sabato 18 gennaio 2020

"La Baviera è la più grande istituzione caritatevole tedesca"

"La Baviera è la più grande istituzione caritatevole tedesca" scrive Handelsblatt in riferimento al sistema di compensazione finanziaria fra i Laender tedeschi grazie al quale negli ultimi 10 anni i bavaresi hanno versato piu' di 50 miliardi di euro ai "fratelli" meno fortunati dell'est, una buona parte dei quali finiti ai berlinesi che in 10 anni hanno incassato quasi 40 miliardi. Dopo anni di proteste e un ricorso alla corte costituzionale, a partire dal 2020 il sistema della compensazione fra i Laender sarà smantellato, la domanda tuttavia è sempre la stessa: se un bavarese non vuole finanziare lo stile di vita rilassato dei berlinesi, perché dovrebbe essere disposto a pagare il sussidio per un disoccupato andaluso, greco o calabrese? Da Handelsblatt


La Baviera è la più grande istituzione caritatevole tedesca, almeno per quanto riguarda la politica finanziaria. Nell'ultimo decennio, infatti, il  Freistaat bavarese ha versato 50,7 miliardi di euro nel sistema della perequazione finanziaria statale (Länderfinanzausgleich). Gran parte del denaro proveniente da Monaco tuttavia è finito a Berlino: dal 2010 al 2019, infatti, la capitale tedesca ha ricevuto finanziamenti per 39,5 miliardi di euro provenienti dal fondo per la compensazione finanziaria ed il Land è stato il leader indiscusso fra i 16 stati federali. Lo mostrano i dati di Handelsblatt sulla base degli ultimi dati forniti dal Ministero delle finanze tedesco.

Solo nell'ultimo anno, la Baviera ha versato nel fondo per la compensazione finanziaria piu' di quanto non avesse mai fatto fino ad ora: 6,7 miliardi di euro. Il Freistaat da solo ha contribuito per più della metà dell'intero fondo. Segue a distanza considerevole il Baden-Württemberg, che ha contribuito con 2,44 miliardi di euro, circa 600 milioni in meno rispetto all'anno precedente. Al contrario è aumentata la quota degli altri due "paesi donatori": il Land Hessen ha pagato 1,91 miliardi di euro, Amburgo 120 milioni.

Markus Soeder presidente della Baviera
I restanti dodici stati federali hanno invece ricevuto denaro. Anche nel 2019 Berlino resta di gran lunga il principale Land destinatario: con 4,33 miliardi di euro ha ricevuto solo qualcosina in meno rispetto al 2018. Gli altri grandi Laender beneficiari sono stati la Sassonia con 1,18 miliardi, il NRW con 1,04 miliardi e la Bassa Sassonia, che per la prima volta in sei anni è scesa a 831 milioni di euro.

In totale nel 2019 sono stati redistribuiti circa 11,16 miliardi di euro, un po' meno rispetto all'anno record 2018, quando i miliardi distribuiti erano stati 11,45. 

Oltre alla Baviera, negli ultimi dieci anni anche il Baden-Württemberg ha versato molto denaro nel fondo per la compensazione: un totale di 24,24 miliardi di euro. L'Assia invece ha raggiunto i 18,39 miliardi di euro, Amburgo, che durante lo scorso decennio è stato sia un Land donatore che destinatario, ha versato nel fondo 440 milioni di euro.


Tra il 2010 e il 2019 i maggiori beneficiari, oltre a Berlino, sono stati la Sassonia, che ha ricevuto circa 10,5 miliardi di euro e il NRW con poco più di 8 miliardi di euro. Anche Brema in rapporto alle sue dimensioni, con circa sei miliardi di euro, ha incassato molto.

La perequazione finanziaria statale in Germania ha lo scopo di garantire condizioni di vita uniformi in tutto il paese. Viene calcolata sulla base di diversi parametri come la forze economica e fiscale di un paese. Ciò significa ad esempio che la Sassonia riceve molto denaro dal fondo, anche se non ha debiti, mentre da sola la Baviera deve farsi carico di più della metà della compensazione. Ci sono sempre stati da parte dei Laender pagatori delle forti critiche nei confronti della perequazione finanziaria fra le regioni, Baviera e Assia avevano anche minacciato un ricorso alla corte costituzionale.

Da quest'anno si applica un nuovo sistema 

Da quest'anno si applicherà un nuovo sistema, quello vecchio infatti è scaduto a fine 2019 insieme al Solidarpakt II pensato in favore dei Laender orientali. Il precedente sistema di compensazione finanziaria statale perciò non è più applicabile. I Laender federali in cambio riceveranno più di 9 miliardi di euro di stanziamenti dal governo federale e entro il 2030 l'importo aumenterà fino a 13 miliardi di euro ogni anno. In cambio il governo federale riceve maggiori diritti di intervento in aree che sono in realtà di competenza degli stati federali, come le autostrade, l'amministrazione fiscale, gli investimenti nelle scuole e la gestione delle amministrazioni online.


domenica 22 dicembre 2019

H. W. Sinn - Perché i saldi Target stanno scendendo

Dalle colonne della FAZ, il professore H. W. Sinn prosegue la sua battaglia sulla natura dei saldi Target e questa volta risponde a chi nei giorni scorsi, dopo una inattesa riduzione dei saldi tedeschi, aveva subito ipotizzato una normalizzazione della situazione sui mercati finanziari europei. Dalla FAZ.net, il professore Hans Werner Sinn


Dopo anni di saldi Target in crescita, nell'ottobre 2019 c'è stato un primo calo dei saldi che a molti è sembrata quasi un'inversione di tendenza. Il solo saldo Target della Bundesbank, che nel mese precedente era stato di 915 miliardi di euro, è sceso di 78 miliardi arrivando a 837 miliardi di euro. A novembre questo crollo è stato parzialmente compensato da un nuovo aumento fino a 871 miliardi di euro, ma resta comunque un calo considerevole.

Alcuni commentatori hanno individuato in questa svolta un segno della normalizzazione della situazione sui mercati finanziari. È stato "un duro colpo per tutti i critici della moneta unica e per i profeti della crisi dell'euro", si poteva leggere su Internet, e parole simili erano riportate anche nelle cronache dei giornali. Questa valutazione è errata, se non completamente sbagliata.

