domenica 26 marzo 2017

La lotta di classe è qui

Ottima traduzione appena ricevuta da Claudio. Seconda parte di un bellissimo reportage che Die Zeit dedica allo straordinario successo elettorale di AfD a Bitterfeld, in Sachsen-Anhalt, e in molte altre zone dell'Est. A Bitterfeld alle regionali del 2016 AfD ha superato il 31%: un risultato che non puo' essere spiegato solo con la rabbia per l'ondata di migranti. Grazie Claudio per l'articolo! Si arriva da QUI


Dodici anni dopo, nell'agosto del 2015, la signora in tailleur è nuovamente davanti alle telecamere. Adesso è diventata Cancelliera. Era il tempo in cui centinaia di migliaia di profughi giunsero in Germania attraverso i Balcani in cerca di rifugio; in larga parte persone che inizialmente vivrebbero svolgendo lavoretti semplici o richiedendo sussidi sociali. La Merkel sembra più benevola del solito, come trasformata. Parla di empatia, chiede ai Tedeschi di non farsi guidare dai pregiudizi e dalla “freddezza”, dando il benvenuto ai migranti. Disse: “la nostra economia è florida, il nostro mercato del lavoro è solido ed è certamente in grado di assorbire nuovi lavoratori”. Poi aggiunse quello che Diana Riemann ancora oggi non è riuscita a capire. Disse: “ce la facciamo”.

Poco tempo dopo nei capannoni della Soex c'erano i primi migranti che smistavano vestiti usati. La Soex è stata una delle poche fabbriche della zona ad offrire lavoro soprattutto agli immigrati: i giornali locali hanno riportato la notizia con toni encomiastici. Diana Riemann tira fuori il suo Smartphone e mostra una foto della fabbrica: una stanza disadorna con un tappeto rosso a quadri, sul pavimento c'è un Corano. Ci racconta che di recente la dirigenza ha fatto allestire una sala per la preghiera per i rifugiati. “Se io dicessi: vado un attimo a pregare perderei il mio lavoro. Oso a malapena andare in bagno, poiché in contrasto con le norme di lavoro”. Noi abbiamo chiesto all'addetto stampa della Soex se è vero che le condizioni dei lavoratori Tedeschi siano peggiori di quelle degli immigrati ma la risposta è stata un secco “no comment”.

A detta della Riemann agli immigrati vengono concessi permessi a lavoro nel caso in cui debbano recarsi al Sozialamt o all'Ausländerbehörde (n.d.t. rispettivamente “ufficio assistenza sociale” e “ufficio immigrazione”). Anche lei una volta ha avuto la necessità di rivolgersi all'ufficio preposto per richiedere il sussidio per la casa. “A me però non è stato concesso di andarci durante l'orario di lavoro” ci rivela. In quel caso la Riemann aveva un urgente bisogno del sussidio ma non è riuscita a ottenerlo, per via di pochi euro di troppo nella busta paga.

Negli ultimi anni durante i dibattiti di economia e politica si è parlato spesso e quasi unicamente del fatto che in Germania il personale qualificato sarebbe sommerso di offerte di lavoro e che la priorità fondamentale delle aziende sarebbe quella di offrire ai propri dipendenti un equilibrio armonioso tra lavoro e vita privata (work-life balance). Di conseguenza, le uniche questioni ancora aperte vertono sul maggiore accesso ai ruoli dirigenziali per le donne e sulla possibilità di includere gli immigrati nel mercato del lavoro. Raramente sono stati presi in considerazione coloro di cui ci si dimentica facilmente per via della congiuntura economica positiva, ossia tutti quelli che, pur avendo un lavoro, risultano poveri, che anche nel 2016 devono aver paura di perdere il lavoro, che non vivono nella ricca e prospera Germania, bensì in uno di quei Comuni indebitati fino al collo. Queste persone sono state zitte per anni. Ora però alcuni di loro vedono nell'AfD un partito che possa dar loro una voce, mentre nei rifugiati vedono una minoranza che è riuscita a sottrarre la compassione di una Cancelliera dimostratasi fino ad allora poco sensibile alle loro istanze sociali. Ed è da qui che che scaturisce il loro risentimento.

Diana Riemann va in cucina a prendere il caffè. Quando torna dice: “a quelle bestie un altro po' il Sozialamt pulisce pure il culo.”

A chi?

“A quelle bestie”, fa una pausa. “Agli stranieri”.

Non sono forse esseri umani?

“No”, poi ci offre del caffè. “Volete un altro bignè?”

Quello che è accaduto in quel mercoledì di dicembre al tavolo della Riemann si ripete quotidianamente mille altre volte. Nei commenti dei giornali online e sui profili Facebook dei politici; anche su quello del deputato di AfD Daniel Roi, dove lui posta le proprie foto personali: davanti al Parlamento regionale del Magdeburgo, assieme ai volontari dei vigili del fuoco o a una manifestazione dei sindacati. Qualche volta condivide articoli dei giornali, di solito riguardanti terroristi e criminali stranieri, come ad esempio l'attentatore tunisino che ha fatto irruzione in un mercatino di Natale presso la Gedächtniskirche di Berlino oppure i giovani rifugiati siriani che avrebbero dato fuoco ad un senzatetto. Gli amici di Roi su Facebook scrivono commenti di questo tipo:

“L'Islam e tutto ciò che gli gravita intorno sono ripugnanti.”

“I topi non stanno solo nelle fogne, sono anche in mezzo a noi.”

“Non si può fare di tutta l'erba un fascio ma con l'influenza aviaria verranno spazzati via tutti quanti. Perché? Meglio così!”

Roi non rimuove i commenti dalla propria pagina, dice che non ha tempo per leggerli tutti uno per uno.

Se proviamo a chiedere a Diana Riemann da dove proviene l'odio che ha manifestato quel pomeriggio, lei ci parla della delusione e delle privazioni che l'hanno consumata ben prima che i profughi mettessero piede nella fabbrica della Soex.

Il patto proposto da Angela Merkel al congresso di Lipsia, la formula magica neoliberista, secondo la quale le buone prestazioni vengono sempre ricompensate con lauti guadagni, per lei non funziona: ha imparato un mestiere, si è dimostrata flessibile ogni volta che era necessario, si è sempre impegnata. Ma in cambio non ha ricevuto né benessere né sicurezza. Mentre gli stipendi di parecchi lavoratori come lei sono fermi al palo da anni, altri hanno ricevuto per molto tempo sempre di più anche quando commettevano errori: i banchieri, i cui istituti sono stati sussidiati con i miliardi dello Stato o i manager delle multinazionali che frodano i clienti e ciononostante portano a casa i bonus.

Adesso che Merkel ha “invitato” i profughi - così si esprime la Riemann – lei si sente doppiamente tradita. Dice di aver paura di perdere il proprio lavoro per poi dover concorrere con persone meno istruite di lei per i posti rimanenti. Racconta di aver notato poco tempo fa una un avviso nella bacheca della Soex: la ditta sta costruendo una fabbrica ad Abu Dabi. Da allora la Riemann è convinta che lo stabilimento a Bitterfeld verrà presto chiuso e non è l'unica a nutrire tale timore.

Nell'estate del 2016, pochi mesi dopo la vittoria elettorale di Afd a Bitterfeld, alcuni sociologi dell'Università di Oxford condussero un sondaggio su incarico della fondazione Bertelsmann. Il loro obiettivo era di ricercare i motivi che in Europa spingono così tante persone a votare i partiti nazionalisti di estrema destra. Il risultato è stato dappertutto lo stesso. I sostenitori della tedesca AfD e dell'austriaco FPÖ, così come i britannici che votano Ukip e i francesi che supportano il Front National, hanno un sentimento comune: la paura della globalizzazione. In Germania il 78% di coloro che votano AfD hanno ammesso tale timore.


Quando le multinazionali straniere giunsero a Bitterfeld Helmut Kohl promise “paesaggi in fiore”1; quando i rifugiati si insediarono a Bitterfeld Angela Merkel promise che la Germania ce l'avrebbe fatta. “Kohl ci ha presi in giro e la Merkel ha dimenticato da dove viene” dice la Riemann. “Una volta lei era una di noi. Dovrebbe sapere che dalle nostre parti ci sono ancora tanti problemi per i quali non si trova una soluzione.”

A Bitterfeld le esigenze dei cittadini vengono bloccate sempre con la stessa frase: non ci sono soldi. Non ce ne sono per le scuole e per gli ospizi, né per le strade dissestate o per i parchi giochi. “Poi sento: per gli immigrati ci sono miliardi a disposizione, questo però fa a pugni con la realtà”, dice la Riemann.

Bitterfeld-Wolfen è il comune più indebitato della Sassonia-Anhalt, un esempio estremo per un problema assai diffuso: mentre l'economia tedesca nel complesso prospera radiosa, alcuni singoli Comuni se la passano decisamente male. E non solo nella Germania orientale, anche nella zona della Ruhr, in Renania Palatinato o in Saarland. Quanto questi Comuni si ritrovino a dover mendicare disperatamente la benevolenza delle multinazionali, e quanto siano impotenti di fronte alle leggi della globalizzazione, lo si può osservare a Bitterfeld-Wolfen.

In un campo alla periferia della città c'è un sito industriale con capannoni grandi quanto campi da calcio e torri in vetro e cemento armato. L'ingresso principale rimane aperto, la portineria è vuota. Nel parcheggio è cresciuta l'erba. Dei cartelloni fiancheggiano la strada: “impianto di produzione affittasi”.

