mercoledì 27 novembre 2013

Le tattiche clientelari di Mario Draghi

L'ennesimo attacco alla BCE e a Draghi arriva da Handelsblatt, questa volta il pretesto è la decisione di escludere i titoli di stato dalle verifiche sulla solidità dei bilanci bancari. Herbert Walter, ex numero uno di Dresdner Bank e commentatore su Handelsblatt.de.
Il presidente BCE Mario Draghi intende escludere dai test sulla solidità delle banche i rischi associati ai titoli di stato. Un aiuto per l'Italia, ma un danno per la credibilità della banca centrale.

Con uno sforzo poderoso, la BCE affronta un compito nobile: dovrà controllare i bilanci bancari di 128 banche europee, e poi testare la solidità delle banche per verificarne la resistenza in uno scenario di crisi. Entrambi sono passaggi necessari "per la ristrutturazione radicale del settore bancario europeo" (secondo il direttore BCE Yves Mersch).

Si tratterebbe di un requisito indispensabile per far tornare la fiducia nel settore bancario, come sostenuto dal presidente BCE Mario Dreghi, un passo necessario per far ripartire l'economia dell'Eurozona. Nessuno vuole quindi intralciare questo processo.

Ma c'è qualcuno che lo sta facendo - ed è proprio il numero uno della BCE.

Le decisioni di Draghi, molto piu' delle sue parole, fanno crescere il dubbio che alla fine del processo si riesca ad aumentare la fiducia nel settore bancario.

Esempio piu' recente: il Comitato europeo per il rischio sistemico ha proposto alla BCE, nell'ambito del prossimo stress-test, di ridurre i privilegi di cui godono i titoli di stato nei bilanci bancari. I titoli di stato non dovrebbero essere piu' considerati privi di rischio e quindi essere coperti dal capitale proprio.

Ma la proposta è ritornata al mittente. Nelle prossime verifiche sui bilanci bancari anche i titoli di stato dei paesi europei in crisi saranno considerati fra i titoli privi di rischio - basta!

Il motivo lo si capisce immediatamente se si dà un'occhiata ai bilanci - soprattutto del settore bancario italiano. Negli ultimi due anni le banche italiane hanno comprato titoli di stato nazionali per 175 miliardi di Euro, un aumento del 73%. 

In questo modo le banche italiane con 415 miliardi di Euro di titoli di stato nei loro libri detengono quasi un quarto del debito pubblico italiano, con una quota di circa il 10% sul totale degli attivi. Solo la Spagna puo' competere con un aumento dell'81% dei titoli di stato in mano alle banche.

Poiché contemporaneamente la quota dei crediti incagliati in Italia ha raggiunto il livello record del 15% sull'intero volume dei prestiti, diventa subito chiaro, quali saranno i problemi dei bilanci bancari al momento delle verifiche.

Anche solo la creazione di un fondo di sicurezza adeguato a coprire i rischi sui presiti in sofferenza metterebbe alcuni istituti di fronte ad enormi problemi. La banca americana Morgan Stanley ha calcolato che le banche italiane dovrebbero mettere a bilancio un fondo previsionale di circa 50 miliardi di Euro.

Ulteriori perdite di valore dei titoli di stato supererebbero le capacità finanziarie delle banche. Invece di una rinnovata fiducia sui mercati, avremmo un'ondata di ristrutturazioni bancarie, con tutti gli effetti negativi sulla stabilità del settore bancario e lo sviluppo economico. Non solo nei paesi in questione, ma in tutta la zona Euro.

Si deve riconoscere che il presidente BCE Mario Draghi non intende rischiare questo scenario apocalittico. Perché pensa come un politico sempre in cerca di un compromesso praticabile. Ma, primo non è un politico eletto, secondo, deve agire considerando l'Eurozona nel suo complesso. Quello che sta facendo, sembra piuttosto una politica clientelare fatta su misura dei singoli paesi.

Tuttavia, altre banche in altri paesi non sono certo insoddisfatte per le politiche di Draghi. La considerazione speciale per le banche italiane, per loro equivale a maggiori possibilità di superare gli stress-test senza grandi danni alla loro reputazione. E' cosi' semplice.

Si pone nuovamente la domanda fondamentale: si puo' considerare seriamente un test sui bilanci bancari, in cui il valore dei crediti viene misurato in maniera alquanto discutibile? E che valore ha un test in cui la diversa qualità dei titoli di stato non viene adeguatamente presa in considerazione?

