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mercoledì 6 maggio 2020

"Quella strana prova di forza dei giudici di Karlsruhe"

Prime impressioni dalla stampa tedesca dopo la importante sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe. Per Stefan Kaiser su Der Spiegel si tratterebbe di una inspiegabile prova di forza dei giudici costituzionali tedeschi che intervengono in una disputa di natura politica:


La strana prova di forza dei giudici costituzionali

(...) Perché, ci si potrebbe chiedere, la Corte costituzionale federale proprio ora ha deciso di iniziare a silurare le fondamentali misure di sostegno delle banche centrali?

Ma questa accusa da sola non basta. È compito dei giudici esaminare i ricorsi costituzionali - e il fatto che il verdetto sia  stato pronunciato proprio in questo momento, al culmine di una nuova crisi, potrebbe essere solo un puro caso.

Eppure a prima vista la sentenza non solo è irritante, come dice il giudice Voßkuhle, ma lo è anche ad un secondo sguardo. Soprattutto il ragionamento utilizzato dai giudici per argomentare sembra strano. Accusano i banchieri centrali di aver trascurato gli effetti collaterali del loro programma di acquisto di obbligazioni e di non aver fatto suffcienti previsioni sul loro "impatto economico" - e cioè cosa significano i tassi di interesse a zero per gli azionisti, i proprietari di immobili, i risparmiatori e le aziende.

I giudici intervengono in una disputa politica

Come se questi effetti collaterali non venissero discussi pubblicamente da anni - e anche dai membri del Consiglio direttivo della BCE. In ogni occasione, l'ex presidente della BCE Mario Draghi, ma soprattutto i governatori delle banche centrali nazionali, come il tedesco Jens Weidmann, ne sottolinevano le conseguenze - e su questa base hanno discusso anche violentemente.

Alcuni, tra i quali anche Draghi, ritenevano che l'obiettivo di una politica monetaria funzionante fosse così importante da doverne accettare gli effetti collaterali. Gli altri, come Weidmann, la vedevano in maniera diversa. È stata una lotta lunga e dura. In questo contesto, sembra davvero assurdo che i giudici costituzionali sostengano seriamente che non vi sia stata un'analisi sufficiente degli effetti.

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Per Mark Schieritz su Die Zeit il vero obiettivo della sentenza sarebbe quello di segnalare l'autonomia dei giudici di Karlsruhe nei confronti della Corte Europea, ma soprattutto, per il commentatore dopo questo verdetto emerge con forza un elemento: l'integrazione europea ha raggiunto i suoi limiti naturali, senza una modifica dei trattati non si potranno fare altri passi in avanti.


La Corte costituzionale federale lascia alla BCE una porta sufficientemente aperta affinché possa continuare i suoi tanto discussi acquisti di titoli di stato. Ma questa è l'unica nota positiva di questo verdetto confuso, euroscettico ed economicamente discutibile. (...)

Non c'è internet a Karlsruhe?

Secondo i giudici di Karlsruhe, la BCE non avrebbe dimostrato in maniera sufficientemente chiara se i vantaggi delle misure superano i possibili svantaggi. Il Bundestag ora è chiamato ad intervenire affinché si verifichi un siffatto test di proporzionalità. Ci si chiede pertanto, cosa faranno, secondo la Corte, gli oltre 3000 impiegati della banca centrale nelle loro lunghe giornate? Si girano i pollici? La politica monetaria corrisponde alla costante ricerca di un equilibrio fra vantaggi e svantaggi. Basta fare un clic sul sito web della BCE, per trovare pagine e pagine di interventi, post di blog e articoli dei membri del Comitato esecutivo su questo tema. Non c'è internet a Karlsruhe?

E la sentenza prosegue con lo stesso stile. Al fine di documentare il rischio derivante dai bassi tassi di interesse per i risparmiatori, i giudici citano uno studio dell'Associazione federale delle banche pubbliche, secondo il quale la politica dei bassi tassi di interesse è un pericolo. Sarebbe come fare riferimento a una dichiarazione di Daimler sulle emissioni del diesel. Chi determina effettivamente i tassi di interesse? Certamente non è solo Christine Lagarde. I giudici avrebbero dovuto chiedersi perché il denaro costa cos' poco non solo in Europa, ma perché accade lo stesso in tutto il mondo. Ma evidentemente non lo hanno fatto in maniera sufficientemente approfondita. Né  si sono chiesti cosa accadrebbe alla previdenza integrativa se i tassi di interesse aumentassero e se l'unione monetaria dovesse frantumarsi.

(..) Una spiegazione chiarificatrice sul verdetto appena dato è che i giudici di Karlsruhe stavano cercando una leva che garantisse loro il diritto permanente di avere l'ultima parola. In definitiva, non vogliono sottomettersi alla Corte di giustizia europea. E' una posizione comprensibile in termini di teoria democratica ed è nella tradizione della corte. Ma i giudici dovrebbero essere consapevoli di quello che in questo modo stanno facendo. Se la Germania pensa di potersi sottrarre al primato del diritto europeo, cosa potremmo dire allora ai polacchi o agli ungheresi che per ragioni completamente diverse hanno dei seri problemi con i requisiti europei?

La BCE ora scriverà la sua difesa, e davanti alla corte chiarirà che il nuovo piano di aiuti per il Coronavirus differisce sostanzialmente dal programma di acquisto titoli appena messo in discussione. È probabile che in questo modo possa avere successo. Anche i giudici di Karlsruhe non dovrebbero avere alcun interesse a distruggere l'unione monetaria.

È anche chiara un'altra cosa, e cioè: con una simile Corte sullo sfondo, non si può affrontare una questione che conosciamo già dalla crisi dell'euro e che abbiamo riascoltato durante la crisi del coronavirus. E' la politica fiscale a dover salvare la moneta unica, non la banca centrale. Ma anche qui i trattati europei stabiliscono dei limiti che impediscono agli stati membri di introdurre delle misure di vasta portata come gli eurobond. E in caso di dubbio, anche gli eurobond finirebbero davanti alla corte di Karlsruhe. Questa sentenza mostra che il potenziale della politica di integrazione nel quadro dell'attuale sistema giuridico si è ampiamente esaurito. Se vogliamo piu' Europa, bisogna cambiare i trattati.