Fino a pochi anni fa qui germogliava la speranza della Germania orientale: un enorme complesso industriale dove migliaia di lavoratori costruivano pannelli solari che venivano esportati in tutto il mondo. Quest'area veniva chiamata dagli abitanti di Bitterfeld “solar valley”; in quel periodo si aveva l'impressione che questa regione ce l'avesse davvero fatta. Le aziende che producevano qui avevano nomi che rievocavano il futuro, come Q-Cells, Sovello, Solibro e Calixo. La città aveva fatto loro una corte spietata attraverso basse imposte, forza lavoro altamente flessibile, finanziamenti multimilionari e uno svincolo autostradale costruito appositamente per il complesso industriale. Anche il governo federale fece la sua parte: approvò delle sovvenzioni per la produzione di energia solare affinché la richiesta di panelli solari crescesse. Le imprese arrivarono e portarono con sé migliaia di posti di lavoro.

Non passò molto tempo prima che delle multinazionali cinesi cominciarono a produrre – a prezzo più basso – lo stesso tipo di pannelli solari al punto da fagocitare le aziende di Bitterfeld e delocalizzare il lavoro. Migliaia di persone furono licenziate. “Fu un taglio netto” dice Daniel Roi, il quale ritiene che il discorso delle multinazionali non sia poi così dissimile da quello riguardante il lago Goitzsche: lo Stato sborsa milioni con l'intento di attirare i grandi capitali. Alla fine però alla collettività non spetta niente. “Il sistema capitalistico, che ormai non conosce più limiti, è fallito” dice lui.

Oggi gli abitanti di Bitterfeld hanno imparato a diffidare delle benedizioni della globalizzazione, così come nutrono parecchi dubbi circa il reale potere dello Stato: perché il governo non si tutela di fronte alle multinazionali cinesi? Perché continua a sovvenzionare la vendita di pannelli solari che non sono prodotti dai lavoratori tedeschi, bensì principalmente da quelli asiatici? La Merkel non aveva promesso che si sarebbe fatta carico del benessere e della sicurezza delle persone, a patto che queste si dimostrassero flessibili e diligenti?

Da allora gli abitanti di Bitterfeld si sono adeguati alle esigenze delle imprese, impostando la loro vita secondo il ritmo delle fabbriche. La società attuale che promuove lo sviluppo economico propaganda tra la popolazione la “dipendenza dai prodotti chimici” e ”l'assuefazione al regime su tre turni di lavoro”. La città ha chiamato le proprie strade con i nomi delle aziende e dei loro prodotti: Heraeusstraße, Guardianstraße, Stickstoffstraße (“via dell'azoto” n.d.t.), Farbstoffstraße (“via del colorante” n.d.t.). Ha perfino rinunciato a sé stessa pur di attirare le imprese. Nel 2007 vi fu una riforma distrettuale e Bitterfeld fu accorpata – contro la volontà dei cittadini – a Wolfen. Si fusero per poter essere più appetibili dal punto di vista commerciale. Si avvicinarono per mascherare il reciproco invecchiamento e disfacimento. Da allora molti centri della Germania orientale hanno nei loro nomi una caratteristica che prima si riscontrava solo nella zona occidentale: il trattino, come per esempio Dessau-Roßlau o, se preferite, Bitterfeld-Wolfen.

Durante gli ultimi anni ci sono state sempre nuove multinazionali che portavano posti di lavoro a Bitterfeld, ma questi lavori non erano mai sicuri. Ci sono stati politici locali che hanno fatto di tutto per attirare i colossi industriali. Ma ciò che si è rivelato al di là delle loro possibilità è stata la capacità di farli restare qui.

L'Afd non ha alcuna soluzione per tali problemi. Il suo manifesto economico è scarno e impreciso, in alcuni punti richiama la lotta di classe, altrove sembra aderire sfrenatamente ai dettami del libero mercato. Su una cosa sono però molto bravi: sanno ascoltare le persone come Diana Riemann, conoscono i loro bisogni, canalizzano la loro rabbia, di solito nella direzione più semplice di tutte, verso il basso, contro i migranti, contro coloro che hanno ancora meno di loro.

Se chiedete a Diana Riemann dell'SPD o della Linke, vi dirà che ha visto i loro rappresentanti in TV e che non capisce il loro linguaggio. Se invece le chiedete dell'AfD vi risponderà Daniel Roi. Lo ha conosciuto durante una manifestazione, protestavano insieme contro la chiusura di una scuola materna. Lei gli parlò dei suoi problemi e lui le diede il suo numero di cellulare.

Roi parla la sua stessa lingua, quel ruvido dialetto tanto diffuso nella zona meridionale della Sassonia-Anhalt. Lui è nato qui, a Wolfen-Nord, una sorta di colonia operaia in cui alla fine degli anni '80 vivevano all'incirca 35.000 persone. Oggigiorno 8.000 di loro vivono ancora li', in maggioranza pensionati. Con la sua Škoda passa davanti ai prefabbricati, a Kaufland (n.d.t. centro commerciale) e Nettomarkt (n.d.t. supermercato), poi scende dalla macchina e si incammina attraverso i canyon urbani. Donne anziane trascinano il loro deambulatore sull'asfalto squarciato, accanto ad un enorme cumulo di macerie le scavatrici sbriciolano il calcestruzzo lavato dei prefabbricati sventrati. Gli operai trascinano fuori le interiora degli edifici: tubi degli impianti di riscaldamento, tazze del gabinetto, pannelli isolanti. Un paio di anni fa la Società per l'edilizia residenziale della città innalzò i prezzi degli affitti, nonostante il quartiere fosse decrepito. In seguito a ciò alcuni cittadini fondarono un'iniziativa a difesa degli affittuari; il loro presidente siede oggi nel consiglio esecutivo dell'AfD.

Più tardi Roi si reca nel centro di Bitterfeld. I proprietari di alcuni piccoli negozi hanno fondato un comitato a tutela del centro città. Si lamentano del fatto che in centro i negozi siano vuoti e che intorno a Bitterfeld stiano spuntando grandi centri commerciali. Protestano contro le imposte che sono obbligati a pagare, mentre in Germania le catene di moda internazionali pagano pochissime tasse. Si scagliano contro i colossi on-line come Amazon che danneggiano i loro affari. Il presidente del comitato il prossimo anno vuole candidarsi al parlamento; con AfD.

Roi gironzola nella piazza del mercato che si tiene qui ogni mercoledì. Vi si trova formaggio olandese e panini con würstel della Turingia per 1,80 €. Lì in mezzo, vicino alla teca del pollame, un partito ha allestito un bancone, l'unico lungo e largo. È l'AfD.


1 N.d.t. L'espressione blühende Landschaften fu usata dall'allora Cancelliere Helmut Kohl in due circostanze (1990 e 1991) con riferimento alle prospettive economiche dei territori dell'ex Germania Est

sabato 25 marzo 2017

Salvataggi alla tedeska

In Germania le banche si salvano ancora alla vecchia maniera: con il denaro pubblico. HSH Nordbank è la banca zombie del nord salvata con il denaro pubblico dello Schleswig-Holstein e della città di Amburgo: per ora è costata al contribuente tra i 20 e i 30 miliardi di euro. La parte sana della banca sarà ovviamente ceduta ad un'altra banca pubblica, mentre lo smaltimento dei crediti deteriorati della bad bank avverrà in tutta tranquillità, senza la pressione della BCE e della Commissione, come invece sta accadendo per MPS e le banche venete. Il punto sulla situazione, da Die Welt


Se qualcuno gli chiede di HSH Nordbank, Georg Fahrenschon risponde con dei monosillabi. Come era facile immaginare, durante la conferenza stampa annuale tenutasi questa settimana a Berlino, il presidente delle Casse di Risparmio Tedesche (Deutschen Sparkassen- und Giroverbandes, DSGV) ha preferito non rispondere alle domande sulla vendita della Landesbank della città di Amburgo e dello Schleswig-Holstein e sui rischi connessi per le casse di risparmio. Gli è stato chiesto se NordLB [Landesbank pubblica di Hannover] vuole davvero comprare HSH Nordbank: "qui preferisco usare il jolly- telefonate direttamente ai proprietari della NordLB", ha risposto Fahrenschon.

Considerando i diversi scenari sul tavolo, il futuro di HSH Norbank resterà incerto ancora per mesi. Ci sarà un compratore, oppure no? E se si', saranno i cinesi oppure la Landesbank di Hannover? La banca sarà divisa in una good bank e in una bad bank? Le perdite alla fine saranno 20 miliardi oppure 40? L'ultimo atto della crisi finanziaria avrà un lieto fine oppure è lecito aspettarsi un disastro? E soprattutto: l'istituto finanziaro della Germania del Nord, causerà solo qualche scossa oppure scatenerà un violento terremoto nel sistema finanziario tedesco?

Quanti acquirenti ci sono veramente?

L'ultima domanda interessa il presidente delle casse di risparmio tedesche, Fahrenschon, piu' di tutte le altre. Perché sono proprio le casse di risparmio a garantire per le Landesbanken. Per questa ragione sia ad Amburgo che nello Schleswig-Holstein ci si augura che il processo di vendita iniziato a gennaio possa essere l'ultimo capitolo di una storia breve ma densa di perdite, soprattutto si spera che sia possibile trovare un compratore entro il febbraio 2018. La cosa piu' importante: i miliardi che fino ad ora il contribuente ha già pagato per il sostegno e il risanamento della banca devono essere gli ultimi. Ed è proprio quello che i politici dell'opposizione e i manager della banca temono.

