era un membro dell'eurozona.

Con l'avvicinarsi del giorno del "Deal or no-Deal" si è messo in pratica il consueto rituale del negoziato fino all'ultimo minuto, e Merkel probabilmente è riuscita ad imporre il suo peso politico in sostegno delle richieste dell'industria tedesca dell'export. Il Regno Unito era stato umiliato a sufficienza. Durante le ultime sessioni negoziali, Barnier, sebbene ancora presente, non ha più parlato in nome dell'UE; il suo posto è stato preso da uno stretto collaboratore della Von der Leyen. Per concludere in bellezza, la Francia ha utilizzato il nuovo ceppo "britannico" del coronavirus per bloccare due giorni il traffico merci dal Regno Unito verso il continente, ma questo non ha potuto impedire la conclusione dell'accordo. La strategia di negoziazione ad alto rischio di Johnson è stata premiata con un trattato grazie al quale giustamente il premier ha potuto rivendicare il ripristino della sovranità britannica. Ha pagato con un bel po' di pesce, ma questo punto è stato misericordiosamente coperto dall'ulteriore sviluppo della pandemia.

Quali saranno le conseguenze di quanto accaduto?

La Francia ha assunto 1.300 funzionari doganali supplementari che potranno essere impiegati per perturbare le relazioni economiche tra la Gran Bretagna e il continente, Germania compresa, ogni volta che il governo francese dovesse ritenere che le "condizioni concorrenziali eque" contenute nell'accordo non vengano più rispettate. Francia e Germania sono riuscite a dissuadere gli altri Paesi dell'Unione Europea, soprattutto ad est, dal rivendicare l'accordo con la Gran Bretagna come un precedente per le loro aspirazioni ad avere una maggiore autonomia nazionale. La pressione all'interno dell'UE in favore di un'alleanza più cooperativa e meno gerarchica non si è concretizzata. E i successori di Merkel dovranno affrontare un rapporto con la Francia ancora più complesso che in passato, dovendo ora resistere agli abbracci francesi senza il sostegno britannico, sullo sfondo delle incertezze dell'amministrazione Biden.

Per quanto riguarda il Regno Unito, per il gruppo Lexit ora sarà di nuovo il Parlamento britannico a governare, indipendentemente rispetto ai trattati europei e alla Corte di giustizia europea, e quando le cose andranno male i cittadini britannici potranno chiamare in causa solo il loro governo nazionale. Gli euro-revisionisti, inoltre, chiamati dai loro avversari "Remoaners", sembrano aver rinunciato a fare la loro opposizione, almeno per ora, anche se presumibilmente continueranno a cercare delle tutele nei confronti del rigido parlamentarismo maggioritario dello stato britannico.

E' possibile che la Scozia possa separarsi dal Regno Unito, se il Partito nazionale scozzese riuscisse a capitalizzare il sentimento pro-europeo con la promessa di candidarsi per il posto lasciato vuoto dallo stato britannico alla Tavola Rotonda di Re Emmanuel, per il momento composta da 27 membri. Ciò equivarrebbe a cedere la sovranità nazionale scozzese a Bruxelles, subito dopo averla riottenuta da Londra, dimenticando le contrastanti esperienze storiche fatte dalla Scozia con gli alleati e i governanti francesi.

Fino a quando ci sarà la prospettiva di un'adesione scozzese all'UE, si può escludere che Bruxelles abbia effettivamente imparato qualcosa dalla Brexit. D'altra parte, dato che l'apprendimento a Bruxelles in ogni caso è un fenomeno alquanto insolito, la questione potrà essere lasciata al buon senso degli scozzesi.


domenica 27 dicembre 2020

Wolfgang Streeck - Il vero obiettivo del Recovery Fund

"La prima cosa da sapere è che il Recovery Fund non ha nulla a che vedere con il Coronavirus, e invece ha molto a che fare con il salvataggio del governo italiano dal signor Salvini" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sul Recovery Fund, e prosegue: "gli imperi dipendono dalla buona gestione delle periferie da parte delle élite centrali. Nell'UE ci si aspetta che le élite periferiche siano decisamente "pro-europee". Una riflessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sul recente compromesso europeo in materia di Recovery Fund. Da Makroskop.de


Dopo due giorni e una notte, per non parlare delle diverse settimane di recriminazioni reciproche e di ricatti, ventisette governi nazionali, la Commissione europea e il Parlamento europeo si sono dichiarati tutti vincitori. Un miracolo?

