Nei grandi macelli tedeschi l'epidemia di Covid-19 ha colpito centinaia di lavoratori migranti provenienti dall'Europa dell'est, scatendando addirittura la protesta ufficiale delle ambasciate dei paesi di origine. Si tratta di forza lavoro a basso costo, fornita spesso da subappaltatori senza troppi scrupoli, che garantisce ai grandi mattatoi tedeschi la possibilità di invadere i mercati europei e mondiali con dei prodotti dal prezzo competitivo e Made in Germany. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy
Troppo lavoro, salario troppo basso
Le condizioni catastrofiche nelle quali i lavoratori migranti, provenienti in particolare dall'Europa dell'est o del sud-est, sono costretti a lavorare nei mattatoi tedeschi sono note da anni. L'orario di lavoro spesso è molto più lungo di quanto consentito dalla legge; nello Schleswig-Holstein, ad esempio, è stato documentato un caso in cui i dipendenti dovevano fare un turno di dodici ore per cinque giorni alla settimana, a volte con un sesto giorno lavorativo. [1] I bassi salari spesso vengono pagati in maniera non regolare; in caso di malattia il pagamento dello stipendio non sempre è garantito. Anche la salute e la sicurezza sul lavoro lasciano molto a desiderare; numerosi lavoratori hanno dovuto lottare contro i licenziamenti arbitrari oppure sono stati minacciati. I gestori dei macelli possono continuare a mantenere queste miserabili condizioni di lavoro solo grazie all'evidente divario in termini di ricchezza presente nell'UE: i miseri guadagni promessi, infatti, restano comunque attraenti per molti lavoratori provenienti dai paesi ad est o sud-est dell'UE. Numerosi lavoratori - in alcuni mattatoi fino all'80% della forza lavoro - vengono infatti intermediati da dei subappaltatori parzialmente o estremamente dubbi, il che favorisce ulteriormente lo sfruttamento delle persone colpite. Questi - soprattutto a causa della mancanza di competenze linguistiche - hanno poche possibilità di difendere i loro diritti.
Difficile trovare un macello senza violazioni
Lo sfruttamento senza limiti dei lavoratori provenienti dall'Europa dell'est e sud-est da anni viene duramente criticato dai sindacati tedeschi, dalle associazioni religiose e dalle organizzazioni non governative. Le agenzie governative, d'altra parte, non hanno mai preso le misure necessarie e appropriate per contrastare il fenomeno; a parte i controlli inadeguati, come affermato in una lettera di fine gennaio della confederazione sindacale DGB dello Schleswig-Holstein, esistono "lacune legali e lacune procedurali" che "offrono ancora troppo spazio ai subappaltatori e agli operatori dei macelli", "leggi senza sanzioni e molto facili da eludere (ad esempio: legge sull'orario di lavoro e le leggi sulla salute e la sicurezza sul lavoro)". [2] L'estensione del fenomeno emerge da un controllo che il Land Nordrhein-Westfalia ha effettuato l'estate scorsa in 30 dei 34 macelli più grandi. Solo in due aziende non sono state riscontrate violazioni, è stato riferito; già dopo un'analisi del 40 % dei documenti sequestrati, sono state scoperte oltre 3.000 violazioni dell'orario di lavoro, inclusi i contratti di lavoro da 16 ore; in oltre 900 casi, l'assistenza sanitaria prescritta non era garantita; in 26 delle 30 società vi erano numerosi gravi mancanze in termini di salute e sicurezza [3].
Posizione di vertice nel mercato mondiale
Le disastrose condizioni nei macelli non solo consentono all'industria della carne tedesca di vendere carne a basso prezzo sul mercato interno. Ma offrono anche l'opportunità di competere sul mercato mondiale per importanti quote di export. Le aziende tedesche, infatti, hanno avuto negli ultimi anni un discreto successo. La Germania attualmente è il quinto esportatore di carne al mondo (dopo Stati Uniti, Brasile, Australia e Paesi Bassi) e il terzo esportatore di carne di maiale (dopo Spagna e Stati Uniti) in termini di valore dell'export; le vendite provenienti dalle sole esportazioni di maiale nel 2019 sono state di circa 5 miliardi di dollari. Il più grande mattatoio tedesco, Tönnies a Rheda-Wiedenbrück, nel Nord Rhein-Westfalia, nell'ultimo anno, con la lavorazione di circa 20,8 milioni di suini - più di tre quarti in Germania - e 440.000 capi di bovini, ha raggiunto un fatturato record di 7,3 miliardi di euro. [4] La società non diffonde i dati sui suoi profitti.