Su Die Welt invece Holger Zschäpitz saluta con entusiasmo il verdetto della Corte di Karlsruhe e con una certa soddisfazione annuncia ai suoi lettori: il „Whatever it takes“ potrebbe essere solo un ricordo del passato:



(...) Il verdetto è un colpo di gong. Nessun esperto in materia in realtà si aspetta che le autorità monetarie di Francoforte interrompano immediatamente gli acquisti di titoli di stato. La Corte costituzionale federale, tuttavia, ha voluto chiarire alla BCE che c'è un'autorità che controlla la politica delle istituzioni monetarie. Come del resto stava accadendo durante la crisi del Coronavirus, che con tutti i suoi programmi di salvataggio a molti osservatori aveva dato la sensazione che la BCE si stesse praticamente scrivendo da sola le proprie regole e stesse operando liberamente secondo il motto del "Whatever it takes". Il duro verdetto di Karlsruhe ha notevolmente ridotto gli spazi disponibili per la BCE. Finora, il potere della BCE sui mercati finanziari si basava anche sul fatto che potenzialmente poteva agire in maniera illimitata. (...)

I giudici di Karlsruhe in questo modo hanno fatto capire che ci sono dei chiari limiti ai programmi di salvataggio e che in futuro si dovrà rispettare anche la regola del capital-key. Gli acquisti illimitati a piacimento sembrano contrastare con il principio della proporzionalità. Sebbene la sentenza si riferisca solo al programma di acquisto dalla ingombrante sigla PSPP, è naturale che tali condizioni si applichino anche al nuovo programma di salvataggio dalla sigla PEPP (Programma di acquisto per l'emergenza Pandemica), per il quale la BCE finora ha avuto tutta la flessibilità possibile. Fino a quando il Bundestag non emetterà un assegno in bianco alla BCE, il margine di manovra si restringerà considerevolmente.

"Mi aspetto che la BCE nelle prossime settimane modifichi le caratteristiche del PEPP", afferma Bernd Lucke, professore di economia ad Amburgo e uno dei ricorrenti. I giudici di Karlsruhe avrebbero definito dei criteri chiari per evitare di arrivare al finanziamento monetario degli stati, e il programma di salvataggio PEPP li avrebbe chiaramente violati. Se la BCE non dovesse agire, a Karlsruhe potrebbero esserci nuove cause, ed è ipotizzabile che i ricorrenti possano cercare di ottenere un pronunciamento immediato.

Sembra quasi che il  „Whatever it takes“ ormai sia solo un ricordo del passato.

domenica 29 luglio 2018

Perché il ricalcolo delle quote BCE sarebbe un problema per il debito italiano

Ai tedeschi il programma di acquisto titoli della BCE non piace proprio e in previsione del ricalcolo delle quote di capitale nel 2019 Die Welt si lascia andare allo Schadenfreude: nella nuova BCE la Germania sarà ancora piu' forte e si potranno acquistare sempre meno titoli italiani, non è da escludere una nuova crisi debitoria nel sud-Europa. Ne parla Holger Zschäpitz su Die Welt


(...) Ironia della sorte, proprio nel sesto anniversario del „whatever it takes“, la promessa con cui Draghi nel 2012 in solitaria ha praticamente salvato l'euro e ha garantito alla zona euro un programma anti-crisi durato fino ad oggi, il presidente della BCE è sembrato alquanto abbottonato quando gli è stato chiesto come dovrebbe avvenire concretamente l'uscita dal programma di acquisto titoli.

Il tempo a disposizione del consiglio BCE sta per scadere. Dal 2015 la BCE ha messo nei suoi libri 2.1 trilioni di euro solo in titoli di stato. A questi bisogna aggiungere molte obbligazioni societarie e i titoli coperti da proprietà immobiliari.

Nel frattempo alcune di queste obbligazioni sono già scadute, e la BCE ha reinvestito il denaro incassato per il riacquisto. Cio' dovrebbe continuare anche se la BCE, come previsto, dovesse smettere di acquistare nuovi titoli dall'inizio del prossimo anno. 

Per quanto tempo la BCE continuerà a sostituire le obbligazioni in scadenza?

Le molte questioni sollevate da questa strategia tuttavia fino ad ora sono rimaste senza risposta: ad esempio, per quanto tempo la BCE intende sostituire le obbligazioni in scadenza con quelle nuove. O ancora piu' urgente, verso quali titoli il denaro dovrebbe continuare a fluire. Dopotutto si tratta di miliardi di euro che potrebbero turbare i mercati.

"Non ne abbiamo discusso", ha fatto notare Draghi a chi glielo ha chiesto e si è sforzato di smorzare qualsiasi discussione in merito: "non abbiamo nemmeno parlato di quando ne dovremo discutere". Alla fine tuttavia ha annunciato che i reinvestimenti saranno basati sulla partecipazione al capitale delle banche centrali.


Ma questo è cio' che rende l'argomento ancora piu' esplosivo. A partire dal 1 ° gennaio 2019, infatti, come previsto, la BCE aggiusterà la composizione del proprio capitale. Al fine di mantenerla indipendente dall'influenza politica, all'inizio dell'unione monetaria si era deciso che sarebbero state le banche centrali nazionali ad essere le proprietarie della BCE. Le diverse banche centrali detengono infatti una percentuale del capitale della BCE.

La dimensione della partecipazione al capitale dipende infatti dalla popolazione e dal PIL. Il PIL e il numero di abitanti di ogni paese vengono messi in relazione al PIL totale a alla popolazione dell'intera unione monetaria. Da entrambe le quote viene determinato un valore medio. 

Alla Germania spetterà una quota maggiore della BCE

Secondo questo sistema di calcolo la Germania attualmente ha una quota del 25.7%. Poichè negli ultimi 5 anni in Germania la popolazione e il PIL sono cresciuti al di sopra della media, a partire dal prossimo anno, dopo il ricalcolo, la quota tedesca dovrebbe aumentare. Nella realtà concreta della politica monetaria fino al 2015 la partecipazione al capitale di ogni paese non aveva alcun ruolo: in seno al consiglio BCE, sulle questioni di politica monetaria ogni membro ha diritto ad un voto. Cio' continuerà a valere.

Ma dal momento che gli acquisti di bond e i reinvestimenti sono orientati alla partecipazione al capitale di ogni singolo paese - per indebolire l'accusa di finanziamento monetario agli stati - i miliardi vengono movimentati esattamente sulla base di queste percentuali. Se al momento si acquistano 30 miliardi di euro di titoli al mese, circa un quarto finisce in titoli di stato tedeschi.

