mercoledì 7 marzo 2018

Steve Bannon sulle elezioni italiane intervistato da "Die Weltwoche"

Intervista a Steve Bannon sulle elezioni italiane pubblicata da Die Weltwoche, (in inglese).


“Italians want change and they want change now”



Steve Bannon has been in Italy witnessing the elections. Before his first public speech in Europe, in Zürich Switzerland, the former White House security advisor, analyzes the first results of the elections. He talks to Weltwoche foreign editor, Urs Gehriger.


martedì 6 marzo 2018

La vecchia Europa non c'è piu'

Non abbiamo bisogno di farci spiegare le elezioni italiane dai commentatori tedeschi, ogni tanto tuttavia anche sulla stampa tedesca si leggono riflessioni originali. Jens Berger sulle NachDenkSeiten fa un paragone fra Italia e Germania e ipotizza che anche in Italia, dopo Olanda, Francia e Germania, sia iniziato il funerale della socialdemocrazia. Dalle NachDenkSeiten.de


[...] Nel settembre 2017 si è votato in Germania e anche qui è proseguita la tendenza europea avviata in Olanda e poi seguita dalla Francia. I socialdemocratici tedeschi sono scesi al 20.5 %, il peggior risultato di sempre, il partito di estrema destra anti-establishment AfD con una crescita di otto punti percentuali ha raggiunto il 12.6 % ed è uscito dalle urne come il grande vincitore. Se si votasse oggi, AFD sarebbe la seconda forza politica mentre la CDU con il 33% e la SPD con il 15% per la prima volta nella storia della Repubblica Federale tedesca non sarebbero in grado di formare una "grande coalizione". I tempi in cui la Germania era un'ancora di stabilità sono finiti. Si puo' ipotizzare che soprattutto per la resistenza all'apprendimento della SPD anche qui da noi questo trend si sia rafforzato e che la SPD, come i partiti fratelli in Olanda e in Francia, possa sprofondare nella insignificanza ad una cifra, mentre AfD cresce e diventa la seconda forza del paese.

Domenica anche l'Italia ha imboccato questa strada. Sommando i partiti successori della Democrazia Cristiana e della Socialdemocrazia si arriva solo al 32.8% dei voti e in questo modo piu' o meno agli stessi voti dei "5 Stelle" da soli. Nel 2008 il PdL di Berlusconi e i socialdemocratici del PD insieme avevano raggiunto oltre il 70% dei voti. La Lega allora aveva raggiunto solo l'8.3% e i 5 Stelle non c'erano ancora. Oggi il M5S con il 32.6 % è il partito piu' forte mentre la Lega con il 17.4% è il maggior partito nell'alleanza elettorale di centro-destra, che in realtà avrebbe dovuto essere un'alleanza di Berlusconi. Insieme la Lega e i 5S arrivano esattamente al 50% dei voti. Un italiano su due ha votato per un partito anti-establishment, un governo di coalizione senza queste 2 forze non è possibile.

Solo teoricamente, per paragonare la probabilità delle coalizioni si puo' provare a fare un confronto con le condizioni tedesche. Dove avremmo:

- una coalizione di centro-destra fra CDU/CSU, FDP e AfD, in cui AfD è il partito piu' forte

- un movimento eterogeneo anti-establishment, che si puo' pensare come una miscela fra i Pirati e un nuovo movimento per la pace

- un'alleanza di "centro-sinistra" in cui non ci sono partiti di sinitra in senso stretto e in cui i socialdemocratici si leccano le ferite dopo aver subito delle pesanti ferite

- un'alleanza di sinistra insignificante scesa ad un deludente 3.4%

La SPD andrebbe in un'alleanza con AfD a fare il junior-partner? Certamente no. La SPD sarebbe disponibile a sottomettersi ad un movimento anti-establishment tendenzialmente di sinistra con Ken Jebsen come Cancelliere? Probabilmente no. Una coalizione fra 5 Stelle e Lega è ancora piu' improbabile. Rimane la possibilità di un cambio di partito, alla fine la Forza Italia di Berlusconi e il PD di Renzi non sembrano avere un grande futuro davanti. Oppure ci sono le elezioni anticipate.

Come reagisce l'Europa?