Lo è perché implicitamente equipara il rischio di un crash con l'esistenza stessa dei saldi Target. In realtà il sistema Target protegge l'economia da un'improvvisa fuga degli investitori privati ​​e aiuta a evitare il crollo del sistema. I crediti pubblici all'interno dell'eurosistema, misurati dai saldi target, in caso di emergenza sostituiscono i prestiti dei privati ​​ed evitano in questo modo  dei possibili fallimenti.




Il problema con i saldi target in realtà non è il rischio di un crash, ma il rischio di credito implicito per la Germania. I beni, le azioni, le società, i beni immobili e i titoli di debito che sono diventati di proprietà estera o che sono stati estinti in cambio dei crediti target della Bundesbank sono ormai andati, resta solo da vedere se il corrispettivo equivalente verrà mai rimborsato. Il rischio di credito non riguarda solo l'eventuale uscita di un paese dalla zona euro, ma ciò che  spesso viene trascurato, è che quando uno stato fallisce, fallisce anche il sistema bancario locale.

A ciò si aggiunge il fatto che i crediti target minano la democrazia, rendono la Germania ricattabile, hanno effetti redistribuivi significativi e rallentano la crescita economica. In primo luogo, senza chiedere il loro consenso e senza la partecipazione dei loro parlamenti, i cittadini vengono resi  responsabili per i rischi di credito. Se l'Eurosistema fosse stato costruito sulla base dei sistemi di pagamento privati, consentiti dal Trattato di Maastricht, i rischi sarebbero stati spostati sugli investitori privati. In secondo luogo i rischi Target rappresentano una potenziale minaccia da parte dei paesi debitori, grazie ai quali possono forzare un'unione di trasferimento e l'introduzione di una garanzia congiunta sui depositi bancari. In terzo luogo, la copertura assicurativa gratuita garantita dai contribuenti riduce il premio al rischio con il quale i paesi con un indebitamento eccessivo possono indebitarsi. Ciò provoca ulteriore debito aggiuntivo e priva i paesi esportatori di capitali di una parte dei loro proventi derivanti dagli investimenti all'estero. In quarto luogo, i saldi Target non proteggono solo le banche, le aziende e gli stati sani da una possibile irrazionalità dei mercati, ma consentono anche agli stati in difficoltà e alle aziende zombie che non possono più far fronte ai debiti di astenersi dal fare le riforme necessarie per il proprio risanamento.

È perciò errato ipotizzare che il calo dei saldi Target indichi una "normalizzazione" della situazione sui mercati finanziari. In realtà il calo è il risultato dell'introduzione degli interessi negativi sui depositi bancari introdotti da parte delle rispettive banche centrali nazionali. E ciò non deriva dalla crescente fiducia del mercato, ma da una mossa draconiana da parte del Consiglio direttivo della BCE per indirizzare i capitali privati nei paesi della zona euro colpiti dalla crisi.

Con la decisione del consiglio direttivo del settembre 2019, il tasso di interesse negativo sui depositi delle banche è stato fissato allo 0,5% e allo stesso tempo è stata introdotta una soglia molto alta al di sotto della quale non si applicano gli interessi per l'eccesso di liquidità delle banche (superiori al requisito di riserva), pari a sei volte il requisito minimo di riserva. L'importo di questa soglia corrisponde a circa la metà della liquidità in eccesso complessiva all'interno dell'Eurosistema, vale a dire circa 900 miliardi di euro.

Se la liquidità in eccesso fosse stata distribuita uniformemente in tutti i paesi, gli interessi negativi non avrebbero avuto alcun effetto sui saldi Target. Tuttavia non è stato così. Piuttosto, l'estrema disparità nella distribuzione della liquidità all'interno della zona euro, misurata e resa possibile anche dai saldi target, ha creato tra le banche europee delle transazioni di arbitraggio reciprocamente vantaggiose che hanno ridotto nuovamente questi saldi. A causa di questa disparità nella distribuzione, si sono resi disponibili nei paesi in crisi dell'area mediterranea dell'eurozona  degli importi significativi inutilizzati di liquidità in eccesso, che potevano essere riempiti con della liquidità aggiuntiva senza dover pagare interessi negativi. Contemporaneamente le banche tedesche detenevano enormi somme di liquidità in eccesso rispetto agli importi di esenzione al di sopra dei quali devono pagare degli interessi negativi. Prestando una parte di tali eccedenze all'Europa meridionale a un tasso di interesse che si trovava da qualche parte tra meno 0,5% e 0, sia le banche tedesche che le banche dell'Europa meridionale sono state in grado di realizzare un profitto: le prime perché hanno dovuto pagare meno interessi negativi, le seconde perché avevano dei prestiti di rifinanziamento che avevano ottenuto dalla loro banca centrale allo 0%, e che erano in grado di rimborsare con prestiti concessi dalle banche tedesche a tassi di interesse negativi. Il prestito di denaro all'Europa meridionale, ottenuto in modo quasi forzoso, ha ridotto i saldi Target tedeschi perché in questo modo si è ridotta la somma dei trasferimenti netti verso la Germania, misurata dal saldo target tedesco. 

Sarà necessario capire fino a che punto si spingeranno le misure finalizzate ad evitare gli interessi negativi. Sicuramente in Germania non porteranno alla completa eliminazione della liquidità in eccesso tramite la soglia priva di interessi negativi, perché in qual caso gli interessi negativi sarebbero dovuti anche al sud. Ad un certo punto l'effetto si esaurirà. Ovviamente, ciò non significa, come si potrebbe pensare, che i saldi target non possano scendere ulteriormente, dato che i profitti della Bundesbank derivanti dagli interessi negativi pagati dalle banche tedesche vengono condivisi all'interno dell'Eurosistema e accreditati alle banche centrali del sud grazie al sistema Target. I crediti Target tedeschi diminuiscono a causa del trasferimento degli interessi negativi sui depositi alle altre banche centrali dell'Eurosistema, e in questo modo scendono anche i debiti Target dei paesi in crisi. Analogamente a quanto accade nel caso di partner privati in un contratto di credito, l'accumulo dei tassi di interesse negativi porta a una riduzione sia dei crediti che delle passività.

La riduzione dei saldi target legata agli interessi negativi ovviamente è solo un effetto di lungo termine, che nel breve periodo non è molto significativo. In futuro i saldi potrebbero anche essere sommersi dall'effetto dei nuovi acquisti di titoli di stato appena decisi dalla BCE. Ma qualunque cosa accada: da un punto di vista economico è difficile interpretare un declino dei saldi, che è stato e sarà causato dai tassi di interesse negativi e dagli sconti sugli interessi negativi, come una qualche forma  di normalizzazione del mercato dei capitali o anche come una pillola calmante per gli investitori e i contribuenti tedeschi.



