giovedì 28 marzo 2019

"La piu' grande e rapida distruzione di valore nella storia del Dax"

"L'acquisizione di Monsanto è una buona idea", diceva solo qualche mese fa il CEO di Bayer, Werner Baumann. Peccato poi le cose siano andate diversamente e l'acquisizione di Monsanto da parte di Bayer si sia trasformata nella piu' grande e rapida distruzione di valore nella storia del Dax. Non ne usciranno bene, almeno secondo la stampa tedesca, perché in America ci sarebbero già diverse migliaia di cause pronte. Ne scrive il ben informato German Foreign Policy


"La più grande distruzione di valore nella storia del Dax" 

Nel quadro generale di una possibile escalation della guerra commerciale tra gli Stati Uniti e l'UE, i media tedeschi mettono in guardia da una grave crisi, a causa della quale il gruppo industriale Bayer, leader nel settore della Chimica, dopo le recenti controversie legali negli Stati Uniti inizia a vacillare. Con l'acquisizione del gruppo agricolo statunitense Monsanto, il cui pesticida Glifosato è sospettato di causare il cancro, Bayer si è esposta a un "rischio esistenziale", scrivono i commentatori. La caduta del titolo causata dalle recenti sentenze giudiziarie in California potrebbe rendere Bayer il candidato ideale per un'acquisizione da parte di "investitori aggressivi", acquisizione che comporterebbe il rischio concreto di uno spezzatino per la più grande aziende agricola e chimica tedesca, scrive la stampa. Il gruppo nel suo complesso ora vale tanto quanto valeva Bayer prima dell'acquisizione dei suoi concorrenti statunitensi, acquisizione costata circa 63 miliardi di euro. Ciò significa che Monsanto ora "dagli investitori viene valutata con un valore pari a zero". Nel giro di un anno Bayer ha perso quasi la metà del suo valore di borsa, con perdite che dall'ultimo verdetto di San Francisco sono state del 13%; Monsanto è stata la più grande e rapida "distruzione di valore nella storia del Dax", si dice negli ambienti finanziari: in un solo giorno di negoziazione è stato bruciato un valore di mercato pari a otto miliardi di euro. Dalla prima sentenza sul glifosato, nell'agosto del 2018, Bayer ha perso circa 30 miliardi di euro di valore in borsa [5]. 




Processi a valanga per miliardi di dollari 



Nella sentenza menzionata, il 19 marzo la corte di San Francisco è giunta alla conclusione che il glifosato, contenuto nel pesticida "Roundup" della controllata di Bayer, Monsanto, è cancerogeno; Il glifosato secondo la corte sarebbe stato un "fattore significativo" di rischio nell’insorgere del cancro dell’accusatore. La giuria di sei membri si è così allineata alle valutazioni di diversi studi scientifici che hanno trovato una connessione tra il pesticida e un aumento del rischio di cancro. L'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro classifica il glifosato come "probabilmente cancerogeno" - in contrasto con l'Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi, che non individua alcun legame [6]. Un'altra indagine rileva in particolare, che sono proprio gli utilizzatori di glifosato, come gli agricoltori o i lavoratori agricoli a mostrare un aumento del 41% del rischio di contrarre un linfoma. [7] Allo stesso tempo ci sono una serie di studi commissionati da aziende chimiche fra il 2012 e il 2016 che non mostrerebbero alcun legame con il rischio di cancro. I critici, come il Bund Naturschutz, affermano che questi "studi industriali" presenterebbero "molte carenze" ma che tuttavia sarebbero stati usati dalle autorità "per valutare l'approvazione del veleno nell’agricoltura". [8] L'attuale sentenza di San Francisco è un un caso modello che fungerà da guida legale per migliaia di altre azioni legali contro Bayer negli Stati Uniti. In un caso precedente, il malato di cancro aveva ricevuto 78 milioni di dollari di danni. Questa valanga di processi negli Stati Uniti potrebbe costare a Bayer "miliardi di dollari", si lamentano gli osservatori tedeschi [9]. Nel frattempo, negli Stati Uniti ci sarebbero già circa 11.200 cause ad attendere Monsanto (10).



Disastro economico 

A rappresentare un rischio esistenziale per Bayer non ci sono solo i miliardi di dollari dei processi. Il controverso pesticida glifosato è il diserbante chimico più venduto al mondo, sospettato anche di contribuire alla rapida scomparsa degli insetti a livello mondiale. [11] Il glifosato, simbolo di "un’agricoltura guidata dalla chimica", genera gran parte dei profitti della costosa sussidiaria di Bayer in America, la Monsanto; negli ultimi tempi circa il "70 % dei profitti operativi di Monsanto" è stato ottenuto grazie a prodotti associati al "glifosato", così riporta la stampa tedesca [12]. Poiché i processi in corso dovrebbero rafforzare anche nell'UE e in Germania la richiesta di un divieto di utilizzo per il pesticida incriminato, una parte significativa del fatturato e dei profitti di Bayer è considerata a rischio. La città di Los Angeles ha già annunciato che proibirà l’uso del controverso pesticida fino a quando il rischio di provocare il cancro non sarà finalmente chiarito. [13] Nel frattempo, la posizione all'interno del gruppo del CEO di Bayer, Werner Baumann, l'architetto dell'operazione di acquisizione di Monsanto, si fa sempre più difficile. La sorprendente sconfitta legale a San Francisco - Bayer era riuscita a prevalere nella fase iniziale del processo, almeno sui dettagli - per Baumann sarà un problema, dato che molti investitori "stanno perdendo la pazienza", scrive la stampa economico-finanziaria tedesca [14]

La strategia industriale di Altmaier 

Anche per il governo federale il malcontento di Bayer, emerso dopo l'acquisizione di Monsanto, pone un problema serio: rende piu’ difficile la costituzione di aziende dominanti e monopolistiche ("campioni nazionali"), promosse dal ministro dell’economia Altmaier e parte della sua "Strategia industriale nazionale 2030" [15] 



Multe miliardarie per Google 



Le dispute legali sul glifosato tuttavia sembrano essere colpite dalla dinamica delle crescenti controversie commerciali legate alla crisi tra USA e UE. Poche ore dopo l'annuncio della sentenza di San Francisco, l'UE ha imposto una multa da oltre un miliardo di euro al colosso americano Google [16]. Il monopolista dei motori di ricerca su internet avrebbe abusato della sua "posizione dominante" per ostacolare illegalmente i concorrenti del servizio "AdSense per la ricerca". Negli ultimi dieci anni, Google nell'UE ha dovuto pagare multe per un totale di 8,25 miliardi di euro. L’ultima multa imposta dalla Commissione europea ammonta a 1,49 miliardi di euro. 



