mercoledì 6 gennaio 2021

Jörg Meuthen: "L'Italia sta regalando i soldi dei contribuenti tedeschi ai suoi cittadini"

Jörg Meuthen, leader di AfD al Parlamento Europeo, questa volta se la prende con il governo tedesco, e indirettamente anche con quello italiano, per la generosa politica dei bonus e degli incentivi, a suo dire finanziata con il denaro dei laboriosi contribuenti tedeschi. Ne scrive Jörg Meuthen su FB


Cari lettori, dovremmo essere tutti italiani in queste settimane e in questi mesi:

invece di essere costantemente vessati da nuove, stupide e costosissime normative da parte di Merkel & Co., ad esempio quella sull'obbligo di installare un nuovo impianto di riscaldamento, in Italia è possibile ottenere un nuovo impianto di riscaldamento in maniera gratuita - e affinché davvero TUTTI possano averlo, anche se il loro impianto di riscaldamento è ancora funzionante, c'è anche un bonus del 10%.

Non può essere? False notizie della malvagia AfD?

Non ci credo. Meglio se lo leggete con i vostri occhi in questo articolo (purtroppo dietro paywall) del giornalista di "Welt" Dirk Schümer dal titolo chiarificatore:



La Germania si trova nella nebbia delle tasse da pagare, l'Italia invece nella frenesia da spesa - e questa ormai è la realtà causata da un'orgia di spreco di denaro dei contribuenti tedeschi, denaro duramente guadagnato, che invece andrà a beneficio degli abitanti dell'Europa del sud, spreco di cui Merkel e Scholz sono i soli responsabili.

Questo è stato possibile solo perché chi ci governa ormai da troppo tempo, la CDU, la CSU e la SPD, con il pretesto del "pacchetto di aiuti post-Corona", la scorsa estate ha deciso di tirare fuori dalla Germania oltre 150 miliardi di euro netti di ricchezza donandola in particolar modo all'Italia; di questo ho riferito in dettaglio.



Evidentemente in Italia non sanno cosa fare con tutti questi bei soldi provenienti dalle tasse degli stati donatori. Per questo hanno deciso di offrire un bonus agli acquirenti di nuove auto, indipendentemente dal fatto che siano elettriche o diesel (tecnologia che il nostro governo sta attualmente rovinando e distruggendo) - per questo ora ci saranno tra i 2.000 e i 6.000 euro di incentivi pagati con il denaro dei contribuenti, e una parte considerevole di essi arriva dalla Germania.

C'è anche un bonus per i nuovi occhiali.

E per le nuove biciclette.

E come già scritto, anche per i nuovi sistemi di riscaldamento. Questo bonus si chiama "Superbonus" ed è davvero super - meno per noi tedeschi, che dobbiamo finanziarlo con il sudore della fronte, ma naturalmente lo è ancora di più per i beneficiari in Italia: oltre ai costi totali di acquisto di un nuovo sistema di riscaldamento, c'è un ulteriore 10% dell'importo della fattura in regalo, se ne parla ad esempio anche su questa pagina.

E' un'opportunità che capita "una volta sola nella vita", suggerisce l'ultimo articolo - se ci credi, sarai beato. Fintanto che il Merkelismo (indipendentemente dalla persona che gli dà il nome) governerà in Germania, continueranno ad esserci queste irresponsabili orge di spreco di denaro pubblico da parte del governo, che vanno contro gli interessi dei suoi stessi cittadini, indipendentemente da come si chiamerà la persona alla Cancelleria.

Poiché non ci si può aspettare che i media pubblici, fedeli al governo, rivelino improvvisamente ai loro telespettatori tutta la follia dell'Unione Europea, come sarebbe in realtà loro dovere, sta a voi, cari lettori, portare all'attenzione della cerchia dei vostri conoscenti questo scandaloso disprezzo per gli interessi del nostro Paese da parte del governo Merkel (perché è stato questo governo in primo luogo ad aver reso possibile questa spesa frenetica in Italia!)

In questa occasione non possiamo tacere anche il fatto che in altri Paesi ci si permette, ovviamente sovvenzionati in maniera generosa dai contribuenti tedeschi, un'offerta pensionistica decisamente lussuosa rispetto a quella del nostro Paese: in Italia, ad esempio, i pensionati ricevono quasi l'80% del loro ultimo reddito netto, mentre in Germania la cifra pagata è di appena il 50%.