Perché la ratifica del MES al Bundestag non è scontata

La ratifica dell'ESM al Bundestag potrebbe essere tutta in salita perché la Groko non dispone della maggioranza di due terzi dei voti necessaria per ratificare i trattati internazionali che abbiano delle implicazioni sulle competenze di bilancio del Bundestag. I gruppi parlamentari della FDP e di AfD sono pronti a dare battaglia e preparano un ricorso alla Corte Costituzionale. Ne scrive Welt




(...) Il fondo di salvataggio ESM, preceduto dall'organismo conosciuto come EFSF, creato dal nulla nove anni fa al culmine della crisi dell'euro, ha svolto un ruolo centrale nella crisi debitoria, rifornendo di denaro freso quei paesi della zona euro che avevano perso l'accesso ai mercati a condizioni accettabili. Il fondo di salvataggio prende in prestito denaro dai grandi investitori in tutto il mondo grazie al suo eccellente merito di credito e lo trasferisce ai paesi in crisi a condizioni favorevoli.

La troika è storia, ora arriva il duetto 

La portata è enorme: dal 2011 il fondo e il suo predecessore hanno concesso prestiti per salvataggi per un valore di 205 miliardi di euro, trasformando l'ESM nel principale creditore dello stato in ciascuno dei paesi in crisi, dall'Irlanda al Portogallo. Il fondo detiene oltre la metà del debito pubblico greco. Il fondo di salvataggio, che ha solo sette anni, tuttavia, è destinato a diventare molto vecchio: alcuni dei prestiti concessi dall'ESM e dall'organizzazione precedente scadranno infatti nel 2070.

L'organizzazione, nata in una situazione di bisogno, ora dovrà essere rafforzata. I paesi dell'euro vorrebbero convertirlo in una specie di fondo monetario europeo. Recentemente il ministro delle finanze italiano, a Bruxelles,  per motivi di politica interna ha impedito all'ultimo minuto l'approvazione della riforma dello scudo protettivo praticamente ormai completamente negoziato. Il trattato sarà di nuovo all'ordine del giorno il prossimo anno.

Il MES riformato dovrebbe svolgere un ruolo centrale nel caso in cui gli stati dovessero tornare a vacillare e dovessero nascere dei nuovi programmi di salvataggio. Durante l'eurocrisi, infatti, a dare il tono era stata la cosiddetta troika composta da Banca centrale europea, dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale (FMI): avevano negoziato dei prestiti per il salvataggio degli Stati colpiti dalla crisi, avevano definito i programmi di austerità e di riforma che i governi avrebbero dovuto attuare per ottenere i credito, e quindi monitorato il rispetto degli impegni.

In futuro l'ESM avrà più voce in capitolo, afferma il suo direttore Klaus Regling: “In passato c'era la troika e l'ESM si è aggiunto solo in seguito per formare un quartetto. In futuro ci sarà un duetto fra Commissione europea e MES; ciò si rifletterà nel trattato ESM modificato”. Insieme, i due organismi europei in futuro dovranno progettare, prescrivere e monitorare i programmi di salvataggio. Sarebbe la fine della cooperazione con il FMI, con il quale gli europei nel corso della crisi greca avevano avuto piu' di un conflitto.

Non potrà essere chiamato fondo monetario 

In Lussemburgo si sono anche accorti che il nome di Fondo monetario europeo si sarebbe ben adattato all'entità riformata. La BCE per ragioni tecniche ha avuto qualcosa da dire contro questa denominazione, afferma Regling. "Il nome non è importante", dice oggi: "è importante la sostanza e il MES si è fortemente spostato in direzione di un fondo monetario europeo".

In alcuni ambiti l'ESM ha dei poteri ancora più estesi e ad esempio nel caso di fallimento di una grande banca potrà avviare un pacchetto di salvataggio. Esiste già un fondo di risoluzione a livello europeo, e cioè l'SRF, nel quale tutte le banche europee stanno già versando un contributo e che si assume i costi della risoluzione europea in caso di fallimento.

Se, tuttavia, durante una crisi finanziaria, a fallire fossero diverse banche o una banca particolarmente grande e il fondo di risoluzione dovesse esaurirsi e le altre banche non fossero in grado di iniettare denaro abbastanza rapidamente, l'ESM dovrebbe intervenire con dei prestiti. "Il sostegno fornito dall'ESM ha senso", afferma Bert Van Roosebeke del Centrum für europäische Politik. "Il fondo di risoluzione è in fase di realizzazione, ma al momento non è chiaro cosa succederebbe se un fallimento bancario dovesse colpire prima il fondo e poi lo stato membro interessato".

La FDP teme enormi rischi per il bilancio pubblico

La riforma dell'ESM è tutt'altro che certa, perché il MES non fa parte dell'UE, ma si basa su un trattato indipendente tra i paesi dell'euro. La modifica del trattato, come tutti i trattati internazionali, pertanto dovrà essere ratificata dai parlamenti nazionali.

Al Bundestag, ovviamente, c'è resistenza nei confronti del progetto. A Berlino, infatti, si discute se il Bundestag possa approvare gli emendamenti del trattato a maggioranza semplice oppure se sia necessaria una maggioranza di due terzi. Questo sarebbe il caso se il trattato influisse in modo significativo sulla sovranità legislativa in materia di bilancio, come è accaduto nel caso del primo trattato ESM.

La questione ora riguarda se le modifiche al trattato siano solo degli adeguamenti tecnici senza rischi significativi per il bilancio oppure se l'impatto sulle competenze di bilancio siano rilevanti. La domanda non è priva di conseguenze, perché a differenza di quanto accadde con l'approvazione del primo trattato ESM, la grande coalizione al Bundestag non ha una maggioranza dei due terzi. E due gruppi parlamentari si stanno già mettendo di traverso.

"La riforma del MES crea dei rischi di bilancio aggiuntivi a causa dei nuovi compiti in materia di salvataggio bancario", afferma Florian Toncar, portavoce del gruppo FDP in materia di politica finanziaria. "Al Bundestag la modifica del trattato potrà quindi essere approvata solo con una maggioranza di due terzi".