Escalation asimmetrica 

In precedenza, il governo tedesco si era dato da fare per fermare le iniziative avviate principalmente dalla Francia e finalizzate ad una maggiore tassazione delle società Internet statunitensi, in quanto ciò per Berlino avrebbe implicato il rischio di una rappresaglia contro l'industria dell’export tedesca impegnata in America [17]. Data la minaccia di una escalation nelle controversie commerciali con Washington, Berlino si trova ora a dover fronteggiare il problema della mancanza di opzioni di difesa, situazione dovuta alle grandi eccedenze commerciali: in una guerra commerciale, infatti, ad essere avvantaggiata è la parte in deficit in quanto può ricorrere ad un escalation basata su misure protezionistiche. I paesi orientati all’export difficilmente hanno mezzi di ritorsione efficaci; questi in Europa sembrano concretizzarsi sotto forma di misure punitive nei confronti  dell'industria Internet dominata dagli Stati Uniti. Alla minaccia di Washington di aumentare i dazi sulle auto tedesche, Bruxelles e Berlino vorrebbero rispondere con una corrispondente azione punitiva ancora più dura nei confronti di Google, Facebook e delle altre società Internet americane.





[1] Frank Dohmen, Armin Mahler: Das Vernichtungsmittel. spiegel.de 22.03.2019.
[2] Gabor Steingart: Unternehmenskenner warnt: Bei Bayer wächst die Gefahr der Zerschlagung. focus.de 22.03.2019.
[3] Bayer-Aktie kurz vor Zusammenbruch: Neue Hiobsbotschaft aus den USA. deraktionaer.de 22.03.2019.
[4] Das Bayer-Beben: Monsanto entpuppt sich als "größter und schnellster Wertvernichter der DAX-Geschichte". deraktionaer.de 20.03.2019.
[5] Schwere Schlappe für Bayer in Glyphosat-Prozess. dw.com 20.03.2019.
[6] Faktencheck: Wie gefährlich ist Glyphosat? swr.de 20.03.2019.
[7] Carey Gillam: Weedkiller "raises risk of non-Hodgkin lymphoma by 41%". Theguardian.com 14.02.2019.
[8] Glyphosat und Krebs: Gekaufte Wissenschaft. bund-naturschutz.de.
[9] Antje Höning: Bayers Traumdeal wird zu Bayers Alptraum. rp-online.de 20.03.2019.
[10] S. dazu Bayer vor Gericht.
[11] Tina Baier: Macht Glyphosat die Bienen krank? sueddeutsche.de 25.09.2018.
[12] Jost Maurin: Bayer AG schwer erkrankt. taz.de 20.03.2019.
[13] Bayer-Aktie kurz vor Zusammenbruch: Neue Hiobsbotschaft aus den USA. deraktionaer.de 22.03.2019.
[14] Bert Fröndhoff: Glyphosat-Urteil bringt Bayer-Chef Werner Baumann in Bedrängnis. handelsblatt.com 21.03.2019.
[15] Altmaier mag nationale Champions. badische-zeitung.de 06.02.2019.
[16] EU verhängt weitere Milliardenstrafe gegen Google. spiegel.de 20.03.2019.
[17] S. dazu Streit um die Digitalsteuer.


mercoledì 27 marzo 2019

"Anche Karl Marx era solo un vecchio uomo bianco"

"Persino a Karl Marx, in quanto vecchio uomo bianco, oggi verrebbe negato il diritto di esprimere la propria opinione su tutta una serie di questioni. Cosa vuoi che ne sappia uno come Marx dell'oppressione?" scrive Michael Bröning della fondazione Friedrich Ebert (vicina alla SPD) su Die Zeit, facendo riferimento alle banalità politiche tipiche della sinistra tedesca di questi anni. Una riflessione molto interessante di Michael Bröning su Die Zeit


Si tratta solo di un fraintendimento? Tutta questa critica alle aberrazioni di politica identitaria in una parte della sinistra che sempre più spesso deve lottare per la sopravvivenza? "Non si può incolpare la politica dell'identità per la crisi", spiegano Robert Mueller-Stahl e Robert Pausch su DIE ZEIT il 14 marzo 2019. La politica della sinistra era politica dell'identità anche nel diciannovesimo secolo – solo che allora era in nome della classe operaia. Chiunque neghi questo "orientamento di base dato alla domanda di identità", oggi soffre di amnesia storica. A soffrire di percezione selettiva tuttavia non sono gli scettici della politica dell'identità, ma Robert Mueller-Stahl e Robert Pausch. La loro definizione di politica dell'identità ha poco o nulla a che fare con il suo orientamento liberale attuale. 


Senza dubbio anche il movimento operaio del diciannovesimo secolo faceva riferimento alle questioni dell’identità. I sindacati, i circoli di lettura, i giornali proletari, naturalmente avevano tutti una dimensione identitaria di classe. Alla fine, tutto è personale quando si tratta di persone. E le persone che si uniscono gettano le basi per una coscienza comune. "La costruzione della classe come identità", di cui parlano Mueller-Stahl e Pausch, non è affatto controversa. Ma non può essere la prova di una presunta tradizione del movimento operaio, piuttosto della diffusione dell'approccio politico-identitario.


Se in un modo o nell’altro tutto può essere considerato politica dell’identità, alla fine solo una cosa sarà completa: la confusione. Già oggi i suprematisti bianchi usano la politica dell'identità per affrontare la necessità di proteggere la "cultura bianca". Ma se anche i populisti di destra sono arrivati a chiedere spazi sicuri e luoghi dove non è consentita alcuna discriminazione, qualcosa è andato storto. 





"Reaganomics per la sinistra" 

La forma dominante di politica dell'identità liberale oggi non può essere considerata un legittimo successore, ma esattamente il contrario degli sforzi storici di emancipazione del movimento operaio. La loro grande attenzione per il riconoscimento di identità di gruppo sempre più piccole, costruite sulla base di aspetti etnici, sessuali, sociali o culturali non ha nulla a che fare con la solidarietà e lo spirito pubblico, ma con la soggettività e l'esclusione. Invece di avanzare richieste universalistiche per un accesso senza barriere all’istruzione, alla sanità, al benessere e alla partecipazione, ci si occupa di diritti speciali. Il risultato è una competizione a somma zero per le posizioni più redditizie nella gerarchia sacrificale della società. Alla fine di questa balcanizzazione non c’è l'azione comune, ma solo un risentimento rabbioso compatibile con lo status quo. 



Questo lo si può osservare in alcune parti della sinistra americana e nel milieau accademico di molti progressisti europei. Qui l'ossessione politico-identitaria non equivale all'empowerment, ma all'auto-esautorazione della sinistra. Certo, questo vale ancora di piu’ più se si combina con il disprezzo morale per il loro ambiente elettorale tradizionale popolato da guidatori di automobili, e carnivori che amano festeggiare il carnevale. 