La risposta è semplice: la tattica di Draghi danneggia la credibilità della BCE e non genera nuova fiducia nel settore bancario europeo.

domenica 24 novembre 2013

La crisi italiana spiegata da Piller

E' interessante conoscere la rappresentazione della crisi italiana offerta dalla stampa tedesca. Tobias Piller sulla FAZ ancora una volta non si sottrae al ruolo di primo della klasse: lasciate stare i vostri sogni di svalutazione, una moneta debole non vi aiuterebbe. Da FAZ.net
Il risanamento dell'economia italiana non fa passi avanti. Non serve a molto che il Presidente del consiglio Letta vada all'estero a parlare di riforme, a dire che l'Italia ha rimesso a posto le finanze pubbliche con le proprie forze, "senza aver ricevuto un solo Euro di aiuti dall'Europa". Il primo ministro italiano trascura le garanzie messe sul tavolo da Francoforte e Bruxelles per non far sprofondare l'Italia nel circolo vizioso della sfiducia degli investitori e della speculazione dei mercati. Il premio al rischio italiano è stato contenuto solo grazie alle garanzie del presidente BCE Mario Draghi, all'acquisto dei titoli di stato italiani e al generoso finanziamento delle banche europee. Allo stesso tempo l'Italia ha beneficiato della creazione dei fondi di salvataggio e dei meccanismi per limitare il rendimento dei titoli di stato.

Che l'Italia abbia promesso alla BCE di fare le riforme necessarie e che ai partner europei abbia garantito il pareggio di bilancio, è già stato dimenticato. Nonostante la retorica del Presidente del consiglio, il suo governo in sette mesi non ha prodotto alcuna riforma significativa, al massimo un paio di corretture microscopiche senza alcun effetto sulla crescita.

Mentre l'Italia si trova in recessione da piu' di due anni, cresce il desiderio di ricette keynesiane: rafforzare la congiuntura con maggiore spesa pubblica, svalutare, abbassare i tassi di interesse, stampare denaro. Non si discute pero' se queste ricette usate negli anni '70 e '80 possano funzionare ancora oggi.

Non ci sono piu' spazi di manovra

Come panacea contro la crisi economica la grande maggioranza dei politici, dei sindacalisti e degli economisti italiani pensa unicamente ad una spesa pubblica aggiuntiva, preferibilmente sopra il limite europeo del 3% di deficit/PIL. Si ricorda volentieri l'ultima fase di crescita italiana in cui i politici hanno utilizzato i soldi pubblici come leva dello sviluppo economico. Si dimentica che i politici orientati alle clientele e corrotti in questo modo cercavano solo di legittimare la loro spesa eccessiva. Soprattutto la spesa pubblica irresponsabile dal 1980 al 1992 ha fatto crescere il rapporto deficit/PIL dal 60 al 120 %.

Con un debito pubblico al 134 % del PIL, come previsto dalla Commissione europea per il 2014, non ci sono piu' margini di manovra. E' indispensabile capire se lo stato, che anche quest'anno gestira oltre il 51% del PIL, intende accrescere ulteriormente il suo ruolo nell'economia. Sull'Italia restano pero' grandi dubbi, data l'estrema inefficienza dell'organizzazione statale. Ogni Euro gestito dal settore privato, di conseguenza, porterebbe maggiori benefici alla crescita economica.

Quando gli italiani pensano al denaro in mani private, pensano soprattutto che i consumatori dovrebbero avere maggiori risorse, e cio' dovrebbe essere fatto con tagli fiscali da finanziare con l'indebitamento. In questo modo la congiuntura sarebbe rianimata da un aumento della domanda. Questa idea pero' nell'economia globale sembra obsoleta e inadeguata. Probabilmente negli anni in cui i mercati erano piu' chiusi e c'erano delle barriere all'importazione, era piu' facile fare qualcosa per la congiuntura interna. Ora invece gli effetti di un amuento dei consumi dipendono dal livello di competitività dell'offerta nazionale. Ma se gli italiani continuano a comprare sempre piu' auto e dispositivi tecnici stranieri oppure fanno viaggi all'estero, l'aumento dei consumi porterà con sé un aumento anche dell'import.

Dare slancio alle imprese italiane di successo

Anche per un altro degli strumenti tanto amati dagli italiani, la svalutazione della moneta, ci si è dimenticati di studiare gli effetti nell'attuale economia globale. Cio' non impedisce pero' agli economisti e ai politici italiani di lamentarsi in continuazione per il tasso di cambio dell'Euro troppo elevato e di sperare in rimedi semplici.

Ma la strada della svalutazione, tante volte utilizzata ai tempi della Lira, oggi sarebbe probabilmente un vicolo cieco: in passato con la discesa del tasso di cambio in un mercato ristretto composto da pochi paesi industrializzati, i prodotti italiani e le vacanze in Italia diventavano immediatamente piu' economici, e i consumatori tedeschi, ad esempio, potevano comprarne di piu'. Ma oggi con una svalutazione dei prodotti italiani non sarebbe cosi' semplice aumentare le vendite, perché in questo segmento di mercato a basso prezzo si affollano concorrenti provenienti da altri continenti.

Gli strumenti tradizionali non possono piu' aiutare gli italiani. Sarebbe molto meglio se il governo si occupasse un po' di piu' della competitività: soprattutto come fare per convincere i suoi imprenditori di successo ad investire nuovamente nel proprio paese e a creare posti di lavoro. E per fare questo il presidente del consiglio Letta dovrebbe finalmente usare la parola "riforme".