Aumento del rischio di infezione
Fra le condizioni che consentono all'industria della carne tedesca di generare vendite importanti e di mantenere una posizione di vertice sul mercato mondiale c'è anche quella di far alloggiare i lavoratori dell'Europa orientale e sud-orientale in abitazioni alquanto misere, per le quali gli affitti sono troppo alti e che di solito vengono regolarmente detratti dai loro salari. Fra questi ci sono gli alloggi collettivi nelle stalle riconvertite oppure dei vecchi appartamenti, spesso sovraffollati, scarsamente arredati e con delle attrezzature igieniche insufficienti: "alloggi collettivi, in stabili disastrati, in stanze distrutte, stipate di persone", afferma il prete cattolico Peter Kossen, che da anni si batte per avere migliori condizioni lavorative nel settore della carne [5]. La sistemazione di gruppi di lavoratori in spazi angusti, con la presenza di muffa che causa malattie respiratorie, favorisce la diffusione di malattie virali, come del resto accade con il trasporto dei lavoratori a basso salario verso i macelli effettuato con dei minibus molto piccoli. Il Robert Koch Institute lo aveva confermato espressamente quasi un anno fa. All’epoca, nel corso del 2018, si erano verificati 13 casi di tubercolosi tra i dipendenti di due macelli della Bassa Sassonia; uno conclusosi fatalmente. Dei 13 malati, undici erano rumeni. Il Robert Koch Institute aveva dichiarato esplicitamente che "le condizioni di vita ristrette all’interno di spazi condivisi" hanno portato "ad un aumento del rischio di trasmissione"; inoltre, potrebbe esserci un "rischio di infezione ... a causa dei lunghi tempi di viaggio in veicoli condivisi, sia nei viaggi dal paese di origine verso la Germania", che " nei viaggi tra casa e lavoro (principalmente nel servizio navetta delle società subappaltatrici)". I 13 casi sono stati una “evidente esplosione" di tubercolosi. [6]
Centinaia di infezioni da Covid-19
L'aver totalmente ignorato per molti anni le disastrose condizioni di vita e di lavoro degli europei dell'est e del sud-est, che con il loro lavoro garantiscono la disponibilità di carne a basso costo nei supermercati tedeschi e alti profitti alle aziende tedesche nel settore della macellazione, ora sta avendo un impatto anche sulla pandemia di Covid 19. A fine aprile, il governo rumeno ha fatto sapere che 200 dei 500 lavoratori rumeni occupati in un macello a Birkenfeld (Baden-Württemberg) erano stati infettati dal virus Covid-19. [7] Nel frattempo, sono emersi anche altri casi che riguardano i macelli di Oer-Erkenschwick (Renania settentrionale-Vestfalia) e Bad Bramstedt (Schleswig-Holstein). Recentemente ha fatto notizia un mattatoio a Coesfeld (Renania settentrionale-Vestfalia), dove fino a ieri 249 dipendenti erano risultati positivi al Covid-19, inclusi numerosi rumeni, bulgari e polacchi; 278 risultati dei test erano ancora in sospeso. [8] Le tristi condizioni che costringono molti lavoratori dell'Europa orientale e sudorientale in Germania a vegetare destano meno attenzione rispetto al fatto che le infezioni hanno fatto crescere le statistiche Covid-19 del distretto di Coesfeld al di sopra della soglia dei 50 nuovi contagi ogni 100.000 abitanti, soglia oltre la quale il lockdown deve essere prolungato.
La protesta
Il fatto che decine di migliaia di cittadini provenienti dall'Europa dell’est e sud-est debbano vivere e lavorare in condizioni che li espongono sistematicamente al rischio di infezione da Covid-19, ha causato proteste in molti dei loro paesi di origine. La Germania non solo deve fornire "più risorse per le ispezioni" nei macelli, ma dovrebbe anche avviare "una campagna di informazione", che "enfatizzi i diritti che i datori di lavoro tedeschi dovranno rispettare", afferma il deputato rumeno Dragoș Pîslaru dell'alleanza USR-PLUS. [9] Inoltre, come ammesso anche dal Ministro del lavoro tedesco Hubertus Heil, diverse ambasciate degli Stati membri dell'UE dell'Europa orientale e sud-orientale si sono lamentate con il governo federale per il trattamento riservato ai loro cittadini in Germania e si sono "espressamente riservati di prendere altre misure", ad esempio fermando la partenza dei lavoratori stagionali, che vivono e lavorano in condizioni analoghe a quelle dei loro colleghi nei macelli. [10] E ciò significa che Berlino, oltre a dover affrontare un forte risentimento da parte di Francia e Lussemburgo [11] causato della chiusura unilaterale delle frontiere, e a confrontarsi con una rabbia crescente nell'Europa meridionale causata della sua politica anti-crisi, specialmente in Italia [12], ora potrebbe trovarsi di fronte anche ad un altro conflitto radicato molto in profondità fra le popolazioni dei paesi colpiti.
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[1], [2] Schleswig-Holsteinischer Landtag: Umdruck 19/3501. 29.01.2020.
[3] Sabine Tenta: Desaströse Arbeitszustände in NRW-Schlachthöfen. www1.wdr.de 16.10.2019.
[4] Anja Müller, Katrin Terpitz: Großschlachterei Tönnies knackt die Umsatzmarke von sieben Milliarden Euro. handelsblatt.com 05.03.2020.
[5] Wenke Husmann: "Die Leute haben große Angst". zeit.de 10.05.2020.
[6] Robert Koch-Institut: Epidemiologisches Bulletin Nr. 26. 27.06.2019.
[7] Mehr als 200 rumänische Arbeiter in Schlachthof mit Coronavirus infiziert. spiegel.de 29.04.2020.
[8] Infektionszahlen in Coesfeld weiter gestiegen. aerzteblatt.de 11.05.2020.
[9] Dana Alexandra Scherle: Rumänischer EU-Abgeordneter Pîslaru: Mehr Schutz für Saisonarbeiter! dw.com 08.05.2020.
[10] Massimo Bognanni, Oda Lambrecht: "Unhaltbare Zustände". tagesschau.de 08.05.2020.
[11] S. dazu Bleibende Schäden (I).
[12] S. dazu Die Solidarität der EU (II) und Germany First.