La prima cosa che bisogna sapere su Bruxelles è che nulla è come sembra, e che tutto può essere presentato nei modi più diversi - a ciascuno la sua "narrazione". Il numero di giocatori e di campi da gioco, inoltre, è enorme e confuso, ed è inserito in un quadro istituzionale chiamato "i trattati", così complicato che nessun estraneo può capirlo. Chi li conosce saprà che sono pieni di opportunità di occultamento, di truffe procedurali, di equivoci evasivi, di finzioni e di scuse - le interpretazioni contraddittorie e i fatti alternativi sono sempre benvenuti.

E oltre a ciò, c'è una profonda e tacita intesa tra i membri di quell'organo altamente esclusivo e segreto, vale a dire il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Secondo tale accordo, infatti, è compito di ciascuno di loro fare in modo che nessuno debba tornare a casa da perdente, dando quindi a tutti la possibilità di non perdere la faccia e di continuare a giocare la partita.

Ne è un esempio il Fondo di solidarietà per la ricostruzione post-Corona (Recovery Fund). La prima cosa da sapere è che non ha nulla a che fare con il Coronavirus, e invece molto a che fare con il salvataggio del governo italiano dal signor Salvini. La seconda cosa da sapere è che non c'entra nulla con la solidarietà europea: ogni paese ottiene qualcosa e nessuno paga nulla perché il fondo è finanziato dal debito e solo dal debito - un'estensione sovranazionale dello stato debitore (debito al posto delle tasse). Inoltre, nessuno sa come questo debito potrà essere ripagato, e a nessuno in fondo importa piu' di tanto, perché il rimborso non inizierà prima di sette anni.

Molto probabilmente sarà rimborsato facendo comunque nuovo debito o attraverso qualche canale misterioso, ad esempio tramite la Banca Centrale Europea. E questo ovviamente sarebbe illegale ai sensi dei Trattati, ma lo stesso probabilmente vale anche per il prestito stesso. Presumibilmente anche tutti i 27 parlamenti nazionali dovrebbero approvare il fondo, ma nessuno si preoccupa di farlo, visto che tutti riceveranno una parte del bottino.

Questo non significa però che in Europa ora prevarranno la pace, l'amicizia e i pancake. Gli imperi dipendono dalla buona gestione delle periferie da parte delle élite centrali. Nell'UE ci si aspetta che le élite periferiche siano decisamente "pro-europee". In particolare, ciò significa che dovranno essere a favore di una "sempre più stretta unione dei popoli d'Europa", gestita dalla Germania e, in misura piu' o meno rilevante anche dalla Francia, tramite le burocrazie di Bruxelles.

La Germania e la Commissione Europea hanno a lungo sospettato che gli attuali governi di Ungheria e Polonia non fossero sufficientemente "pro-europei". Simili sospetti vengono espressi anche all'interno del cosiddetto Parlamento europeo, dove non vengono tollerati i membri contrari al "più Europa". ("Più Europa" è la ragion d'essere di questo strano Parlamento, che non ha né opposizione, né diritto di iniziativa legislativa). I parlamentari europei dei partiti liberali di opposizione ungheresi e polacchi ricevono pertanto un ampio sostegno quando chiedono di non elargire i fondi europei ai governi illiberali dei loro paesi d'origine, con l'obiettivo di far credere agli elettori che se dovessero votare per i partiti "pro-europei", otterrebbero più soldi "dall'Europa". Allora perché non subordinare i pagamenti del Recovery Fund all'adesione da parte di un paese ai principi dello "Stato di diritto", dove lo "Stato di diritto" viene definito in modo che le politiche dei governi eletti, non liberali, vengano considerate in difetto di Stato di diritto?

Suona bene? Beh, ci sono i trattati. E secondo i trattati, i paesi membri, compresi i beneficiari di aiuti come l'Ungheria e la Polonia, rimangono sovrani, e le loro istituzioni nazionali e le decisioni in materia di politica della famiglia e di immigrazione vengono decise dai loro elettori, non da Bruxelles o Berlino. Quando si tratta delle istituzioni di un paese, l'unica cosa che legittimamente dovrebbe riguardare l'UE, è se il denaro europeo viene speso e contabilizzato correttamente. Qui, però, la Polonia ha un primato immacolato, e l'Ungheria sembra essere ancora al livello dei paesi "pro-europei" come Bulgaria e Romania, per non parlare di Malta.

