Un blog per raccontare in italiano il dibattito tedesco sulla crisi dell'euro e le nuove ambizioni di Berlino, ma anche per mostrare qualche aspetto meno conosciuto, ma non secondario, del grande miracolo economico tedesco. Traduco in italiano articoli di economia e politica pubblicati sulle principali testate online tedesche.
giovedì 25 febbraio 2021
Draghi il Salvatore, ovvero l'ultima carta dell'UE
martedì 23 febbraio 2021
La Polonia supera l'Italia
Per la prima volta nella storia del commercio estero tedesco, la Polonia nel 2020 ha superato l'Italia sia nell'export che nell'import con la Germania, relegando il belpaese in sesta posizione, dietro ai polacchi appunto. Anche i francesi continuano a perdere terreno e nel 2020 incassano un altro gigantesco disavanzo commerciale nei confronti dei tedeschi, per quanto tempo ancora i francesi potranno andare avanti con numeri del genere? Domanda non banale, dalla cui risposta dipende la sostenibilità della moneta unica. Dati da Destatis.de
La Repubblica popolare cinese anche nel 2020 per il quinto anno consecutivo è stato il più importante partner commerciale della Germania. Come riportato dall'Ufficio Federale di Statistica (Destatis), stando ai dati preliminari, tra i due paesi nel 2020 sono state scambiate merci per un valore di 212,1 miliardi di euro. Nonostante la crisi causata dal Coronavirus, il volume del commercio estero con la Cina è comunque aumentato del 3,0% rispetto al 2019. Seguono al secondo posto tra i più importanti partner commerciali i Paesi Bassi con un fatturato complessivo proveniente dal commercio estero pari a 172,8 miliardi di euro (-8,7%) e gli Stati Uniti con 171,6 miliardi di euro (-9,7%).
Principali partner commerciali della Germania nel 2020 |
Primi 10 partner commerciali della Germania per import ed export |
Dal 2015 la Cina resta il più grande importatore
L'importanza della Cina per le importazioni tedesche è in costante crescita: nel 1980, infatti, la Cina si trovava al 35° posto nella classifica dei paesi importatori, nel 1990 invece era già al 14°. Dal 2015 la Repubblica Popolare Cinese è lo stato da cui arriva la maggior parte delle importazioni tedesche. Nel 2020, sono state importate dalla Cina merci per un valore di 116,3 miliardi di euro. Anche le importazioni sono aumentate del 5,6% rispetto al 2019. I Paesi Bassi (con 88,5 miliardi di euro) e gli Stati Uniti (con 67,8 miliardi di euro) nel 2020 sono stati il secondo e il terzo paese per volume delle importazioni. La crisi causata dal Coronavirus, tuttavia, ha portato a dei cali significativi: le importazioni dai Paesi Bassi rispetto al 2019 sono diminuite del 9,6% mentre quelle dagli Stati Uniti del 5,0%.
Gli Stati Uniti restano ancora il cliente più importante per l'export tedesco
La maggior parte delle esportazioni tedesche, anche nel 2020, sono andate negli Stati Uniti, come del resto accade dal 2015, anche se le esportazioni di beni verso l'America sono diminuite del 12,5% rispetto al 2019 passando a 103,8 miliardi di euro. La Repubblica Popolare Cinese è al secondo posto nella classifica dei paesi importatori con 95,9 miliardi di euro (-0,1%) mentre la Francia si trova al terzo con 91,1 miliardi di euro (-14,6%).
La Germania nel 2020 ha registrato i maggiori avanzi commerciali con gli Stati Uniti (36,1 miliardi di euro), la Francia (34,4 miliardi di euro) e il Regno Unito (32,2 miliardi di euro). Il saldo commerciale estero del 2020 con la Repubblica cinese ha mostrato invece un disavanzo commerciale: complessivamente il valore delle merci importate dalla Cina ha superato il valore di quelle esportate per un valore di 20,4 miliardi di euro.
domenica 21 febbraio 2021
Quanto ha risparmiato il governo tedesco grazie ai tassi di interesse a zero?
venerdì 19 febbraio 2021
Heiner Flassbeck - Buona fortuna, Mario!