Nelle stanze del potere si usano altri toni. Verso la fine di  febbraio il Ministero delle Finanze dello Schleswig-Holstein parlava di "numerose manifestazioni di interesse". Il senatore responsabile per gli affari finanziari della città di Amburgo, Peter Tschentscher (SPD), si era mostrato molto soddisfatto per la situazione. Secondo le informazioni di „Welt am Sonntag“, tuttavia, al primo appuntamento si sarebbero presentati meno di 10 potenziali compratori interessati - alcuni di questi presumibilmente solo perché volevano farsi un'idea sulla situazione dei conti della banca. Quanto in realtà la vendita potrebbe essere difficile lo mostra il caso della WestLB.

La banca era entrata in crisi a causa della crisi finanziaria e aveva messo il suo proprietario, il Land Nordrhein-Westfalen, in una situazione difficile, simile a quella in cui si trovano attualmente le 2 regioni del nord per via di HSH Nordbank. All'epoca si parlava di 50 possibili compratori interessati all'acquisto di WestLB. Alla fine erano rimasti solo in 5 e nessuno di questi ha poi deciso di comprare. Nel 2012 la banca è stata divisa in piu' parti e lo smaltimento dei crediti residui durerà probabilmente fino al 2027.

Un disastro per le regioni Amburgo e Schleswig-Holstein

I proprietari (pubblici) di HSH Norbank hanno deciso invece di risanare l'istituto. Amburgo e Schleswig-Holstein detengono il 90% della Landesbank, le parti residue sono di proprietà delle Casse di Risparmio dello Schleswig-Holstein e dell'investitore americano J.C. Flowers. I piani di risanamento non hanno mai preso il volo. Soprattutto perché il mercato internazionale dei trasporti navali non si è mai ripreso. La HSH Nordbank, ex leader mondiale nel finanziamento delle flotte marittime, è stata colpita in maniera particolarmente dura: il suo portafoglio di crediti verso le compagnie navali è stato svalutato piu' volte mentre in piu' occasioni i prestiti non esigibili erogati per l’acquisto di navi e petroliere sono passati in mani pubbliche. 


Per i Laender Amburgo e Schleswig-Holstein si tratta di un disastro economico. Il professore di economia di Kiel, Peter Nippel, nell'estate 2016 calcolava in 13 miliardi di euro la somma che gli azionisti pubblici hanno dovuto pagare dal 2009 al 2015 per sostenere la banca. Il portavoce della FDP nel Parlamento di Amburgo, Michael Kruse, parla di una perdita complessiva di circa 20 miliardi di euro dalla fondazione della banca avvenuta nel 2003.

La Linke, che da diversi anni chiede la liquidazione della banca, calcola in 27 miliardi di euro di costi per i 2 Laender. Per fare un confronto: il bilancio annuale della città di Amburgo è di circa 10 miliardi di euro, quello dello Schleswig-Holstein è di circa 11 miliardi di euro. In tutto le 2 regioni fino ad ora hanno incassato 354 milioni di euro di dividendi e 2.9 miliardi di euro di interessi che la HSH Norbank ha pagato per i 10 miliardi di garanzie pubbliche.

Le casse di risparmio dovranno garantire?

Dopo un lungo negoziato, Amburgo e Schleswig-Holstein sono riusciti ad imporre alla Commissione UE la possibilità di aiutare finanziariamente la banca. Poiché gli aiuti pubblici dati alle banche sono considerati una distorsione della concorrenza, alla fine del processo di risanamento HSH Nordbank dovrà essere venduta. Se non si riuscirà a vendere la banca entro il 28 febbraio 2018, la banca dovrà interrompere la sua attività e dismettere il suo attuale portafoglio crediti. In quel caso, anche i singoli settori della banca, ad esempio il business nelle energie rinnovabili o quello nel settore immobiliare, dovranno essere venduti. Ma anche la vendita dei crediti residui alla fine graverebbe con ulteriori miliardi di perdite sui bilanci delle 2 regioni.

La liquidazione di HSH Norbank potrebbe causare un terremoto nell'intero sistema finanziario tedesco: "le casse di risparmio tedesche hanno un problema serio, perché il fondo di garanzia delle Landesbank è gia al limite. Se questo dovesse restare senza risorse, sarà il fondo di garanzia delle casse di risparmio a dover garantire per la liquidazione della banca", dichiara il politico della FDP Kruse. "E questo potrebbe mettere in difficoltà la stabilità e la solvibilità di tutto il sistema delle Sparkasse tedesche".

Ma c'è anche qualcos'altro ad innervosire le casse di risparmio e il loro presidente Fahrenschon. Hanno venduto ai loro clienti  obbligazioni della HSH Nordbank per un totale di 7 miliardi di Euro, soprattutto in Westfalen-Lippe. Se HSH Norbank non dovesse essere piu' in grado di onorare questi titoli, i risparmiatori perderebbero il capitale e gli interessi. "Si tratta di obbligazioni a tasso fisso con l'obbligo per il possessore, nel caso peggiore, di partecipare alle perdite", dice Norbert Weber, ex dirigente bancario e membro del gruppo parlamentare della Linke nel Parlamento di Amburgo. "Le casse di risparmio dovrebbero riacquistare questi titoli, se non vogliono rischiare un grave danno di immagine per l'intero settore".

Kernbank e Bad Bank - due facce della HSH Nordbank

Mentre tutto intorno infuria la tempesta, HSH Norbank cerca di tornare ad una situazione di normalità. Dopo anni di scandali con perdite enormi, buchi finanziari e processi contro gli ex membri del consiglio di amministrazione, i vertici della banca desiderano solo una cosa: serietà negli affari per cercare di aumentare le chance di vendere la banca. Il CEO Stefan Ermisch si concentra soprattutto sulla promozione presso i potenziali investitori della "parte economicamente sana della banca". Si tratta delle attività legate agli immobili, al trasporto, alle energie rinnovabili, alla sanità e ai clienti aziendali.

I proprietari tuttavia dovranno vendere anche la bad bank. E' qui che infatti sono stati scaricati i prestiti in default dell'istituto, titoli tossici acquistati sul mercato immobiliare americano prima della crisi finanziaria mondiale, crediti verso le  compagnie navali ormai senza un valore e prodotti speculativi di qualsiasi tipo. La domanda è solo una: in che modo? In un pacchetto unico con la good bank, e questo sarebbe l'obiettivo primario delle regioni. Nel settore tuttavia lo si considera alquanto improbabile. Anche lo stesso CEO die HSH, Stefan Ermisch, dice apertamente di non credere a questa possibilità.

Ermisch lo ha già annunciato ad inizio dicembre: per la vendita della good bank e della Bad bank ha in mente 2 diversi tipi di investitori. Una bad bank come quella creata per smaltire i crediti deteriorati di HSH Norbank probabilmente sarà offerta agli hedge fonds americani. Norbert Weber della Linke crede che la banca stia cercando un taglio netto: "sono sicuro che la banca dovrà essere divise in due parti, anche da un punto di vista giuridico, prima di procedere alla vendita".

Da un lato si facilita la cessione della parte sana, dall'altro Amburgo e Schleswig-Holstein potranno concentrarsi sulla liquidazione della "bad bank", nel caso in cui non fosse stato possibile venderla entro il febbraio 2018. Anche Lüthje si aspetta una cessione separata: "La banca core sarà venduta. La bad bank probabilmente sarà gestita ancora per diversi anni direttamente dai 2 Laender - con l'approvazione della Commissione - in modo da riuscire a vendere a prezzi accettabili i vecchi prestiti".

Il sindaco di Amburgo, Olaf Scholz (SPD), riuscirà sicuramente ad ottenere l'autorizzazione necessaria da Bruxelles, dice Lüthje. "Herr Scholz è in grado di portare a casa un simile risultato". Che gli investitori interessati a HSH Nordbank siano meno di 10, secondo Lüthje, non è un problema. Cio' che conta, secondo lui, è il numero di quelli che resteranno dopo aver visto i libri contabili.

Alla core bank di HSH Norbank potrebbero essere interessate anche banche di altri paesi in cerca di un maggiore accesso al mercato tedesco ed europeo. Da mesi si specula sul fatto che un istituto cinese potrebbe rilevare la banca. Proprio in questa fase la Cina sta aumentando i suoi sforzi per acquistare aziende hi-tech tedesche. Perché non una banca direttamente in contatto con le aziende?

Nord LB sarà costretta ad acquistare?

L'ex dirigente bancario Bernd Lüthje, ex presidente del consiglio di amministrazione di WestLB, di cui ha guidato la ristrutturazione dei primi anni 2000, non crede a questo scenario: "le banche cinesi vanno laddove possono avere accesso diretto alle aziende di piccole e medie dimensioni. HSH Nordbank non è una banca specializzata in piccole imprese. Io credo che alla fine sarà NordLB [Landesbank pubblica di Hannover] a comprare la parte sana di HSH Nordbank".

Lüthje non è il solo a pensarla in questo modo. L'ipotesi che alla fine sarà NordLB a comprare HSH Norbankd, o almeno la parte buona della banca, è alquanto popolare fra gli esperti del settore. Il consiglio di gestione di NordLB ha tuttavia smentito piu' volte il suo interesse - alla fine del 2016 l'istituto di Hannover ha acquisito la Landesbank di Brema e deve ancora integrarla nel gruppo. NordLB si trova ora nei bilanci 10 miliardi nominali di crediti erogati al settore navale, un rischio notevole considerando gli sviluppi nel mercato dello shipping.