"La politica delle identità", scrive Mark Lilla, professore alla Columbia University è una "Reagonomics per la sinistra". Poiché è compatibile con i dogmi di un neoliberismo polarizzante, l'ingiustizia economica si trasforma in una contraddizione secondaria, parte di una discriminazione presumibilmente più fondamentale, neutralizzata grazie a delle piroette di simbolismo progressista e ad un certo "atteggiamento". Una tale sinistra è molto preoccupata per le offese emotive derivanti dalle micro-aggressioni, ma ha solo un sensore selettivo per la progressiva scomparsa della democrazia all’interno della società, per la crescente disuguaglianza economica e per le ginocchia rotte di un piastrellista nell'anello esterno della S-Bahn. 

Al centro non c’è necessariamente l'ideale di uguaglianza civica, ma quello dell’eccezione. Invece di promuovere la comunità, le persone vengono ordinate in cassetti separati. In questo modo i conflitti economici si trasformano sempre più in lotte culturali. Le discussioni sull'identità del resto non possono essere risolte attraverso dei compromessi – senza considerate che, data la fluidità delle identità, è difficile concepire delle coalizioni durature. 

Nella lotta di sinistra sono necessarie delle ampie alleanze 

In tempi in cui l'assimilazione culturale è considerata una usurpazione, la partecipazione ai dibattiti politici è riservata esclusivamente alle persone coinvolte in maniera diretta. "Io come ..." così iniziano i contributi al dibattito considerati appena ammissibili. Persino a Karl Marx oggi, in quanto vecchio uomo bianco, verrebbe negato il diritto di esprimere la sua opinione su tutta una serie di questioni. Cosa vuoi che ne sappia Marx dell'oppressione

Poiché l'attenzione si focalizza sulle auto-percezioni, la realtà politica concreta diventa sfocata. Invece di confrontarsi con la disuguaglianza globale, una parte del milieau accademico guarda verso l’interno per esplorare il nucleo delle idee e dei concetti. Ciò è sicuramente legittimo, ma è l'esatto opposto dell'ambizione con cui il movimento operaio si batteva per l'emancipazione delle classi svantaggiate. Karl Marx, Friedrich Engels e l'Associazione Generale dei Lavoratori tedeschi non si occupavano del riconoscimento e della continuazione delle differenze esistenti, ma del loro superamento. L'obiettivo non erano i privilegi, ma l'uguaglianza. 

Martin Luther King nel 1963 formulava un sogno e si augurava che i suoi quattro figli un giorno potessero vivere in un mondo "nel quale non sono giudicati per il colore della loro pelle ma per la natura del loro carattere". In gran parte dei circoli ispirati dal tema dell’identità politica, questo sogno oggi probabilmente verrebbe registrato come una micro-aggressione. Dopotutto l'origine e il colore della pelle non dovrebbero essere superati, ma essere invece enfatizzati come unici punti di riferimento decisivi. Non dovremmo superare la visione universalista di Martin Luther King con tanta facilità. Anche il candidato alla presidenza democratica Bernie Sanders, in occasione dell'annuncio della sua ricandidatura, ha fatto riferimento all’attualità del messaggio di "I have a dream". 

È altrettanto chiaro: nulla sarebbe più sbagliato che riportare la politica ai presumibilmente buoni e vecchi tempi in cui a dominare era l’uomo bianco, eterosessuale. La lotta contro la discriminazione e l'emancipazione deve essere sempre lasciata alla sinistra - e qui sono necessarie ampie alleanze. Ma deve essere guidata da una visione complessiva e senza il paraocchi della divisione. Una sinistra che lo dimentica, fa un assist alla destra radicale. L'ex capo-stratega di Donald Trump, Steve Bannon, ritiene che la politica identitaria di sinistra per lui sia un grande regalo. "Più parlano di politica dell'identità", diceva Bannon, "prima li riacciuffo”. Voglio che parlino di razzismo ogni giorno. “Se la sinistra si concentra sulla razza e sull'identità, possiamo schiacciarli". È ora di smetterla di fare a Steve Bannon questo favore.   





martedì 26 marzo 2019

Dove e perché viene eluso il salario minimo fissato dalla legge

Dal 2015 il numero delle infrazioni rilevate è più che quadruplicato e l'elusione del salario minimo è ormai un fenomeno di massa. Lo certificano i dati ufficiali delle dogane. Ne scrive la Thüringer Allgemeine



Berlino. Il salario minimo, introdotto nel 2015, dalla politica spesso viene considerato una storia di successo - ma cosa dicono i camerieri, i parrucchieri, i muratori o i macellai, che nel mondo reale spesso a causa della pressione dei datori di lavoro devono fare delle ore extra non retribuite restando ampiamente al di sotto dalla paga minima prevista dalla legge? Fra gli addetti alla logistica, nell'agricoltura o nelle case di riposo, il pagamento dell'effettivo salario minimo previsto dalla legge e dei salari minimi previsti dai contratti di categoria degli specifici settori industriali vengono controllati troppo di rado, perché lo Zoll (dogane) è sopraffatto dalla mole di lavoro. Molti lavoratori continuano ad essere truffati sul salario, lo stato invece perde le entrate fiscali e i contributi per la sicurezza sociale.

Il fatto che l'elusione del salario minimo in Germania sia un fenomeno molto ampio è provato dai nuovi dati che l'unità speciale per il contrasto al lavoro nero (FKS) delle dogane ha raccolto per il 2018. Dati che il ministro delle finanze Olaf Scholz (SPD) presenterà lunedì in occasione del bilancio annuale delle dogane.


I casi di frode sul salario minimo sono casi individuali?

Assolutamente no. Come mostrano le statistiche dello Zoll, tra le altre cose, il pagamento del salario minimo, la corretta registrazione degli orari di lavoro e la disponibilità dei documenti richiesti dalla legge, in molti settori vengono ampiamente elusi. Ad esempio, ai sensi della legge sul salario minimo, il numero dei reati amministrativi è aumentato dai 1.316 casi del 2015 ai 6.220 casi del 2018, sebbene vi siano stati meno controlli.

Quanto è grande il danno?

Solo le violazioni scoperte in merito alla paga minima o ai contributi previsti dal quadro degli accordi di contrattazione collettiva, nel 2018 hanno causato un danno di circa 32 milioni di euro. La somma degli incassi e delle ammende inflitte ammonta a 20,4 milioni di euro.

Quali industrie sono interessate?

Nel settore delle costruzioni nel 2018 sono state avviate circa 1.150 nuove procedure di infrazione e sono stati conclusi quasi 1.300 procedimenti in corso. L'elusione dei requisiti previsti dal salario minimo ha causato un danno di oltre 16 milioni di euro, le multe sono state di oltre 14,5 milioni di euro. Nella pulizia degli edifici, il danno ha raggiunto i 4,5 milioni di euro, nei confronti delle imprese coinvolte sono state inflitte ammende per quasi un milione di euro.

Ogni quanto tempo le dogane ispezionano i datori di lavoro?