Allora, cosa bisogna fare? A Bruxelles si riesce sempre a trovare una soluzione. La Commissione e il Parlamento da molto tempo ormai cercano di punire Polonia e Ungheria con una nuova disposizione all'interno dei trattati che vieti agli Stati membri di limitare l'indipendenza politica ("Stato di diritto") del loro potere giudizario. Ma questo sarebbe un randello così potente che la sua applicazione richiederebbe l'unanimità fra i rimanenti Stati membri; qui, Ungheria e Polonia si coprirebbero a vicenda. (Inoltre, una tale procedura potrebbe sollevare questioni imbarazzanti sull'indipendenza politica di altre corti supreme, ad esempio il Conseil d'Etat francese).

Ora però entra in gioco il Recovery Fund, e con esso l'idea di un cosiddetto "meccanismo per lo stato di diritto", con l'aiuto del quale gli aiuti UE potrebbero essere cancellati o essere richiesti indietro senza il requisito dell'unanimità, ma comunque in maniera indipendente dal caso individuale di un uso illegale dei fondi ancora tutto da dimostrare. E proprio nel caso in cui un paese, secondo la valutazione dell'UE, non dovesse piu' rispettare lo stato di diritto, cioè avere una magistratura indipendente, compresa una corte costituzionale liberale, e forse anche la volontà di accogliere i rifugiati secondo le quote di distribuzione UE.

Può funzionare? A Bruxelles, come ho già detto, molte cose sono possibili. L'argomentazione è simile a quella con la quale la Banca Centrale Europea ha prevalso sulla Corte Costituzionale Federale Tedesca davanti alla Corte di Giustizia Europea (nella cosiddetta sentenza PSPP). Le istituzioni dell'UE stanno oltrepassando le loro competenze, se nell'esercitarle le interpretano in modo cosi' ampio, in quanto, a loro avviso, non possono (o non possono più) esercitarle efficacemente in maniera diversa? D'altro canto, la Corte tedesca aveva insistito sul fatto che i poteri europei sono strettamente limitati a quanto i paesi membri hanno espressamente concesso nei trattati, e se fossero necessari maggiori poteri europei, i trattati dovrebbero essere modificati di conseguenza, il che richiederebbe non solo l'unanimità, ma anche diversi referendum. È proprio questo che i governi di Polonia e Ungheria hanno invocato (il ministro degli Esteri polacco in un articolo della FAZ del 26 novembre, dal titolo "I trattati UE sono sacri"), e questo è stato il punto sul quale è iniziata la battaglia.

Parte prima (l'UE): vi invitiamo ad accettare il Recovery Fund, compreso il meccanismo relativo allo stato di diritto, incluso il rischio che non otteniate nulla se non fate un'inversione di marcia e non abbandonate il vostro corso anti-liberale. Quello che dovrete fare per raggiungere l'obiettivo, vi sarà comunicato al momento opportuno. Contromossa (Polonia e Ungheria): non voteremo mai per questo meccanismo, quindi dimenticate il vostro fondo. Parte seconda: se votate contro il meccanismo e quindi contro il fondo, creeremo un fondo per gli altri 25 paesi, e troveremo anche per questo una base nei trattati, i trattati sono abbastanza lunghi e complessi, la carta è paziente, come dicono i tedeschi, e non otterrete un dannato centesimo. Contrordine: ma non sarebbe affatto bello, non sarebbe europeo (beh...), e tra l'altro, sarebbe illegale. Il coro (la stampa tedesca, che canta e balla): guardate qui, il denaro governa il mondo; fanno quello che gli viene detto di fare, perché vogliono solo i nostri soldi. Non è bello essere ricchi?

Entrano i presidenti, guidati da Merkel, dea ex machina, titolare della Sessione chiusa, in rappresentanza del Paese che si trova a presiedere formalmente gli altri Paesi, proprio nella seconda metà del 2020, e comunque in modo informale. La Germania ha bisogno dell'Europa dell'Est per i suoi affari. Ritiene inoltre di non potersi permettere di regalare agli americani il monopolio nella geopolitica anti-russa. Quindi, per "ragioni storiche" sarebbe preferibile non discutere con la Polonia in merito alla sovranità polacca. Dopo molti avanti e indietro, nella camera oscura della diplomazia internazionale con 27 paesi, Polonia e Ungheria accettano il Fondo per la ricostruzione e la solidarietà post-Corona, integrato da un documento sullo stato di diritto. In base a ciò, la Commissione adotterà una "direttiva di salvaguardia del bilancio" che vincola i sussidi post-Corona dell'UE e tutti gli altri aiuti ad un sistema giudiziario nazionale che dovrebbe essere politicamente abbastanza indipendente da garantire un uso corretto dei fondi UE incassati, nell'ambito di un quadro normativo che va oltre l'attuale situazione giuridica. (Come, vedremo).