Il ricalcolo delle quote di capitale tuttavia potrebbe avere delle conseguenze importanti. Secondo i calcoli fatti da Die Welt, la quota tedesca dovrebbe salire al 26.8%, cio' significa che la BCE potrà mettere piu' Bund nel suo bilancio in rapporto al volume totale degli acquisti. Esattamente il contrario accadrà con  l'Italia, la cui economia negli ultimi anni si è contratta: la quota di capitale italiana dovrebbe passare dal 17.5% al 16.5%. Anche la quota spagnola dovrebbe scendere dal 12.6% al 12.1%.

Per entrambi i paesi si tratta di un cambiamento significativo. Dopotutto con la fine degli acquisti della BCE dal prossimo anno non si tratterà solo dell'uscita dal mercato del piu' importante acquirente. La modifica delle quote di capitale potrebbe anche implicare la mancanza di un riacquisto di pari importo dopo la scadenza del titolo. Vale a dire: i paesi interessati dovranno trovare dei nuovi acquirenti per le loro obbligazioni.

Il ricalcolo delle quote di capitale è un problema per l'Italia

Se i mercati non fossero disposti ad acquistare questi titoli, cio' porterebbe con sé inevitabilmente dei tassi di interesse significativamente piu' alti e aumenterebbe i costi di finanziamento di questi paesi sul debito in emissione. In particolare per l'Italia i rischi sono elevati perché la BCE è rimasta uno degli ultimi acquirenti dei titoli di stato di Roma. Non si puo' escludere una nuova crisi dell'euro in formato ridotto.

"Dopo la pausa estiva la BCE dovrà accelerare l'uscita dal programma di acquisto titoli", afferma Friedrich Heinemann, economista presso il Mannheimer Forschungsinstitut. E' chiaro che la quota italiana e spagnola nel capitale BCE dopo il ricalcolo del 2019 scenderà notevolmente.

"Cio' in realtà significa che le obbligazioni di questi paesi in scadenza non verranno riacquistate per un importo equivalente, e saranno in parte sostituite dall'acquisto di titoli di altri stati membri", ha affermato Heinemann. "Su questo punto la BCE nei prossimi mesi dovrà dimostrare che sta realizzando il suo programma di acquisto titoli con neutralità monetaria e non come un programma di finanziamento per gli stati membri dell'eurozona fortemente indebitati".

Draghi potrebbe essere consapevole dell'esplosività dell'argomento. Poco prima della pausa estiva evidentemente il capo della BCE non ha voluto preoccupare i mercati.

sabato 28 luglio 2018

Perché il FMI mette sotto accusa la Germania

Un report del FMI mette sotto accusa i giganteschi avanzi commerciali tedeschi: sono ormai una minaccia per l'economia mondiale, i tedeschi devono rilanciare gli investimenti e la spesa per dare una mano ai pesi in deficit. Ne parla Holger Zschäpitz su Die Welt


Il momento non potrebbe essere piu' sfavorevole per Berlino. Proprio nei giorni in cui Jean-Claude Juncker, il capo della Commissione Europea, si reca a Washington per i negoziati commerciali, il FMI mette sotto accusa la Germania. Il motivo sono gli orrendi avanzi commerciali che la Germania realizza nel commercio mondiale.

Nella lista nera del FMI, in cui gli economisti hanno messo i paesi che con i loro squilibri minacciano la stabilità dell'ordine mondiale, la Germania occupa il primo posto davanti ai soliti sospetti Cina, Giappone e Corea del Sud, che nelle scorse settimane erano stati al centro degli anatemi di Donald Trump.

Ora il presidente americano, nella sua campagna contro la Germania, riceve nuove munizioni dal FMI. Che a farlo sia proprio un'autorità sovranazionale, per lui sempre sospette, non manca certo di ironia.


I numeri sono alquanto impressionanti. Secondo i dati la Germania lo scorso anno con il suo modello basato sull'export ha generato un avanzo delle partite correnti di 296.4 miliardi di dollari. Corrispondente all'8% del PIL tedesco e allo 0.4% del PIL mondiale.

La Germania ha il piu' grande avanzo commerciale

Nessun'altro paese si avvicina a tali valori. Il Giappone, secondo paese nell'elenco del FMI, ha un surplus delle partite correnti di 196.1 miliardi di dollari, pari allo 0.2% del PIL mondiale del 2017. La Cina, con la quale Trump si trova già in uno stadio avanzato di guerra commerciale, con poco meno di 165 miliardi di dollari, è solo al terzo posto.

Il Regno di Mezzo contribuisce agli squilibri globali solo con lo 0.2% del pil mondiale. I 165 miliardi di dollari di avanzo rappresentano solo l'1.4% dell'economia della Cina.


Il report del FMI sembra confermare le riserve del presidente americano nei confronti della Germania. La valuta tedesca è sottovalutata fra il 10 e il 20%, misurata sulla base dell'elevato surplus delle partite correnti si potrebbe parlare anche di una sopravvalutazione fra il 15 e il 30%. Che la Germania fa parte dell'eurozona e perciò non ha alcun impatto sul valore esterno dell'euro, Trump tuttavia puo' anche ignorarlo.

Per gli economisti del FMI la ragione principale di cio' è l'austerità praticata da Berlino. Se la Germania utilizzasse il suo margine fiscale e spendesse di piu' per gli investimenti, le dimensioni del problema si ridurrebbero. Il governo federale e le regioni potrebbero spendere circa un punto percentuale di PIL in piu'.

La Germania dovrebbe continuare ad aumentare l'età pensionabile

Gli esperti del FMI chiedono inoltre un aumento dell'età pensionabile. Cio' significa che le persone dovrebbero risparmiare di meno. Maggiori consumi ridurrebbero anche gli avanzi nel commercio estero.

Ma non c'è solo la politica ad essere considerata responsabile del surplus. Anche i gruppi industriali tedeschi vengono criticati dal FMI. Avrebbero dei tassi di risparmio troppo elevati e quindi esacerberebbero gli squilibri. Salari piu' alti, tasse piu' elevate e maggiori investimenti potrebbero aiutare a ridurre questo surplus (...).

Gli avanzi delle partite correnti non sono di per sé negativi

(...) Gli squilibri delle partite correnti non sono  di per sé negativi, come sottolineato dal FMI. Possono servire anche a mitigare gli shock asimmetrici come l'aggiustamento strutturale di un determinato paese in crisi.