"Non illudiamoci, con questa Germania non è possibile fare l'Europa. Come potrebbe il primo ministro italiano riuscire a fare quello che il presidente della BCE non è riuscito a fare, cioè lanciare una discussione calma e razionale sulla politica economica... in cui i tedeschi capiscano da subito che non se la caveranno con i loro soliti vecchi luoghi comuni neoliberisti e monetaristi e le loro ambizioni mercantiliste. Tutti quelli che hanno ancora la testa sul collo non possono che tifare per Mario Draghi", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Per Flassbeck il potenziale politico di Mario Draghi in Europa è enorme, ma anche le resistenze che incontrerà sul suo percorso saranno molto forti, soprattutto nel nord del continente. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop.de
Pover'uomo, ho pensato immediatamente quando ho sentito che Mario Draghi aveva accettato il mandato da Presidente del consiglio per formare il nuovo governo italiano. Ma riflettendo, invece, mi sono poi reso conto che Mario, che conosco da più di 20 anni, e dal mio punto di vista può anche essere povero - e forse anche dal suo - probabilmente per l'Italia rappresenta invece un'opportunità unica.
Quale paese può dire di avere un primo ministro che non solo ha ricevuto un ampio sostegno dai partiti rappresentati in Parlamento, sia di destra che di sinistra, ma che ha anche collezionato un'esperienza unica sia in campo interno che internazionale. Mario Draghi sin dai primi anni '90 ha fatto parte (e si è assunto la responsabilità) di tutti i principali organismi che si occupano di economia globale, europea ed italiana. Ha assunto la più importante posizione in materia di politica economica all'interno dell'eurozona in un momento in cui l'Unione Monetaria (UEM) era sull'orlo del collasso, offrendole un appiglio in una fase cruciale.
Nulla di tutto ciò, naturalmente, può garantire che sarà anche in grado di partecipare agli intrighi e ai complotti tipici della politica, e di portare a termine e con successo anche questo incarico. Ma il potenziale della sua ambizione politica è enorme, data la sua vasta esperienza e conoscenza sulle questioni cruciali. E in ogni caso è molto più grande di quello di qualsiasi altro politico a cui è stato permesso di prendere il timone a Roma, almeno negli ultimi trent'anni.
L'Italia e l'unione monetaria
Chiunque abbia avuto a che fare con l'Italia, al di là dei soliti pregiudizi molto diffusi - soprattutto in Germania -, saprà bene che la questione italiana, il problema italiano, diciamo così, è un problema essenzialmente legato all'ingresso dell'Italia nell'unione monetaria. A causa della particolare posizione di partenza dell'Italia, che ho descritto in dettaglio nel numero tematico di MAKROSKOP - "Debito ed espiazione", sin dagli esordi dell'euro, il paese è sempre stato sulla difensiva. La ragione più semplice è che l'Italia e gli altri paesi membri dell'eurozona morivano dalla voglia di rinunciare alla loro "sovranità monetaria" (che in realtà non avevano mai posseduto) e per farlo erano pronti a ingoiare un certo numero di rospi (tedeschi) molto grassi.
La speranza di poter avere, grazie ad una grande area monetaria europea, una politica economica che, come negli Stati Uniti, sarebbe stata orientata soprattutto alle esigenze interne di un'economia grande e relativamente chiusa e di conseguenza, avrebbe messo la domanda interna e l'occupazione al centro degli sforzi della banca centrale, all'inizio non era affatto infondata. Alla fine però, la Bundesbank, da sempre concentrata sulla stabilizzazione dei prezzi, era stata sostituita da un'istituzione che, per essere sicuri, nella interpretazione letterale dei trattati (e naturalmente su veemente insistenza tedesca) era ancora più votata al contenimento dell'inflazione come suo unico obiettivo centrale. Ma chiunque abbia preso seriamente in considerazione le "soluzioni" europee, all'epoca sapeva bene che in questa Europa, appunto, le pietanze non potevano essere "mangiate così calde come venivano cucinate".
Anche fra i firmatari del trattato di Maastricht, infatti, nessuno poteva immaginare che subito dopo l'avvio dell'unione monetaria il paese più grande avrebbe cominciato a "olandesizzare" se stesso, cioè a vivere a spese dei suoi vicini, come aveva già fatto "con un certo successo" l'Olanda negli anni '80 grazie alla sua politica di dumping salariale. Che a farlo invece sia stato proprio un governo tedesco rosso-verde, tra tutti, un governo inciampato su questa "via d'uscita" a causa della sua completa incompetenza economica, è stata una coincidenza. Ma il fatto che in questo modo abbia bloccato lo sviluppo economico di tutta l'Europa, può essere considerata un'esperienza davvero unica in Europa.
La Germania, tra le altre cose, nonostante i suoi successi alquanto superficiali, ha rovinato per sempre il proprio sistema economico di successo, che dagli anni '70 era diventato l'ancora di tutte le alleanze monetarie europee, in quanto di fatto ha reso impossibile al paese raggiungere un elevato livello di occupazione senza un surplus delle partite correnti.