La direttiva europea probabilmente non entrerà in vigore fino a quando non sarà esaminata dalla Corte Europea. Nel frattempo - probabilmente fino all'inizio del 2023 - la Commissione non intraprenderà nessuna azione mentre i fondi post-Corona e gli altri aiuti inizieranno a fluire verso tutti i 27 paesi. Se e quando il "meccanismo" avrà passato l'esame della Corte, la Commissione potrà avviare un procedimento contro la Polonia, l'Ungheria o entrambi i paesi per recuperare il denaro già versato, e potrà sostenere, a titolo di giustificazione, che i sistemi giudiziari di Polonia e Ungheria sono talmente marci, cioè politicizzati, che in linea di principio non ci si può aspettare che essi si pronuncino secondo le modalità dello Stato di diritto. E' chiaro che ci vorrà ancora del tempo, e nessuno sa come sarà allora il mondo, e quali saranno le preoccupazioni degli Stati membri.

In Europa, le tregue fanno miracoli. Al momento si respira gioia ovunque: tra i vari presidenti, in Parlamento (che crede di poter correggere la mancanza di sentimento "pro-europeo" ritirando i soldi), nella Commissione (che si è procurata un nuovo giocattolo per intimidire gli Stati membri ai margini dell'impero), nella Corte di giustizia (che può gioire per una nuova giurisdizione), e tra i governi nazionali, fra questi anche Ungheria e Polonia (che invece non vogliono parlare delle rassicurazioni informali che credono di aver ricevuto al buio). La politica della procrastinazione però, la disciplina preferita da Merkel, conosce dei vincitori, solo finché dura.

lunedì 19 ottobre 2020

Wolfgang Streeck - Interessi tedeschi e soluzioni europee che non arriveranno mai

"Fino a quando ''l'Europa'' tiene i migranti lontani dai confini tedeschi, la Germania potrà mantenere la purezza morale delle sue leggi sull'immigrazione: nessun limite massimo, nessuna quota, praticamente nessuna espulsione", scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck. "Dato che è politicamente troppo delicato per il governo tedesco proporre agli elettori una revisione della legge sull'immigrazione, Berlino allora cerca il supporto "dell'Europa'' e della "Turchia" per riuscire a tenere i migranti lontani dalla Germania, essenzialmente rinchiudendoli a Moira e in molti altri luoghi simili". Wolfgang Streeck ci spiega l'ipocrisia e il moralismo della politica berlinese sul tema dei migranti, da Makroskop.de


La situazione creatasi sull'isola greca di Lesbo dopo l'incendio nel campo di Moria viene considerata da molti uno scandalo europeo. Ma chi è veramente ''l'Europa''? Se i migranti, dopo aver attraversato il Mediterraneo, si aspettano di essere accolti in Germania, probabilmente è solo una conseguenza di quella politica di apertura unilaterale dei confini operata da parte del governo Merkel nel 2015, senza peraltro aver prima consultato i partner europei. (E questa decisione probabilmente qualche mese dopo ha contribuito in maniera decisiva al voto in favore della Brexit).

Quasi tutti i migranti, quelli già in Grecia e quelli che si aspettano di poterci arrivare, vorrebbero potersi spostare in Germania, non in Ungheria o in Francia o in Danimarca, dove sanno di non essere i benvenuti. E se nell'ambito di un regime di immigrazione europeo fossero stati inviati in Lettonia o in Bulgaria (un regime che peraltro nessuno dei due paesi accetterà mai), sarebbero comunque rientrati di nuovo in Germania nel giro di poche settimane.


E perché no? Ampi settori della società tedesca, tra i quali la comunità degli industriali tedeschi, ma anche i sindacati, sono felici di accoglierli. Il mercato del lavoro tedesco sembra avere una capacità illimitata di assorbire immigrati qualificati e non qualificati; le chiese, politicamente potenti e finanziariamente ben dotate, vogliono dimostrare la loro disponibilità ad aiutare; e i comuni vogliono riempire gli alloggi costruiti per i richiedenti asilo nel 2015 e incassare in questo modo l'indennità giornaliera pagata dal governo tedesco per ogni nuovo arrivato - per non parlare poi dei centri di formazione linguistica e delle altre istituzioni simili a cui ora mancano clienti e fonti di reddito. Nella piena consapevolezza del profondo senso di colpa degli elettori di centro-sinistra, dovuto alla prosperità tedesca e in considerazione del loro desiderio di trasformare la Germania in un modello di virtù per tutta l'Europa, i politici tedeschi nelle scorse settimane hanno chiesto che migliaia, se non tutti, i migranti di Moria fossero trasferiti immediatamente in Germania.