Gli squilibri diventano pericolosi quando non sono di natura temporanea o ciclica, ma permanenti. I singoli paesi vengono spinti in deficit con l'estero da quelli in eccedenza. Se i singoli paesi generano grandi eccedenze, ci saranno altri paesi che automaticamente saranno costretti a fare dei deficit.

Il FMI ha calcolato dei livelli equi per la situazione economica dei singoli stati. E secondo questi dati la Germania dovrebbe realizzare un avanzo delle partite correnti del 2.8 % del PIL a livello globale. Vale a dire: un buon 5% del surplus tedesco secondo il FMI contribuisce agli squilibri globali. E per questa ragione la Germania ora si trova sotto accusa.

giovedì 17 maggio 2018

Die Welt: perché le nuove idee che arrivano dall'Italia in fondo non sono cosi' sbagliate

Su Die Welt il solito Holger Zschäpitz prova spiegare ai tedeschi perché il nuovo possibile governo giallo-verde vorrebbe chiedere alla BCE la cancellazione dei titoli di stato acquistati e giunge a delle conclusioni interessanti: gli italiani non hanno cosi' torto, se vogliono che la loro economia riparta devono ridurre il debito e alzando il livello dello scontro possono ottenere molte concessioni da Bruxelles. Da Die Welt


La vita potrebbe essere davvero facile: quando il debito accumulato è troppo alto, la somma viene semplicemente condonata. Sia che lo si faccia lasciando crescere l'inflazione, o in alternativa lasciando svalutare la propria moneta. Oppure chiedendo una riduzione del debito ai propri creditori.

I grandi sovrani della storia lo hanno fatto piu' volte. E cosi' apparentemente vorrebbe fare anche il nuovo governo di Roma. L'alleanza fra Lega e 5 Stelle non è ancora partita che il nuovo accordo di coalizione tra i 2 partiti euroscettici ha già provocato un grande botto.

Il documento, che delinea le posizioni dei 2 partiti, mostra quali idee di Europa in Italia siano attualmente accettabili. Queste includono da un lato gli scenari per l'uscita dall'euro e dall'altro la questione di come si possa ottenere una riduzione del debito del paese, anche restando nell'euro. Entrambi i modelli hanno lo stesso risultato: un modo per minimizzare il piu' possibile l'eccesso di debito del paese.

Soprattutto la richiesta esplicita alla BCE di condonare 250 miliardi di euro di debito pubblico italiano, in Europa sta facendo scalpore. Attualmente il debito italiano è di 2.322 miliardi di euro. Cio' corrisponde a un rapporto debito/pil di oltre il 130% del PIL. 

L'Italia mette in discussione il divieto di finanziamento agli stati da parte della BCE

La richiesta dei partiti italiani è cosi' sensazionale perché in questo modo viene spezzata una delle leggi ferree dell'unione monetaria: il divieto per la banca centrale indipendente di finanziare direttamente gli stati. Soprattutto in Germania viene considerato un assoluto "No-Go", in riferimento alle esperienze degli anni '20 quando il finanziamento statale da parte della banca centrale portò all'iperinflazione.

Se i populisti sono riusciti a elaborare un tale piano il merito è piu' che altro alla politica monetaria non convenzionale della BCE. Dal 2015 le istituzioni monetarie acquistano infatti titoli di stato dei paesi membri. L'obiettivo è riportare l'inflazione della zona euro intorno al 2%.

Nel corso degli anni la BCE ha acquistato titoli di stato italiani per un valore di 340 miliardi di euro. Non è abbastanza. Le obbligazioni dei paesi periferici già nel 2010 erano state acquistate in una sorta di azione "anti-incendio". Nel complesso le istituzioni monetarie detengono ancora titoli di debito acquistati in quel programma per un importo di 85 miliardi di euro. La maggior parte di questi titoli è composta da obbligazioni italiane.


L'idea dei populisti è semplice: la BCE dovrebbe cancellare alcuni di questi titoli di stato, nessuno si farebbe davvero male. Le cose tuttavia non sono cosi' facili. Una riduzione del debito di 250 miliardi di euro corrisponderebbe a soli 10 punti percentuali dell'attuale rapporto debito pubblico/PIL. Anche dopo di cio' il rapporto resterebbe ancora intorno al 120%, vale a dire il 30% in piu' rispetto a quello che gli esperti considerano ancora sostenibile e il doppio rispetto a quanto previsto dai trattati di Maastricht.

La BCE non commenta tali proposte, tradizionalmente la banca centrale non commenta i dibattiti interni di uno stato membro. Tuttavia nell'ambito delle banche centrali si ritiene che una tale proposta violerebbe gli articoli chiave del Trattato di Maastricht e quindi l'idea non avrebbe alcun futuro.


Il motivo per cui i populisti fanno affidamento sulla riduzione del debito tramite la BCE ha una semplice ragione: molti italiani e anche molte banche detengono una parte del debito del proprio paese. Un taglio del debito generale, che colpirebbe in maniera piu' che proporzionale la propria popolazione, sarebbe quindi estremamente impopolare e potrebbe perfino portare ad una crisi bancaria.

Solo un terzo dei creditori italiani è domiciliato all'estero. Rispetto alla Germania è una percentuale molto bassa. Da noi oltre la metà del debito pubblico è nelle mani degli investitori esteri. Per i populisti percio' è ancora piu' difficile ridurre il debito senza alienarsi le simpatie dei propri elettori.

L'idea ha anche un altro intoppo. I titoli di stato italiani sono detenuti principalmente dalla banca centrale italiana. E questa, secondo le attuali regole, sarebbe responsabile per la maggior parte delle perdite. In caso di inadempienza sui titoli di stato, infatti, i paesi dell'eurozona sarebbero responsabili solo per un quinto, il resto verrebbe assunto dallo stato membro. E un hair-cut, come si chiama in gergo una riduzione del debito, di 250 miliardi di euro, causerebbe un buco enorme nel bilancio della banca centrale italiana. E cio' dovrebbe essere almeno parzialmente coperto dallo stato italiano - con denaro che  non è disponibile.

Nell'attuale quadro normativo la Germania dovrebbe pagare per soli 13 miliardi di euro. Alla fine le banche centrali dell'eurosistema dovrebbero rispondere per 50 dei 250 miliardi di euro. La Germania è responsabile sull'intero bilancio della BCE secondo la sua quota di capitale pari al 25.6%.