Considerando il dato statistico recentemente reso noto da Eurostat, secondo il quale in Germania si deve lavorare sette anni di più che in Italia, ci dovrà essere consentita allora una domanda: come è possibile che delle pensioni decisamente più alte, dei periodi di percepimento delle stesse molto più lunghi e ora anche delle caldaie gratuite siano sostenibili in uno stato che si muove sull'orlo del fallimento e chiede ai tedeschi miliardi di euro per il proprio salvataggio?

La risposta è nota a chiunque abbia mai avuto a che fare con l'innominabile diplomazia tedesca del libretto degli assegni - la signora Merkel la chiama "solidarietà europea": vale a dire che può essere fatta solo con un grande trasferimento di ricchezza fuori dalla Germania.

Tutto questo però deve finire. In Germania c'è solo UN partito disposto a porre fine a questa situazione che grava sui propri cittadini, e questo è il nostro Partito dei cittadini.

È ora di fermare immediatamente i soldi tedeschi spesi per finanziare la frenesia di spesa degli altri paesi. E' tempo di rappresentare gli interessi dei propri cittadini, non quelli degli altri paesi. E' il momento di #AfD.

martedì 5 gennaio 2021

Andreas Nölke - Vi spiego perché gli attacchi a Ungheria e Polonia sono pretestuosi

"Se i tedeschi si mettono anche a dare giudizi sulla politica e la giustizia nell'Europa orientale, allora l'accusa di imperialismo risulta alquanto ovvia" scrive il grande intellettuale tedesco Andreas Nölke in merito al duro scontro sul rispetto dello Stato di diritto in Ungheria e Polonia. Nelle settimane che hanno preceduto il fragile compromesso di dicembre, dalla politica e dai media tedeschi sono arrivati degli attacchi molto duri nei confronti dei due paesi dell'Europa orientale, attacchi per lo piu' pretestuosi, secondo l'autore, che servirebbero piu' che altro a coprire le ambizioni egemoniche e geopolitiche nell'Europa dell'est. Per Andreas Nölke a Bruxelles le leggi si interpretano per i governi amici, mentre si applicano per quelli ostili e sovranisti, come nel caso di Orban e Morawiecki. Un commento molto interessante del grande Andreas Nölke da Makroskop.de



Chi nei media e nella politica accusa la condotta di Polonia e Ungheria sullo stato di diritto ritiene di avere dalla sua la legittimazione democratica. Un errore.

Polonia e Ungheria per settimane sono state costantemente sotto il fuoco dei media e della politica a causa del blocco al bilancio UE e del relativo fondo post-corona. Quasi tutti i principali mezzi stampa o televisivi hanno condannato la posizione dei due governi dell'Europa dell'est, come del resto hanno fatto il governo tedesco e l'opposizione.

Alcuni rappresentanti dei socialdemocratici si sono addirittura esposti in maniera particolarmente pronunciata. Katarina Barley, vicepresidente del Parlamento europeo, ad esempio, in relazione al primo ministro ungherese ha dichiarato a Deutschlandfunk: "dobbiamo affamarlo (Orbán) dal punto di vista finanziario" arrivando a sostenere che "regimi come quello di Orbán e quello di Kaczynski, [...] prima di tutto pensano a mettere soldi nelle loro tasche".

Heiko Maas, che in qualità di Ministro degli Esteri dell'attuale presidenza del Consiglio europeo dovrebbe, dopo tutto, agire come farebbe un "onesto mediatore", ha affermato, secondo quanto riferito dal Tagesschau, in merito al meccanismo proposto in materia di stato di diritto:

"Avremo quindi uno strumento aggiuntivo che sarà molto doloroso per paesi come Polonia e Ungheria".

Andreas Noelke

Protagonisti sgradevoli, ma comunque

Una certa mancanza di simpatia per i governi di Polonia e Ungheria è più che legittima. Le politiche sociali del governo ultra-conservatore polacco sono ripugnanti, dalla posizione sull'aborto fino alla discriminazione contro la comunità LGBT. E il governo ungherese non è certo da meno, anzi è famoso per i suoi favoritismi nei confronti di amici e parenti e per i generosi sussidi alle imprese nazionali e transnazionali a scapito delle fasce più povere della popolazione.