Perché Merkel non ha riaperto i confini?

Allora perché il governo federale sotto la guida della stessa Merkel non riapre un'altra volta le frontiere? Ed è qui che entra in gioco “l’Europa" - più precisamente, la "soluzione europea", la stessa che nel 2015 era stata ritenuta inutile. Mentre tutti sanno che non ci sarà mai una ''soluzione europea'', il messaggio ora è che una soluzione nazionale è fuori discussione. Perché?

I confini aperti tendono a polarizzare l'opinione pubblica. I politici tedeschi ricordano molto bene come Merkel nel 2015 abbia salvato AfD dal declino elettorale che l'affliggeva in quel momento, aiutandola ad affermarsi qualche anno piu' tardi come il più grande partito di opposizione. C'è un limite al numero di immigrati che un paese può accettare, oltre il quale la xenofobia si trasforma in risentimento contro gli stranieri - come si può vedere dall'esempio della Danimarca, della Svezia, dell'Italia e delle stesse isole greche: Lesbo un tempo non veniva forse celebrata in tutto il mondo per aver accolto i primi rifugiati arrivati via mare? Non è un caso che già nel novembre 2015 Merkel abbia tenuto colloqui segreti con Erdogan per un accordo in base al quale la Turchia avrebbe impedito ai rifugiati siriani di entrare in Europa, e ''l'Europa'' gli avrebbe pagato diversi miliardi di euro di costi sostenuti per controllare i confini dell'Europa - o più precisamente i confini esterni della Germania.

Ma se i rifugiati sono benvenuti, a condizione che il loro numero sia limitato, perché allora non dovremmo riceverne tanti quanti gli abitanti sono disposti ad accettarne? La legge tedesca sull'immigrazione, nata in un'altra epoca, per ragioni pratiche rende di fatto impossibile respingere qualcuno che è entrato legalmente o illegalmente, nel caso in cui egli richieda asilo. Se l'asilo viene respinto, inoltre, e dopo anni di procedimenti legali, quasi tutti riescono a trovare un modo per evitare l'espulsione. Dato che è politicamente troppo delicato per il governo tedesco proporre agli elettori una revisione della legge sull'immigrazione, Berlino allora cerca il supporto "dell'Europa'' e della "Turchia" per riuscire a tenere i migranti lontani dalla Germania, essenzialmente rinchiudendoli a Moira e in molti altri luoghi simili.

L'immigrazione non può essere regolata senza un limite massimo

Qual'è la logica bizzarra dietro di ciò? Il diritto tedesco e l'umanitarismo secondo lo stile tedesco, dei Verdi in particolare, chiedono che non vi sia alcun limite massimo all'immigrazione, né in Germania né in Europa. Ma senza un limite massimo, l'immigrazione non può essere in alcun modo regolata: in altre parole, non si possono fissare quote, priorità, etc. Dato che prima o poi ciò condurrà ad un contraccolpo politico, l'immigrazione non regolamentata resta fuori dalla discussione.

Per questo motivo ''l'Europa'' deve impedirlo per noi, soprattutto paesi come Grecia e Italia, insieme all'Austria, all'Ungheria e ad altri che stanno sigillando le loro frontiere per rinchiudere i migranti nei campi greci e italiani. In questo modo fanno un favore alla Germania, bloccano una ''soluzione europea'' compatibile con il diritto tedesco, ma non con la situazione politica tedesca. Finché ''l'Europa'' tiene i migranti lontani dal confine tedesco, la Germania potrà mantenere le sue leggi sull'asilo senza doverle mai applicare, rimproverando pubblicamente l'Ungheria, l'Austria, la Polonia e altri paesi, ma lodandoli privatamente per aver rifiutato quote nazionali fisse per la distribuzione di un numero illimitato di migranti.