Un taglio del debito come in Grecia colpirebbe il proprio paese

Su un punto tuttavia i populisti italiani non hanno completamente torto: se il paese vuole allontanarsi dal suo status di figlio problematico della zona euro, la pesante eredità proveniente dal passato deve essere ridotta drasticamente. Le opzioni disponibili sono limitate. Un taglio del debito, come accaduto nel caso della Grecia, a causa dell'elevata quota di investitori privati e della grande interdipendenza fra banche e governo non sarebbe un'opzione praticabile.

Una cancellazione del debito tramite la BCE è da escludersi. E una riduzione dell'indebitamento tramite l'austerità non sarebbe abbastanza veloce a causa dell'immenso onere del debito e della bassa inflazione. Negli ultimi anni l'Italia ha sempre generato un avanzo primario, cioè un avanzo di bilancio prima degli interessi da pagare sulla pesante eredità proveniente dal passato.

Nonostante cio' il debito/PIL è salito a oltre il 130% del PIL. Inoltre i populisti stanno pianificando un ampio programma di spesa pubblica che aumenterà ulteriormente il debito. Parte del denaro secondo le idee della Lega Nord e del Movimento 5 Stelle dovrebbe arrivare da Bruxelles.

Naturalmente la Commissione la vede in maniera diversa. Il terreno per ulteriori conflitti sembra essere già preparato. I piani di uscita dall'euro che vengono ventilati mostrano già il modo in cui gli italiani presumibilmente in futuro intendono negoziare con Bruxelles. Con la minaccia di tenere un referendum sull'uscita dall'euro, in caso di dubbio, potrebbero cercare di forzare delle concessioni.

mercoledì 16 maggio 2018

Die Welt: i metodi ricattatori dell'Italia e l'Europa impotente

Anche dalla stampa tedesca arrivano le prime bordate. Per Die Welt i metodi della possibile coalizione giallo-verde sarebbero ricattatori mentre Bruxelles e Francoforte saranno impotenti e ricattabili perché dovranno necessariamente andare incontro alle richieste del nuovo governo italiano. Ne parla il solito Holger Zschäpitz su Die Welt


Sembra davvero un'idea folle, perfetta per servire ogni cliché etnico sull'Italia. Il possibile nuovo governo di Roma vorrebbe fare uscire l'economia italiana dalla crisi facendo ricorso ad una massiccia espansione del debito. E cio', nonostante il paese con 2.3 trilioni di euro già ora sia il piu' indebitato della zona euro e Roma stia già violando quasi tutte le regole europee sul debito.

Se l'alleanza fra gli estremisti di destra della Lega e i populisti del Movimento 5 Stelle dovesse riuscire a formare un governo e il duo riuscisse anche ad attuare il proprio programma, ci sarebbero altri 100 miliardi di euro aggiuntivi di uscite in un paese già pesantemente indebitato. In realtà questo pacchetto dei desideri, che in definitiva corrisponde a circa il 6% del PIL, dovrebbe essere bloccato da Bruxelles.

Ma in tempi come questi è possibile imporre tali obiettivi anche contro la volontà dei partner europei. Almeno da quando la politica del rischio estremo di Donald Trump, in gergo chiamata Brinkmanship, è diventata socialmente accettabile. Il metodo estorsivo è costitutivo del nuovo stile di governo.

Il rapporto debito/PIL è quasi al 130% del PIL

E anche gli italiani hanno un elevato potenziale di ricatto. Anche se lo stivale negli ultimi 2 decenni è rimasto indietro, si tratta pur sempre della terza economia dell'eurozona. Dopotutto gli italiani nel 2017 hanno generato beni e servizi per un valore pari a 1.7 trilioni di euro, che corrisponde a circa il 15% della produzione economica della zona euro. Il rapporto debito/PIL è vicino al 130% del PIL, solo la Grecia ha un dato piu' alto.


Inoltre le passività all'interno dell'eurosistema, il cosiddetto saldo Target-2, che non appare in nessuna statistica sul debito, ammontano a 426 miliardi di euro. Il nuovo governo puo' sempre minacciare un referendum sull'euro o l'uscita dall'UE. E data l'elevata somma in gioco, Berlino e Bruxelles a malincuore dovranno andare incontro al nuovo governo di Roma. Soprattutto perché l'Italia è uno dei membri fondatori dell'Europa. Se dovesse andare per la sua strada, l'euro si troverebbe a un passo dalla fine.

Gli italiani stessi probabilmente apprezzerebbero il programma di spesa del nuovo governo. Molti ne hanno abbastanza dei presunti piani di austerità del governo passato. La disoccupazione all'11% è chiaramente ben al di sopra della media UE. La disoccupazione giovanile è dilagante.Quasi un giovane su tre tra i 16 e i 25 anni non ha un lavoro. L'Italia è rimasta indietro rispetto al resto d'Europa. Il reddito pro-capite prima dell'introduzione dell'euro era del 20% superiore rispetto alla media UE, in termini di ricchezza oggi il paese si trova del 3% sotto la media europea.

Vengono lanciati progetti miliardari

I partiti populisti hanno fatto costose promesse elettorali. I 5 Stelle vogliono introdurre un reddito di base incondizionato per i cittadini poveri, che potrebbe costare circa 17 miliardi di euro all'anno. La Lega invece vorrebbe introdurre una tassa flat del 15% per le imprese e i cittadini, con un deficit di circa 80 miliardi di euro all'anno.

Inoltre, ci sarebbe da rimuovere anche l'ultima riforma delle pensioni che costerebbe altri 15 miliardi di euro. Entrambi vorrebbero di nuovo abbassare l'età di pensionamento. Proprio la riforma delle pensioni mostra tutti i rischi del loro programma economico. Già oggi l'Italia spende il 16% del suo PIL per le pensioni. E' il doppio della media dei paesi dell'OCSE, i quali spendono in media solo l'8.2% del PIL.

"Minori entrate e uscite piu' alte faranno aumentare il debito e non sono nell'interesse dei creditori italiani", afferma Pär Magnusson, stratega presso Swedbank. Dall'inizio della crisi finanziaria il debito italiano è aumentato di 554 miliardi di euro. "La BCE ha finanziato direttamente o indirettamente l'80% di questo nuovo debito", ha affermato lo stratega.