Piu' interessante tuttavia è la questione di come l'Europa giornalistica e politica reagisce a questi sviluppi. Se si esaminano le reazioni piu' significative, come ad esempio l'illeggibile analisi di Stefan Ulrich sulla Süddeutsche, bisogna purtroppo affermare che l'establishment non ha capito nulla, proprio nulla. Chi vota contro l'establishment, secondo l'autore sarebbe "irrazionale" e "antieuropeo" e comunque un "populista". La povertà e la disperazione, che allontanano gli elettori dall'establishment, sarebbero "vittime" di cui il paese ha bisogno "per poter vedere una ripresa". Ma della interminabile politica di riforme che il giornalista si auspica anche a nome delle élite tedesche ed europee, gli elettori purtroppo non vogliono piu' sentire parlare. Le elezioni parlamentari in Italia sono state soprattutto il rifiuto esplicito di un'europa tedesca fatta di austerità e mancanza di alternative che con i suoi esecutori materiali locali mette in pratica questa ideologia. Ancora una volta ha colpito soprattutto i socialdemocratici che in tutta Europa non vogliono capire che i loro elettori chiedono un'alternativa reale e progressista.

domenica 4 marzo 2018

Il collasso italiano secondo gli economisti tedeschi

Anche gli economisti tedeschi di rango non sfuggono ai soliti luoghi comuni sull'Italia e per il dopo elezioni preannunciano un inevitabile collasso dovuto alla presunta irriformabilità e ai soliti eccessi debitori. L'Eurozona sarebbe ricattabile. Dal prestigioso Handelslbatt.com


Il presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, Clemens Fuest, teme che l'Italia dopo le elezioni possa precipitare in una grave crisi debitoria. Con il programma di acquisto OMT la Banca centrale europea (BCE) ha dato all'Italia il tempo per riformare l'economia. Il paese pero' non ha utilizzato questo tempo per fare le riforme necessarie. "Vi è la minaccia di un altro aumento strisciante del debito e di un'economia stagnante, che nel lungo periodo potrebbe portare ad una bancarotta dello stato", ha affermato Fuest ad Handelsblatt.

Friedrich Heinemann del Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (ZEW) mette in guarda dalla possibilità che dopo il voto in Italia si formi un governo che in maniera simile a quanto accaduto in Grecia nel 2015 avvii un corso conflittuale con l'Eurogruppo. "Un governo populista a Roma sarebbe uno scenario politico ed economico ad alto rischio che ci porterebbe in una nuova fase di incertezza economica e politica che metterebbe in pericolo l'esistenza stessa dell'euro", cosi' secondo le ipotesi di Heinemann.

"Ora arriva il conto per aver lasciato che l'Europa non si occupasse di  creare una procedura di insolvenza ordinata per gli stati", dichiara ad Handelsblatt l'economista dello ZEW Heinemann. L'Eurozona in questo modo si è resa ricattabile. "I trasferimenti dall'estero, per ragioni perfettamente comprensibili, offrono agli italiani una soluzione decisamente piu' interessante per la soluzione del problema debitorio, rispetto alla necessità fare le dure riforme con gli annessi tagli".

Fuest ha criticato il fatto che nessuno partito italiano abbia un'idea di come poter superare i problemi economici del paese. "L'Italia ha bisogno di riforme radicali e di tagli alla spesa pubblica, affinché l'economia torni a crescere e l'altissimo debito pubblico inizi a scendere", ha sottolineato il Presidente dell'Ifo. Nessun partito tuttavia ha presentato un piano per farlo, al contrario tutti hanno promesso dei "grandi regali elettorali".

Fuest tuttavia non si aspetta turbolenze sui mercati dei capitali dopo le elezioni, indipendentemente da chi le vincerà. "Perché nelle ultime settimane tutti i partiti italiani hanno alleggerito la loro critica nei confronti dell'euro e delle regole sul debito e nessun partito ha dichiarato che l'Italia nel prossimo futuro dovrà uscire dall'euro".

Anche il presidente del Deutsches Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW), Marcel Fratzscher, ritiene che sia molto alta la probabilità che il prossimo governo italiano non persegua alcuna politica anti-europea. "Persino i partiti piu' radicali nel frattempo hanno capito che l'uscita dell'Italia dall'euro sarebbe un suicidio politico ed economico", ha affermato Fratzscher ad Handelsblatt. "Non mi aspetto cambiamenti fondamentali nella politica economica del nuovo governo".