Il rischio per i datori di lavoro di essere scoperti è molto basso. Se lo Zoll nel 2014, vale a dire l'anno prima dell'introduzione del salario minimo legale, ha effettuato 63.000 controlli sui datori di lavoro, nel 2018 sono stati circa 53.500. Ufficialmente si tratterebbe di una nuova strategia delle dogane. Meno controlli, ma più efficaci, maggiore attenzione per le aree problematiche.

Non si tratta di una farsa per mascherare la carenza di personale?

Di recente, su richiesta della Linke, il governo federale ha dovuto ammettere che il numero di società controllate dalla FKS è trascurabile. Nel 2017 è stato controllato solo il 2,4% di tutte le aziende. Nel 2018 nel settore delle costruzioni sono stati controllati ben 13.000 datori di lavoro, con circa due milioni di dipendenti. "I datori di lavoro in Germania devono aspettarsi un controllo ogni 40 anni - un invito aperto a infrangere la legge", dice Susanne Ferschl, vice-capogruppo della Linke al Bundestag. Esperti e sindacati da tempo criticano la mancanza di personale alle dogane. È discutibile anche il fatto che a livello nazionale vengano annunciati dei raid su larga scala. Le dogane sostengono che ciò serva a scoraggiare i datori di lavoro dall'eludere le leggi sul salario minimo per ragioni di profitto.

Quanti lavoratori sono stati truffati sul salario minimo?

Ci sono solo stime. Uno studio del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung ha mostrato che il salario minimo ha portato ad un forte aumento dei salari più bassi, ma non tutti coloro che ne avevano diritto l'hanno poi ottenuto. Nel 2016, circa 1,8 milioni di persone idonee avrebbero guadagnato meno di 8,50 euro lordi, calcolato in base alle ore di lavoro previste dal loro contratto, il livello di salario minimo previsto all'epoca.

Qual è il salario minimo?

Il salario minimo, che nel 2017 era di 8,84 euro, dal 1° gennaio 2019 è salito a 9,19 euro. A partire dal 1 ° gennaio 2020 sarà aumentato a 9,35 euro. Ci sono inoltre molti salari minimi di settore negoziati dai sindacati e dai datori di lavoro all'interno dei contratti di categoria.



domenica 24 marzo 2019

"La Cina per Duisburg è un vero diamante"

A dirlo è il sindaco di Duisburg, la città renana che con il suo porto fluviale è diventata il capolinea della nuova "Via della Seta" su rotaia. Un progetto che sta portando grandi benefici economici alla città ex-industriale della Ruhr. Nel frattempo, sulla cosiddetta stampa di qualità tedesca i corrispondenti alla Piller accusano il governo italiano di aver messo a rischio l'unità dell'Europa (?), mentre ogni settimana a Duisburg arrivano dalla Cina almeno 25 treni da 60 container ciascuno. Ne scrive Deutschlandfunk 


Per decenni Duisburg è stato il simbolo del declino industriale dell'area della Ruhr. Ora però l'importanza della città come hub per le esportazioni cinesi sta crescendo. La Cina spedisce via treno fino al più grande porto fluviale d'Europa, attraverso la nuova "Via della Seta", una quota crescente delle sue merci.

Duisburg-Rheinhausen. Il terminal dei container del porto fluviale diventa rumoroso solo quando le colorate scatole d'acciaio vengono impilate l'una sull'altra. Altrimenti si sente solo il ronzio del ponte per i container alto oltre 40 metri. L'operatore della gru sta scaricando una nave che si trova sul molo.

Fino al 1993 qui c'era solo l'industria pesante. Sul sito, con sbocco diretto al fiume Reno, c'era un'acciaieria della Thyssen-Krupp, verso la fine degli anni '80 diventata nota in tutta la Germania. All'epoca migliaia di lavoratori protestarono contro la sua chiusura. Con catene umane, occupazioni e lanci di uova - ma non riuscirono a impedire la fine della loro acciaieria.

Oggi quel terreno viene nuovamente utilizzato - come porto e hub logistico:

"Se ogni anno vengono caricate e spedite 20.000 navi e 25.000 treni, può facilmente immaginare che nel porto c'è sempre molto da fare. E ciò che vale la pena ricordare, naturalmente, è che il numero dei treni è in costante aumento", afferma il presidente del porto Erich Staake.

Un uomo alto con un sigaro fumante in mano, che gestisce il porto da 20 anni, e dà forma allo sviluppo della città, dall'acciaio alla logistica.

25 treni alla settimana dalla Cina

I treni merci di cui parla Staake arrivano sempre più spesso dalla Cina. Sono venticinque alla settimana, e viaggiano dalla metropoli da 30 milioni di abitanti di Chongqing fino all'area della Ruhr. Fino ad un massimo di 60 container per treno, e dentro c'è tutto quello che l'Occidente chiede: elettronica, tessuti, giocattoli.

Circa la metà delle merci va nella direzione opposta. E almeno a partire dalla visita al porto del capo di stato cinese di quattro anni fa, anche la politica e l'economia di Duisburg hanno iniziato a guardare verso l'Estremo Oriente, afferma orgogliosamente Staake:

"Il presidente cinese Xi Jinping non è arrivato qui per caso. Probabilmente il nostro ex Presidente regionale e il nostro sindaco non l'avrebbero mai incontrato, se non ci fossimo impegnati a diventare il punto di partenza e di arrivo della nuova Via della Seta".

La Via della Seta! La parola chiave che fa brillare gli occhi ai responsabili della logistica e ai politici. Con questo progetto la Cina vorrebbe cambiare il commercio mondiale. Per questa ragione il paese sta costruendo una rete globale di porti, ferrovie e vie di trasporto per creare e garantirsi dei nuovi mercati di vendita.

"L'altro giorno ho ricevuto un'immagine dall'aeroporto di Shanghai. Si vede una mappa - Europa, Asia - e sul lato europeo sono segnate quattro città: Parigi, Londra, Berlino piuttosto piccole. E nel mezzo, bella grande c'è Duisburg".

La città della Ruhr è uno snodo centrale sulla Via della Seta. Ma Duisburg ne sta veramente beneficiando? Una città colpita duramente dai cambiamenti strutturali e ancora alle prese con una disoccupazione del 12%?

Il Sindaco della SPD Sören Link è fiducioso:

"Prima di tutto mi aspetto un crescente interesse per Duisburg come città di residenza per gli impiegati e i dipendenti cinesi, per gli studenti cinesi, e per tutti i cinesi in generale. Prevedo che Duisburg diverrà un interessante luogo di investimento per le società cinesi, così che alla fine per Duisburg ci si possa aspettare una crescita in termini di occupazione e una forte crescita economica".

Markus Taube lo conferma: l'economista dell'università di Duisburg-Essen ha lavorato intensamente sulla strategia della Via della Seta e ne ha studiato le conseguenze per Duisburg.