Il boom degli italiani in Germania

I dati appena pubblicati dallo Statistisches Bundesamtes confermano quello che sapevamo già: è in corso un boom di emigrazione italiana in Germania. Nei primi 6 mesi del 2013 gli arrivi dal nostro paese sono cresciuti di oltre il 40%. Da destatis.de
Nella prima metà del 2013 secondo i dati dello Statistisches Bundesamtes (Destatis) circa 550.000 persone si sono trasferite in Germania. Sono 55.00 arrivi in piu' rispetto ai primi mesi del 2012 (+11%). Per il terzo semestre consecutivo c'è stato un aumento in doppia cifra del tasso di immigrazione. Allo stesso tempo nella prima meta del 2013 circa 349.000 persone hanno lasciato la Germania (+10%). Nel complesso il saldo migratorio è passato da + 182.000  a + 206.000  (+13%), come negli anni precedenti il saldo è rimasto ad un livello elevato.

Fra tutti gli arrivati nella prima metà del 2013, circa 501.000 persone avevano una cittadinanza straniera, pari a 54.000 persone (+12%) in piu' rispetto alla prima metà del 2012. Il numero di arrivi di tedeschi, con circa 54.000 rientri, è rimasto sui livelli dell'anno precedente.

La maggior parte dei nuovi arrivati stranieri proviene dai paesi dell'Unione europea (UE): il numero degli arrivi è salito a 334.000, un aumento del 9%. La maggior parte degli immigrati stranieri, come negli anni passati, arriva dalla Polonia (93.000), seguiti dalla Romania (67.000) e dalla Bulgaria (29.000). Come è già accaduto nella prima metà del 2012 è crescituo il numero di arrivi dai paesi UE colpiti dalla crisi finanziaria ed economica: dalla Spagna gli arrivi sono saliti del 39%, dal Portogallo del 26% e dall'Italia del 41%. Gli arrivi dalla Grecia sono invece scesi del 4.5 % rispetto all'anno precedente.

Fra gli stati europei che non appartengono all'UE l'immigrazione è aumentata del 21 %, dall'Africa del 38%, dall'America del 2% e dall'Asia del 14%. Particolarmente forte è stata la crescita di stranieri in arrivo dalla Siria (+178% a 6.000 arrivi), dalla Federazione Russa (+127% a 16.000 arrivi), dalla Libia (+219% a 2.000 arrivi) e dalla  Somalia (+143% a 1.000 arrivi).

Primi 20 paesi per numero di arrivi Arrivi
Prima metà 2013 Differenza prima metà 2012 Vs. prima metà 2013
Totale di cui Totale di cui Totale di cui
Stranieri stranieri stranieri
Numero %
Totale 555 169 501 026 54 574 54 064 10,9 12,1
Di cui:
Polen 96 537 92 943 4 137 4 151 4,5 4,7
Rumänien 67 327 66 904 7 450 7 391 12,4 12,4
Bulgarien 29 375 29 202 406 395 1,4 1,4
Italien 27 895 26 494 7 751 7 647 38,5 40,6
Ungarn 26 991 26 577 1 576 1 549 6,2 6,2
Spanien 19 057 15 483 4 389 4 354 29,9 39,1
Russische Föderation 17 044 15 812 8 718 8 842 104,7 126,9
Griechenland 15 718 15 120 – 859 – 718 – 5,2 – 4,5
Vereinigte Staaten, auch USA 13 906 9 455 219 444 1,6 4,9
Türkei 12 508 10 725 – 1 601 – 1 848 – 11,3 – 14,7
Frankreich 9 600 6 892 343 335 3,7 5,1
Serbien 9 436 9 315 1 640 1 626 21,0 21,1
Indien 8 789 8 287 586 536 7,1 6,9
Schweiz 8 370 2 681 307 107 3,8 4,2
Österreich 8 328 5 109 – 210 – 177 – 2,5 – 3,3
Vereinigtes Königreich 8 081 5 214 1 38 0,0 0,7
China 7 859 6 779 – 139 – 100 – 1,7 – 1,5
Portugal 7 612 7 272 1 456 1 496 23,7 25,9
Kroatien 7 164 7 026 645 650 9,9 10,2
Slowakei 7 111 7 011 287 252 4,2 3,7

giovedì 21 novembre 2013

Posen: le politiche imposte dalla Germania hanno causato sofferenze inutili nel sud-Europa

Il grande economista Adam Posen intervistato da Handelsblatt lo dice senza giri di parole: i paesi del nord-Europa hanno causato sofferenze inutili ai paesi del sud. Da Handelsblatt.de
HB: Herr Posen, lei è un critico molto severo della politica economica tedesca. Perché?

Posen: Si', in primo luogo lo stato e le imprese tedesche investono poco. Secondo, pagano i loro lavoratori troppo poco. Entrambi i fattori causano squilibri globali e mettono gli altri paesi in difficoltà - soprattutto in Europa. Negli ultimi 15 anni gli aumenti salariali in Germania non hanno quasi mai recuperato gli aumenti di produttività.