I partiti in campagna elettorale hanno fatto delle promesse "coraggiose e talvolta irrealistiche". "A differenza di quanto accade in Germania, tuttavia, il prossimo governo italiano difficilmente aumenterà la spesa e dovrà attuare ulteriori riforme strutturali", sostiene il presidente del DIW. "Abbiamo tuttavia bisogno di pazienza, perché l'Italia si sta riprendendo solo lentamente e ci vorranno ancora molti anni per liberare completamente il paese dagli effetti della crisi finanziaria".

sabato 3 marzo 2018

Flassbeck: "l'UE e Juncker dovrebbero tenere la bocca chiusa"

Il grande economista Heiner Flassbeck intervistato da DLF sul tema della guerra commerciale scoppiata fra USA ed UE non ha dubbi: l'UE farebbe meglio a tacere perché gli Stati Uniti e Trump hanno pienamente ragione, i tedeschi e gli europei dovrebbero mettere in discussione il loro modello di sviluppo prima che sia troppo tardi. In caso di guerra commerciale sono i paesi in surplus con l'estero ad avere tutto da perdere, la Germania è avvertita. Da deutschlandfunk.de


DLF:  l'UE sta cercando di restituire il colpo, i Jeans potrebbero diventare piu' costosi, tra le altre cose. Potremmo chiamarla schermaglia o disputa commerciale - oppure è l'inizio di una lunga guerra commerciale?

Flassbeck: beh, dovremmo fermarci un attimo. E sarebbe bello se in Europa - abbiamo ascoltato diverse voci - ci si fermasse a riflettere e anche Herr Juncker dovrebbe capire che l'uso della ragione non è un sentimento, ma è qualcosa di indispensabile in questa situazione. E la cosa importante da ricordare è che in effetti gli Stati Uniti e l'Europa si trovano in una situazione completamente diversa, una situazione diversa in riferimento al commercio internazionale. Piu' precisamente, l'Europa ha delle enormi eccedenze, che sono principalmente le eccedenze tedesche, mentre gli USA sono in deficit da oltre 30 anni. Mi piacerebbe vedere cosa succederebbe in Europa se da 30 anni avessimo un deficit commerciale. Questa è la cosa piu' importante di cui dovremmo avere piena consapevolezza.

DLF: la colpa non è dei partner commerciali degli Stati Uniti, ma forse è degli stessi Stati Uniti stessi?

Flassbeck: è una narrazione molto diffusa in Germania che sfortunatamente non corrisponde alla verità. Ad essere responsabili naturalmente non sono i partner commerciali che hanno un deficit, ma c'è sempre un fattore scatenante: in Germania è stata chiaramente la moderazione salariale che da 15 anni ha fatto si' che la Germania diventasse estremamente competitiva sotto la protezione dell'euro, questo perché l'euro resta estremamente sottovalutato...

DLF: ma ora i salari sono tornati a crescere.

Flassbeck: no, no, non stanno crescendo con forza, crescono troppo poco. E questo divario è ancora molto grande, ed è ancora troppo grande rispetto ai nostri partner commerciali in Europa e nei confronti del resto del mondo. Abbiamo una doppia sottovalutazione e su questo sono d'accordo anche persone molto distanti fra loro come Hans Werner Sinn e il sottoscritto, c'è una doppia sottovalutazione della Germania. Ed è per questo che abbiamo delle eccedenze cosi' grandi. E non puoi dire che è colpa degli americani, lo si deve chiamare dumping salariale, è una forma di dumping. 


DLF: si potrebbe anche dire che gli americani dovrebbero offrire dei prodotti migliori, con una maggiore domanda all'estero.

Flassbeck: no, è sbagliato. Vede, questo non ha nulla a che fare con la qualità dei prodotti. La qualità dei prodotti si riflette sempre nel prezzo. Ma se un paese come la Germania offre dei buoni prodotti, che all'improvviso costano il 20% in meno, perché i salari non aumentano, allora questi prodotti vengono acquistati. E questo non ha nulla a che fare con la qualità, ma è molto semplice: per una data qualità il prezzo dei prodotti è del 20% troppo basso.

DLF: ma lei non vorrà seriamente considerare la Germania come un paese a basso salario?

Flassbeck: questo non ha nulla a che fare con il lavoro a basso costo...vede, deve capire, ed è importante, che non c'entrano nulla i bassi salari, si tratta piuttosto di un salario troppo basso in relazione alla produttività, dipende sempre da questo rapporto. La Germania è troppo a buon mercato in rapporto alla propria produttività e non possiamo dimenticarci del tasso di cambio che abbiamo nei confronti del resto del mondo.

DLF: torniamo indietro...

Flassbeck: bisogna guardare a casa propria, prima di parlare di guerre commerciali e simili. E io posso solo consigliare agli europei di tenere la bocca chiusa e di non fare nulla per il momento, invece di darsi un tono come sta cercando di fare Juncker.