Le speculazioni su di una nuova acquisizione nel nord del paese non sembrano fermarsi: "è piu' che probabile che alla fine NordLB sarà costretta a comprare HSH Nordbank, perché è la volontà politica dei governi regionali rosso-verdi del nord", dichiara il politico della FDP Kruse. "Con questa soluzione sia il settore pubblico che le casse di risparmio potrebbero guadagnare tempo. Alla fine sarebbero i contribuenti a dover garantire con somme considerevoli. Anche scaricando una parte delle perdite sulla Bassa Sassonia il problema di fondo resterebbe irrisolto: la garanzia comune sui debiti".

Non c'è nessun piano B

Ma cosa potrebbero fare i proprietari se non si riuscisse a vendere la banca - né per intero né in 2 parti separate? "Non c'è nessun piano B", dice un influente politico di Amburgo, che ha seguito la vendita con attenzione.

E dipinge uno scenario ancora piu' cupo: le autorità finanziarie di Amburgo non sono affatto preparate per un processo di queste dimensioni: lo smantellamento e la vendita di una banca che un tempo aveva in portafoglio oltre 200 miliardi di Euro di attivi. I consulenti legali e gli avvocati, con le loro ricche parcelle, probabilmente alla fine saranno gli unici a trarne beneficio. 

Le condizioni per la vendita di HSH Nordbank sembrano essere molto diverse da quelle della vendita di WestLB: se la vendita di HSH Nordbank o di una sua parte dovesse fallire, ci sarebbe un lungo strascico, e se i crediti inesigibili della bad bank dovessero essere svalutati sotto la gestione delle 2 regioni, il conto finale per Amburgo e Schleswig-Holstein sarebbe molto piu' alto. Secondo Norbert Weber della Linke, "avremmo probabilmente altri 10 miliardi di euro di costi aggiuntivi per le 2 regioni".

domenica 19 marzo 2017

Berlino alimenta l'indipendentismo scozzese

Secondo German Foreign Policy, Berlino sta alimentando il separatismo scozzese per indebolire la posizione britannica e poter negoziare una Brexit favorevole agli interessi tedeschi. I mezzi per fare pressione: rapporti economici privilegiati con la Scozia e l'interferenza nelle questioni interne britanniche. Da german-foreign-policy.com


Per rafforzare i suoi legami economici con l'UE, la Scozia intende realizzare un centro per gli investimenti a Berlino; cosi' facendo, grazie anche all'appoggio tedesco, si stanno creando le condizioni per nuove tensioni interne alla Gran Bretagna. Il governo scozzese, secondo i commentatori, nel tentativo di trovare una protezione economica per il processo di separazione dalla Gran Bretagna, starebbe cercando l'aiuto tedesco. Concretamente: i governi regionali e quello federale di Berlino, in maniera mirata, stanno cercando di rafforzare i loro legami economici con Edimburgo. Lo scenario di fondo sarebbe il desiderio di aumentare la pressione su Londra in modo da poter ottenere una "soft Brexit". Opzione senza dubbio desiderabile per la tutela degli interessi tedeschi. I consiglieri del governo tedesco suggeriscono invece di utilizzare la Repubblica d'Irlanda per fare pressione nei negoziati sulla gestione del confine fra Irlanda e Irlanda del Nord; questo confine in caso di "hard Brexit" sarebbe una questione particolarmente delicata. Come merce di scambio Berlino vorrebbe utilizzare i cittadini UE già residenti in Gran Bretagna e quelli britannici residenti nell'UE: la Cancelliera Merkel ha infatti rifiutato di garantire i loro diritti di soggiorno prima dell'avvio dei negoziati. 

Sfruttare i contrasti

Subito dopo il referendum britannico sull'uscita dall'UE del 23 giugno 2016, a Berlino si iniziava a riflettere su come utilizzare i contrasti interni al Regno Unito per poter esercitare una pressione nelle trattative sulla Brexit. Dalle urne è uscita una maggioranza pro-Brexit, ma non in Scozia e Irlanda del Nord, dove rispettivamente il 62% e il 55.8% ha votato contro. Per Londra la situazione è complessa, perché in Scozia le aspirazioni secessioniste sono molto forti, mentre in Irlanda del Nord ci sono invece piani per la riunificazione con la Repubblica d'Irlanda; entrambe le regioni sono ampiamente sopra la media pro-UE, e la prospettiva di un'uscita non fa altro che alimentare le aspirazioni indipendentiste. L'idea era quindi quella di sfruttare il separatismo scozzese e i piani di riunificazione irlandesi per aumentare la pressione su Londra e quindi costringere il governo di Londra a fare concessioni - con un consiglio: se Londra si allontanasse davvero dall'UE perderebbe la Scozia. Per un certo periodo si è addirittura parlato di una ripetizione del referendum. In alternativa, si diceva, è necessario ottenere almeno una "soft Brexit".

Accettare la Scozia

In questa fase Berlino ha apertamente sostenuto il separatismo scozzese. Il presidente della Commissione per gli Affari Europei al Bundestag, Gunther Krichbaum (CDU), il 26 giugno dichiarava: "L'UE continuerà ad essere composta da 28 stati membri, perché io mi aspetto un nuovo referendum sull'indipendenza della Scozia, che questa volta avrà successo. Dobbiamo rispondere rapidamente alla richiesta di ingresso di un paese amico dell'UE"[1]. Sempre nella stessa direzione andava l'incontro dell'allora Presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz (SPD), con il capo del governo scozzese Nicola Sturgeon; con quell'incontro Sturgeon voleva discutere di come la Scozia, nonostante la Brexit, potesse ancora restare a far parte dell'UE. I primi di luglio si è aggiunto anche l'allora Ministro dell'Economia Sigmar Gabriel (SPD) dichiarando: "L'UE sarebbe sicuramente pronta ad accogliere la Scozia se questa dovesse uscire dal Regno Unito e chiedesse di entrare nell'UE" [2] In agosto Sturgeon è stata ricevuta a Berlino dal sottosegrario al Ministero degli Esteri Michael Roth, il quale in quell'occasione aveva dichiarato: "mi auguro che il Regno Unito riesca a trovare una strada che possa essere utile per l'Europa nel suo complesso". [3] A settembre, a Bad Aibling, in Baviera, in occasione di una riunione di partito, il capogruppo SPD nel parlamento regionale bavarese ha incontrato Angus Robertson, capogrupppo dello Scottish National Party (SNP) alla House of Commons. Robertson in quell'occasione ha annunciato di  voler analizzare le possibilità per far restare la Scozia nell'UE nonostante l'uscita britannica; il suo discorso è stato accolto con grandi applausi. [4].

Un centro per gli investimenti a Berlino

In questa situazione di forte incertezza Sturgeon è alla ricerca di un maggiore sostegno economico da parte della Germania. All'inizio di marzo ha incontrato a Edinburgo il Ministro dell'Economia tedesco Christian Schmidt per discutere, tra le altre cose, dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE. All'inizio della scorsa settimana il Ministro dell'Economia scozzese è stato ad Amburgo e Berlino per parlare di un possibile rafforzamento delle relazioni economiche. Edinburgo intende costruire a Berlino nel prossimo futuro un "Centro per l'innovazione e gli investimenti" che dovrebbe contribuire alla creazione di nuovi legami economici. La prossima settimana è previsto il viaggio in Scozia di una delegazione economica bavarese sotto la guida del Ministro dell'Economia bavarese Ilse Aigner. Lo sviluppo delle relazioni commerciali rafforza il legame della Scozia con l'UE, rende piu' probabile una separazione economica - e garantisce a Berlino maggiori opportunità per esercitare la sua influenza.

Confini sensibili

I politici di Berlino individuano opportunità per estendere la loro influenza anche nella questione nord-irlandese. Li' una hard Brexit potrebbe rivelarsi fatale, perché potrebbero esserci conseguenze sul confine fra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda, secondo quanto riportato da una recente analisi della Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). La permeabilità di questo confine è di grande importanza per il processo di pace sull'Isola. Il libero transito delle persone fra la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord è regolato nel  Common Travel Area (CTA) del 1923; il trattato potrebbe facilmente restare invariato anche dopo l'uscita della Gran Bretagna. Tuttavia potrebbero esserci problemi per il Regno Unito, perché un confine senza controlli d'identità sarebbe una facile porta di ingresso per la migrazione indesiderata. Londra potrebbe quindi trovarsi in una situazione difficile, che giocherebbe a sfavore di una "hard Brexit". Sicuramente non è opportuno intervenire direttamente in Irlanda del Nord, e quindi in questioni interne al Regno Unito, ma nelle trattative è coinvolta anche l'Irlanda. L'UE avrebbe quindi "il diritto di tutelare nei negoziati per la Brexit gli interessi particolari del suo stato membro Irlanda", scrive la SWP.[6] Il confine fra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda già nel luglio 2016 era stato oggetto di un colloquio fra la Cancelliera Angela Merkel e il primo ministro irlandese Enda Kenny.