Il suo gruppo parlamentare ha già commissionato un parere di esperti per chiarire il punto. Il gruppo parlamentare di AfD al Bundestag ha già annunciato che si rivolgerà sicuramente alla Corte costituzionale federale se la modifica del trattato dovesse essere approvata a maggioranza semplice.
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sabato 21 dicembre 2019

Heiner Flassbeck - La crisi attuale è figlia di Hartz IV (seconda parte)

"Le politiche dell'Agenda 2010 hanno solo scelto un modo alquanto primitivo per esportare la disoccupazione nei paesi vicini. E questo, non bisogna mai dimenticarlo, è stato possibile solo perché in Europa c'era un'unione monetaria". Nei giorni in cui la SPD finalmente mette in discussione Hartz IV, il grande economista tedesco Heiner Flassbeck, commenta cosi' le tanto lodate riforme rosso-verdi. Seconda parte, si arriva da qui. Da Flassbeck Economics


La soluzione dell'enigma

Questi semplici risultati empirici contengono la chiave per risolvere l'enigma dell'Agenda: non c'è stato solo un canale attraverso il quale i tagli ai salari hanno influenzato il mercato dei beni e del lavoro, ma i canali sono sempre 2: il canale del mercato interno e il canale delle esportazioni. Il primo è stato un disastro - non ultimo per la dottrina prevalente - il secondo invece è stato alla base dell'apparente storia di successo della Germania.

Il fatto che gli effetti interni previsti non si siano verificati, è reso evidente dal fatto che la domanda interna non sia aumentata. L'idea neoclassica di eliminare la disoccupazione riducendo o moderando i salari si fonda sull'ipotesi che se i salari vengono ridotti (o se i salari reali restano indietro rispetto alla produttività), le aziende inizieranno a ristrutturare i loro processi produttivi aumentando l'impiego  della forza lavoro (relativamente) più economica e quindi sostituendo il capitale relativamente più costoso (il cui prezzo non è cambiato). Questa sostituzione del capitale con il lavoro tenderà quindi a ridurre la produttività del lavoro o a farla aumentare più lentamente, in modo da evitare ulteriori licenziamenti, o almeno ridurli.

Questo concetto di sostituzione è completamente irrealistico per vari motivi. Se questa teoria fosse valida, nel tempo si assisterebbe ad una crescita della produttività inferiore rispetto a quella di paesi comparabili che non hanno usato la moderazione salariale. Questo non è il caso del confronto con la Francia. In Germania, la produttività ha continuato ad aumentare a un ritmo molto simile a quello che ha preceduto la fase di moderazione salariale e simile alla Francia, dove non vi era stata alcuna moderazione salariale. Ma se la produttività continua ad aumentare, come è accaduto in Germania, è chiaro fin dall'inizio che la tesi della sostituzione non può essere provata empiricamente. Il fatto che l'occupazione sia aumentata senza che la domanda interna sia cresciuta in modo adeguato può essere spiegato solo dall'aumento della domanda estera.

Se l'approccio neoclassico aiutasse a spiegare la realtà, si dovrebbe anche osservare che un taglio salariale viene immediatamente compensato dagli effetti positivi sull'occupazione. Quindi, se i salari reali orari, invece di aumentare del 2%, stagnano, l'occupazione (il numero di ore) dovrebbe aumentare immediatamente del 2%. Solo in questo caso il salario reale rimarrebbe lo stesso e di conseguenza solo in questo caso potrebbe essere escluso un effetto negativo sulla domanda interna (...).

Ciò significa che in un'economia come quella tedesca, dove la produttività è aumentata nonostante la moderazione salariale, ma la domanda interna è cresciuta meno della produttività, l'effetto ipotizzato dai neoclassici sicuramente non si è verificato. Ciò ha reso la moderazione salariale un fallimento, indipendentemente da cosa poi sia accaduto. E quindi è stato il solo canale dell'export ad avere reso il paese un caso "di successo" (misurato secondo le statistiche del mercato del lavoro), nonostante la riduzione relativa dei salari.

Cosa sarebbe successo senza le "riforme"?

Se la domanda interna in Germania non fosse stata imbavagliata, e se i salari orari avessero seguito la produttività, la domanda interna sarebbe cresciuta e il caos europeo non ci sarebbe mai stato. Le esportazioni tedesche e quindi le eccedenze nell'export tedesco non sarebbero mai cresciute alle stelle così come poi è accaduto, e non avrebbero mai spinto il debito estero dei paesi partner dell'unione monetaria cosi' in alto. I paesi partner inoltre, dipenderebbero in misura molto inferiore dalla "politica debitoria" dello stato, decisamente vietata in Europa.

Non vi è alcun dubbio che in un'unione monetaria un paese con un'economia aperta che riesce a produrre sottocosto rispetto ai suoi vicini beneficerà prima o poi di grandi eccedenze delle partite correnti, se i vicini non dovessero agire in tempo. Sappiamo tuttavia che questi successi non dureranno. Perché i vicini prima o poi andranno in bancarotta oppure si comporteranno allo stesso modo; per questo nel lungo periodo con una strategia di riduzione dei salari non si ottiene nulla.

E' accaduto il contrario, e ora in Europa lo si può osservare chiaramente: nel lungo periodo il processo di aggiustamento sarà molto costoso, anche per chi ha fatto la prima mossa. Perché la riduzione salariale a cui sono costretti i paesi in deficit li spinge a ridurre la loro domanda, in modo da ridurre anche la domanda dei prodotti del primo che ha ridotto i salari. Il quale tuttavia si trova già su un sentiero sbagliato perché la sua economia si fonda su una struttura economica estremamente orientata all'export. Il fatto che la struttura economica dipendente dalle auto e dall'export abbia un posizionamento fatale anche sui requisiti universalmente riconosciuti come necessari per la protezione del clima, rende la situazione tedesca ancora più drammatica.

Nel complesso c'è da fare una semplice conclusione: la strategia di riduzione dei salari non ha successo né in termini di crescita economica né in termini di crescita dei posti di lavoro, perché funziona solo attraverso il canale dell'export, il quale non è mai sostenibile. Se si desidera creare un'occupazione sostenibile, è necessario fare in modo che la domanda interna si sviluppi in modo dinamico. Se la produttività aumenta con gli investimenti, i salari dovranno aumentare in maniera tale che la dinamica della domanda agli occhi degli imprenditori sia così forte da convincerli che valga la pena fare degli investimenti che vadano ben oltre l'attuale utilizzo della capacità produttiva. In questo modo saranno creati dei nuovi posti di lavoro per ridurre la disoccupazione esistente.