DLF: questo significa che le contromisure dell'UE, le tariffe ad esempio sui jeans, il bourbon e le motociclette americane lei le considera eccessive?

Flassbeck: si' le considero sbagliate, perché potrebbero portare ad una escalation. Vede, quando un paese ha dei deficit persistenti, allora alla fine ha il diritto di prendere delle contromisure - e addirittura questo puo' essere fatto nel quadro del WTO. Questo è chiaro ed è perfettamente legale.

DLF: ciò significa che l'UE farebbe meglio ad aspettare e a stare a guardare?

Flassbeck: l'UE dovrebbe tenere per un po' la bocca chiusa, esattamente, e vedere se c'è un'intensificazione oppure no. Al momento è solo una misura di piccola portata, ridicolmente piccola. Voglio dire, considerando la discussione che abbiamo qui in Germania, in cui tutti dicono che i prezzi non hanno alcun effetto sui prodotti, perché i prodotti sono troppo buoni, allora è arrivato il momento giusto di dire: se i nostri prodotti sono cosi' buoni allora i dazi non hanno alcuna importanza! In verità i prezzi hanno un ruolo importante, ma al momento le misure riguardano solo pochi prodotti e misurato sul totale del commercio, sono davvero una piccolezza. Nel complesso posso solo consigliare di non avviare un'azione immediata, sarebbe meglio cercare di parlare con Trump e accettare che la sola misura ragionevole per la Germania è quella di ammettere: si' abbiamo capito, non vogliamo nessuna guerra commerciale, faremo il possibile affinché i nostri surplus commerciali spariscano quanto prima.

DLF: il segretario al commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross, ha portato una lattina di zuppa davanti alle telecamere, ha detto, costa 1.99 dollari. E misurato cosi' il prezzo salirebbe solo di 6 decimi di centesimo. Ha fornito un esempio che non ha nessuna influenza per il consumatore. Quali rischi vede per il consumatore, sia qui da noi che là?

Flassbeck: non sono i consumatori ad essere colpiti, si tratta prima di tutto dei posti di lavoro e Juncker lo ha anche detto. Juncker dice di voler difendere i posti di lavoro europei, Trump dice di difendere i posti di lavoro americani. Ecco di cosa si tratta. La Germania difende i suoi posti di lavoro, ma i posti di lavoro della Germania sono principalmente nel settore dell'export. E questo non può funzionare. Chi ha un surplus commerciale, un gigantesco avanzo commerciale come l'UE oppure come la Germania, sta creando dei posti di lavoro a spese degli altri paesi, questo non puo' essere messo in discussione.

DLF: ne abbiamo già parlato, Herr Flassbeck, ma torniamo ai pericoli da lei individuati.

Flassbeck: nel complesso bisognerebbe dire: signori, abbiamo creato dei posti di lavoro nell'export, ci rendiamo conto che non si puo' andare avanti in questo modo e per questa ragione ora vogliamo un ridimensionamento e faremo in modo che anche voi abbiate la possibilità di riconvertirvi.

DLF: tuttavia molti economisti vedono enormi pericoli in arrivo verso di noi. E ieri gli investitori hanno già reagito e i corsi azionari sono crollati. Si tratta di una reazione eccessiva?

Flassbeck: sì, bisogna guardare tutto in prospettiva, come ho detto. Le reazioni sono sempre troppo veloci, senza un attimo di riflessione. E io sostengo sia necessario sedersi un attimo e riflettere su cio' che negli ultimi 20 o 30 anni è successo. E allora ci si rende conto che gli Stati Uniti non hanno poi così torto. Trump ha fatto molte cose sbagliate, non voglio difenderlo, ma nel complesso non si stanno sbagliando così tanto. E bisogna ricordare che anche Obama aveva criticato le eccedenze commerciali tedesche, e non è solo un fenomeno di Trump. Trump ora è il primo a prendere contromisure. Inoltre gli americani potrebbero sempre cercare di far scendere il corso del dollaro, cosa che avrebbe lo stesso effetto, con un impatto quantitativo molto maggiore. Quindi dobbiamo stare molto attenti. E come ho detto, chi ha un'eccedenza commerciale con l'estero si trova in una posizione piu' difficile rispetto all'altra parte. E chi è in una posizione difficile, non dovrebbe rispondere lanciando delle pietre.

DLF: quando Trump scrive su Twitter che le guerre commerciali sono una buona cosa e sono facili da vincere, ha ragione?