Merce di scambio

Fra le complicazioni che Berlino sta cercando di mettere in campo per evitare un "hard Brexit" c'è anche la questione della tutela del diritto di soggiorno per i circa 3 milioni di residenti europei in Gran Bretagna. Anche se nell'establishment britannico nessuno intende negargli il diritto a restare, l'incertezza permanente non solo causa inquietudine fra le persone coinvolte ma alimenta un atteggiamento ostile nei confronti della Brexit. Il primo ministro May avrebbe quindi chiesto alla Cancelliera Merkel di pronunciarsi a favore del diritto di soggiorno sia per per i cittadini europei nel Regno Unito, sia per i 900.000 cittadini britannici che vivono nei paesi dell'UE a 27. Da quanto si legge, pare che Merkel abbia esplicitamente respinto la richiesta. Non sarebbe disponibile "ad indebolire la posizione negoziale dell'UE", cosi' si scrive citando fedelmente fonti vicine al governo tedesco.[7] In questo modo Berlino ha trasformato i 3 milioni di cittadini europei nel Regno Unito e i 900.000 residenti britannici nel continente in una merce di scambio.

[1] Jacques Schuster, Daniel Friedrich Sturm: Und zurück bleiben die verwirrten Staaten von Europa. www.welt.de 26.06.2016. S. dazu Das Druckmittel Sezession.
[2] Sigmar Gabriel: Egoismus macht Europa kaputt. www.noz.de 02.07.2016.
[3] Sturgeon in Berlin for Brexit talks with German minister. www.bbc.co.uk 09.08.2016.
[4] Bayerisch-schottischer Schulterschluss für Europa. bayernspd-landtag.de 21.09.2016.
[5] Kanishka Singh: Scottish independence support at highest ever levels, survey suggests. Polls find 46% of Scots back separation from UK. www.independent.co.uk 15.03.2017.
[6] Nicolai von Ondarza, Julia Becker: Ein differenzierter Brexit für das Vereinigte Königreich. SWP-Aktuell 11, März 2017.
[7] Oberhaus will Garantien. Frankfurter Allgemeine Zeitung 03.03.2017.

sabato 18 marzo 2017

Hans Werner Sinn: Brexit sarà una catastrofe per la Germania

Hans Werner Sinn torna a parlare del pericolo Brexit per la Germania: è necessario bloccare la manovra dei francesi per non trasformare la Germania nell'ufficiale pagatore di una nuova unione monetaria latina fondata sul protezionismo commerciale e i trasferimenti verso il Mediterraneo. Berlino deve imporre una revisione dei trattati europei. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung. 


Ci siamo arrivati. Il Parlamento britannico ha rinunciato al suo diritto di veto, e il governo di Theresa May questo mese formalizzerà la sua richiesta di uscita dall'UE. Da quel momento inizieranno a decorrere i due anni di negoziati previsti dai trattati europei.

L'uscita della Gran Bretagna è un voto di sfiducia nei confronti dell'UE. L'irritazione per l'arroganza dei burocrati di Bruxelles durava ormai da molto tempo, irritazione per aver ripetutamente calpestato il principio di sussidiarietà con la volontà di legiferare su ogni aspetto tramite regolamenti e raccomandazioni: dalla polvere sottile nelle città alla qualità dell'acqua potabile, dalla curvatura dei cetrioli alla lunghezza minima delle banane o la colorazione delle mele, fino alla forza degli aspirapolvere o le prestazioni della lavastoviglie, tutti settori dove non ci sono esternalità transfrontaliere che potrebbero giustificare un intervento centrale. Ed erano stanchi di dover sottostare ai giudizi della Corte Europea di Giustizia, giudizi guidati da interessi particolari, in cui i piccoli paesi hanno lo stesso peso dei paesi piu' grandi.

Respinto con un gelido sorriso

Soprattutto non ci si voleva sottomettere alle regole sull'immigrazione dettate da Bruxelles. Molti cittadini britannici ritengono che l'immigrazione di massa dai paesi del Commonwealth degli anni '50 e '60, che fù peraltro bloccata solo con l'adesione all'UE del 1973, abbia travolto il paese. Non si voleva correre il rischio che accadesse un'altra volta. Il tentativo fatto dal primo ministro Cameron di ridurre l'effetto magnetico dello stato sociale britannico ritardando l'integrazione dei migranti nel welfare, è stato respinto dalle élite europee con un gelido sorriso. Questa umiliazione ha contribuito in maniera significativa al rafforzamento dello schieramento pro-brexit.

Brexit per l'UE è già una mezza catastrofe, perché la Gran Bretagna è un grande paese. Non si tratta dell'uscita dall'UE di un qualsiasi paese, che si potrebbe anche accettare prima di tornare al consueto "business as usual". Si tratta piuttosto dell'uscita della seconda economia europea. Le dimensioni dell'economia britannica sono pari a quelle dei 20 paesi piu' piccoli dell'UE messi insieme. E' come se ad uscire fossero 20 paesi su 28 contemporaneamente.

L'equilibrio dell'UE è distrutto

Già questo fatto mostra che nell'UE nulla sarà più' come prima. Gli inglesi hanno espresso critiche giustificate alle istituzioni europee e alle loro regole. Queste critiche dovrebbero essere prese sul serio e inserite all'interno di una riforma fondamentale dell'UE. Di questa riforma dovrebbe far parte anche un nuovo sistema di diritti di inclusione per i migranti, che aiuti a spegnere il potere magnetico del welfare, o ad esempio una nuova regolamentazione dell'Eurosistema. Sarebbe inoltre necessario differenziare fra diritti sociali guadagnati ed ereditati, introdurre all'interno del Consiglio della BCE dei diritti di voto basati sulla partecipazione al capitale, discutere del pagamento dei saldi Target, prevedere una procedura di insolvenza ordinata per gli stati, inserire nei trattati la possibilità di un'uscita ordinata dall'Euro basata sulla svalutazione. Gli aspetti da ridefinire sarebbero molti.

Brexit per la Germania sarà devastante. La Gran Bretagna è per la Germania il terzo mercato di esportazione. E' uno dei due paesi che nell'UE dispone di armi atomiche. L'altro, che resta, considerando le critiche alla Nato arrivate da Washington, e grazie alla Brexit, conquisterà molto potere politico all'interno dell'UE, mentre la Germania finirà in una situazione di dipendenza unilaterale. L'equilibrio dell'Europa è distrutto.

Quando il ministro degli esteri Gerhard Schröder e il ministro dell'economia Ludwig Erhard convinsero il Bundestag ad inserire nel trattato dell'Eliseo un preambolo, con grande dispiacere del presidente De Gaulle, secondo il quale la Germania si augurava l'ingresso della Gran Bretagna nell'UE, sapevano cosa stavano facendo. Solo al terzo tentativo, dopo i 2 bloccati da De Gaulle nel 1963 e nel 1967, nel 1973, dopo la morte di De Gaulle, si è riusciti a far salire a bordo la Gran Bretagna.

I nostri vicini del Mediterraneo ora potranno governare

La distruzione dell'equilibrio europeo raggiunge cosi' una dimensione molto concreta: le regole sulla tutela della minoranza nel Consiglio dei Ministri perdono il loro significato, almeno cosi' come erano previste dal trattato di Lisbona, che dopo un periodo di transizione, a partire dal primo aprile 2017, sarebbero state valide anche per il Regno Unito. Per la maggior parte delle decisioni è infatti necessario avere il consenso del 55% dei paesi rappresentanti almeno il 65% della popolazione. A sua volta questo significa: i paesi che riescono a raggruppare il 35% della popolazione hanno una minoranza di blocco. Insieme alla Gran Bretagna, il cosiddetto "D-Mark Block" (Germania, Austria, Olanda e Finlandia) aveva una percentuale di popolazione superiore al 35%, vale a dire esattamente una minoranza sufficiente al blocco. Sono di fatto i paesi che si sono impegnati a difendere il libero scambio. Allo stesso tempo anche i nostri vicini del Mediterraneo, i quali a causa della debolezza della loro industria sono da sempre orientati verso un maggiore protezionismo, dispongono di una minoranza di blocco, visto che raggruppano il 36% della popolazione dell'UE. Questo equilibrio faticosamente raggiunto con il Trattato di Lisbona ora non c'è piu', perché il primo blocco, con l'uscita della Gran Bretagna, scenderà al 25%, mentre i paesi del Mediterraneo saliranno al 42% della popolazione, molto più' di quanto necessario per una minoranza di blocco. Ora potranno governare l'Europa trasformandola in una fortezza per il commercio.

Non c'è da meravigliarsi se il candidato più' promettente alle presidenziali francesi, Emmanuel Macron, abbia già chiesto di far fronte alle minacce di Donald Trump con un nuovo protezionismo europeo. Tali richieste fanno parte della tradizione francese. Il vero perdente della corsa alla creazione di barriere commerciali tra Francia e America sarà senza dubbio la Germania, perché il modello di sviluppo tedesco è basato sul commercio internazionale. La percentuale delle esportazioni tedesche destinate ai paesi fuori dalla zona euro è cresciuta rapidamente, anche dopo l'introduzione dell'Euro.

L'erosione delle garanzie per le minoranze all'interno del Consiglio dei Ministri europei richiede una rinegoziazione dei trattati UE, se non un annuncio di modifica da parte dei tedeschi. La Germania non riuscirà a portare a termine questa rinegoziazione degli accordi dopo la conclusione delle trattative con la Gran Bretagna. Potrà farlo solo se la sua richiesta sarà già sul tavolo, e potrà quindi essere discussa all'interno di un pacchetto comune che possa contemporaneamente regolare le condizioni interne all'UE e i rapporti esterni con la Gran Bretagna. Il ferro si lascia forgiare solo quando è caldo. Una volta che la Gran Bretagna sarà uscita, la Germania non avrà piu' nessuna possibilità di raggiungere un equilibrio sostenibile nelle regole decisionali dell'UE.