Le politiche dell'Agenda non hanno raggiunto questo obiettivo, ma hanno solo scelto un modo alquanto primitivo per esportare la disoccupazione nei paesi vicini. E questo, non bisogna mai dimenticarlo, è stato possibile solo perché in Europa c'era un'unione monetaria. Se la Germania avesse ancora avuto il D-Mark, prima o poi sarebbe stato rivalutato e lo spettro di Hartz IV si sarebbe rapidamente dissolto.

Cosa accadrà?

Se in Europa si vogliono contrastare le forze centrifughe, la Germania dovrà procedere con una messa in discussione delle sue riforme e normalizzare gli sviluppi salariali. L'economia tedesca risulterebbe senza dubbio molto colpita da uno scenario di uscita dell'Italia o della Francia. E' prevedibile che la sua struttura produttiva estremamente orientata all'export, formatasi negli anni dell'unione monetaria, sarebbe soggetta a un duro adeguamento. Già ora la recessione tedesca sta dimostrando quanto il paese sia vulnerabile agli shock esogeni.

La decisione di fondo dell'euro, ancora oggi, può essere giustificata con dei buoni argomenti economici. La teoria economica dominante, tuttavia, ha ignorato fin dall'inizio questi argomenti respingendoli politicamente. Costruita sulla base delle idee monetariste della Banca centrale europea e sulle delle idee grezze in merito alla concorrenza fra le nazioni provenienti dal più grande paese membro, l'unione monetaria in questo modo non poteva funzionare. Chiunque voglia salvare l'Europa come idea politica dovrà riconoscere che ciò può accadere solo con una diversa teoria e una diversa politica economica. L'idea di un'Europa pacificamente unita può essere salvata solo garantendo la partecipazione di tutti al progresso economico e scaricando l'idea della concorrenza fra le nazioni.


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Heiner Flassbeck - La crisi attuale è figlia di Hartz IV (prima parte)

Dopo il congresso della SPD, Der Spiegel ha lodato le riforme Hartz definendole una "benedizione" per la Germania. Il grande economista Heiner Flassbeck capovolge questa narrazione filo-governativa della cosiddetta "stampa di qualità" e propone un'analisi molto interessante: la recessione attuale è figlia di Hartz IV, perché se riduci intenzionalmente i salari per pompare l'export allora devi anche prendere in considerazione il fatto che prima o poi questo comportamento scorretto ti si ritorcerà contro. Ne scrive Heiner Flassbeck su Flassbeck Economics


Hartz IV è stato una "benedizione", titolava Der Spiegel qualche giorno fa, intevistando un professore di economia dell'Università di Ratisbona che lavora anche per lo IAB di Norimberga (Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung) (...).

Quando si tratta di fare una valutazione globale e politicamente rilevante degli effetti di Hartz IV, tramite la cosiddetta efficienza del matching fra domanda e offerta di lavoro, bisogna sapere che si tratta senza dubbio di una procedura problematica. Come tutte le analisi di questo tipo, infatti, si basa sul presupposto che sia sempre valida una clausola ceteris-paribus: semplicemente si presume che, a parte le riforme Hartz, nel periodo di indagine non sia accaduto nulla di importante. Ciò tuttavia trascura sin dall'inizio il fatto che le riforme Hartz hanno notevolmente rafforzato una tendenza che era già in atto sin dalla fine degli anni '90 e che in Germania ha comportato una crescita dei salari molto inferiore rispetto a quanto sarebbe stato richiesto dallo sviluppo della produttività. All'epoca anche i sindacati, che nel 1999 avevano sottoscritto questo corso nell'ambito di un'alleanza per il lavoro, volevano "utilizzare la produttività per aumentare l'occupazione" (qui una valutazione data all'epoca). Se si vuole investigare empiricamente una misura come Hartz IV, non si possono e non si devono separare gli effetti che derivano dalla riforma in quanto tale, dagli effetti che provengono dal quadro complessivo in cui era inquadrato Hartz IV.

Il motivo per cui la tesi di Hartz IV come "benedizione" è lontana dalla realtà, può essere facilmente illustrato se si fa ciò che gli economisti dovrebbero effettivamente fare: includere nell'analisi tutti gli effetti - a livello nazionale e internazionale - innescati o rafforzati da un tale cambiamento istituzionale della portata di Hartz IV. Gli economisti tedeschi, tuttavia, nei loro studi (o nelle interviste) non evidenziano mai alcun effetto internazionale. Ciò tuttavia in un'economia globale fortemente interconnessa non può essere mai giustificato, ma in un'unione monetaria come quella che abbiamo in Europa da vent'anni, è senza dubbio un elemento di negligenza.

Se qualcuno nel 1995 mi avesse chiesto come sarebbe andato il tentativo della Germania di ridurre i suoi salari nell'ambito dell'eurozona (o aumentarli meno della crescita della produttività), la risposta sarebbe stata molto semplice. Avrei detto che se gli altri paesi avessero accettato il dumping salariale tedesco senza contromisure o addirittura avessero aumentato i loro salari più di quanto fosse stato giustificato dalla loro rispettiva produttività, la Germania avrebbe senza senza dubbio sperimentato un boom delle esportazioni e uno sviluppo economico eccezionalmente buono. Ma avrei anche detto che una tale politica nel lungo periodo avrebbe portato alla distruzione dell'unione monetaria e avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per la Germania.

Per comprendere a fondo la portata di Hartz IV, bisogna inquadrarlo nella costellazione complessiva che nell'ambito della definizione dei salari era presente in Germania e in Europa all'epoca. Hartz IV è stato solo l'ultimo passaggio lungo il percorso di una politica economica volta a contenere i salari mantenendoli al di sotto di quella che chiamiamo la regola d'oro nella negoziazione dei salari: la crescita che deriva dall'andamento della produttività più il tasso di inflazione fissato politicamente. Hartz IV ha notevolmente indebolito il potere contrattuale dei sindacati in quanto la disponibilità dei lavoratori a battersi per ottenere salari più alti è diminuita a causa della minaccia di dover scendere rapidamente al livello della sicurezza sociale di base nel caso in cui fossero diventati disoccupati. Il singolo lavoratore, infatti, ritiene semplicemente che la sua lotta per avere un salario più alto gli si possa rapidamente ritorcere contro.