La strategia di spesa del nuovo governo potrebbe funzionare solo se la BCE continuasse a comprare obbligazioni. Ma anche se i piani sul debito dovessero suscitare la disapprovazione di Bruxelles, Francoforte o Berlino, sarà difficile ingabbiare un governo della spesa. Con la sua promessa di fare tutto il possibile per salvare l'euro, anche la BCE ha rinunciato ad ogni mezzo di pressione.

venerdì 15 settembre 2017

I paesi dell'Europa dell'est hanno una valida ragione per non ripetere l'euro-errore: il declino italiano

Juncker durante il discorso sullo stato dell'unione di mercoledi ha parlato dell'euro come destino comune per tutti i paesi UE. Holger Zschäpitz su Die Welt replica a Juncker scrivendo che i paesi dell'est avrebbero una valida ragione per non entrare nella moneta unica: l'esempio fornito dal declino dell'economia italiana iniziato con l'ingresso nell'euro. Holger Zschäpitz su Die Welt


Jean-Claude Juncker ha dei grandi progetti. "L'euro è destinato ad essere la moneta unica di tutta l'UE", ha detto il Presidente della Commissione europea nel suo discorso sullo stato dell'Unione Europea. E proprio alla moneta unica ha assegnato un ruolo centrale nell'ambito della riforma dell'Europa. Questa dovrebbe diventare qualcosa di piu' della valuta di un certo numero di paesi scelti. L'euro, secondo il messaggio di Junker, dovrebbe essere messo a disposizione di tutti.

Non ha del tutto torto. I trattati europei prevedono infatti che i paesi membri - con l'eccezione della Danimarca e della Svezia - diventino membri dell'euro-club dopo aver soddisfatto determinati criteri di convergenza. Il problema è solo uno: l'euro ha chiaramente mostrato che alcuni paesi non sono in grado di sopravvivere sotto il tetto di una moneta unica.

Gli anni passati non solo hanno disilluso i cittadini dei paesi membri, ma anche quelli dei paesi che aspiravano ad un'adesione. Cio' è emerso chiaramente anche durante la campagna elettorale tedesca. Tutti i partiti in grado di formare una coalizione si riconoscono sicuramente nell'Europa e si impegnano a trasferire ulteriori competenze all'UE. L'idea di Juncker di un euro per l'intero continente tuttavia non è in nessun programma elettorale.

Gli stati membri si sono sviluppati in direzione opposta

Per una buona ragione. Sicuramente l'euro dalla sua introduzione nel 1999 ha garantito molti vantaggi ai cittadini. Senza dubbio le transazioni transfrontaliere o i viaggi negli altri paesi dell'eurozona sono diventati piu' facili e quindi anche piu' economici. Tuttavia se l'obiettivo era quello di portare avanti l'integrazione dell'Europa attraverso l'euro, possiamo considerarlo un obiettivo fallito. Già dopo l'introduzione dell'euro le differenze fra i paesi membri hanno iniziato a crescere. E a partire dalla crisi finanziaria del 2008 i paesi membri si sono sviluppati in direzioni molto diverse.


Cio' è chiaramente visibile se si confronta il reddito pro-capite di Italia, Spagna e Germania. Prima del 1999 lo sviluppo era in parte sincronizzato. Dopo il cambio di valuta dalla Peseta all'euro la Spagna ha vissuto un boom mai conosciuto prima, mentre la Germania dopo aver abbandonato il Marco ha avuto una lunga fase di stagnazione. L'Italia a sua volta nei primi anni senza Lira ha continuato a crescere ma con discrezione. Il risveglio terribile è arrivato piu' tardi.

Senza dubbio tutti i paesi della zona euro durante la crisi finanziaria hanno subito una perdita in termini di ricchezza. Ma mentre la Germania ha rapidamente lasciato dietro di sé la crisi e ora sta vivendo una delle fasi di boom piu' lunghe della sua storia recente, l'Italia dopo diverse recessioni, sta lottando duramente per cercare di rialzarsi. La Spagna dopo una drammatica crisi causata dallo scoppio della bolla immobiliare è tornata a crescere.

L'euro come peccato

"Una moneta unica comporta inevitabilmente che le diverse economie si allontanino fra di loro: quelle piu' forti diventano sempre piu' forti, quelle piu' deboli sempre piu' deboli", dice Charles Gave, stratega presso il centro di analisi Gavekal Research. E' la classica concezione anglosassone, secondo la quale l'euro è una specie di peccato.

Secondo questa teoria, i paesi che non possono indebitarsi nella loro moneta, oppure che sono intrappolati in una valuta che non possono influenzare, sono di fatto ostacolati nel loro sviluppo e nella crescita della prosperità. Una moneta unica pertanto è adatta solamente a quei paesi che hanno cicli economici sincroni oppure che sono in condizione di adattarsi in maniera estremamente flessibile agli shock.


Addirittura la Finlandia è dovuta passare attraverso questa esperienza. Dall'inizio del nuovo millennio è stata infatti colpita da almeno 3 grandi shock: il declino del produttore di telefoni cellulari Nokia, la crisi dell'industria cartaria, un tempo fondamentale, e le sanzioni contro un importante partner commerciale quale la Russia. Sono stati tutti eventi esterni che non hanno inciso sugli altri membri della moneta unica. Poiché il paese non ha potuto svalutare la propria moneta, l'economia finlandese ha vissuto una lunga fase di stagnazione ed è finita dietro alla Svezia, che ha ancora la propria valuta. Ancora negli anni '90 la Finlandia, grazie ad una radicale svalutazione del Marco finlandese, era riuscita a superare in un periodo relativamente breve il collasso della Russia ed una importante crisi bancaria.

La Rep. Ceca non è piu' interessata all'euro

Molti paesi dell'europa dell'est, considerando queste esperienze, non hanno nessuna intenzione di abbandonare la propria flessibilità di cambio. In particolare la Polonia e l'Ungheria, grazie ad un forte deprezzamento dello Zloty e del Fiorino, sono riuscite ad assorbire gli effetti della crisi finanziaria. Secondo i trattati, infatti, già da tempo entrambi i paesi avrebbero dovuto essere parte della moneta unica, visto che per quanto riguarda i tassi, l'inflazione e l'indebitamento hanno già raggiunto da tempo i criteri di convergenza.