La Germania dovrebbe respingere le proposte di Macron

Dove sono i politici che invece di preoccuparsi dei mesi che ci separano dalle elezioni di settembre preferiscono occuparsi dei prossimi decenni e sono pronti a mettere in campo una politica di lungo periodo, liberata dai temi dettati dall'attualità? Durante una tempesta c'è bisogno di manovre coraggiose e audaci da parte del capitano. Chi continua a navigare sempre nella stessa direzione, finisce per naufragare.

Considerando la situazione attuale, la Germania non dovrebbe piu' sottomettersi alle richieste della Commissione e smetterla di spingere verso un'integrazione europea a due velocità. E' stato l'approccio che con l'Euro e Schengen abbiamo seguito fino ad ora. Ma ha profondamente diviso l'Europa. Se si continua su questa strada, dopo la Gran Bretagna, a sentirsi in disparte sarà la Polonia, e alla fine accadrà lo stesso anche con la Danimarca, la Svezia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria. Chi dopo la Brexit vorrebbe aiutare l'Eurozona pianificando un maggiore intervento pubblico, divide l'est dall'ovest, tira una linea in mezzo alla Mitteleuropa e trasforma la Germania in un'appendice e nell'ufficiale pagatore di una nuova unione monetaria latina.

Che la Francia sostenga un'Europa a due velocità non mi sorprende. La divisione della Mitteleuropa, sin da Richelieu, è un punto centrale della politica di questo paese. Su questo punto gli interessi francesi pero' sono altri. Macron propone ai francesi un programma che permetta loro di evitare ogni sforzo; cerca invece l'appoggio tedesco per un bilancio comune dell'Eurozona, per gli Eurobonds, per una assicurazione comune sui depositi bancari e un sussidio europeo contro la disoccupazione. La Germania non deve imboccare questa strada.

Una sciocchezza dal punto di vista economico

Invece di cercare un accordo con la Francia e preparare un'azione punitiva contro la Gran Bretagna, la Germania farebbe meglio a prendere le distanze dai piani per un ulteriore approfondimento dell'UE e assumere un ruolo di intermediario nei negoziati sulla Brexit: alla fine non si tratta altro che del desiderio britannico di andare avanti sul libero commercio, nonostante una restrizione alla libertà di movimento delle persone. Il libero commercio in realtà non è un dono fatto agli altri paesi, aiuta tutti coloro che vi prendono parte.

I vantaggi del libero commercio sono addirittura maggiori se i lavoratori non possono migrare. L'UE ripete che non ci sarà alcun "cherry picking". Il libero commercio potrà essere garantito solo se collegato alla libera circolazione dei lavoratori. Da un punto di vista economico è una sciocchezza, perché è proprio quando le persone non possono spostarsi che i vantaggi del libero commercio sono maggiori. Senza le migrazioni si generano maggiori differenze nella struttura dei salari fra i diversi paesi, rispetto a quelle che si avrebbero con lo spostamento dei lavoratori, e maggiori sono queste differenze, maggiori saranno le differenze nelle relazioni fra i prezzi dei beni prodotti, che a loro volta sono la fonte dei guadagni nel commercio internazionale. Anche da un punto di vista politico non puo' essere nell'interesse tedesco punire i britannici, perché in questo modo la Germania si priverebbe di una propria opzione di uscita e si renderebbe ricattabile.

Con i propri vicini è necessario trattare in maniera corretta

Ci sono 2 modelli possibili per una federazione. Il primo modello è caratterizzato da una forte protezione delle minoranze e dalla natura volontaria della cooperazione. Vengono prese decisioni di cui beneficiano alcuni membri e non altri, ma che non danneggiano nessuno, che in definitiva ingrandiscono la torta a disposizione di tutti. Questo modello è stabile, perché vi partecipano tutti in maniera volontaria. Il secondo modello si basa su decisioni prese a maggioranza ma senza una difesa degli interessi della minoranza. In questo modello vengono prese anche misure riguardanti la  redistribuzione, utili per una maggioranza, tuttavia dannose per una minoranza: ed è proprio quando è la maggioranza a guadagnare meno di quanto perso dalla minoranza che la torta si restringe. Questo modello genera dei perdenti, che preferiscono fuggire, ed è intrinsecamente instabile. Per evitare le fughe allora c'è bisogno di una possibile punizione.

La Germania non deve certo uscire dall'UE, perché a differenza dell'Euro, è un'istituzione che ha dimostrato di essere vantaggiosa per l'Europa nel suo complesso. Affinché possa continuare ad esserlo, è necessario che i sostenitori della redistribuzione, sia a Bruxelles sia nel campo di Macron, siano consapevoli della necessità di non esagerare. Anche per questa ragione è necessario trovare una soluzione soddisfacente per l'uscita del Regno Unito, che in caso di emergenza sia disponibile anche per gli altri membri. I britannici restano pur sempre i nostri vicini, e con i vicini è necessario comportarsi in maniera adeguata. 

mercoledì 15 marzo 2017

Il trauma dell'Agenda 2010 (seconda parte)

Riforma necessaria per rilanciare l'economia tedesca oppure progetto neo-liberista fondato sulla svalutazione del lavoro e sulla povertà diffusa? Quali sono stati i risultati dell'Agenda 2010 e delle riforme Hartz? Seconda parte dell'analisi di Die Zeit sugli effetti dell'Agenda 2010. Si arriva da qui-->>


Quali cambiamenti ha portato l'Agenda 2010 per i disoccupati di lunga durata e per le persone bisognose?

Prima dell'Agenda 2010 i disoccupati con almeno un periodo di lavoro alle spalle si trovavano senza dubbio in condizioni migliori. Anche chi non aveva piu' diritto all'indennità di disoccupazione vera e propria, otteneva comunque un sussidio sociale: chi era senza un lavoro in teoria aveva diritto per tutta la vita ad un massimo del 53% dell'ultimo salario netto. Le famiglie ricevevano il 57%, lo stato pagava al massimo 1.500 euro netti al mese.

Le riforme dell'Agenda hanno cambiato questa situazione. A partire dal primo gennaio 2004 a chi è senza un lavoro, al massimo dopo 2 anni di disoccupazione, spetta solo un sussidio Hartz IV. Nell'Est erano 331 € al mese, nell'Ovest 345 € al mese. "Naturalmente per molti c'è stato un peggioramento delle condizioni di vita", dice Eric Seils, ricercatore sul tema della povertà presso la Hans-Böckler-Stiftung. Ad essere colpiti sono stati prima di tutto i disoccupati di lunga durata, che in precedenza guadagnavano abbastanza bene: nel nuovo sistema, diversamente dal sistema precedente, i redditi dei partner si sommano nel calcolo delle prestazioni sociali.

"Ci sono stati anche casi di persone che percepivano un piccolo sussidio di disoccupazione e che grazie ad Hartz IV alla fine hanno avuto piu' denaro a disposizione", aggiunge Michael Löher, direttore del Deutsches Verein für öffentliche und soziale Fürsorge, che fra le altre cose è un consigliere del governo federale per il calcolo delle prestazioni Hartz IV. Secondo uno studio ciò' è accaduto prima di tutto tra le famiglie con molti figli.

Fra i cambiamenti piu' rilevanti c'è stato sicuramente l'aumento delle sanzioni. Senza dubbio anche prima dell'Agenda 2010 era possibile che ad un disoccupato fosse tagliato il sussidio di disoccupazione in caso di rifiuto di un'offerta di lavoro ragionevole. Tuttavia era una scelta a discrezione del singolo impiegato. Con l'Agenda 2010 è stato introdotto invece il principio del "sostenere e dell'esigere". La gamma dei corsi di qualificazione e le offerte di consulenza sono state ampliate, ma per coloro che non collaborano pienamente la legge prevede sanzioni obbligatorie. "Le prestazioni vengono prima drasticamente ridotte, e poi completamente negate", dice Löher del Deutsches Verein für öffentliche und soziale Fürsorge. Il disoccupato resta praticamente senza nulla, l'ufficio del lavoro non paga piu' nemmeno l'affitto e il riscaldamento. Da anni la politica discute del rigido sistema sanzionatorio, soprattutto per i giovani sotto i 25 anni. Sono in molti a chiederne una modifica.

La situazione di chi deve fare affidamento sull'assistenza sociale pubblica si è fatta senza dubbio piu' difficile. Tuttavia molti esperti ritengono che il generoso sistema di assistenza sociale degli anni ottanta e novanta, anche senza l'Agenda 2010, avrebbe avuto comunque bisogno di una riforma. Era semplicemente troppo ingombrante e molto costoso. Anche Seils, ricercatore ed esperto sul tema della povertà, non è favorevole ad un sussidio di disoccupazione basato sul reddito, come accadeva nel sistema precedente. Probabilmente fornisce gli incentivi sbagliati a coloro che lo percepiscono. Sarebbe importante invece un prolungamento dell'attuale sussidio di disoccupazione ad almeno 20 mesi. "Chi diventa disoccupato deve avere la possibilità di ricevere una somma di denaro che gli permetta di mantenere il tenore di vita precedente, e che non lo trasformi immediatamente in una persona bisognosa", dice Seils.