Le conseguenze dell'Agenda

Il problema principale nell'analisi scientifica delle riforme del mercato del lavoro attuate dai rosso-verdi dopo il 2000 risiede nell'orientamento unilaterale dell'approccio economico. Molti economisti in Germania, infatti, fanno ricorso ad una semplice argomentazione con la quale sin dall'inizio dell'unione monetaria difendono la politica tedesca: se, come è accaduto in Germania ai tempi dell'Agenda 2010 e con l'aiuto dell'Agenda 2010, è possibile imporre una riduzione (relativa) dei salari (rispetto all'estero) e quindi 20 anni di maggiore occupazione, meno disoccupazione e una forte posizione all'interno dell'UE, allora questa politica tedesca deve essere davvero giusta.

Questa semplice narrativa sembra giustificare l'Agenda 2010 e i media tedeschi continuano a farlo acriticamente. Anche se alcuni membri della SPD nella nuova leadership del partito sembrano aver capito che occorre correggere urgentemente i gravi errori dell'Agenda. Ma la crucialità della dimensione europea anche per loro è irrilevante. Con la CDU, che resta il più grande sostenitore dell'Agenda 2010, non ci si può certo aspettare che nel governo federale vi sia anche una sola voce in grado di rielaborare questa storia.

In un tale quadro molte analisi economiche risentono del fatto che partono dalle condizioni tipiche di un'economia relativamente chiusa e collegata al resto del mondo grazie ad un sistema di tassi di cambio flessibili. La Germania, però, sin dall'inizio dell'esperimento di riduzione dei salari, era un'economia relativamente aperta e nel corso degli anni e a causa della moderazione salariale è diventata una forma estrema di economia aperta. La Germania è anche membro di una grande unione monetaria, e quindi nel commercio estero ha operato in condizioni che sono diametralmente opposte rispetto al modello dei tassi di cambio flessibili. Le analisi che non mettono al primo posto questo aspetto non possono pertanto aggiungere alcuna  seria conoscenza.

Ma cosa è successo esattamente in realtà? Nonostante un aumento della produttività relativamente normale, l'aumento dei salari reali tedeschi nel primo decennio del secolo è stato vicino allo zero. A causa del deliberato contenimento dei salari orchestrato politicamente, le aziende tedesche hanno avuto sempre maggiori possibilità di sottrarre quote di mercato ai concorrenti esteri riducendo i prezzi (ma anche in mercati terzi, non solo all'interno dell'unione monetaria), oppure di conseguire profitti significativamente più alti con dei prezzi invariati rispetto alle aziende dei paesi dell'unione monetaria con andamenti salariali "normali".

In termini di export, la Germania ha quindi fatto molto meglio di tutti gli altri partner europei, come mostra la Figura 1 con l'esempio della Francia. Nel 2006 e nel 2007 e dopo la crisi finanziaria, le esportazioni tedesche sono letteralmente esplose. La Germania è stata in grado di mantenere la sua quota di mercato globale nonostante la concorrenza crescente della Cina, mentre Italia e Francia sono rimaste molto indietro. La quota delle esportazioni sul PIL in Germania è aumentata drammaticamente ed è ora a quasi il 50 %.


Come mostrato nella Figura 2, tuttavia il prezzo da pagare per la moderazione salariale è stata una debole domanda interna, perché, come prevedibile, le famiglie tedesche e i privati hanno reagito ad una prospettiva di reddito significativamente deteriorata limitando i loro consumi. I consumi privati ​​sono rimasti estremamente deboli per un lungo periodo e si sono adattati quasi perfettamente alla stagnazione dei salari reali orari.


E ciò ha comportato uno sviluppo economico separato raramente visto nella storia. Mentre le esportazioni sono decollate, la domanda interna è rimasta ferma e ha iniziato a riprendersi solo dopo il 2010. E' cresciuta all'incirca come in Francia, e ciò significa che il divario in termini di livello della domanda interna tra i due paesi resta ampio 



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Se si confronta la domanda interna ed esterna dal 1991 in poi (Figura 4), è facile vedere quanto sia grande il divario che è emerso fra la domanda estera tedesca e quella della Francia, in rapporto alla domanda interna tedesca.


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mercoledì 18 dicembre 2019

Il bastone e la carota

Su Handelsblatt il professore Harald Benink ci spiega perché ormai con l'Italia e gli italiani è arrivato il momento del bastone e della carota: riforme strutturali in cambio di investimenti europei. Lo scambio dovrebbe essere formalizzato attraverso un "Grand Deal" fra governo italiano ed UE. Il timing di questa nuova strategia sembra perfetto per rispondere al dibattito italiano sul MES. Ne scrive il professor Benink su Handelsblatt


Gli ultimi mesi nella politica italiana sono stati alquanto turbolenti. E' nato un nuovo governo, senza la Lega di Matteo Salvini, per riaffermare la leadership politica e sostenere i mercati finanziari europei. Il leader della Lega chiedeva infatti nuove elezioni per poter diventare lui stesso il primo ministro.

Ma la fase di stabilità politica potrebbe non durare a lungo. L'Europa non dovrebbe farsi sfuggire l'occasione e tendere una mano all'Italia per trovare un accordo generale.

L'Unione europea si trova in una situazione critica. Da un lato, l'avvicinarsi della Brexit crea nuove incertezze sulle relazioni future con la Gran Bretagna, dall'altro, a causa dei problemi economici e finanziari, presto in Italia potrebbe svilupparsi una nuova crisi ancora più grande. La situazione attuale dovrebbe essere utilizzata per ripensare l'instabile situazione economica, finanziaria e politica europea.

In Europa è necessario circoscrivere le dinamiche negative del discorso politico. E ciò è particolarmente vero per la maggior parte della popolazione degli Stati membri dell'UE, che vede il progetto europeo come una minaccia, più che come un'opportunità.


Ciò è particolarmente evidente in Italia. Essendo uno dei membri fondatori dell'UE, il paese sta vivendo l'allontanamento e la mancanza di solidarietà nella governance della zona euro e nella gestione dell'immigrazione, in particolare da parte dei paesi dell'Europa settentrionale come Germania e Paesi Bassi. Ciò ha portato i partiti populisti ad essere ancora più popolari.

È ovvio che in Italia ci sono problemi strutturali ed economici. Ciò riguarda soprattutto la mancanza di drastiche riforme strutturali nel mercato del lavoro e dei servizi, nella riscossione delle imposte e nel sistema pensionistico. Per troppo tempo il paese ha rinviato le riforme necessarie, e in questo modo ha ridotto la sua competitività e il suo potenziale di crescita di lungo periodo.