HB: Ma se paragonati ai colleghi americani, i lavoratori tedeschi non se la passano male...

Posen: Questo non è il punto. In rapporto alla produttività i salari in Germania sono troppo bassi. I lavoratori vengono truffati. La Germania non fa concorrenza sulla qualità, ma sui prezzi, altrimenti i salari non sarebbero cosi' bassi.

HB: Gli avanzi commerciali tedeschi non sono il risultato di un piano statale. I salari sono determinati dalla contrattazione collettiva tra datori di lavoro e sindacati. Lo stato non puo' fare molto.

Posen: Invece è proprio una pianificazione statale. Lo stato in Germania ha una forte influenza sulle parti sociali. Puo' aumentare i salari nel settore pubblico oppure rafforzare la competitività nel settore privato. Al momento gli investimenti sono troppo bassi e c'è troppo denaro che resta fermo nelle aziende.

HB: Perché i sindacati tedeschi avrebbero accettato dei salari troppo bassi?

Posen: I sindacati avevano paura di perdere iscritti. Molte aziende hanno spostato una parte della loro produzione verso l'Europa orientale, per questa ragione i sindacati si sono trovati sotto pressione ed hanno dovuto fare delle concessioni. Per poter mantenere il loro numero di iscritti, hanno sacrificato tutto il resto

HB: Salari piu' alti indebolirebbero la competitività tedesca. Non è certo nell'interesse della Germania...

Posen: Fondamentalmente possiamo dire che l'economia tedesca avrebbe dei grandi benefici se il lavoratore medio avesse piu' denaro in tasca da spendere. Sarebbe un aiuto anche per gli investimenti delle imprese.

HB: La popolazione tedesca è sempre piu' anziana. Molti economisti tedeschi sostengono che gli avanzi commerciali attuali sono necessari per compensare i deficit futuri dovuti all'invecchiamento della popolazione. Non c'è qualcosa di vero?

Posen: E' un errore, se si tengono i salari dei lavoratori troppo bassi e si investe troppo poco, il reddito futuro è destinato a calare

HB: Il nuovo governo tedesco potrebbe introdurre un salario minimo di 8.5 € l'ora. Molti economisti tedeschi mettono in guardia dalla perdita di posti di lavoro - soprattutto nella Germania dell'est. Che cosa ne pensa?

Posen: Da un aumento salariale cosi' piccolo non vedo alcun rischio per la competitività della Germania dell'est. Esiste già un mercato del lavoro unico per l'intera Germania. Se al governo sta a cuore la Germania dell'est, potrà garantire maggiori trasferimenti finanziari a queste regioni

HB: Secondo le stime di alcuni economisti, circa un terzo degli occupati nella Germania dell'est guadagna meno di 8.5 € lordi l'ora. Lei non crede che molti posti di lavoro sarebbero a rischio se i salari fossero aumentati in un colpo solo come accadde dopo la riunificazione?

Posen: Le stime degli economisti variano molto. Guardi cosa dice il DIW (Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung). Sono molto piu' moderati, ed io credo ai loro dati.

HB: Ma anche gli economisti del DIW avvertono che un salario minimo troppo alto potrebbe costare posti di lavoro.

Posen: In alcuni casi il salario minimo costerà dei posti di lavoro - in altri casi invece, grazie ad una domanda aggiuntiva, si creeranno nuovi posti di lavoro. Una cosa del genere è normale in una economia di mercato. Introdurre un salario minimo ha delle conseguenze, come del resto evitare di introdurlo. Tutte le democrazie sviluppate del mondo hanno un salario minimo. E' impensabile che un salario minimo possa causare danni solo in Germania.

HB: Secondo lei cosa deve ancora cambiare nella politica economica tedesca - oltre ai salari piu' alti?

Posen: In primo luogo sono necessari piu' investimenti. La Germania poi, attraverso l'UE, dovrebbe mettere a disposizione piu' denaro per i progetti pubblici europei. In secondo luogo dovrebbe tassare di piu' le aziende che dispongono di grandi riserve di liquidità. Terzo, i tedeschi dovrebbero finalmente capire che la BCE ha un mandato per la difesa della stabilità dei prezzi.

HB: Nessuno lo mette in dubbio...

Posen: No, stabilità dei prezzi significa che la BCE deve garantire un'inflazione vicina al 2%. I tedeschi dovrebbero finalmente smetterla di tentare di impedire alla BCE di aumentare l'inflazione in Europa. Io pero' temo: non riusciranno mai a capirlo.

HB: I tedeschi sono molto critici verso una politica monetaria molto espansiva. Temono che sui paesi in crisi si possa ridurre la pressione per fare le riforme. Lei non vede questo pericolo?