Flassbeck: se siano giuste o meno è un'altra questione, non mi voglio esprimere sul suo linguaggio. Ma che a perdere una guerra commerciale sarà il paese che ha un avanzo commerciale è perfettamente chiaro. E che a vincere sarà il paese con un deficit è altrettanto chiaro e giusto.

DLF: diamo un sguardo all'era Bush, quando c'erano i dazi doganali sull'acciaio e non hanno funzionato. E allora perché pensa che questa volta per gli Stati Uniti dovrebbero funzionare?

Flassbeck: che significa non ha funzionato? Bisogna stare molto attenti, per ora è solo una puntura di spillo, una chiamata: fate qualcosa contro i vostri avanzi commerciali, altrimenti saro' io a dover fare molto di piu'. Al momento è poca cosa. In questo senso la questione è un'altra, in qualsiasi senso funzionerà. La questione centrale, che conta nel rapporto fra Europa e Stati Uniti è la seguente: l'Europa è disponibile a implementare un modello economico diverso, vale a dire un modello in cui, come negli USA, ci si concentra sul proprio mercato interno, invece di annunciare ogni giorno - come fa Frau Merkel - che ora tutti devono diventare piu' competitivi e tutta l'Europa deve migliorare la propria competitvità. E questo puo' accadere solo a spese degli Stati Uniti, l'unico paese nel mondo nei confronti del quale questa Europa possa avere ancora qualcosa da guadagnare. E questa è anche una forma di annuncio di una guerra commerciale di cui qui da noi nessuno parla. E su tutte queste cose dovremmo riflettere con un po' di calma, prima di entrare in una escalation.


venerdì 2 marzo 2018

Con i clown al potere arrivano i debiti

A pochi giorni dalle elezioni italiane il solito Jan Fleischhauer spiega ai tedeschi che la politica italiana è guidata da clown, gli elettori sono dei bambini immaturi e alla fine dello spettacolo saranno i tedeschi a dover pagare il conto per gli eccessi italiani. Su Der Spiegel  un altro commento saccente da parte del simpatico pubblicista di Amburgo. Da Der Spiegel.


Domenica prossima gli italiani voteranno per eleggere un nuovo Parlamento. Allo stato attuale un clown, che recentemente ha fatto notizia per le sue vicende giudiziarie, e uno strillone irascibile, che ufficialmente si è guadagnato da vivere facendo il giullare, dovrebbero ottenere il maggior numero di voti. Devo stare attento a cio' che sto per scrivere. L'ultima volta che la mia rubrica si è occupata dell'Italia e degli italiani è partita una lettera diretta al capo-redazione da parte dell'ambasciatore italiano a Berlino.

Lasciatemelo dire: i politici scelti dagli elettori ci permettono di trarre alcune conclusioni sulla maturità mentale ed emotiva di quel popolo. Gli adulti votano gli adulti, i bambini scelgono dei burattini. 

Come sempre, quando un paese vicino è alla vigilia delle elezioni, da tedeschi ci mettiamo a guardare come se si trattasse dell'elezione in un Bundesland interno. Non abbiamo diritto al voto, ma gli effetti del voto riguarderanno tutti, noi in prima linea. Se non ci trovassimo insieme agli italiani in una unione monetaria, potremmo assistere allo spettacolo in maniera rilassata e dirci fra di noi: cosi' vanno le cose fra gli italiani, da loro viene data una possibilità anche al buffone. Messo accanto a Silvio Berlusconi, anche Donald Trump potrebbe sembrare uno statista serio. Sfortunatamente l'euro ha fatto in modo che la fattura per tutte queste scappatelle alla fine arriverà a noi.

L'Italia non è un paese qualsiasi, è la terza economia dell'Eurozona, anche se economia in questo caso è un termine alquanto tecnico. In realtà l'attività economica in Italia funziona secondo criteri completamente diversi rispetto a quelli validi nella gran parte del resto del mondo. Poiché il denaro per gli italiani è qualcosa la cui fonte è oscura, l'indebitamento del paese ha raggiunto il 132% del PIL. Solo la Grecia e il Giappone riescono ad andare oltre.

Purtroppo non si tratta dell'unico record negativo. Nessun paese in Europa ha una crescita inferiore. Quest'anno secondo le ultime previsioni dell'UE si fermerà all'1.5%, il prossimo anno tornerà addirittura all'1.2%, contrariamente al trend generale.