Ora, naturalmente, si potrebbero indicare anche alcuni aspetti progressisti di questi governi, come la "definanziarizzazione" in Ungheria o le politiche ridistributive sotto l'egida del PiS (Polonia), dagli assegni familiari al salario minimo, soprattutto in considerazione del forte aumento delle disuguaglianze causato dalle politiche dei precedenti governi liberali.

Ma in questa discussione né la simpatia politica, né il disgusto politico dovrebbero essere il fattore decisivo; si tratta piuttosto di questioni fondamentali per la democrazia, della capacità dell'UE di funzionare e della gestione della democrazia negli Stati membri - e del posizionamento dei nostri media e della politica su questi temi.

Chi sta bloccando chi?

Un argomento comune nei nostri media - e fra i nostri rappresentanti politici - è l'affermazione secondo la quale Polonia e Ungheria starebbero bloccando il bilancio dell'UE e (peggio ancora) il fondo per il post-Corona. E questa condotta li renderebbe colpevoli delle sofferenze nei paesi dell'Europa del sud, particolarmente colpiti dalla pandemia.

Ma questa ovviamente è una sciocchezza. Fin dall'inizio, i governi di Polonia e Ungheria non hanno fatto segreto della loro determinazione nell'impedire qualsiasi accordo che li mettesse sotto pressione su posizioni controverse in materia di Stato di diritto. Il compromesso sul bilancio al vertice dei capi di governo dell'estate scorsa è stato possibile solo dopo che la Cancelliera Merkel (presumibilmente) ha dato garanzie in tal senso.

Il recente confronto è nato chiaramente all'interno del Parlamento europeo, dove nei negoziati sul bilancio UE la maggioranza ha insistito per un significativo inasprimento delle regole in materia di possibili violazioni dello Stato di diritto. A tale proposito è assurdo, pertanto, scaricare la responsabilità unilateralmente sui governi di Polonia e Ungheria. Entrambe le parti ne sono responsabili.


Ancora più pericolose sono le attuali proposte (per esempio quelle dell'unionista Jaques Delors Institute) finalizzate a superare la situazione di stallo lasciando la gestione del Fondo Corona a livello intergovernativo, superando quindi le istituzioni dell'UE e aggirando in questo modo il veto di Polonia e Ungheria. Anche se ciò in linea di principio fosse giuridicamente concepibile, non farebbe altro che aggravare ulteriormente il conflitto.

Dopotutto il Corona-Fund non è una di quelle aree del diritto europeo in cui un "gruppo di volenterosi" può unire le proprie forze secondo le regole dell'UE per approfondire l'integrazione, mentre altri Stati membri non sono (ancora) disposti a farlo.

Polonia e Ungheria giustamente considererebbero una tale mossa sul Recovery Fund come una sorta di dichiarazione di guerra. In tal caso, farebbero certamente dei passi ulteriori per bloccare l'UE - uno Stato membro determinato, del resto, ha molte opzioni, soprattutto in quegli ambiti in cui viene ancora richiesta l'unanimità intergovernativa - e la spirale diell'escalation continuerebbe, con danni incalcolabili per l'UE, già indebolita da molte crisi.

Chi ha la legittimità democratica?

Chi, nei media tedeschi e nella politica tedesca, condanna la posizione di Polonia e Ungheria, naturalmente presuppone di avere dalla sua parte la legittimazione democratica. Ma le cose non stanno cosi'.

Nello scontro in atto la legittimazione democratica del Parlamento europeo si contrappone a quella dei governi di Polonia e Ungheria, che a loro volta possono contare su ampie maggioranze nei rispettivi parlamenti nazionali. Il Consiglio dei ministri dell'UE è diviso - e in ogni caso ha una legittimazione molto più indiretta rispetto a queste due parti, per non parlare della Commissione UE.

In questo confronto, i governi di Polonia e Ungheria (per tutti i limiti della democrazia ungherese, vedi sotto) possono chiaramente rivendicare un grado di legittimità democratica superiore rispetto a quello del Parlamento europeo. Il Parlamento europeo in un simile confronto manca semplicemente di una legittimazione democratica di base rispetto ai parlamenti nazionali.