Posen: Se il governo tedesco vuole imporre una politica di riforme, lo deve fare fare a livello dei ministri delle finanze europei oppur nel Consiglio europeo. Non puo' certo nascondersi dietro la BCE. Si tratta di una decisione politica, che devono prendere rappresentanti eletti democraticamente - e non i rappresentanti non eletti della BCE. Se la Germania mina le fondamenta della BCE per imporre la sua politica economica, tradisce l'Europa.

HB: Nella crisi Euro ci sono dei progressi. Paesi periferici come la Spagna, il Portogallo o la Grecia hanno portato le loro partite correnti in pareggio. Questo non dimostra forse che il corso intrapreso ha avuto successo?

Posen: No, la Germania e gli altri paesi del nord con le politiche imposte agli altri paesi, Portogallo, Spagna o Irlanda, hanno solo causato sofferenze inutili.

HB: Perché?

Posen: In tutti i paesi periferici c'era un eccesso di debito nel settore privato. Si doveva offrire la possibilità di tagliare una parte di questi debiti. Invece si è preferito imporre ai paesi colpiti degli aggiustamenti troppo rapidi ed una politica di austerità eccessiva. Nella valutazione di una strategia non si tratta solo di raggiungere un obiettivo. Ma è anche importante capire se il percorso scelto è il migliore fra quelli disponibili.

HB: Sui temi importanti di politica economica, lei ed alcuni dei suoi colleghi americani avete posizioni molto diverse da quelle della maggioranza degli economisti tedeschi. Lei pensa che le posizioni possano presto convergere?

Posen: Lo stato delle cose è il seguente: nessuno in Germania crede al main-stream economico. Gli argomenti di cui abbiamo discusso, ad esempio l'invecchiamento della popolazione, sono utilizzati come un pretesto per spostare piu' avanti i veri problemi. Per questo ho poca speranza che qualcosa possa cambiare nella politica tedesca. Non dovrebbe pero' impedire almeno di tentarci.

A Bruxelles va bene solo cio' che danneggia la Germania

La stampa popolare racconta ai tedeschi un'altra versione della crisi: a Bruxelles i "germanoscettici" stanno tramando per danneggiare gli interessi tedeschi. Ai confini del trash. Da Focus.de
Il meglio dell'integrazione europea è alle nostre spalle. Nel presente assistiamo alla rinascita dell'odio dal fantasma della cooperazione fra i popoli. A Bruxelles funziona solo cio' che danneggia la Germania. 

L'idea sembrava buona, ma il mondo non era pronto: chi voleva essere un buon europeo, doveva essere un amico di lunga data dell'Unione Europea. Questa avrebbe dovuto ridare fiducia ad un continente devastato da due guerre mondiali, un futuro di pace e la sensazione di far parte della stessa comunità. Ancora oggi, nessun discorso della domenica puo' fare a meno di queste formule incantatorie. Ma il meglio dell'UE ormai è dietro di noi. Oggi assistiamo alla rinascita dell'odio dal fantasma della cooperazione fra i popoli.

I mediocri si alleano contro i migliori

Naturalmente fra gli stati europei c'è un'ampia solidarietà. I mediocri se la prendono con i piu' bravi, la periferia contro il centro, le norme contro la concorrenza, e poi tutti insieme attaccano i tedeschi. Perché i tedeschi si distinguono economicamente, sono al centro del continente, e si fanno vessare dalle regole appositamente create con l'obiettivo di creare disturbo e fargli pagare il conto finale: questa purtroppo è l'impressione che si ha osservando l'agenda politica.

In Gran Bretagna la ricorrenza della prima guerra mondiale viene utilizzata con tutti i mezzi possibili per ancorare nella memoria il ricordo dei cattivi tedeschi e dei prussiani armati. In una Francia ormai economicamente a terra, piu' passano gli anni piu' ci si inebria con la grandeur passata. L'esplosione di odio contro i tedeschi ad Atene risale a pochi mesi fa. E a Bruxelles invece, apertamente e giorno dopo giorno cresce il gruppo dei germanoscettici.

Per l'Europa è un bene solo cio' che danneggia la Germania?

La recente proposta della Commissione europea di punire la Germania con una multa per i suoi avanzi commerciali, per il suo successo economico, puo' anche essere stata comunicata in maniera maldestra. Ma offre una scuola di pensiero per i comodi burocrati di Bruxelles: per l'Europa va bene solo cio' che danneggia la Germania. Il suggeritore di questa visione del mondo è il premio Nobel per l'economia americano Paul Krugman, che dal New York Times ha lanciato il suo goffo anatema: la Germania "sta spingendo i suoi vicini sul lastrico". Gli avanzi commerciali sono la causa principale delle sofferenze dei paesi in crisi come la Spagna.