Crediamo che la crisi dell'euro sia finita pero' se domenica gli italiani decidessero di votare un'altra volta un personaggio ridicolo allora potrebbe esserci un brutto risveglio. I greci o i portoghesi non sono mai stati un problema, il vero problema è da sempre l'Italia. Se i creditori dovessero perdere la fiducia nel fatto che i soldi prestati a Roma torneranno indietro, allora non ci sarà nulla da fare. Nemmeno la potente Germania potrà fare qualcosa.

La sconfitta ha un nome, si chiama Mario Draghi. La promessa di Draghi era quella di fare in modo che i governi europei utilizzassero il periodo dei tassi a zero per ridurre il debito. Mai nella storia fino ad ora per un paese era stato cosi' facile risolvere i propri problemi di budget. Sfortunatamente, anche indebitarsi non era mai stato cosi' facile.

Il programma di acquisto delle obbligazioni da parte della BCE nei 3 anni del governo Renzi ha portato all'Italia risparmi per 45 miliardi di euro di interessi. Questa è la somma che ho trovato sulla "Süddeutsche". Ovunque questo denaro sia andato a finire, sicuramente non è stato usato per risanare lo stato. Per questo i debiti italiani nel frattempo sono diventati anche i nostri debiti. La BCE da sola fra il 2015 e il 2017 ha acquistato 300 miliardi di euro di debito pubblico italiano. La condivisione della responsabilità sul debito, raccomandata dalla SPD, già da tempo è una realtà.

La politica della banca centrale è transnazionale, e questa è la promessa su cui basa la sua autorità. Ma chi osserva il bilancio della BCE, da quando l'uomo di Roma è al vertice, vede che questa è solo una promessa vuota. In verità da 6 anni la BCE sta gestendo la politica monetaria all'italiana: tutto diventa una questione di prospettiva, anche la questione del piu' e del meno. I tedeschi hanno puntato i piedi. Per uno come Jens Weidmann però un meno resta un segno negativo. Funziona cosi' quando hai perso la sovranità sulla tua stessa valuta: sei benvenuto quando c'è da pagare la fattura, le decisioni pero' le prendono sempre gli altri. 

Oltre al danno la beffa, cosi' dice il proverbio. Quando al signor Draghi durante una conferenza stampa è stata fatta una domanda sulle conseguenze negative delle politiche della BCE, si è fatto beffa "delle paure tedesche": come se le fratture da lui causate fossero solo un'ossessione. Si può' addirittura quantificare il danno. La DZ Bank ha calcolato che il risparmiatore tedesco tra il 2010 e il 2016 ha perso 344 miliardi di euro di interessi non percepiti. Per l'anno appena terminato si aggiungono altri 90 miliardi di euro. Si tratta di una somma enorme, che non è affatto compensata dai risparmi ottenuti in termini di interessi risparmiati da parte dei mutuatari tedeschi.

I tedeschi sono un popolo davvero paziente, va proprio detto. Con coraggio stanno a guardare mentre le loro riserve per la vecchiaia si dissolvono, ciò affinché nel sud tutto possa andare avanti senza un programma di austerità. E dopo cio' si sentono dare anche del nazista. Forse è arrivato il momento di rispondere pan per focaccia e di tornare allo stesso livello. Chi permette che un buffone come Beppe Grillo sia a capo della forza politica piu' forte del paese e riporta sulla scena un artista della tintura dei capelli come Berlusconi, non merita nulla di piu' che essere preso in giro, dico io.

mercoledì 28 febbraio 2018

La Tafel di Essen e la depravazione delle élite politiche: la lotta per il cibo è solo l'inizio

La triste storia della Tafel di Essen, un caso di guerra fra poveri in una zona della Germania già colpita dalla crisi, ha dato l'occasione alle élite socialdemocratiche di mettersi in mostra e di profilarsi come un'autorità morale condannando l'accaduto. Un altro fallimento comunicativo e politico da parte di una forza in declino che ormai ha evidentemente perso il contatto con il paese reale. Un commento molto interessante di Jens Berger sulle NachDenkSeiten.