"Siamo stati in grado di dimostrare che nell'ambito di questa iniziativa della Via della Seta gli investimenti sono stati fatti e che sono stati creati posti di lavoro. Cioè, stiamo parlando di qualcosa di più di semplici container che arrivano qui a Duisburg e che poi da qui vengono spediti in tutto il mondo. Al contrario, intorno è nata una piccola industria che genera entrate fiscali per la città, crea posti di lavoro e, nel complesso, rafforza la reputazione e l'importanza della città".

La cooperazione è ancora agli inizi

Ma il presidente del porto Staake, il sindaco Link e l'esperto Taube sono d'accordo: c'è bisogno di un pensiero di lungo respiro, il progetto "Duisburg e la Via della Seta" è ancora nella sua fase iniziale. Sebbene vi siano investimenti individuali da parte di società cinesi, per ora si tratta di progetti iniziali".

Nel ventoso porto fluviale - un tempo orgoglioso e centenario centro commerciale della città - alcune persone vanno a fare una passeggiata. Molti hanno sentito parlare del progetto Cina. Cosa ne pensano gli abitanti di questo sviluppo?

"Molto interessante e importante, penso, per Duisburg. In generale, Duisburg non ha una buona reputazione".

"Bene, dico, gli scambi commerciali tra città non sono mai sbagliati."

"Siamo basati qui a Duisburg, produciamo lubrificanti e spediamo molta verso la Cina - attualmente si parla quasi sempre di trasporto aereo o marittimo - e ora dico però che la linea ferroviaria è di enorme interesse".

"Posti di lavoro ... Questo è un input importante, sicuramente."

Più commercio porta anche più camion

Circa 40.000 persone lavorano al porto, molte di loro arrivano da Duisburg.

Ma ci sono anche i problemi: i tanti camion che vanno al porto sono rumorosi e intasano le strade, gli ingorghi stradali fanno parte della vita di tutti i giorni, i residenti sono infastiditi. I sindacati si lamentano per i bassi salari della logistica. Tutto ciò resta un tema di discussione. E naturalmente la Cina con la Via della Seta persegue anche interessi geopolitici.

Il sindaco Sören Link lo sa. Ma non vede dipendenze e pericoli, almeno fino a quando si continuerà a comunicare allo stesso livello:

"La Cina per Duisburg è un vero diamante. Vogliamo continuare a lavorarci con verve e grande impegno. "


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sabato 23 marzo 2019

Cosa c'è dietro il Trattato di Aachen

Sevim Dagdelen, vice capo-gruppo della Linke al Bundestag, ci spiega perché l'attuazione del trattato franco-tedesco di Aachen procede spedita e perché a beneficiarne sarebbero soprattutto i produttori di armi. Ne scrive Sevim Dagdelen su Telepolis


Oggi il Bundestag ha approvato a larga maggioranza l'accordo parlamentare franco-tedesco. Unione, SPD, FDP e Verdi si sono uniti  sulla mozione e hanno convenuto di dotare l'accordo stesso con un impegno per il riarmo e una cooperazione militare più stretta. "Restare atlantisti, diventare europeisti", così la zelante definizione dell'attuale politica per la NATO e la militarizzazione dell'UE dei quattro gruppi parlamentari. Alle voci critiche potrebbero rispondere: cosa c'é di male in un nuovo organo parlamentare? Cosa ci sarebbe da obiettare nei confronti di una intensificazione della cooperazione franco-tedesca? 

Con l'accordo parlamentare nasce un nuovo organo il cui compito sarà quello di  "accompagnare l'attuazione" (Niels Schmidt, SPD) del Trattato di Aachen. Il punto centrale del trattato di Aachen tuttavia riguarda una più stretta cooperazione militare e in particolare l'avanzamento dei progetti di riarmo congiunto. Si dovrà pertanto creare una nuova assemblea che "vigili" sull'attuazione del trattato, ma che secondo l'accordo non dovrà disporre dei diritti di controllo democratico. Lo scopo di questa organo sarà soltanto quello di monitorare l'attuazione dei progetti di riarmo congiunti e gli sforzi militari all'interno della NATO e dell'UE. Con questa restrizione auto-imposta, il nuovo organo si configura come un servizio di accompagnamento per una politica sempre più orientata verso il riarmo e l'esportazione di armi.

È stata la stessa Cancelliera Angela Merkel a sottolineare il valore aggiunto del trattato franco-tedesco di Aachen per l'industria della difesa. La cooperazione con la Francia sugli armamenti sarà utilizzata per allentare le già deboli norme tedesche in materia di esportazione di armi e rendere impossibile in futuro un blocco delle consegne come quello attuale nei confronti dell'Arabia Saudita. A tal fine al trattato di Aachen è stato aggiunto un allegato segreto, che non è mai stato nemmeno presentato al Bundestag.

Con l'obbligo parlamentare di attuare le disposizioni sulla militarizzazione previste dal Trattato di Aachen viene minato anche il dettame di pace previsto dalla Costituzione. Nel quadro della responsabilità tedesca per le due guerre mondiali, i padri costituenti avevano tracciato delle chiare linee costituzionali contro la preparazione della guerra e le esportazioni di armi senza restrizioni. Queste linee di arresto rischiano ora di essere spazzate via dal trattato di Aquisgrana e da un organo parlamentare che ne deve solo accompagnare e monitorare l'attuazione.

L'insegnamento di due guerre mondiali perse non può essere quello di voler costruire portaerei franco-tedesche per una nuova proiezione globale di potenza, di vendere insieme ai francesi armi da guerra in tutto il mondo, oppure trasformare la Germania, con la Francia, nella più forte potenza militare del continente, davanti perfino alla Russia. Invece di un sostegno franco-tedesco in favore dei profitti dei produttori di armi, c'è bisogno di attuare i dettami di pace contenuti nella Legge fondamentale: basta con il riarmo, che serve solo a prepararsi per la guerra! Basta con le micidiali esportazioni di armi da guerra!


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giovedì 21 marzo 2019

Handelsblatt - Con la fusione bancaria la Germania si gioca la sua credibilità

"La fusione bancaria batte tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Se alla fine nascerà una grande banca con una partecipazione pubblica e una garanzia implicita dello stato, allora si tratterà di capitalismo di stato". Se ne sono accorti anche sulla cosiddetta stampa di qualità. Ne scrive Frank Wiebe su Handelsblatt


Il ministro delle finanze tedesco assume un alto banchiere di Goldman Sachs come sotto-segretario. Poi spinge Deutsche Bank e Commerzbank a sondare la possibilità di una fusione. Anche i fautori di questo accordo riconoscono che la riduzione dei costi di finanziamento, grazie al sostegno del governo, sarebbe uno dei principali vantaggi aziendali derivanti dalla fusione.