Che cosa fare? La Grosse Koalition in arrivo vuole tentare la strada di una negoziazione di basso profilo e lontano dai riflettori. Sorprendentemente nella vicenda NSA si è parlato costantemente di "interessi nazionali" da difendere, incompatibili con lo spionaggio degli Stati Uniti. E' sicuramente vero. Ma sulla vicenda di Bruxelles non c'è alcun politico tedesco che osi parlare ad alta voce di interesse nazionale, tanto meno di rappresentarlo. Inconsapevolmente la generazione politica attuale ha interiorizzato lo strumento con il quale puo' andare avanti l'integrazione europea: le briglie necessarie per tenere a freno il Gulliver tedesco. E cosi' Merkel, Gabriel e Steinmeier non hanno nulla da dire quando Bruxelles rimprovera, minaccia e pretende - e la Germania si adatta.

Solo una saggia politica di difesa dei propri interessi, e un sano egoismo nazionale potrebbero ovviare a questo problema. Alla lunga sarà rispettato solo colui che sarà capace di stare in piedi, e non di cadere mentre va avanti. Visto cosi', il sempre piu' forte sentimento anti-tedesco in alcuni paesi europei è il risultato di politiche sbagliate. Gli anni della troppa spavalderia, del tentativo di imporsi, del voler essere il primo della classe, ora sono diventati l'esatto opposto: una mancanza di assertività e capacità di negoziazione. Le generazioni future ne pagheranno il prezzo.

martedì 19 novembre 2013

Il tentativo di Merkel di imporre l'Agenda 2010 a tutta l'Eurozona è destinato a fallire

Eric Bonse, columnist della Tageszeitung ed esperto di affari europei, ci annuncia che il primo fallimento della Grosse Koalition sarà in Europa: non riusciranno ad estendere l'Agenda 2010 all'Eurozona per mancanza di risorse, ma soprattutto per mancanza di soliderietà. Da TAZ.de


Angela Merkel sta fallendo nel suo tentativo di imporre agli altri paesi UE le riforme strutturali ispirate al modello tedesco. Senza un incentivo finanziario nessun paese imboccherà questa strada  - e i soldi semplicemente non ci sono.


La trasformazione dell'Eurozona in una "vera unione monetaria" si sta arenando. Dopo che la Grosse Koalition ha preso definitivamente le distanze dagli Euro-bond, anche un'altra iniziativa alquanto controversa portata avanti da Angela Merkel rischia di fermarsi ancora prima di partire: per i cosiddetti trattati di riforma, con i quali tutti i paesi della zona Euro dovrebbero impegnarsi in maniera formale ad introdurre riforme strutturali sul modello dell'Agenda 2010, semplicemente non ci sono i soldi.

Merkel circa un anno fa aveva tirato fuori dal cilindro i nuovi trattati per spingere sulla strada delle riforme paesi riluttanti come Italia e Francia. Dopo una lunga esitazione il presidente francese Hollande aveva accettato, chiedendo pero' in cambio la messa a disposizione di risorse finanziare per sostenere le riforme. Recentemente il presidente socialista ha chiesto un'assicurazione comune contro la disoccupazione per tutti i 17 paesi Euro. Il Parlamento europeo e la Commissione hanno messo al lavoro i gruppi di esperti per la preparazione del progetto.

Ma ora è arrivato lo stop al progetto - almeno per il momento: di una cassa comune contro la disoccupazione a Bruxelles non si parla piu', come riportano gli esperti della Commissione. Anche il "meccanismo di solidarietà" annunciato al vertice UE di ottobre, con il quale si dovrebbero sostenere finanziariamente le riforme, non fa passi avanti. Fino ad ora non si è nemmeno accennato ad una somma per finanziare il progetto.

Anche per il prossimo vertice di dicembre non possiamo aspettarci nessuna decisione, come riportano le fonti TAZ negli ambienti UE. Da un lato Merkel vorrebbe che la Francia e gli altri paesi dell'Eurozona dessero avvio alle riforme. Nel vertice di dicembre si cercherà di trovare un accordo sui punti fondamentali di questi accordi, si dice a Bruxelles. Da un altro lato molto semplicemente non c'è abbastanza denaro. Il budget UE 2014-2020, che il Parlamento europeo finalmente approverà questa settimana dopo una lunga battaglia, non lascia spazi di manovra. Finora nessun paese europeo si è dimostrato disponibile a mettere sul piatto denaro extra per finanziare un meccanismo europeo di solidarietà.

Nel frattempo gli esperti di Bruxelles cercano una soluzione creativa. In discussione c'è un mix di sovvenzioni e di crediti con il quale riempire il "meccanismo di solidarietà". Ma la solidarietà si ferma immediatamente davanti  alla fatidica domanda: chi dovrebbe finanziare i prestiti agli stati intenzionati ad avviare le riforme? Senza un budget europeo la disponibilità di Italia e Francia ad impegnarsi formalmente su di un programma di riforme potrebbe essere vicina a zero.

Cosi la Grosse Koalition conoscerà il suo primo fallimento proprio sulla politica europea. Nel capitolo dedicato all'Europa dell'accordo di coalizione attualmente in discussione, CDU/CSU e SPD si pronunciano unanimemente a favore del progetto di riforma proposto da Merkel. Al contrario, le voci che arrivano dalla società civile parlano di "un'estensione dell'Agenda 2010 a tutta l'Europa". Dopo i paesi in crisi del sud, ora saranno tutti i paesi della zona Euro a dover ridurre le garanzie sociali e ad impegnarsi in una concorrenza senza limiti.