ll motivo per cui la Tafel di Essen ha imposto uno stop alle iscrizioni di nuovi utenti di origine straniera non sarà sicuramente politicamente corretto, ma è comprensibilissimo. Nel giro di 2 anni la percentuale di stranieri, fra gli attuali 6.000 utilizzatori della Tafel di Essen, è passata dal 35% al 75%. Uomini giovani e a volte anche aggressivi, secondo il racconto degli stessi volontari della Tafel, stanno sempre più' prendendo il posto dei pensionati e delle madri single, anche loro ormai dipendenti dalle briciole della società dei consumi. E' successo, come del resto era prevedibile, perché le élite erano dell'opinione che un'immigrazione di massa non regolata non avrebbe causato alcun disturbo nella parte più' bassa della società. Pensiero sbagliato. Dall'inizio della crisi dei migranti le NachDenkSeiten non hanno fatto altro che mettere in guarda dal rischio: senza un massiccio intervento politico, sociale e finanziario nella parte più' bassa della società si arriverà ad una concorrenza spietata fra i "vecchi poveri", le vittime di Hartz IV e i pensionati in povertà, e i "nuovi poveri", cioè i migranti e i rifugiati. Un posto come la Tafel, in una città povera e disperata come Essen, era senza dubbio il luogo perfetto in cui sarebbero potuti scoppiare i primi conflitti sostitutivi di questo tipo, che sicuramente non saranno nemmeno gli ultimi.

Accusare proprio la Tafel di Essen di razzismo, volontari che da sempre si impegnano affinché le persone più' anziane e più' deboli nella lotta predatoria fra poveri per accaparrarsi il cibo non se ne vadano col piatto vuoto, è squallido e stupido. Senza dubbio tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro nazionalità, dall'età o dal sesso dovrebbero avere diritto ad un'alimentazione sufficiente. Ma le moderne mense dei poveri, come le Tafel, non vivono nell'abbondanza: ogni giorno sono costrette a cercare di riparare agli errori e agli abusi di cui si è resa responsabile la politica. Per questa ragione è particolarmente assurdo che proprio i politici, corresponsabili delle condizioni catastrofiche generali, cerchino ora di mettersi in mostra da un punto di vista morale e di profilarsi attaccando coloro che ogni giorno sul posto e su base puramente volontaria fanno di tutto per mitigare le conseguenze delle politiche immorali portate avanti in questi anni.


Prendiamo ad esempio il politico della SPD berlinese nonché Segretario di Stato, Sawsan Chebli. A lei "corrono brividi freddi sulla schiena", fa sapere al popolo via Twitter. "Generi alimentari solo per i tedeschi. Esclusi i migranti", cosi' Chebli. Di fronte ad una quota di stranieri che alla Tafel di Essen raggiunge il 75%, lei esclude ogni argomento fattuale. Chebli deve ringraziare proprio il suo ruolo di portavoce al Ministero degli Esteri, perché è stata proprio lei, con il suo viso giovane e simpatico, a rivendere alla stampa la politica estera del suo governo, quella stessa politica che ha sicuramente contribuito al fatto che ora ci siano cosi' tanti pensionati poveri e madri single costrette a dover lottare con i rifugiati per accaparrarsi gli avanzi di cibo. La negligenza delle élite non è una questione di età, di genere o di religione, signora Chebli.


Sulla stessa linea si muove anche il politico della SPD che ama tanto considerarsi come la coscienza fattasi uomo del suo partito. Karl Lauterbach scrive: "La fame è uguale per tutti", e pensa che sia un "peccato" che "l'odio per gli stranieri ora sia arrivato anche fra i piu' poveri". Questa citazione toglie la parola perfino ad un osservatore della scena politica ormai vaccinato. Proprio l'uomo corresponsabile delle politiche che hanno affamato i pensionati, le madri single e i migranti ora pensa che sia un "peccato" che si sia arrivati alla lotta per la sopravvivenza fra le vittime della politica dell'Agenda. L'uomo la cui politica ha reso indispensabili le Tafel, ora trova addirittura la faccia tosta di accusare i volontari della Tafel di "odio contro gli stranieri". Solo perché fanno in modo che i pochi mezzi di cui dispongono siano distribuiti anche agli anziani e ai più' deboli? A questo punto si può' citare solo Max Liebermann: "Non riesco a mangiare cosi' tanto quanto avrei voglia di vomitare". Solo il fatto che probabilmente Lauterbach nelle prossime elezioni non riuscirebbe a tornare in Parlamento sarebbe una ragione sufficiente per chiedere le elezioni anticipate. Nessun paese ha bisogno di queste élite.