La situazione è ancora piu' marcata nella Repubblica Ceca. Il paese è l'allievo modello tra gli aspiranti all'adesione. L'agenzia di Rating Fitch prevede che i cechi quest'anno avranno addirittura un avanzo di bilancio. E anche per quanto riguarda l'indebitamento pubblico, il vicino dei tedeschi, con un 35% in rapporto al PIL, è chiaramente al di sotto del limite del 60%.

Come primo stadio per l'adesione alla moneta unica Praga da molti anni aveva agganciato la corona all'euro. Ma in primavera i cechi hanno fatto un passo indietro sulla strada verso la moneta unica ed hanno rinunciato all'aggancio monetario. Gli esperti lo hanno interpretato come un chiaro segnale del fatto che il paese non è piu' interessato ad una rapida adesione all'euroclub. Sebbene lo sviluppo della vicina Slovacchia abbia chiarito che l'adesione - il paese è un membro dal 2009 - non è necessariamente dannosa. Il paese, un tempo la zona piu' povera della ex Cecoslovacchia, dall'adesione ha avuto uno sviluppo economico migliore della Repubblica ceca.

Juncker ha una soluzione pronta

I paesi membri UE Bulgaria, Romania e Croazia al contrario sono ancora ben lontani dai criteri di convergenza. Mentre la Romania con il deficit è alquanto indietro e la Croazia con una quota di debito dell'82% sul PIL sta lottando, dal punto di vista economico il vero fanalino di coda dell'UE è la Bulgaria. Per quanto riguarda il reddito pro-capite, che tuttavia non è un criterio formale per l'adesione all'euro, il paese resta al di sotto del 50% della media europea.

Ma anche per questo problema Juncker sembra avere una soluzione pronta. Chiede la creazione di uno strumento per l'ingresso nell'euro che preveda l'assistenza tecnica e finanziaria ai futuri membri dell'euro. Sarebbe ancora una volta la tipica soluzione europea: voler guarire tutti i problemi con la maggior quantità di denaro possibile e con dei programmi di salvataggio.

giovedì 17 agosto 2017

La riscossa del risparmiatore tedesco

La Corte Costituzionale tedesca martedi' ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sul programma di acquisto titoli della BCE segnalando in questo modo un certo dissenso nei confronti della BCE a guida italiana. Holger Zschäpitz su Die Welt saluta questa decisione come l'inizio della riscossa del risparmiatore tedesco, in questi lunghi anni tradito dalla politica dei tassi a zero. E' necessario che i giudici europei indichino chiaramente quali sono i limiti della BCE. Holger Zschäpitz Die Welt



Che la Corte Costituzionale abbia delle preoccupazioni in merito al programma di acquisto di obbligazioni della BCE è un fatto sicuramente positivo. In questo modo Karlsruhe costringe la Corte di Giustizia Europea a mostrare alla BCE quali sono i limiti del suo mandato. 

Impotenti! Cosi' si sentono molti risparmiatori quando pensano alla BCE. A causa della politica dei tassi a zero, nonostante il boom economico, da anni ormai non ottengono alcun ritorno sui loro risparmi e ora devono addirittura pagare alle banche dei costi esorbitanti per la gestione del conto corrente.

Anche molti parlamentari tedeschi si sentono impotenti. Restano a guardare mentre la BCE con il suo programma di acquisti accumula trilioni di rischi per il contribuente tedesco, senza poter dire una parola.

In nome della politica monetaria sembra che le autorità monetarie possano fare e disfare a piacimento, prive di qualsiasi forma di legittimazione democratica. La BCE si è sviluppata come uno stato nello stato, si arroga sempre nuove competenze, come alcuni giuristi criticamente hanno fatto notare. 

Questa volta pero' la Corte Costituzionale ha dato un segnale chiaro. Ha espresso dei dubbi sulla costituzionalità della politica anti-crisi della BCE e in considerazione dei rischi assunti chiede un esame accelerato da parte della Corte di Giustizia Europea in Lussemburgo. Con il programma di acquisto dei titoli, la BCE potrebbe aver superato il proprio mandato, argomenta Karlsruhe.

Fine dello svenimento

Nessuno puo' davvero aspettarsi che i giudici costituzionali europei possano bocciare il programma e decidano che l'acquisto di titoli di per sé è illecito. Una decisione cosi' estrema potrebbe far scivolare l'Eurozona in una nuova crisi esistenziale. Una conseguenza di cui probabilmente nemmeno Karlsruhe vuole sentirsi responsabile.

Inoltre i giudici del Lussemburgo sono molto piu' benevoli nei confronti della BCE rispetto ai loro colleghi di Karlsruhe. Tuttavia la decisione della giustizia tedesca obbliga la Corte Europea a prendere una posizione sulla condotta della BCE. Sottolineando i loro dubbi, i giudici tedeschi esercitano una pressione sulla Corte di Giustizia Europea affinchè questa mostri alla BCE i limiti del suo spazio di azione.

Ed è proprio quello che ora deve accadere: spiegare chiaramente alle istituzioni monetarie che in materia di politica monetaria non hanno una libertà completa. Solo cosi' i risparmiatori e i parlamentari potranno risvegliarsi dal loro stato di svenimento.

sabato 8 ottobre 2016

I primi della Klasse

Holger Zschäpitz, su "Welt.de" intervista Yoram Gutgeld, il consigliere economico del governo italiano. Per il giornalista tedesco l'Italia è probabilmente irriformabile e destinata ad uscire dalla moneta unica. Articolo zeppo di luoghi comuni, i primi della Klasse salgono in cattedra. Da Welt.de
Yoram Gutgeld è il principale consigliere economico del primo ministro italiano Matteo Renzi. Crede nella volontà dei suoi connazionali di riformare il paese - e chiede nuove regole per l'Europa.

Yoram Gutgeld non può' accettare un'accusa del genere. Non per lui, non per il governo e nemmeno per il paese. Ha 56 anni ed è diventato il piu' importante consigliere del primo ministro italiano Matteo Renzi. E vuole sapere cosa si dice di negativo sul suo paese in questi giorni.

Il FMI lancia previsioni economiche cupe per l'Italia, gli economisti più' importanti parlano di una generazione perduta nel mercato del lavoro, i politici stranieri non risparmiano consigli da primo della classe. Il centro delle critiche: per il debole stato-stivale non c'è posto nell'Euro.

Questa settimana il premio Nobel Joseph Stiglitz in un'intervista al quotidiano "Welt" ha parlato dell'uscita dell'Italia dall'Euro ormai vicina. Secondo Stiglitz, gli italiani sarebbero arrivati alla conclusione che è meglio uscire prima che il loro paese finisca in rovina.