Per l'Italia questo processo è stato senza dubbio fatale, perché firmando il Trattato di Maastricht si è messa addosso un vestito fiscale che sarebbe stato sopportabile solo se l'Italia avesse avuto un grande successo nelle esportazioni e/o se la crescita fosse stata spinta dagli investimenti delle imprese in un'Europa complessivamente fiorente. La Germania, tuttavia, con la sua condotta ha bloccato il primo e il secondo percorso perché la sua politica di dumping salariale ha di fatto sbarrato la strada dell'export agli altri paesi dell'unione monetaria e allo stesso tempo ha soffocato la propria domanda interna e quella europea. Tutti gli altri paesi dell'unione monetaria, infatti, per non affondare in maniera irrimediabile nei loro mercati di esportazione, hanno dovuto seguire questo modello insensato.
Il margine di manovra di Mario Draghi e il suo più grande avversario
Mario Draghi lo sa bene, e già solo per questo è fondamentalmente diverso da praticamente tutti gli altri politici europei. Sa che ha bisogno di una politica fiscale espansiva (senza condizionalità europea) per far uscire l'economia italiana dalla profonda depressione in cui si trova. E sa che c'è bisogno di un cambiamento nell'equilibrio competitivo in Europa, soprattutto se Italia e Francia nel lungo periodo vorranno avere qualche speranza di successo. Sa anche che ogni suo passo sarà sotto esame e che da un momento all'altro nel nord del continente potrebbe scoppiare una tempesta che lo spazzerebbe via anche politicamente.
Il grande vantaggio di Draghi è la sua profonda conoscenza delle istituzioni. Non combatterà sul fronte sbagliato. Dopo tutto, data la sua lunga esperienza in un numero infinito di commissioni, sa bene che il suo avversario più importante non è a Bruxelles, ma a Berlino. E' soprattutto è qui che si differenzia dagli ingenui di destra e di sinistra che siedono nelle loro stanzette e scrivono e blaterano sull'Europa neoliberista e sulla Commissione europea, senza però aver mai visto un'istituzione europea o internazionale da vicino e i veri equilibri di potere al loro interno.
Il più grande avversario di Draghi sarà il "nocciolo duro della CDU/CSU", che per il dopo crisi ha già in mente la reimposizione delle vecchie regole sul debito e pensa a delle condizioni dure da imporre a chiunque voglia prendere in prestito anche un solo euro da Bruxelles.
Draghi sa anche fin troppo bene, dopo aver trascorso molto tempo a Francoforte, che i sentimenti profusi dagli oppositori dichiarati della BCE in Germania (compresa la Corte costituzionale federale con la sua assurda sentenza sulla proporzionalità della politica monetaria europea), indirizzati a qualsiasi cosa assomigli a un trattamento equo dei paesi europei da parte della BCE, per l'Italia saranno particolarmente problematici. L'Italia potrà sempre trovarsi nella posizione di dover contare sul sostegno diretto o indiretto della BCE, visto l'umore assolutamente irrazionale dei "mercati". Di conseguenza, dovrà fare molta attenzione quando discuteterà la questione, alla fine inevitabile, cioè se e in che modo il mandato della BCE potrà essere adattato ai tempi moderni, anche dopo il Coronavirus.
Draghi ha bisogno di amici
Chiunque debba affrontare un avversario forte avrà bisogno di amici forti. Il nuovo presidente del consiglio italiano non porterà a termine la sua impresa, se non riuscirà a fare quello in cui tutti coloro che nell'unione monetaria hanno cercato di cambiare qualcosa finora hanno fallito. Ha bisogno di una forte coalizione di paesi che siano pronti a sfidare apertamente e dichiaratamente il dominio e la ristrettezza di vedute della Germania. Proprio in questi giorni possiamo assistere al modo in cui il presidente bavarese, il ministro federale della sanità e il ministro federale dell'interno sul tema dell'apertura delle frontiere si rifiutino di accettare qualsiasi avvertimento da Bruxelles, e come il presidente tedesco della Commissione, invece di battere i pugni sul tavolo, preferisca restare nobilmente in silenzio.
Non illudiamoci, con questa Germania non è possibile fare l'Europa. Come potrebbe il primo ministro italiano riuscire a fare quello che il presidente della BCE non è riuscito a fare, cioè lanciare una discussione calma e razionale sulla politica economica in questa grande e autoreferenziale Europa? Una discussione in cui i tedeschi si rendano conto sin da subito che questa volta non se la caveranno con i loro soliti vecchi luoghi comuni neoliberisti e monetaristi e le loro ambizioni mercantiliste. Tutti quelli che hanno ancora la testa sul collo non possono che tifare per Mario Draghi. Da parte mia, non posso che augurargli con tutto il cuore buona fortuna!
martedì 16 febbraio 2021
Dalla concorrenza sulla qualità al dumping salariale
venerdì 12 febbraio 2021
Cosi' la stampa tedesca ha sostenuto la formazione del governo Draghi
[2] Henrik Müller: Ich - oder der Untergang. manager-magazin.de 07.02.2021.