Se il governo tedesco, il principale azionista di Commerzbank, si fa carico di portare avanti il ​​progetto, non sarà certo il governo a piantare in asso la "Deutsche Commerzbank" - o come si chiamerà. A cosa somiglia? All'economia di mercato? Alla politica di regolamentazione? Ricorda forse la promessa di non scaricare più sul contribuente i rischi del settore bancario?

La risposta è in ogni caso: no. E cosi' la Germania sta mettendo in gioco la sua credibilità. In futuro in Europa non potremo più recitare il ruolo del professore. Cinicamente ci si potrebbe chiedere se questo sia un vantaggio o uno svantaggio. Non sono proprio i politici tedeschi che da sempre chiedono agli altri paesi dell'area dell'euro di rispettare le regole?

Non c'erano forse critiche nei confronti dell'Italia quando il governo italiano aiutava le banche piccole e medie? Non nutriamo il sospetto che in Francia il capitalismo di stato alla Colbert o alla Mitterrand sia ancora molto popolare? I richiami tedeschi suonavano sempre un po' vuoti. Un'ampia quota di mercato gestita dalle banche di diritto pubblico non puo' certo essere un modello di politica di regolamentazione.

Non solo durante la crisi finanziaria c'è stata una forte volontà di spendere denaro pubblico per salvare modelli di business falliti. Ma ancora oggi, come mostra l'esempio attuale di NordLB. Ma la fusione bancaria batte tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Se alla fine nascerà una grande banca con una partecipazione pubblica e una garanzia implicita, allora si tratterà di capitalismo di stato. Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze sotto Luigi XIV, e il presidente socialista François Mitterrand non avrebbero potuto fare di meglio.




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Una bella portaerei per la marina tedesca?

La marina tedesca potrebbe dotarsi di una bella portaerei nuova di zecca, almeno secondo le recenti promesse di AKK e Merkel. Riusciranno la Cancelliera e il nuovo leader della CDU a fare quello che né il Kaiser né il Führer erano riusciti a fare? Dopo i recenti fallimenti nella realizzazione di grandi progetti, in patria ci sono dei forti dubbi in merito. Ne scrive Jens Berger sulle Nachdenkseiten


Cosa sanno fare davvero bene i tedeschi? Costruire aeroporti e navi. E qual'è l’incrocio perfetto fra BER (aeroporto di Berlino) e Gorch Fock (nave a vela)? Una portaerei, esatto. E la sua costruzione è stata proposta con la massima serietà dal nuovo leader della CDU Annegret Kramp-Karrenbauer in una recente riflessione sul futuro dell'Europa. La specialista di costruzioni navali della Saarland ha ricevuto un sostegno convinto e di spessore nientemeno che dalla Cancelliera stessa. Angela Merkel trova che l'idea di una portaerei tedesca sia "buona e giusta" e addirittura accetta l'idea di "lavorarci sopra". Se la Cancelliera avesse successo, riuscirebbe a fare quello che prima di lei né il Kaiser né il Führer erano riusciti a fare, i tedeschi finalmente avranno un posto al sole. Un testo di Jens Berger


Volevamo solo una pensione decente e dei salari onesti, e invece abbiamo ottenuto dei taxi volanti e una portaerei – un giorno potrebbe essere raccontato così il "bilancio" del governo dell’Unione. Tutti sanno ormai che la nostra Cancelliera divina non si occupa più di questioni terrene come la catastrofe dell’assistenza sanitaria, il malessere socio-economico dei suoi sudditi ingrati o persino di questioni banali come la politica climatica. Alla fine del suo mandato, Angela Merkel ambisce a qualcosa di più alto. Ora fa politica per entrare nei libri di storia! Ma cosa dovrebbe essere scritto nei libri di storia? Che porta sulla coscienza l’aver rovinato le relazioni tedesche e dell’UE con la Russia? Che ha sempre obbedito agli interessi delle compagnie automobilistiche e del vecchio alla Casa Bianca? Dal momento che tutto ciò non è così piccante, c'è bisogno almeno di una nave da guerra che porti il suo nome, una nave le cui dimensioni siano degne di lei. Se la marina tedesca dovesse intitolare il suo prossimo rimorchiatore a Gerhard Schröder, per la prima e migliore Cancelliera della Germania c’è bisogno di qualcosa di più!

Beh, la piu’ giovane fra le portaerei americane, la USS Gerald R. Ford, è costata circa 18 miliardi di dollari – facendo le dovute proporzioni per la Germania, incluso il moltiplicatore di Stuttgart-21 e quello della "Filarmonica dell'Elba" si raggiungerebbe probabilmente l'intero debito nazionale della Grecia. Ma la Cancelliera uscente dovrebbe valere almeno questa somma. Oppure? Potrebbe anche essere leggermente problematico il fatto che la Germania in realtà non ha alcun bisogno di una portaerei. Tali basi galleggianti sono elementi fondamentali di una dottrina chiamata "proiezione di potenza globale". Non hanno nulla a che fare con la difesa, ma con la possibilità di imporre i propri interessi in tutto il mondo per mezzo di una forza offensiva. Ma noi comuni mortali cosa ne sappiamo del genio strategico delle signore Kramp-Karrenbauer e di Merkel, entrambe GRÖCAZ (größten CDU-Vorsitzenden aller Zeiten)?

La storia delle portaerei tedesche non è affatto gloriosa. Nella Marina imperiale erano in servizio solo quattro piccole "navi portaerei" utilizzate principalmente per combattere contro gli idrovolanti russi nel Mar Baltico. I piani per il „Flugzeugdampfer I“, che avrebbe dovuto navigare contro "Engeland" e avrebbe dovuto assicurare ai tedeschi un legittimo posto al sole, furono abbandonati nell'ottobre del 1918. Venti anni dopo fu varata l'unica portaerei di Hitler utilizzata però solo come deposito di legname e abitazione galleggiante. Nemmeno la macchina da guerra di Hitler era riuscita a trovare una funzione per un simile mostro. Ma probabilmente il caporale boemo non pensava abbastanza in grande e in materia di proiezione di potenza su scala globale avrebbe dovuto prendere ripetizioni da AKK e Merkel.