La maggioranza degli italiani vuole restare nell'Euro

Gutgeld di fronte a queste dichiarazioni può' solo scuotere la testa: "i sondaggi piu' recenti evidenziano che la maggioranza degli italiani vuole mantenere l'Euro", dichiara in un'intervista a "Welt". "L'Euro ci ha fatto risparmiare miliardi di Euro di interessi". Grazie alla moneta unica gli italiani non hanno più' potuto fare affidamento sulle collaudate e puntuali svalutazioni competitive per tenere l'economia in carreggiata.

"Non abbiamo sfruttato gli ultimi due decenni per fare le riforme necessarie a rendere piu competitivo il paese e a farlo restare nell'Euro. Ora abbiamo bisogno di recuperare il tempo perduto", dice Gutgeld.

Nato in Israele, a 30 anni si è trasferito in Italia per lavorare con la società di consulenza McKinsey, e aiutare il paese a diventare più' efficiente. Si sente un vero italiano, lo si capisce chiaramente dal modo in cui parla dell'Italia. Non distanziato, come un consulente esterno, ma con il "noi".

L'ambizioso obiettivo di Gutgeld è fermare il declino economico e riportare l'economia del paese nuovamente in pista. E sa anche da dove deve partire. "Siamo noi la causa dei nostri problemi. Non possiamo dare la colpa all'Europa", ci dice.

Yoram Gutgeld vuole fermare il declino

Il tempo stringe. L'Euro, a quanto pare, ha privato gli italiani della crescita e reso la gente piu' povera. Dall'inizio dell'unione monetaria nel 1999 il reddito pro-capite è sceso. In nessun'altro paese le statistiche sono cosi' negative, anche i greci in questa statistica sono messi meglio rispetto a 17 anni fà.

Secondo il FMI l'Italia raggiungerà i livelli di PIL pre-crisi solo nel 2022. La disoccupazione è ben al di sopra della media europea, in particolare sono i giovani ad essere senza lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile è del 38.8%.

Sicuramente non è il livello più' alto dell'Eurozona. Ma in nessun'altro paese europeo la differenza con il tasso di disoccupazione generale, all'11.4%, è cosi' grande. Si rischia una generazione perduta, e un ritardo nella crescita che non potrà mai piu' essere recuperato.

Ma questa sguardo al paese è proiettato verso il passato, dice Gutgeld: "abbiamo appena riformato il mercato del lavoro e ora quello italiano è il mercato del lavoro piu' moderno e flessibile d'Europa". I primi successi sono già visibili. C'è un 3% di posti di lavoro in piu' nel settore privato.

Il referendum è una grande opportunità

Ma non è ancora tutto. Il paese ha davanti a sé una revisione generale. "Abbiamo diverse grandi aree problematiche sulle quali stiamo lavorando", dice Gutgeld. Un grande progetto è il processo decisionale politico, che deve essere semplificato. "Accadrà con la riforma costituzionale, su cui gli italiani voteranno all'inizio di dicembre".

L'esito del referendum tuttavia è incerto. C'è un testa a testa fra sostenitori e oppositori. Gutgeld è fiducioso che il premier Renzi saprà convincere i suoi concittadini: "Il referendum è una grande opportunità per riportare il paese di nuovo sulla strada del successo".

Nel frattempo anche gli italiani sono diventati consapevoli del fatto che non si può' andare avanti in questo modo. "Nel 1992 abbiamo già avuto una forte crisi. Allora abbiamo perso l'opportunità per fare le riforme decisive. Oggi l'atteggiamento dei cittadini è diverso. Gli italiani vogliono le riforme e voteranno di conseguenza al referendum".

Abbiamo bisogno di una vera unione bancaria e di un mercato dei capitali unico.

Gutgeld sie lo lascia sfuggire: considera sbagliate e funeste le severe misure di austerità che Berlino ha imposto in Europa. Tuttavia vuole copiare qualcosa dalla Germania, ad esempio il sistema duale della doppia formazione professionale. Sembra quasi che Gutgeld voglia far diventare gli italiani un po' più' tedeschi. Anche gli stereotipi sull'etica italiana del lavoro devono essere smentiti.

I pregiudizi ormai non arrivano piu' solo dall'esterno. La filosofa italiana Gloria Origgi ha identificato una norma sociale unica in Italia, che lei ha definito Kakonomics: gli italiani spesso producono un lavoro mediocre, in cambio si aspettano anche dalle loro controparti un lavoro mediocre. Tutti sono soddisfatti con questa situazione. Si basa su di un contratto sociale specifico: io credo che tu non sarai in grado di soddisfare completamente la tua promessa e intendo tenermi aperta la possibilità di non mantenere le mie promesse, cosi' secondo Origgi. 

Gutgeld considera questo tipo di teorie assurde. Come prova cita il surplus commerciale in continua ascesa. Invece di affrontarsi reciprocamente con i cliché, i paesi europei dovrebbero muoversi insieme nella stessa direzione. "In Europa abbiamo bisogno di una vera unione bancaria e di una mercato dei capitali unico", dice Gutgeld, ed è pronto ad affrontare un ulteriore tema di riforma, gli istituti bancari. Anche lui è consapevole della forte interdipendenza fra le banche in crisi, lo stato in difficoltà e l'economia fatta di piccole e medie imprese, strettamente dipendenti dal funzionamento del settore finanziario. "Il sistema italiano si è stabilizzato. Con le fusioni fra le banche cooperative si arriverà ad una ristrutturazione del settore. Ma anche su Monte dei Paschi siamo sulla buona strada", ci dice Gutgeld. In merito ai problemi di Deutsche Bank guarda a Berlino senza malizia, e aggiunge: "non avremo bisogno di aiuti pubblici. Con il fondo Atlante abbiamo trovato una soluzione all'interno del settore privato".

Soluzioni nell'economia privata, riforme, programmi di austerità - ascoltando Gutgeld si potrebbe effettivamente pensare che presto l'Italia passerà a qualcun'altro il titolo di fanalino di coda. Chi avrà ragione alla fine, Gutgeld oppure i critici dell'Italia, lo si vedrà già in dicembre, quando gli italiani dovranno votare sulle riforme costituzionali. Perché in realtà in ballo c'è molto di più': probabilmente il futuro del paese nell'Euro.