Senza il Parlamento

Anche i Verdi prendono le distanze. Merkel con il suo tentativo di imporre una riforma a livello europeo avrebbe avviato un "corso pericoloso", scrivono in un documento comune il deputato dei Verdi al Bundestag Manuel Sarrazin e il parlamentare europeo Reinhard Bütikofer. In questo modo "la Commissione UE è stata messa in secondo piano e il Parlamento europeo completamente scavalcato". Senza considerare che un paese come la Polonia fuori dall'area Euro resterebbe completamente escluso.

La Grosse Koalition rischia il suo primo fallimento sulla politica europea.

lunedì 18 novembre 2013

La fine dell'amiciza franco-tedesca

Il tramonto della moneta unica corrisponde anche alla fine di un'amicizia che durava da oltre 50 anni e di una lunga fase di riconciliazione. Il segno tangibile è il ritiro della brigata franco-tedesca operato dai francesi: ufficialmente per motivi di bilancio, in realtà per una divergenza sempre piu' profonda fra i due paesi. Da German Foreign Policy
La stampa tedesca commenta con titoli canzonatori la recente visita della Cancelliera a Parigi: "la grande vincitrice incontra un Hollande impotente", titolava la stampa del gruppo Springer. Riferendosi alla drammatica situazione economica francese scriveva: "il paese si avvicina al baratro". Dall'altro lato gli esperti constatano una profonda divergenza fra l'economia tedesca e quella francese. Berlino con le riforme Hartz - riduzioni salariali e compressione della spesa sociale - ha garantito all'industria tedesca un vantaggio tangibile, si scrive nell'analisi. La resistenza contro i programmi di austerità in Francia è molto forte. Le differenze economiche fra Francia e Germania sono ormai molto ampie ed è sempre piu' forte il dubbio che vi siano ancora "basi sufficientemente solide per una cooperazione franco-tedesca", si scrive in una recente analisi della Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Come prova ulteriore dell'erosione dei legami fra Germania e Francia gli osservatori indicano la recente decisione del governo di Parigi di ritirare dalla Germania una parte importante della brigata franco-tedesca.

Un certo ritardo

Il diverso andamento economico registrato da Francia e Germania da quando Berlino si è imposta su Parigi nella battaglia per il potere all'interno dell'UE, viene definito dagli esperti francesi come un "disaccopiamento" ("decrochage") dell'economia del loro paese. Il tema è stato oggetto di una recente analisi che Henrik Uterwedde, direttore del Deutsch-Französisches Institut di Ludwigsburg, ha appena pubblicato presso la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Secondo il documento "la Francia sarebbe sempre piu' in ritardo". Mentre l'economia tedesca continua a crescere, quella francese è in stagnazione; mentre la disoccupazione in Germania è scesa fino al 5.4%, in Francia ha raggiunto l'11%. L'export tedesco è in una fase di boom, la Francia è in profondo rosso. [2] Inoltre, sempre secondo Uterwedde l'industria francese "sta perdendo di peso": "nel 2000 il valore aggiunto creato dall'industria francese era pari al 50% di quello tedesco; 10 anni piu' tardi il rapporto era scesa al 40%" [3]. I consulenti del governo tedesco constatano apertamente che "il peso relativo della Germania sta crescendo, mentre la Francia sta perdendo influenza".

Taglio salariale: "capacità di cooperazione"

Secondo Unterwedde "non c'è alcun dubbio" che le riforme Hartz realizzate dai governi rosso-verdi abbiano creato delle condizioni favorevoli per l'economia tedesca - condizioni che alla fine hanno permesso all'industria tedesca di imporsi contro la concorrenza francese. La situazione francese di oggi ricorda "sotto molti aspetti" la situazione in cui si trovava la Germania prima delle riforme Hartz, sempre secondo Uterwedde. Tuttavia Parigi fino ad ora avrebbe ritardato le "importanti riforme strutturali" - anche a causa delle "massicce proteste politiche".  In merito all'accettazione dei tagli salariali e delle riduzioni di spesa sociale da parte dei sindacati tedeschi, nell'ambito delle riforme Hartz [5], scrive l'autore "gli accordi aziendali per la difesa del lavoro e della competitività che il management e i consigli di fabbrica hanno siglato in numerose imprese di grandi dimensioni sin dagli anni '90" hanno avuto molto successo; l'elemento determinante è stato "la capacità di cooperazione per il superamento dei problemi, da sempre presente in Germania". Considerando la propensione alla lotta tipica dei sindacati francesi, sempre secondo il documento "in Francia tale capacità di cooperazione è molto limitata".[6]