Ma il massimo viene raggiunto ovviamente dal Ministro federale per gli Affari Sociali Katarina Barley. Per i poveri e per i volontari ha un appunto che arriva direttamente dall'album delle poesie: "il metro di giudizio deve essere il bisogno, non il passaporto", cosi' secondo la signora che molto probabilmente ha contribuito alla scrittura del nuovo accordo di coalizione e con il quale sicuramente farà in modo che in futuro ci siano ancora più' bisognosi. Nessun politico oggi si vergogna? Prima spingi le persone verso la povertà e poi non solo le deridi, ma deridi anche coloro che aiutano i poveri e che cercano di mettere una pezza sulle crepe di questa società. E' squallido, è disgustoso, è la depravazione delle élite. E diciamocelo: il cibo è solo l'inizio. I semi di una politica negligente hanno appena iniziato a germogliare. Un'antica maledizione cinese dice: "che tu possa vivere in tempi interessanti". Io temo che i prossimi anni saranno molto interessanti. 

martedì 27 febbraio 2018

"L'Italia dovrebbe negoziare un'uscita ordinata dall'euro"

Lucio Baccaro, economista e filosofo italiano, è il nuovo direttore del prestigioso Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung (MPIfG) di Colonia. In una recentissima intervista alla FAZ si schiera a favore di un'uscita ordinata dell'Italia dalla moneta unica. Dalla FAZ.net


Non ci sono molti ricercatori italiani di punta che riescono a fare carriera in Germania. Lucio Baccaro in questo senso è un'eccezione: dallo scorso settembre l'economista politico nato in Puglia nel 1966 è il nuovo direttore del prestigioso Istituto Max Planck per lo studio della società di Colonia. E ovviamente non vuole essere da meno rispetto al suo predecessore Wolfgang Streeck, il quale amava inserirsi nei dibattiti sociali: in una intervista alla FAZ Baccaro si schiera a favore di una uscita ordinata del suo paese dalla moneta unica. L'errore è stato soprattutto entrare nella moneta unica. "L'Italia dovrebbe negoziare un'uscita? Nel complesso sì!", dice Baccaro.

Il ricercatore giustifica la sua posizione, insolita fra gli economisti tedeschi, con i problemi strutturali dell'economia italiana emersi durante un lungo arco di tempo. L'uscita dall'euro potrebbe aiutare a risolverli. "Al momento dell'adesione alla moneta unica nel 1999 molti italiani hanno sognato di poter giocare nella Premier League delle economie nazionali", secondo Baccaro, "ma questo si è rivelato un errore". Lo sviluppo della Grecia all'interno dell'euro è stato un disastro. "L'Italia è il secondo disastro in ordine di grandezza", ha detto Baccaro. La produttività delle imprese italiane è stagnante da 2 decenni, l'economia cresce piu' lentamente di quella tedesca o francese e il rapporto debito pubblico/PIL è con oltre il 130% circa il doppio del rapporto tedesco. Con l'ingresso nella moneta unica il paese del sud-europa si è privato della possibilità di recuperare competitività internazionale attraverso gli aggiustamenti del tasso di cambio - "legandosi entrambe le mani all'albero della UE".

Baccaro, che oltre al suo incarico a Colonia ha una cattedra in sociologia all'Università di Ginevra, non è un amico delle politiche di austerità, tanto criticate nel sud-Europa e che spesso hanno imposto riforme strutturali dolorose. Al loro posto il ricercatore sostiene la necessità di favorire politiche sul lato della domanda che possano aiutare i paesi a crescita più' lenta. Soprattutto chiede che sia lo stato ad intervenire. "Quando la domanda interna e la domanda estera tendono a stagnare, spetta al governo spendere di piu', almeno all'inizio", ha detto il ricercatore. Nel caso dell'Italia cio' sarebbe difficilmente conciliabile con le regole del Trattato di Maastricht, secondo il quale il deficit annuo non dovrebbe superare il 3% del PIL, per Baccaro non si tratta di un criterio di esclusione: "abbiamo bisogno di alleggerire alcune di queste restrizioni, possibilmente quella del limite del 3%".

Anche se Baccaro, che originariamente ha studiato filosofia e in seguito economia, arriva alle sue conclusioni partendo da un punto diverso - la sua posizione sull'euro e sui programmi di spesa non è molto lontana da quella del partito euroscettico della Lega Nord o del partito di Silvio Berlusconi (Forza Italia). 

All'economia tedesca il nuovo direttore dell'Istituto Max Planck dà una pagella con luci e ombre. Da un lato "quella tedesca è la sola economia che nel passato è riuscita a passare da una crescita guidata dai salari ad una guidata dalle esportazioni". Dall'altro lato questo stesso modello di sviluppo in futuro potrebbe rivelarsi fatale per la Germania. All'ombra delle aziende esportatrici di successo è nato un ampio settore a basso salario - soprattutto nel settore dei servizi - con le conseguenti disuguaglianze sociali. La Germania non ha utilizzato le abbondanti entrate fiscali per cercare di aiutare questo gruppo sociale.