La politica della BCE non ha creato gli incentivi

Allo stesso tempo le politiche dell'UE spesso non sono state adeguate. Da un lato la politica monetaria della BCE ha mantenuto i tassi di interesse sui titoli di stato italiani a un livello molto basso, senza pretendere delle condizioni speciali.

Questi bassi tassi di interesse hanno ridotto gli incentivi per la realizzazione di riforme economiche di vasta portata. D'altro canto le regole del Patto di stabilità e crescita dell'UE sono vincolanti e presto potrebbero portare a delle multe nei confronti dell'Italia, che a loro volta finirebbero per peggiorare ulteriormente la dinamica politica.

È giunto il momento di stringere un grande accordo fra Italia ed UE per migliorare la situazione politica. E ciò richiede un piano d'azione economico e politico per i prossimi cinque anni che metta in collegamento un'agenda dettagliata per le riforme economiche e strutturali da realizzare, con dei potenziali investimenti europei.

L'idea di base è che per ciascuno dei cinque anni siano previsti passi concreti sul piano normativo e nell'attuazione delle riforme. Alla fine di ciascuno di questi cinque anni, si dovrà quindi verificare se l'Italia ha attuato le misure concordate. In caso positivo l'Italia potrebbe essere premiata con ingenti investimenti dell'UE, in particolare nei settori come le infrastrutture e l'economia della conoscenza.

C'è molto in ballo

Un simile approccio fatto di carota e bastone non è mai stato provato prima. Ciò cambierebbe il discorso politico e darebbe la possibilità alla leadership politica italiana di spiegare alla propria popolazione che l'Europa non solo richiede difficili riforme economiche e disciplina di bilancio, ma agisce anche in maniera solidale sotto forma di investimenti. E questo potrebbe promuovere l'accettazione politica di misure anche difficili da parte dell'elettorato.

La sfida è quella di prevenire un'escalation della crisi politica tra Italia ed Europa. Tale escalation potrebbe portare a una crisi di fiducia nell'affidabilità creditizia del debito italiano e nelle banche del paese che hanno investito pesantemente in titoli di stato.

Date le dimensioni dell'economia italiana e, soprattutto, dato l'enorme debito pubblico, una crisi in Italia molto probabilmente porterebbe a una grave crisi bancaria e finanziaria nel resto d'Europa, fatto che avrebbe anche enormi conseguenze sul futuro dell'euro.

È quindi importante che il nuovo presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il nuovo presidente della BCE, Christine Lagarde, approfittino del momento per concludere con l'Italia un grande accordo. C'è molto in ballo ed è urgente un nuovo approccio.


lunedì 16 dicembre 2019

Le relazioni post-Brexit secondo Berlino

Anche dopo la Brexit i tedeschi sanno bene che se vorranno impostare con successo una politica di respiro mondiale, avranno necessariamente bisogno della cooperazione britannica. Il governo tedesco, dopo la vittoria dei conservatori di Johnson, ha optato per una linea soft finalizzata a non allontanare troppo Londra dall'UE. Se il piano per creare "un rapporto equilibrato, stretto ed equo con la Gran Bretagna", secondo le parole usate da Maas, dovesse fallire, allora Berlino potrebbe tornare a provocare la Gran Bretagna alimentando l'indipendentismo scozzese, come del resto ha già fatto nei mesi scorsi. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy.


UE: non è piu' un'esclusiva

Lo sfondo sul quale si collocano le esternazioni di Berlino in merito alla vittoria elettorale di Boris Johnson riguardano il fatto che il Regno Unito, dopo l'imminente uscita dall'UE, avrà la possibilità di ridefinire a livello internazionale le sue coordinate economiche e politiche. Johnson cercherà di raggiungere un nuovo accordo sulle future relazioni economiche con l'UE. Nel complesso, l'UE è ancora il più grande mercato di sbocco per la Gran Bretagna; ma la sua quota sull'export complessiva è diminuita passando negli ultimi dieci anni da poco meno del 50 % a circa il 45 %, tenendo conto di beni e servizi. Allo stesso tempo, la quota delle esportazioni britanniche verso gli Stati Uniti è passata dal 16,8% al 18,8%, quella dell'Asia addirittura dal 14,9% al 19,1%. La situazione per gli investimenti è simile. Nel lungo periodo, tuttavia, i legami economici esclusivi con l'UE non sembrano essere più l'unica alternativa possibile. Londra non solo sta cercando di intensificare le sue relazioni finanziarie con la Repubblica popolare cinese [1], ma Johnson è anche alla ricerca di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Secondo l'ex ambasciatore britannico presso l'UE, Ivan Rogers, Johnson "nei colloqui sugli accordi di libero scambio del prossimo anno potrebbe mettere l'UE in competizione con gli Stati Uniti". [2] Il primo ministro britannico ha quindi un certo potenziale di manovra per fare pressione.

Opzioni multiple

La situazione è simile anche in politica estera. Negli ultimi tempi Londra ha chiarito che si sta sforzando di mantenere una posizione congiunta con Berlino e Parigi, anche prendendo le distanze da Washington. Ad esempio, ha aderito, in contrasto con l'amministrazione Trump,  all'accordo sul nucleare con l'Iran e, almeno finora, si oppone alla pressione degli Stati Uniti affinché la società cinese di telecomunicazioni Huawei venga esclusa dalla creazione della rete britannica 5G. In altri ambiti, invece, Johnson è pronto a collaborare con gli Stati Uniti nel caso in cui non riesca a realizzare i suoi interessi insieme alle principali potenze dell'UE. Cosi' all'inizio di agosto, quando è diventato chiaro che l'operazione navale dell'UE sullo Stretto di Hormuz richiesta dal governo britannico non avrebbe avuto luogo ([3]), Londra ha annunciato un intervento navale a fianco degli Stati Uniti. Di fatto il Regno Unito è ancora coinvolto nell'International Maritime Security Construct guidato da Washington (precedentemente Operation Sentinel [4]) nel Golfo Persico.