Resistenza francese

Di fatto la critica alle riforme Hartz e alla loro impronta neoliberista, al loro effetto nell'ampliamento delle differenze fra ricchi e poveri, che in Germania hanno addirittura contribuito ad ampliare le differenze di aspettativa di vita fra ricchi e poveri, in Francia è molto diffusa.[7] In una "parte considerevole della società francese c'è una forte resistenza contro queste misure neoliberiste", ammette Uterwedde. "Oltre alla valutazione negativa della politica economica tedesca", si sono aggiunte nel frattempo "le critiche verso l'egemonia economica e la politica tedesca per l'Eurozona". Quest'ultima, si dice in Francia, è rivolta in "maniera univoca a una politica di austerità". Le speranze "di un cambiamento di governo a Berlino e di un nuovo corso nella politica europea" sono andate in frantumi; in Francia dalla Grosse Koalition si aspettano "solo dei cambiamenti marginali rispetto alla precedente linea politica". A livello governativo il tentativo di resistenza francese non ha avuto buon fine: "il tentativo del presidente francese di organizzare una maggioranza in Europa senza, oppure contro la Germania, è fallito, ed ormai appartiene al passato" [8 ]

Il cortile tedesco

Gli stessi dubbi vengono ora espressi non solo in ambito economico e di politica finanziaria, ma anche nel dibattito sulla politica estera e militare. Cosi' uno sguardo alla storia della politica estera e degli interventi militari dell'UE mostrano che sin dagli anni '90 sono serviti a difendere gli interessi tedeschi nell'Europa dell'est e del sud-est: con la guerra in Jugoslavia, l'allargamento ad est dell'UE e il "partenariato orientale", che a fine novembre dovrebbe essere incoronato da un accordo per una piu' stretta integrazione fra i diversi paesi dell'Europa orientale e del Caucaso con l'UE. Gli interessi francesi in Africa sono stati messi da parte, indimenticabile è l'intervista all'allora ministro della difesa federale Volker Rühe nel 1994: "L'Eurokorp non è un Afrikacorp"[9], oppure il fallimento pilotato da Berlino dell'Unione mediterranea proposta da Parigi[10]. La Francia nei suoi tradizionali bacini di influenza in Africa è sempre piu' debole, scrivevano già 2 anni fa i consiglieri del governo di Berlino; nel lungo periodo "la distanza fra Parigi e i paesi del Mediterraneo potrebbe diventare ancora piu' grande".[11] Il contrario accade invece per le posizioni tedesche nei suoi tradizionali bacini di influenza nell'Europa dell'est e del sud-est.

La brigata franco-tedesca

In questo contesto Parigi alla fine di ottobre ha deciso di ridimensionare drasticamente la brigata franco-tedesca. La sua fondazione risale ad un accordo tra Helmut Kohl e François Mitterrand nel 1987; nel 1989 è stata istituita come simbolo della riconciliazione franco-tedesca. La Francia ha piu' volte sollecitato l'utilizzo della brigata; la Repubblica Federale l'ha sempre impedito, non per ragioni pacifiste, piuttosto perché la Germania se avvia un'operazione militare lo fa nel suo interesse, non per difendere gli interessi francesi. La linea ufficiale di Parigi recita: a causa di risparmi inevitabili, il prossimo anno il 110° Reggimento di fanteria sarà ritirato dalla caserma di Donaueschingen in Baden-württemberg. Si tratta di una parte importante della brigata franco-tedesca. Di fatto, nella decisione di ritiro, la motivazione principale è stata il riconoscimento che la parte tedesca nel progetto binazionale segue solo i propri interessi e non è interessata ad un ribilanciamento. Gli osservatori confermano che la Francia, invece, nelle ex-colonie non ha sacrificato le sue basi militari. L'imposizione degli interessi  tedeschi ha condotto a tagli nei progetti bilaterali - anche nella brigata franco-tedesca.

Dubbi

Come scrive Henrik Uterwedde in riferimento alle questioni economiche e finanziarie, negli ultimi tempi "ci sono sempre piu' dubbi sul fatto che vi siano le condizioni minime per il proseguimento della cooperazione franco-tedesca" [12]. Dubbi di questo genere sono emersi anche in ambiti molto diversi - tutti risultati del tentativo di imporre un'egemonia tedesca.

[1] s. dazu Am längeren Hebel, Germanische Strenge und Ein Tabubruch
[2] s. dazu Hartz IV für alle
[3] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013
[4] s. dazu s. dazu Die Dominanz über Europa
[5] s. dazu Sparen für Deutschland
[6] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013
[7] Soziale Schere geht weiter auseinander - Arme sterben fünf Jahre früher als Reiche; www.rtl.de 10.10.2013
[8] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013
[9] s. dazu Ein Land am Abgrund
[10] s. dazu Kein Gegenpol
[11] s. dazu Kulturkämpfe

[12] Henrik Uterwedde: Ende der Divergenzen? Perspektiven der deutschen und französischen Wirtschaftspolitik, DGAPanalyse No. 11, November 2013