Questo certo non esclude ''gesti umanitari'' - o, nel linguaggio di Merkel, ''mostrare un volto amichevole''. Subito dopo l'incendio di Moria, infatti, il governo tedesco ha annunciato che avrebbe accolto 150 (!) minori non accompagnati dal campo greco. Pochi giorni dopo, sono arrivati in aggiunta esattamente 1.553 migranti, appartenenti a 408 famiglie, né più né meno. Come si è poi scoperto, nessuno di loro arrivava da Moria, e tutti avevano già ottenuto dalle autorità greche lo status legale di rifugiato, dopo essere stati portati nella Grecia continentale. Si è anche scoperto poi che il governo greco aveva insistito sulla necessità di evitare di dare l'impressione che dando fuoco a un campo profughi greco, si possa poi arrivare in Germania oppure, una volta arrivati in Grecia, ci si possa poi aspettare di essere portati in Germania, invece di far esaminare la propria domanda d'asilo alle autorità greche, per poi aspettare in Grecia una ''soluzione europea'', praticamente senza speranza.

Se è la Grecia a fare la selezione e a trattenere poi le persone non selezionate, la Germania potrà continuare a mantenere la purezza morale della sua legge sull'immigrazione: nessun tetto, nessuna quota, praticamente nessuna espulsione. Il giorno dopo l'invito ufficiale dei 1.533 rifugiati, l'opinione pubblica tedesca aveva già dimenticato i 12.000 detenuti dell'ex campo di Moria, per non parlare poi dei tanti altri abitanti nelle numerose altre Moria in Grecia e in Italia, attirati in Europa dal volto amichevole della Germania e da frontiere così aperte, almeno sulla carta.




sabato 30 maggio 2020

Wolfgang Streeck - Per la politica tedesca è arrivata l'ora della verità

"Chi desidera che l'UE sia sovrana, è libero di chiedere una revisione formale dei trattati, seguita da un referendum laddove questo sia costituzionalmente necessario per rendere efficaci le modifiche ai trattati. Federalismo, perché no - ma per favore alla luce del sole e non come un effetto collaterale delle politiche della BCE, approvate dall'attivismo di un tribunale europeo", scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck in merito alla sentenza della Corte di Karlsruhe. Per Streeck la sentenza della Corte costituzionale tedesca avrà effetti di vasta portata e per la politica tedesca sta per arrivare l'ora della verità. Un ottimo Wolfgang Streeck da Makroskop

-->

La sentenza sul PSPP (Public Sector Purchasing Program) della Corte costituzionale federale ha mostrato un'altra frattura nella struttura dell'Unione europea, vale a dire quella fra sistemi giuridici con una diversa concezione della Costituzione. Ci sono dei forti parallelismi con il caso del Regno Unito, dove il modello UE, secondo il quale una costituzione viene modificata passo dopo passo da un tribunale di ultima istanza, si è duramente scontrato con la tradizione radicata in Gran Bretagna di una forte governance parlamentare, fatto che ha contribuito alla Brexit.


Nel conflitto fra la Corte costituzionale tedesca e la Corte di giustizia europea (CGE), assistiamo a una battaglia tra due potenti tribunali di ultima istanza, conflitto che riguarda altro essenzialmente una sola questione di fondo, e cioè: l'UE è un'organizzazione internazionale o uno stato federale?

Una posizione di spicco che fa parte del patrimonio politico del dopoguerra

La posizione di forza della Corte costituzionale federale tedesca è una parte essenziale del patrimonio politico del dopoguerra. È paragonabile alle disposizioni previste dalla Legge fondamentale secondo le quali le truppe tedesche, anche se sono sotto un comando internazionale, non possono essere dispiegate senza un mandato parlamentare strettamente definito. Entrambe le disposizioni limitano fortemente il potere discrezionale dell'esecutivo federale ed entrambe non sono facilmente conciliabili con un altro obbligo costituzionale del governo tedesco, vale a dire: perseguire la cooperazione internazionale come un obiettivo nazionale.

In generale i poteri di vasta portata attribuiti alla Corte costituzionale federale possono rappresentare una restrizione alquanto scomoda per la capacità dei governi tedeschi di agire, sia in politica estera che interna. Ed infatti è proprio cosi', anche se a volte considerare la Corte costituzionale come un potenziale guastafeste può migliorare la posizione negoziale internazionale del nostro paese. D'altra parte, la Corte di solito fa del suo meglio per andare incontro ai governi in carica.