Ora una marina che fallisce miseramente nel tentativo di riparare una nave a vela, in futuro dovrebbe difendere l'Europa da tutto il mondo? Bene, se questo non è un piano audace. Qual è la prossima idea delle grandi menti della CDU? I taxi aerei e le portaerei sono difficili da eguagliare e superare. Che ne dite di una missione tedesca su Marte? O forse sarebbe meglio con Alpha Centauri? E perché allora non costruire una Torre di Merkel alta mille metri nella bellissima Uckermark? Fino a quando l'Unione non avvierà un gigantesco e irrealistico progetto come la copertura delle buche sulla B192, sarà il cielo l'unico limite per dei piani audaci che possano aiutare veramente il paese. In questo modo - considerando il moltiplicatore Stuttgart-21 e e quello della "Filarmonica dell'Elba" (2 progetti clamorosamente andati male) - nell'anno 2139 la nipote di Philipp Amthor (giovane della CDU) nel suo ruolo di cancelliera tedesca potrà battezzare la nuova portaerei con il nome "MS Angela Merkel" - naturalmente da un taxi aereo.


mercoledì 20 marzo 2019

Perché in Germania gli affitti crescono molto piu' in fretta delle retribuzioni

E' sicuramente vero che negli ultimi anni le retribuzioni tedesche sono cresciute, ma è altrettanto vero che il prezzo degli affitti è cresciuto molto piu' in fretta e si è mangiato una fetta crescente del reddito dei lavoratori. Quello che l'uomo della strada aveva intuito da tempo, cioè che il boom immobiliare e l'enorme afflusso di migranti hanno fatto arricchire i grandi proprietari di immobili, ora viene certificato dai dati ufficiali. Ne scrive Welt


I salari e gli stipendi in Germania stanno crescendo in fretta. Ma gli affitti per i nuovi contratti di locazione crescono ancora più in fretta. Questo è quanto emerge dall'analisi degli ultimi dati disponibili. 

Nelle grandi città molti hanno l’impressione che i costi per la casa stiano crescendo a dismisura. Soprattutto se vivono in affitto. Le statistiche ufficiali sul mercato immobiliare tedesco spesso mostrano solo una parte della verità, ad esempio, quando si tratta di individuare il costo effettivo per le famiglie.

Alla fine l'elemento decisivo è la percentuale di reddito che viene spesa per l'affitto. Un'analisi recente mostra che l'impressione di molti cittadini probabilmente non è sbagliata: il costo degli affitti per i nuovi contratti cresce molto più in fretta dei redditi. Addirittura ad una velocità quasi doppia.

Nel 2017 la crescita nominale dei redditi a livello nazionale rispetto all'anno precedente è stata del 2,5 %. Gli affitti per i nuovi contratti, al contrario, sono aumentati del 4,5% rispetto all’anno prima. Questo è quanto emerge da una risposta del governo federale ad una interrogazione del gruppo parlamentare dei Verdi.



Nel 2018 questa dinamica ha addirittura accelerato. Nel primo trimestre dello scorso anno l'indice dei salari nominali è aumentato del 2,7% rispetto al primo trimestre del 2017, mentre i nuovi canoni contrattuali sono aumentati in media di un buon 5,5%. Nel terzo trimestre, la crescita è stata del 3,6 % per gli stipendi e del 5,1 % per gli affitti.

I dati sui salari del quarto trimestre non sono ancora disponibili. La valutazione si basa sui prezzi degli affitti raccolti dal Bundesinstitut für Bau-, Stadt- und Raumforschung (BBSR), nonché sui tassi di variazione delle retribuzioni mensili lorde raccolti dall'Ufficio federale di statistica.



"Già da molto tempo ormai gli affitti in Germania corrono piu’ in fretta delle retribuzioni", afferma Chris Kühn, portavoce per la politica edilizia e abitativa del gruppo parlamentare dei Verdi. "Misure prive di senso come il Baukindergeld non risolveranno il problema", afferma Kühn. E chiede una migliore regolamentazione: "per mettere finalmente sotto controllo i prezzi degli affitti saliti ormai alle stelle, abbiamo bisogno di un Mietpreisbremse che funzioni".

Ma il confronto fra i dati nazionali relativi al costo degli affitti e l’andamento delle retribuzioni mostra solo una parte della storia. Perché soprattutto nelle metropoli, ma sempre di più anche nelle piccole città, gli affitti stanno aumentando molto più rapidamente della media nazionale. A Berlino, ad esempio, i proprietari hanno aumentato gli affitti per i nuovi contratti del 13% in soli dodici mesi. Lo mostrano i dati della piattaforma Immowelt.de. Nel secondo trimestre i salari nominali nella capitale sono aumentati solo dell'1,6 percento.

C'è una generale mancanza di nuove abitazioni, si dice ovunque - la colpa spesso viene data alla politica e all'amministrazione pubblica. In realtà continua a crescere il monte dei permessi edilizi inutilizzati. Ciò potrebbe essere dovuto anche al livello estremo di utilizzazione delle capacità dell'industria delle costruzioni.


La scorsa settimana, Felix Pakleppa, presidente dell'Associazione nazionale dei costruttori ha riconosciuto che l'obiettivo di 400.000 nuove case all'anno indicato dal governo federale non è realizzabile. "Pensiamo che 320.000 case possa essere un obiettivo realistico", ha detto. "Ci aspettiamo di avere una forte domanda di nuovi alloggi ancora per due o tre anni. Dopodiché la domanda tornerà a scendere.

Una dichiarazione supportata da una recente ricerca di mercato di DB Research. "L'elasticità dell'offerta rimane bassa, motivo per cui il ciclo nazionale dovrebbe durare almeno fino al 2022", si dice. I prezzi per l’acquisto di un appartamento quest’anno tuttavia, cresceranno di circa l’8%.
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martedì 19 marzo 2019

Peter Bofinger: perché dobbiamo liberarci quanto prima dall'ideologia dello Schwarze Null

Il grande economista Peter Bofinger, per oltre 15 anni membro del prestigioso Consiglio degli esperti economici tedeschi, dalle pagine della IPG (Internationale Politik und Gesellschaft) ci spiega perché la Germania deve liberarsi quanto prima dalla assurda ideologia dello Schwarze Null. Ne scrive Peter Bofinger sulla rivista IPG.

Quando i nostri figli e nipoti fra 30 anni guarderanno indietro per capire cosa è accaduto in questo periodo, probabilmente si chiederanno per quale motivo un paese civile come il Regno Unito abbia potuto prendere in considerazione l'idea di uscire dall'Unione Europea rinunciando alle sue prospettive economiche e politiche. Guardando alla Germania invece, si chiederanno perché la terra dei poeti e dei pensatori abbia scelto di seguire ciecamente l'ideologia dello "Schwarze Null": come è possibile che la Germania abbia intenzionalmente deciso di rinunciare gli investimenti per il futuro - credendo anche di fare un favore alle generazioni future?

La SPD sembra essere in procinto di correggere gli errori del passato. Ciò vale in particolar modo per le riforme del mercato del lavoro realizzate nel 2005 sotto il cancelliere federale Gerhard Schröder, il quale aveva incaricato una commissione sotto la presidenza di Peter Hartz, l'ex direttore del personale della Volkswagen. Le riforme Hartz per molti anni sono state celebrate come una grande conquista. Ad un esame più attento, tuttavia, è chiaro che assomigliano molto alla fiaba "I vestiti nuovi dell'Imperatore".