[3] Nikolas Busse: Was Draghis Mission wäre. faz.net 04.02.2021.
[4] Elisabeth Pongratz: Der Retter Italiens? deutschlandfunk.de 03.02.2021.
[5], [6], [7] Dorothea Siems: Italien retten, die EU prägen - "Super-Draghi" ist zurück im Zentrum der Macht. welt.de 04.02.2021.
[8] Fünf-Sterne-Bewegung und Lega signalisieren Unterstützung für Draghi. spiegel.de 07.02.2021.
[9] Matthias Rüb: Draghi gewinnt Grillo und die Fünf Sterne. faz.net 07.02.2021.
[10] Jörg Seisselberg: Italien sagt Nein zu 39 Milliarden der EU. tagesschau.de 14.04.2020
[11] Tobias Piller: "Die Deutschen klauen auch noch unser Familiensilber". faz.net 10.12.2020.
giovedì 11 febbraio 2021
Perché l'UE e la Germania stanno perdendo la battaglia geopolitica per il controllo dell'Europa del sud-est
mercoledì 10 febbraio 2021
La vera ragione dietro la profonda disuguaglianza sociale in Germania
Il grande economista tedesco Marcel Fratzscher, dati alla mano, ci spiega perché in Germania le donazioni e le eredità sono la vera ragione dietro la grande disuguaglianza in termini di patrimoni e ricchezza privata. Un articolo molto interessante di Marcel Fratzscher zu Die Zeit
In Germania una parte significativa di tutta la ricchezza privata non è stata ottenuta con il lavoro delle proprie mani, ma tramie le eredità o le donazioni. E questi patrimoni stanno crescendo significativamente, dato che le generazioni del dopoguerra sempre più speso stanno passando parte della loro ricchezza ai figli e ai nipoti, come del resto mostra un nuovo studio. Nella nostra società, tuttavia, a beneficiarne sono in pochi e di solito sono persone già molto privilegiate. Le eredità possono essere una grande fortuna, ma possono esacerbare anche le disuguaglianze in termini di ricchezza e di opportunità. Ecco perché abbiamo bisogno di una discussione fattuale su questo importante argomento e non di un dibattito fondato sull'invidia sociale.
Un nuovo studio condotto dal DIW di Berlino, in collaborazione con altri istituti e università, sottolinea la crescente importanza delle eredità e delle donazioni nella nostra società. Negli ultimi 15 anni, infatti, il 10% di tutti gli adulti ha avuto la fortuna di ricevere un'eredità oppure delle donazioni importanti. Negli ultimi anni, in particolare, la dimensione delle eredità è aumentata significativamente: mentre l'eredità media negli anni tra il 1986 e il 2001 corretta per l'inflazione era ancora di 72.000 euro, negli anni 2002-2017 è salita a 85.000 euro.
Tassa di successione iniqua
Le eredità e le donazioni sono distribuite in maniera molto ineguale, anche in termini di dimensioni. La metà delle eredità è inferiore ai 33.000 euro. Se la cosiddetta mediana è molto più bassa della media, significa che pochi ereditano grandi quantità di denaro. E in effetti, il 10% dei beneficiari riceve la metà di tutte le eredità e di tutte le donazioni. L'altro 90% condivide la metà restante.
Il quadro generale in termini di economia complessiva è sorprendente: studi precedenti del DIW di Berlino stimavano in Germania l'importo totale delle eredità e delle donazioni a 300-400 miliardi di euro ogni anno, vale a dire poco meno del 10% del PIL annuo tedesco. Non è quindi sorprendente che una gran parte degli oltre 10.000 miliardi di euro di ricchezza privata in Germania sia stato ottenuto grazie alle eredità o alle donazioni e non attraverso il lavoro delle proprie mani.