E questo è il caso del PSPP, nell'ambito del quale non è stato impedito alla Bundesbank di partecipare al programma di acquisto di obbligazioni della BCE. Ciò su cui la corte insiste, tuttavia, è il suo potere decisionale, in merito al fatto che gli atti degli organi dello stato tedesco, in particolare della Bundesbank, possano violare i diritti democratici e politici di base dei cittadini tedeschi, in quanto non sono coperti né dalla Legge fondamentale tedesca né dal diritto internazionale attraverso dei trattati legalmente ratificati dallo stato tedesco.

Anche sotto la pressione di una crisi, non è possibile ignorare le costituzioni 

Gli effetti sono di vasta portata. Pur aderendo al proprio mandato costituzionale, la Corte tedesca, infatti, insiste sul fatto che l'UE, la BCE e la Corte di giustizia europea non possano in alcun modo estendere la loro giurisdizione ai diritti dei cittadini tedeschi garantiti dalla Costituzione tedesca. Sebbene possa sembrare un argomento banale, implica che l'Unione europea non è (ancora) uno stato federale, ma dipende ancora dal fatto che i suoi Stati membri le abbiano conferito determinati poteri. (Uno dei giudici pochi giorni dopo il verdetto ha dichiarato in un'intervista ad un giornale: "fino a quando non vivremo in uno stato europeo, l'adesione di un paese è soggetta alla legge costituzionale di quel paese").

La sentenza implica anche che le costituzioni - compresa la costituzione di fatto dell'UE - non possano essere modificate incidentalmente. Né possono essere ignorate sotto la pressione di una crisi, secondo il famigerato detto di Carl Schmitt: "l'emergenza è l'ora dell'esecutivo", per non parlare dell'altrettanto famigerato detto tedesco: "la necessità non conosce comandamenti".

Chiunque desideri che l'UE sia sovrana, afferma la corte, è libero di chiedere una revisione formale dei trattati, seguita da un referendum laddove questo sia costituzionalmente necessario per implementare le modifiche ai trattati. Federalismo, perché no - ma per favore alla luce del sole e non come un effetto collaterale della gestione della crisi da parte della BCE, sanzionato da un tribunale europeo attivista. (Naturalmente una revisione in senso federale dei trattati, in realtà di qualsiasi revisione, può essere esclusa sia oggi che nel prossimo futuro - anche a causa dell'eterogeneità degli interessi degli attuali 27 Stati membri, nessuno dei quali, in particolare i paesi del Mediterraneo, vogliono rinunciare alla loro sovranità).

Domande sulla vera natura e la vera finalità dell'UE

È interessante come i commentatori, sia di destra che di sinistra, non capiscano quanto sia stato grande l'imbarazzo per il governo tedesco dopo la decisione sul PSPP della Corte costituzionale federale, proprio nel momento in cui la Germania si appresta ad assumere la presidenza dell'UE nella seconda metà dell'anno. Cosi' per raffreddare l'eccitazione della retorica internazionale sulla presunta parsimonia della Germania, lo stato tedesco, per confermare la sua egemonia europea, finirà per pagare alle casse dell'UE molto piu' di quanto i suoi elettori alquanto preoccupati avrebbero mai concesso. Ancora peggio, la sentenza ha sollevato la questione di tutte le questioni, la domanda che i governi europei hanno imparato a evitare, vale a dire: qual'è la vera natura e la vera finalità dell'UE?

Deve essere enorme, per la classe politica tedesca, la tentazione di usare le proteste europee contro la Corte costituzionale federale per declassarne il suo rango all'interno della costituzione tedesca. Fatto che amplierebbe enormemente la portata politica dell'esecutivo e sarebbe sicuramente coerente con una tendenza generale presente nelle democrazie capitaliste, con notevoli parallelismi simili agli sviluppi in Polonia e Ungheria, ad esempio. Una riduzione dei poteri della Corte costituzionale federale, tuttavia, non sarebbe facile in quanto la sua reputazione nell'opinione pubblica tedesca resta elevata.

La riforma costituzionale come regalo per il Consiglio europeo?

Una modifica costituzionale che trasformi la Corte costituzionale federale in un tribunale di seconda istanza subordinato alla Corte di giustizia, tuttavia, potrebbe avere delle possibilità. Soprattutto se si riuscisse a dare l'impressione che ciò in qualche modo potrebbe aiutare contro il Coronavirus e la successiva catastrofe economica. La maggioranza dei due terzi richiesta, in parlamento si potrebbe anche trovare, con la SPD e i Verdi che sostituiscono i parlamentari della CDU/CSU che si rifiuterebbero di apportare tale modifica. Non sarebbe forse un bel regalo di Merkel al Consiglio europeo, quando la Germania assumerà la presidenza del Consiglio dell'UE il 1 ° luglio 2010?