Perché i successi dell'economia tedesca sui mercati mondiali non hanno nulla a che fare con il fatto che con Hartz IV i  benefici per i disoccupati di lunga durata sono stati ridotti. Se una tale riforma fosse davvero un punto di svolta, allora l'economia italiana e greca dovrebbero prosperare, dopotutto, i disoccupati di lunga durata in quei paesi non ricevono alcun sostegno statale. È quindi positivo che la SPD abbia iniziato a mettere sotto esame Hartz IV, casualmente anche con effetti positivi sui risultati dei loro sondaggi.

Proprio per questa ragione la SPD dovrebbe essere coraggiosa e prendere le distanza dall'ideologia dello "Schwarze Null", ideologia secondo la quale i bilanci pubblici devono essere sempre in pareggio. Perché a sostegno di questa regola, che a partire dalla crisi finanziaria globale è stata inserita anche in Costituzione con il nome di "freno all'indebitamento", non ci sono argomenti economici validi.

In Germania, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo attualmente è del 56%. Questa cifra è inferiore al limite del 60% fissato dal Trattato di Maastricht e ben al di sotto del livello degli altri paesi del G7: il Giappone ha il più alto rapporto debito PIL, al 237% del PIL, seguito dall'Italia (129%), Stati Uniti Stati (108%), Francia (96%), Regno Unito (87%) e Canada (85%).

Finora la scienza economica non è riuscita a calcolare un limite massimo convincente per il rapporto debito/PIL degli Stati. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel 2010 in un articolo scritto per l'American Economic Review avevano identificato una soglia del 90 %, lo studio tuttavia conteneva alcuni dati errati. Inoltre, nonostante il suo elevato rapporto debito/PIL, il Giappone non ha mai avuto problemi a prendere in prestito nuovo denaro. Non c'è mai stata una grande crisi di fiducia nei confronti dello yen. Al contrario, la valuta giapponese spesso in passato è andata meglio di quanto non abbia fatto l'economia giapponese.

Ma anche supponendo che un rapporto debito/PIL al 60% per la Germania sia appropriato, lo Schwarze Null non è giustificato. Supponiamo che il prodotto interno lordo nominale continui a crescere di circa il 3% all'anno. In questo caso, il deficit di bilancio annuale della Germania potrebbe ammontare all'1,8% del PIL, quindi il rapporto debito/PIL rimarrebbe al livello attuale. Ciò deriva da una formula semplice: il livello di deficit, che consente di mantenere costante il rapporto debito/PIL è il prodotto del tasso di crescita del PIL nominale e del rapporto debito/PIL (3 x 0,6 = 1,8). La Germania, quindi, ogni anno potrebbe spendere circa 60 miliardi in più in investimenti pubblici.

Con un deficit di questa portata, la Germania si troverebbe ad un livello simile al resto del G7. Attualmente il deficit è del 5,0% negli Stati Uniti, del 2,8% in Giappone, dell'1,7% nel Regno Unito e in Italia e dell'1,1% in Canada.

Sebbene non esista una solida base teorica per stabilire un limite massimo nel rapporto debito/PIL, si può affermare che l'indebitamento di un paese sovrano può essere giustificato se il denaro viene utilizzato per finanziare gli investimenti per il futuro. Questa è la "regola d'oro" delle politiche di finanza pubblica, che può essere dedotta dalla ottimale distribuzione delle risorse nel tempo. La logica di questa regola è tanto semplice quanto intuitiva: se lo stato costruisce un nuovo ponte che può essere utilizzato nei prossimi 50 anni, non vi è alcun motivo per pagarlo solo con le entrate dell'anno in corso.

Persino l'ultra-conservatore "Consiglio tedesco dei saggi economici" nel 2007 ha esplicitamente confermato il principio della regola aurea in una relazione speciale pubblicata sotto il titolo: "Limitare in modo efficace il debito pubblico". Gli economisti sostenevano che la richiesta di un generale divieto all'indebitamento era "economicamente priva di senso, come lo sarebbe proibire ai privati ​​o alle aziende di prendere denaro in prestito".

Se la Germania rinunciasse allo Schwarze Null come leitmotiv della sua politica fiscale e iniziasse invece a seguire la regola aurea, si potrebbe fare molto per migliorare la prosperità e la qualità della vita delle generazioni future. Il risultato sarebbe una maggiore stabilità politica: migliori infrastrutture pubbliche e maggiori risorse da dedicare all'istruzione contrasterebbero una insoddisfazione ampiamente diffusa nei confronti della classe politica. Con i fondi pubblici sarebbe possibile aumentare considerevolmente le attività di ricerca nel nostro paese e l'uso di energie rinnovabili - in linea con la già pianificata transizione energetica.

Più investimenti pubblici in Germania, inoltre, darebbero un contributo alla riduzione dell'eccedenza commerciale tedesca e a riequilibrare gli squilibri economici all'interno dell'area dell'euro. Questo, a sua volta, potrebbe togliere il vento dalle vele del protezionismo del governo americano, particolarmente critico nei confronti della Germania a causa del suo surplus di conto corrente molto elevato.

I vantaggi economici e politici di un simile cambio di paradigma fiscale sono ovvi. Allo stesso tempo è difficile capire cosa la Germania potrebbe avere da guadagnare se restasse ancorata allo Schwarze Null. In termini puramente matematici nei prossimi 20 anni il rapporto debito/PIL scenderebbe dall'attuale 56% al 31%. Nessun economista serio potrebbe ragionevolmente giustificare perché un rapporto debito/PIL così basso dovrebbe essere vantaggioso.

La più importante sfida politica del futuro sarà quella di superare la  profonda riluttanza dei tedeschi ad accettare l'indebitamento. A differenza di altre lingue, il termine "Schulden" (debito) in tedesco porta dentro di sé il significato di "Schuld" (colpa) e quindi ha una particolare connotazione negativa. A ciò bisogna aggiungere il fatto che è molto difficile spiegare il meccanismo tramite il quale il rapporto debito/PIL rimane stabile quando il debito pubblico aumenta in proporzione al PIL nominale.

Ciò tuttavia non dovrebbe essere una scusa per attenersi allo Schwarze Null e rinunciare all'enorme potenziale economico e politico di un simile cambio di paradigma per la Germania. Nella storia dei "Vestiti nuovi dell'imperatore", un bambino pronuncia l'ovvio: il re è nudo. La SPD dovrebbe avere il coraggio di fare la stessa cosa nei confronti del mito dello zero nero.

La retromarcia della SPD sulle riforme Hartz dimostra che tale coraggio può anche pagare. Già oggi ci sono dei prominenti economisti tedeschi pronti a mettere in discussione il pareggio di bilancio. Adesso anche la politica dovrebbe cedere. E in questo modo tutti noi fra 20 o 30 anni non dovremo confrontarci con la domanda dei nostri figli e nipoti su come sia stato possibile sprecare una così grande occasione per migliorare il loro benessere economico e politico, proteggendo l'ecosistema.