Spinto alla rivalità

L'esempio del jet da combattimento franco-tedesco Future Combat Air System (FCAS), attualmente in fase di progettazione, mostra che ignorare con una certa freddezza gli interessi britannici può rivelarsi rischioso. L'azienda britannica BAE Systems, operante nel settore della difesa, infatti, sin dal 2014 stava collaborando con la francese Dassault per la realizzazione di un aereo da caccia di nuova generazione, quando nel 2018 il gruppo franco-tedesco Airbus è riuscito a far fuori dall'affare la concorrenza britannica per concentrarsi poi insieme a Dassault sulla realizzazione del FCAS. Il motivo addotto era che la Brexit avrebbe ostacolato la partecipazione di BAE Systems alla costruzione di un caccia da combattimento per l'UE ([5]). BAE Systems inizialmente ha continuato a lavorare in autonomia sul suo jet, che al momento è stato rinominato "Tempest", e nel frattempo ha ottenuto la collaborazione di 2 importanti aziende operanti nel settore della difesa, la Leonardo (Italia) e la Saab (Svezia); entrambe erano state escluse da Airbus e Dassault. Londra ha anche preso in considerazione il Giappone come possibile partner con cui cooperare per la realizzazione di "Tempest" [6]. Se la Gran Bretagna riuscisse ad ottenere la cooperazione di Tokyo per la realizzazione del progetto, avrebbe di fatto guadagnato dei punti importanti nei confronti del consorzio franco-tedesco FCAS nell'ambito della battaglia per assicurarsi dei mercati di vendita globali per il costoso progetto di difesa. È improbabile, infatti, che vi possano essere in parallelo abbastanza acquirenti per entrambi gli aerei da combattimento, tali da coprirne gli immensi costi di sviluppo. A tal proposito, "Tempest", nato come risposta all'esclusione operata da Berlino e Parigi, rappresenta un concorrente pericoloso per il progetto FCAS di Airbus e Dassault.

Obiettivo: "una stretta collaborazione"

In considerazione della portata economica e politica che la Gran Bretagna potrebbe ottenere con l'uscita dall'UE, Berlino vorrebbe  assumere un tono diverso nelle relazioni con Londra; di fatto sta cercando di fare in modo che nel raggiungimento delle sue ambizioni globali all'interno del quadro della politica tedesco-europea, la Germania possa fare ricorso al potenziale politico e soprattutto militare del Regno Unito. "Attendo con impazienza ogni nostra forma di ulteriore cooperazione data l'amicizia e la stretta collaborazione fra i nostri paesi", ha fatto sapere la Cancelliera Angela Merkel. [7] Il ministro degli Esteri Heiko Maas ha invece spiegato: "vogliamo che la Gran Bretagna rimanga un partner stretto anche dopo la Brexit, sia in termini economici che di politica estera e di sicurezza." [8] Norbert Röttgen, presidente della Commissione per gli affari esteri del Bundestag, commenta: "il nostro obiettivo ora dovrà essere quello di  mantenere quanto piu' possibile vicine le relazioni con la Gran Bretagna" [9]. Recentemente il Ministro della difesa Annegret Kramp-Karrenbauer ha chiesto che il  "formato E3 venga stabilizzato". "E3" indica le tre potenze dell'Europa occidentale che cooperano in maniera stretta nei negoziati per l'accordo nucleare con Teheran. Tale formato dovrebbe collegare Londra all'UE. Kramp-Karrenbauer ha recentemente annunciato che dovrà essere "saldamente istituito a livello dei ministri della difesa", con una riunione da tenersi entro la fine dell'anno. [10] I principali media, inoltre, suggeriscono la volontà di mantenere "stretti legami con Londra attraverso il formato dei summit EU plus 1" [11]

Cambiare le priorità

In questo contesto non è chiaro se Berlino nei prossimi mesi manterrà il suo aperto sostegno nei confronti dei nazionalisti scozzesi. Alle elezioni della scorsa settimana gli indipendentisti scozzesi sono stati in grado di aumentare la loro percentuale in Scozia portandola al 45 % dei voti; ora chiedono un nuovo referendum sulla secessione, che il Primo Ministro Boris Johnson ha già dichiarato di non volere. Dopo il referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016, alcuni politici tedeschi avevano offerto un convinto sostegno alla causa dello Scottish National Party (SNP) e al suo presidente Nicola Sturgeon. A tal proposito in piu' occasioni si era apertamente sostenuto che la Scozia avrebbe "certamente" aderito all'UE se si fosse separata dalla Gran Bretagna. [12] A settembre, alla presenza di importanti politici tedeschi, tra cui il presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble, Sturgeon era stata onorata con il conferimento di un importante premio mediatico tedesco - le era anche stata data l'opportunità di utilizzare il suo discorso di accettazione del premio per promuovere mediaticamente la causa dell'indipendenza della Scozia. E' altamente improbabile, tuttavia, che tali provocazioni oggi potrebbero essere ancora tollerate senza che il governo britannico vi opponga resistenza, proprio nel momento in cui Londra dispone di diverse opzioni in termini di politica estera e non dipende necessariamente dalla cooperazione con l'UE. Nel fine settimana il Ministro degli Esteri Maas, infatti, quando gli è stato chiesto se "una Scozia indipendente sarebbe benvenuta nell'UE" ha risposto: "La Scozia è parte del Regno Unito e pertanto la questione non si pone." [13] "La questione principale al momento" spiega Maas, "è quella di creare per il futuro un rapporto equilibrato, stretto ed equo con la Gran Bretagna". Maas tuttavia non ha detto nulla su quali sarebbero i rapporti fra Scozia e Germania se la relazione con la Gran Bretagna non dovesse svilupparsi secondo i desideri di Berlino.



[1] S. dazu Aufrüstung trotz Streit.
[2] Carsten Volkery: Ivan Rogers: "Johnson wird die EU gegen die USA ausspielen". handelsblatt.com 15.12.2019.
[3] S. dazu EU-Mächte planen Marineeinsatz im Persischen Golf.
[4] S. dazu Deutschlands Gestaltungsanspruch.
[5] S. dazu Führungskampf in der EU-Rüstungsindustrie.
[6] Demetri Sevastopulo, Robin Harding: Trump puts Tokyo under pressure to choose US fighter jet over rival BAE. ft.com 10.12.2019.
[7] Frust und Hoffnung nah beieinander. tagesschau.de 13.12.2019.
[8] "Wir wollen, dass Großbritannien auch nach dem Brexit ein enger Partner bleibt". auswaertiges-amt.de 14.12.2019.
[9] Frust und Hoffnung nah beieinander. tagesschau.de 13.12.2019
[10] S. dazu The Germans to the Front.
[11] Jochen Buchsteiner: Johnsons Mehrheit. Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.12.2019.
[12] S. dazu Britannien spalten.
[13] "Wir wollen, dass Großbritannien auch nach dem Brexit ein enger Partner bleibt". auswaertiges-amt.de 14.12.2019.


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