Un declassamento della Corte costituzionale tedesca dovrebbe essere benvenuto anche per coloro che - come il filosofo tedesco Jürgen Habermas - chiedono l'istituzione di un esercito europeo come veicolo per la creazione di uno stato europeo. La necessità di ricevere un mandato dal Bundestag spesso si è rivelata essere un problema, soprattutto quando alla Germania è stato chiesto di fornire delle truppe per delle "missioni" in luoghi come Iraq, Libia, Siria, Mali o Afghanistan. Senza la Corte costituzionale, almeno per quanto riguarda la politica estera e la cooperazione internazionale, per il governo tedesco sarebbe stato molto più facile ignorare le preoccupazioni dei parlamentari.

Ursula von der Leyen, attualmente alla presidenza della Commissione europea, nella sua precedente posizione come ministro della Difesa tedesco in più di una occasione si sarà trovata nella impossibilità di fare un favore agli americani o ai francesi a causa delle prevedibili obiezioni del Bundestag. Come presidente della Commissione europea, senza la Corte costituzionale tedesca, sarebbe finalmente in grado di costruire una "cooperazione" militare europea, ad esempio per controllare le ex colonie francesi nell'Africa occidentale.

Violazione della "sovranità europea"?

In ogni caso, subito dopo l'annuncio della decisione della Corte, i deputati dei Verdi al Parlamento europeo hanno chiesto alla Commissione di aprire una procedura formale di infrazione contro la Germania - presumibilmente in nome del patriottismo costituzionale tedesco - sebbene il governo tedesco non abbia fatto nulla per attuare la sentenza, e non è nemmeno chiaro se mai lo farà. Von der Leyen, una lealista di Merkel di lunga data, ha seguito l'esempio esprimendo il timore che diversamente, anche altri paesi dell'Europa orientale come la Polonia, potessero sentirsi incoraggiati a non osservare le decisioni della CGE. In quell'occasione, ha descritto la sentenza PSPP come una violazione della "sovranità europea".

Le procedure di infrazione richiedono tempo e, in ogni caso, alcuni Stati membri si chiederanno cosa ciò significherebbe per la loro sovranità se l'UE dovesse riuscire a rivendicare per sé la sovranità. Forse aspetteranno fino all'ultimo minuto, sperando che i tedeschi si facciano carico delle conseguenze del conflitto. Con ogni probabilità, il processo finirà o addirittura non inizierà se, in cambio, la Germania accettasse di versare piu' soldi nel prossimo bilancio europeo, forse dopo aver massacrato la sua Corte costituzionale come un agnello sacrificale sull'altare dell'europeismo.

Qualunque cosa accada, si può scommettere su due cose. Innanzitutto, il governo tedesco troverà un modo per dare alla BCE la possbilità di continuare a "fare tutto il possibile" per mantenere in vita l'euro. (Se ciò alla fine avrà successo è un'altra questione). L'euro è la miniera d'oro per eccellenza dei tedeschi, mentre non è affatto chiaro perché Italia, Spagna e Francia abbiano così tanta voglia di tenerselo, per la Germania in questa lunga fase di stagnazione capitalista è un'ancora di salvezza.

In secondo luogo, anche se la BCE, il bilancio dell'UE, la Banca europea per gli investimenti e tutti gli altri, grazie a delle iniezioni di soldi europei e alla abile messa in scena di una presunta capitolazione tedesca, per diversi anni ancora continuassero a trovare i mezzi necessari per tenere in piedi e foraggiare le classi politiche della periferia meridionale dell'eurozona ormai in declino, ciò non fermerebbe affatto la devastazione economica dei paesi del Mediterraneo. Perché questa è di natura strutturale, ed è radicata nella rinuncia alla sovranità monetaria dei paesi del Mediterraneo ed è così profonda che non può essere risolta attraverso quei trasferimenti che i governi tedeschi potrebbero permettersi sia economicamente che politicamente.

Il risultato sarà una crescente disuguaglianza fra i paesi dell'Unione monetaria e all'interno dei paesi, e sarà accompagnata da un'ostilità internazionale in crescita costante. Si avvicina l'ora della verità per le vuote promesse fatte dai tedeschi in passato, fatte con la irresponsabile speranza che non dovessero essere mai mantenute. La delusione avvelenerà profondamente la politica europea.