Ciò che stupisce, invece, è quanto poco di tutto ciò lo Stato abbia incassato attraverso l'imposta di successione: tra i sei e i sette miliardi di euro all'anno, cioè poco meno del due per cento della somma totale che si stima venga trasmessa attraverso le eredità e le donazioni. E ciò è dovuto principalmente alle generose esenzioni sull'imposta di successione che permettono oggi come ieri di trasmettere alla generazione successiva delle grandi eredità aziendali, spesso completamente esenti da tassazione. Uno studio precedente del DIW di Berlino, ad esempio, aveva dimostrato che i cittadini che ricevono in eredità tra i 250.000 e 500.000 euro pagano in media più del 10% di tasse di successione, mentre quelli con un'eredità di più di 20 milioni di euro devono pagare in tasse poco meno del 2% di questo importo. L'obiettivo dovrebbe essere quello di evitare di tassare il capitale delle imprese al fine di proteggerle.
Mediamente piu' anziano, tedesco occidentale e ricco
Chi sono gli eredi in Germania? La risposta breve è: per lo più persone che sotto molti aspetti sono già privilegiate. La risposta più lunga è: ad ereditare sono soprattutto persone nella seconda parte della loro vita, cioè tra i 55 e i 74 anni; della Germania ovest, che in media ricevono il doppio dell'eredità rispetto a chi vive nell'est - e quelle con i redditi piu' alti: quasi il 25 % delle eredità, infatti, vanno a persone collocate nel 10% piu' alto di coloro che hanno i redditi più elevati. E si tratta per lo più di persone che sono già molto ricche anche senza aver incassasto un'eredità: due terzi di tutte le eredità e di tutte le donazioni vanno a persone che appartengono al 20 % di coloro che hanno la maggiore ricchezza privata.
La conseguenza è che le eredità e le donazioni hanno un effetto estremo sulla distribuzione e la disuguaglianza in termini di ricchezza e di redditi. Nel dibattito sugli effetti delle eredità, si fa spesso notare che le eredità e le donazioni dopo tutto avrebbero ridotto la disuguaglianza in termini di ricchezza. Questo è vero se si guarda alla disuguaglianza relativa misurata, ad esempio, dal coefficiente di Gini, la misura della disuguaglianza più comune, ma non è nemmeno sorprendente: di solito una persona trasmette la sua eredità a più persone. E già questo di per sé porta in maniera meccanica a una migliore redistribuzione e quindi a un coefficiente di Gini più basso.
Ma in questo modo viene oscurata la distribuzione assoluta in termini di ricchezza e di reddito. Pertanto, guardare alla disuguaglianza assoluta, cioè misurata in euro, è molto più rilevante. Il divario in termini di ricchezza tra chi eredita e chi invece resta a mani vuote aumenta enormemente. E poiché le persone con redditi bassi e piccoli patrimoni hanno molte più probabilità di andarsene a mani vuote o di ricevere solo somme molto piccole, per le loro vite e le loro prospettive future cambia poco.
Nessun dibattito sull'invidia sociale
E' anche vero che un'eredità o una donazione rappresentano una grande opportunità per molte persone. Possono compensare un basso reddito mensile, possono rendere possibile l'acquisto di beni immobili o aiutare a cambiare carriera. È bello quando le persone possono cambiare la loro vita in meglio attraverso l'eredità o le donazioni e ottenere più libertà e maggiore responsabilità personale. Il dibattito quindi non dovrebbe essere in termini di invidia sociale.
La questione dovrebbe essere piuttosto come fare affinché le grandi eredità e le donazioni possano essere tassate più equamente e come è possibile fare in modo che il maggior numero possibile di persone possa beneficiare di eredità e donazioni, specialmente nelle fasi piu' critiche della loro vita, come ad esempio quando si crea una famiglia oppure all'ingresso nella vita professionale. La distribuzione più equa delle detrazioni fiscali, di cui non beneficerebbero solo i coniugi e i figli biologici, ma - in linea con la nuova diversità delle forme familiari - anche altri parenti stretti come i figliastri o i partner civili, potrebbe ridurre la disuguaglianza. Oppure l'abolizione del limite dei dieci anni, che permette in particolare agli individui ad alto patrimonio di trasmettere una parte dei loro beni esentasse ogni dieci anni.
Nelle colonne precedenti, avevo anche proposto un'eredità come opportunità per la vita, grazie alla quale tutti i giovani avrebbero ricevuto una donazione di 30.000 euro dallo Stato dopo aver ottenuto la loro prima qualifica professionale, soldi che avrebbero potuto usare per investire nel loro futuro professionale e privato. Sarebbe anche auspicabile arrivare ad avere una aliquota unica sulle eredità, cioè una tassazione uguale, diciamo, al 10 %, senza eccezioni per i grandi patrimoni, ma con generose indennità per le piccole eredità e le donazioni (che già esistono oggi). Questo significherebbe maggiore equità e aiuterebbe gli eredi a partecipare di più al bene comune.