L'Agenda spinge le persone verso un rapido declino sociale?

E' un paradosso: l'economia in Germania continua a crescere, la disoccupazione è bassa come non accadeva da molto tempo. Eppure sono in molti a temere una riduzione del proprio tenore di vita e della propria posizione sociale - seguendo quanto detto pochi giorni fà da Martin Schulz: "Cresce la paura di perdere il proprio status sociale", ha dichiarato il candidato alla Cancelleria della SPD. E cosi' intende motivare la sua proposta di correzione dell'Agenda 2010.

Cresce fra i tedeschi la paura di perdere la propria posizione sociale, lo mostrano molte indagini. Tuttavia fra gli esperti non c'è accordo su quale sia stato il ruolo dell'Agenda 2010. "La perdita reale è molto inferiore rispetto a quella percepita", dice il sociologo Oliver Nachtwey. "Soprattutto nel ceto medio c'è stabilità. Ma è nella parte piu' bassa della società che ci sono molte preoccupazioni".

Nachtwey descrive la situazione attuale come una scala mobile che va verso il basso. "Chi non corre abbastanza in fretta verso l'alto, finisce in fondo alla scala". Puo' accadere ad esempio ad un lavoratore specializzato, che dalla disoccupazione finisce in Hartz IV, oppure ad un giovane che ottiene solo un contratto a tempo determinato e non sa se prima o poi sarà assunto a tempo indeterminato. "L'Agenda 2010 è stato il catalizzatore di un processo che sicuramente era iniziato anni prima", dice Nachtwey.

Le riforme hanno tuttavia accelerato questo processo. Non solo è aumentata la pressione sui disoccupati affinché accettino un posto di lavoro al di sotto della loro qualifica. Ma è stato creato un settore a basso salario che oggi impiega piu' del 20% di tutti gli occupati. La minaccia della povertà non è molto lontana. "Si cade piu' in fretta e piu' a fondo. Solo l'idea di poter cadere verso il basso ha terrorizzato molti", dice Nachtwey.

Allo stesso tempo oggi circa 7.5 milioni di persone lavorano in condizioni precarie - come lavoratori interinali, a tempo parziale, con contratti a tempo determinato oppure con una catena di contratti temporanei. Anche questo è un risultato dell'Agenda 2010.

Markus Promberger, ricercatore presso l'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) ritiene che il motivo principale della paura di perdere il proprio status sociale sia stato il taglio dei sussidi di disoccupazione, legati allo status del lavoratore, e la riduzione della loro durata. "Un cambiamento che ha toccato la convinzione dei lavoratori di essere parte del ceto medio della società. Ora sanno che è possibile cadere velocemente".

Al momento la paura è smorzata dalla buona congiuntura economica. "Ma alla prossima crisi tornerà probabilmente a manifestarsi con forza" Il sociologo Heinz Bude parla di ansia latente.

Che cosa ha fatto l'Agenda 2010 per la competitività? 

La disputa è antica quanto l'Agenda 2010. E ruota attorno ad una domanda apparentemente semplice: le riforme hanno migliorato la competitività delle imprese tedesche? Una risposta chiara non c'è - come spesso accade, quando sono gli economisti a discutere.

Hans Werner Sinn ha una posizione chiara sul tema. L'ex presidente dell'IFO di Monaco, uno degli economisti piu' influenti del paese, già da diversi anni criticava lo stallo delle riforme in Germania, prima che il governo di Gerhard Schröder riformasse in maniera radicale il mercato del lavoro. Il suo libro "La Germania puo' essere ancora salvata?" è uscito nel 2003 - esattamente nell'anno in cui Schröder ha annunciato il suo piano di riforme. Lo si puo' considerare un modello.

All'epoca l'economia tedesca non aveva ancora digerito la riunificazione e dopo lo scoppio della bolla delle "dot.com" e gli attentati dell'11 settembre soffriva le conseguenze di una crisi economica globale. Nell'Europa dell'est i salari erano piu' bassi, i lavoratori pero' ugualmente qualificati - molte imprese industriali avevano deciso di trasferire i loro impianti in quei paesi. Le barrriere commerciali erano cadute, e la concorrenza si era fatta piu' difficile. 

Per tenere il passo, in Germania i salari dovevano crescere piu' lentamente, cosi' chiedeva Sinn. Le differenze salariali dovevano accentuarsi e il mercato del lavoro aveva bisogno di piu' flessibilità. "La scelta migliore (...) sarebbe quella di lasciare le forze di mercato libere di determinare il livello dei salari". La sua proposta corrispondeva allo spirito del tempo. "Per i lavori piu' semplici, il salario in molti casi sarà piu' basso di quanto possiamo ritenere accettabile dal punto di vista sociale", scriveva Sinn. Per compensare queste differenze lo stato dovrà pagare delle integrazioni salariali.

Da molti anni Sinn loda l'Agenda 2010. Avrebbe aumentato la competitività tedesca creando un settore a basso salario e garantendo una crescita moderata dei salari, anche nel ceto medio. Soprattutto per le persone poco qualificate è stato piu' facile trovare un impiego. "La disoccupazione di massa, che all'epoca era dilagante, è scomparsa".

La moderazione salariale dei sindacati ha sostenuto il trend. Nel complesso i costi per le aziende tedesche sono cresciuti piu' lentamente rispetto ad altri paesei - anche grazie all'Euro, che già prima della sua introduzione, sin dagli anni '90, aveva fatto scendere i tassi in Italia, Spagna e Portogallo sostenendo aumenti salariali molto al di sopra della crescita della produttività, soprattutto nel settore pubblico e nelle costruzioni.

Peter Bofinger, professore di economia a Würzburg e da molti anni membro nel Consiglio dei Saggi economici ritiene invece che le valutazioni di Sinn sulla crisi di quegli anni fossero una "diagnosi chiaramente errata". L'economia tedesca all'epoca non era gravemente malata, scriveva nel 2013 sulla Taz. "Percio' non c'era fondamentalmente nulla da cui guarire". La Germania è competitiva grazie alle sua forte industria, alla leadership nella meccanica, alla  indipendenza finanziaria delle aziende dal mercato dei capitali - oggi come allora.

I salari tuttavia non sarebbero cosi' importanti per avere successo nell'esportazione delle auto di lusso, dice Bofinger "Sono solo una piccola parte dei costi di produzione". E anche se non fosse cosi': il trend verso un abbassamento dei salari in verità è iniziato verso la fine degli anni '90, chiaramente prima dell'Agenda 2010. "Era una strategia dei sindacati per difendere i posti di lavoro". Oggi Bofinger nel suo giudizio è chiaro come Sinn, solo che arriva alla conclusione opposta: "dell'Agenda 2010 non ho mai avuto una grande opinione".

La domanda chiave nella disputa sull'Agenda 2010: le riforme hanno davvero avuto un ruolo importante nell'abbassare il costo del lavoro per le imprese? Oppure la pressione sui salari è aumentata molto tempo prima? La verità probabilmente sta nel mezzo. "La fase di moderazione salariale è iniziata prima dell'Agenda 2010", dice Stefan Kooths, capo del centro per le previsioni economiche dell'Institut für Weltwirtschaft di Kiel. "Tuttavia l'Agenda aveva elementi che hanno spinto verso il basso soprattutto i salari delle persone meno qualificate".

E anche secondo Achim Wambach, presidente del Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung di Mannheim, la competitività economica non è migliorata solo grazie alla moderazione salariale. Una ulteriore condizione favorevole è stata creata dal governo Schröder quando nel 2000 ha permesso alle società di capitali di vendere esentasse le partecipazioni incrociate che le tenevano legate fra loro. In questo modo sono stati resi disponibili per gli investimenti miliardi di Euro. Era la fine del vecchio modello Deutschland AG - una "riforma che ha portato un grande dinamismo", dice Wambach. "E con l'Agenda 2010 non aveva nulla a che fare"

domenica 12 marzo 2017

Il trauma dell'Agenda 2010

Riforma necessaria per rilanciare l'economia tedesca oppure progetto neo-liberista fondato sulla svalutazione del lavoro e sulla povertà diffusa? Quali sono stati i risultati dell'Agenda 2010 e delle riforme Hartz? Sarà il tema centrale della campagna elettorale, Die Zeit prova a fare un'analisi delle riforme introdotte dal governo rosso-verde guidato da Gerhard Schröder. Da Die Zeit - (prima parte)


L'Agenda 2010 ha precarizzato il mercato del lavoro?

Uno degli obiettivi del governo rosso-verde era quello di ridurre la disoccupazione, all'epoca intorno al 10%. In particolare erano i disoccupati di lungo periodo e i lavoratori con una bassa qualifica a dover trovare un nuovo lavoro - anche se mal pagato. Il governo ha semplificato l'assunzione dei lavoratori con un orario ridotto ed ha deregolamentato il lavoro interinale. E' diventato possibile impiegare i lavoratori interinali a tempo indeterminato ed è stato eliminato il principio secondo il quale i lavoratori interinali devono essere pagati come quelli a tempo indeterminato.

Tuttavia, secondo l'economista Holger Schäfer dell'Institut der Wirtschaft (IW) di Colonia, "l'Agenda e il boom del settore a basso salario spesso sono erroneamente messi in collegamento fra loro". Il settore a basso salario in Germania ha avuto una lunga fase di crescita - soprattutto fra il 1997 e il 2007. "La crescita era iniziata ben prima dell'Agenda 2010, che invece è entrata in vigore nel 2003/2004".

Secondo la definizione internazionale, chi ha un salario orario lordo inferiore al 60% del salario mediano è considerato un lavoratore a basso salario. In Germania, verso la metà degli anni '90, circa il 15% dei lavoratori rientrava in questo gruppo. Secondo il calcolo fatto dal Deutsches Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW) la percentuale oggi è cresciuta fino a superare il 20% di tutta la forza lavoro. Anche secondo i dati del DIW la crescita è iniziata negli anni che hanno preceduto l'Agenda.


Piu' lavoro temporaneo, piu' minijobs

Le riforme dell'Agenda sarebbero la risposta ad un problema che di fatto la Germania all'epoca non aveva, vale a dire una bassa competitività. Già all'inizio degli anni 2000 la Germania aveva raggiunto un surplus commerciale, dice Gerhard Bosch dell'Institut Arbeit und Qualifikation dell'Università di Duisburg. La ripresa economica è arrivata tuttavia a partire dal 2004, quando le riforme dell'Agenda erano da poco entrate in vigore. "L'effetto delle leggi Hartz è stato proprio quello di impedire un aumento dei salari nella fascia media e bassa. Nonostante la crescita economica di quegli anni, il settore a basso salario ha continuato a crescere".

Sono state soprattutto le nuove leggi relative al lavoro interinale ad aver avuto un forte impatto. Il numero dei lavoratori in questo settore è piu' che triplicato, dai 300.000 di allora agli oltre 900.000 di oggi; negli anni è cresciuto e si è sviluppato un duraturo settore a basso salario. Le cifre ufficiali lo confermano: secondo la Bundesagentur für Arbeit nel 2014 il reddito mediano di un lavoratore dipendente a tempo pieno era di 3.024 € lordi al mese, quello di un lavoratore interinale era di 1.758 € lordi al mese. L'aumento del lavoro interinale ha quindi contribuito ad una ulteriore estensione del settore a basso salario, anche se questa tendenza era già iniziata negli anni novanta.


La seconda grande riforma dell'Agenda era indirizzata ai lavori a tempo ridotto - meglio conosciuti come minijob. Dal 2003 è infatti possibile guadagnare fino a 400 € mensili con un minijob, prima erano 325 €. In questo modo anche i lavori con un numero ridotto di ore sono diventati attraenti. "A partire dal 2004 è iniziato il boom dell'occupazione a tempo parziale", conferma Schäfer dell'IW di Köln. 

I dati della Bundesagentur für Arbeit indicano che nel novembre 2016 in Germania c'erano circa 4.7 milioni di minijobber. Secondo una recente ricerca della Hans-Böckler-Stiftung, circa la metà dei minijobber guadagna meno del salario minimo fissato dalla legge: i datori di lavoro semplicemente chiedono ore aggiuntive di lavoro senza che queste vengano retribuite.

L'agenda 2010 è stata la causa del boom nel mercato del lavoro?

Secondo la Bundesagentur für Arbeit  (BA) il numero dei disoccupati nel febbraio 2017 era di 2.762.000 persone. In termini percentuali è pari al 6.3%. I numeri lo mostrano chiaramente: a piu' di dieci anni dall'entrata in vigore delle cosiddette riforme Hartz, la situazione sul mercato del lavoro tedesco è molto buona. Nel gennaio 2005, quando sono entrati in vigore gli ultimi provvedimenti dell'Agenda, c'erano 4.8 milioni di disoccupati.

Dietro questi dati  tuttavia c'è un trucco statistico. Ma anche se al numero dei disoccupati fossero aggiunte, ad esempio, le persone sottoposte ad una misura dell'ufficio del lavoro oppure che si trovano in una situazione di pre-pensionamento - e la BA parla di sottooccupazione invece che di disoccupazione - il trend resterebbe positivo. A febbraio 2017 c'erano 3.76 milioni di sottooccupati, all'inizio del 2005 erano circa 6.1 milioni. Tra il 1992 e il 2005  sono scomparsi circa tre milioni di posti di lavoro con un'assicurazione sociale. Dal 2005, tuttavia, sono stati creati diversi milioni di nuovi posti di lavoro.


E' allora possibile considerare le riforme Hartz come la forza trainante del boom nel mercato del lavoro. E' davvero cosi'? "Alla domanda, quali sono i veri meriti dell'Agenda 2010, probabilmente non potremo mai rispondere al 100%", dice Schäfer dell'IW Köln. Il motivo: non c'è uno scenario di confronto. Nessuno può' dire come si sarebbe sviluppato il mercato del lavoro senza le riforme.

E' aumentata la paura di perdere la posizione sociale.

Secondo Schäfer ci sono indizi abbastanza chiari per poter parlare di un successo dell'Agenda. Un indicatore importante sarebbe la soglia di occupazione. Descrive quale deve essere la crescita economica minima affinché possano essere creati nuovi posti di lavoro. Nel 2000, per poter mantenere costante la disoccupazione, era ancora necessaria una crescita del PIL dell'1.9%. Nel 2011 questa soglia è scesa all'1.4%.

In particolare Hartz IV unificando le prestazioni sociali e le indennità di disoccupazione ha aumentato l'incentivo ad accettare un lavoro, dice Schäfer. Lo si vede statisticamente nel passaggio ad Hartz IV: "poco prima che finisca il sussidio di disoccupazione, in molti accettano un lavoro", dice Schäfer. C'è molta paura di diventare Hartz IV, senza poi riuscire ad uscirne. Prima delle riforme, invece, i disoccupati erano finanziati dai sussidi di disoccupazione in maniera quasi indeterminata.

Ma Schäfer dice anche: non è solo merito dell'Agenda 2010: "la crescita economica, lo sviluppo demografico e non ultima la moderazione salariale hanno contribuito alla riduzione della disoccupazione". Le riforme sono arrivate al momento giusto, e hanno contribuito a ridurre la crescente disoccupazione tedesca.

"Il mercato del lavoro oggi funziona meglio", dice Enzo Weber, dell'Institut für Arbeitsmarkt und Berufsforschung (IAB). In uno studio si è occupato del cosiddetto matching fra domanda e offerta sul mercato del lavoro. Vale a dire: disoccupati e lavoro riescono ad incontrarsi? "Dal 2005 sono aumentate in maniera significativa le possibilità di uscire dalla disoccupazione", scrive Weber in uno studio sull'Agenda 2010. Con l'Agenda è diminuito il rischio di una cronicizzazione della disoccupazione - con i rischi connessi per la partecipazione al mercato del lavoro e alla vita sociale.


Che cosa ha fatto l'Agenda 2010 per i disoccupati di lunga durata?

Un obiettivo chiave delle riforme Hartz consisteva nel riportare rapidamente i disoccupati sul mercato del lavoro. Per ottenere questo risultato le riforme cercavano di fare pressione prima di tutto dal punto di vista finanziario: chi è disoccupato da oltre un anno in maniera continuativa - disoccupati di lungo periodo - dal 2005 ha diritto solo al sussidio di base Hartz IV. I sussidi di disoccupazione, in precedenza erogati a tempo indeterminato e decisamente più' alti, sono stati aboliti.

Allo stesso tempo le riforme Hartz hanno perseguito l'obiettivo di riportare sul mercato del lavoro i percettori di un sussidio sociale. Chi è in grado di lavorare almeno 3 ore al giorno è considerato disoccupato e deve essere intermediato dai Jobcenter oppure riqualificarsi, esattamente come accade a tutti gli altri disoccupati.

Nel 2006, un anno dopo l'introduzione di Hartz IV, il numero dei disoccupati di lungo periodo ha raggiunto il livello massimo di circa 1.86 milioni. Nel 2016 erano scesi invece a 993.073.

Forte calo nei primi anni

Particolarmente evidente è il calo dei disoccupati di lunga durata fra il 2006 e il 2009, oltre 700.000 in meno. Tim Obermaier, ricercatore presso l'Institut für Sozialpolitik und Arbeitsmarktforschung di Koblenz (ISAM) è convinto che questo drastico calo nei primi anni delle riforme Hartz sia dovuto soprattutto al fatto che i destinatari di un sussidio sociale, che inizialmente erano stati dichiarati erroneamente in grado di lavorare, in seguito sono scomparsi dalle statistiche. Ulrich Walwei, vicedirettore dell'Instituts für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung, contraddice questa interpretazione. Le riforme Hartz avrebbero reso il mercato del lavoro piu' ricettivo. E questo avrebbe aiutato anche i disoccupati di lunga durata.

Tuttavia è evidente che il trend positivo dei primi anni si è arrestato: fin dal 2011 il numero dei disoccupati di lunga durata è rimasto relativamente costante intorno a un milione. E' necessario considerare che anche una malattia oppure un periodo di occupazione di poche settimane puo' essere sufficiente per far ripartire dall'inizio il calcolo sulla disoccupazione. Il numero delle persone che da oltre un anno è senza un lavoro in realtà sarebbe nettamente superiore.

Il giudizio sulle riforme Hartz non puo' dipendere solo dal numero di disoccupati di lunga durata che hanno trovato un nuovo lavoro, secondo Walwei, ma anche dal numero di coloro che non lo sono ancora diventati. L'introduzione del reddito di base (Hartz IV) si è trasformato in un importante incentivo che ha spinto molte persone a cercarsi e ad iniziare quanto prima un nuovo lavoro.


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