Il deficit di legittimità del PE dipende da moltissimi fattori, ad esempio lo squilibrio fra il peso del voto degli elettori (un confronto Germania-Lussemburgo è di ca. 1:10, vale a dire che un voto del Lussemburgo conta fino a 10 volte un voto tedesco), l'assenza di campagne elettorali paneuropee (gli scienziati politici considerano le elezioni europee come "elezioni nazionali di secondo ordine", che non riguardano tanto un voto sulle politiche europee, quanto un voto sui partiti nazionali), la bassa affluenza alle urne a livello europeo (in Polonia/Ungheria alle ultime europee è stata di ca. il 45%, contro piu' del 60% delle elezioni parlamentari nazionali), oppure la mancanza di partecipazione pubblica ai dibattiti del Parlamento europeo (rispetto a quelli dei parlamenti nazionali).


Non c'è quindi ancora - almeno dal punto di vista di una prospettiva repubblicana di legittimità democratica - nessuna alternativa ai parlamenti nazionali, almeno quando si tratta di questioni veramente importanti. E la questione del rispetto dello Stato di diritto negli Stati membri dell'UE è senza dubbio una di queste. Dobbiamo riconoscere ai governi di Polonia e Ungheria che nei confronti del Parlamento europeo hanno ancora dalla loro parte la piena legittimazione democratica, anche se siamo molto insoddisfatti in merito allo sviluppo della democrazia e dello Stato di diritto in questi paesi.

Tutti coloro che hanno un rapporto molto rilassato con tali questioni fondamentali in materia di sovranità democratica, dovrebbero anche considerare cosa accadrebbe al nostro paese se il Parlamento europeo mettesse in discussione la legittimità del nostro sistema giudiziario e chiedesse il blocco degli stanziamenti finanziati dall'UE. Le obiezioni (molto caute) della Corte costituzionale federale ai programmi di acquisto della BCE della scorsa estate e i conseguenti intralci sarebbero solo un mite assaggio di una rivolta contro l'UE e il suo governo, che poi scoppierebbero nel nostro Paese.

Polonia = Ungheria?

Un altro aspetto molto problematico nella discussione mediatica e nella politica tedesca è l'equazione fra Polonia e Ungheria, come nel caso delle affermazioni di Barley e Maas. Questa equazione all'inizio potrebbe anche essere comprensibile, dato che entrambi i paesi sono governati da partiti comunemente definiti come "populisti di destra". Tuttavia è fatale quando si parla di democrazia e di Stato di diritto - in questo caso però aspetti fondamentali. Polonia e Ungheria, tuttavia, sotto questo aspetto si differenziano notevolmente.


Il lungo governo di Fidesz in Ungheria, in effetti, ha portato ad una serie di limitazioni per la democrazia - anche se dovremmo essere cauti sui criteri di giudizio, dato il dominio incontrastato della CSU in Baviera, che ormai dura da diversi decenni.

Per conoscere i misfatti del governo ungherese è molto istruttiva una visita al "Verfassungsblog", misfatti che vanno dalle pressioni sulle università, sulle ONG e sulla stampa, fino alla limitazione dei diritti parlamentari, all'indipendenza dei tribunali amministrativi e all'assegnazione dei casi alla Corte costituzionale.

La democrazia ungherese, tuttavia, sembra ancora funzionare, come abbiamo visto nelle elezioni locali del 2019, quando l'opposizione a Budapest e in altre grandi città si è ripresa il potere strappandolo a Fidesz. In un paese governato in modo autocratico, questo non sarebbe successo.

In Polonia, invece, parlare di una forma di governo anche lontanamente autocratica è del tutto pretestuoso. Il paese gode di una pronunciata libertà di stampa, il PiS al potere deve fare i conti in maniera permanente con le sconfitte elettorali, e anche il funzionamento della Corte costituzionale polacca non viene fondamentalmente messo in discussione dal PiS - almeno quando vengono applicati standard equi (vedi sotto).

E una corte costituzionale forte resta in ogni caso una pietra angolare della democrazia, ma solo in un'ottica liberale. In una concezione repubblicana della democrazia - come rappresentata in Germania da Dirk Jörke o Ingeborg Maus, per esempio - la sovranità democratica del popolo (incarnata in particolare dai parlamenti nazionali) assume un ruolo molto più importante.

Ancora più astrusa, però, è l'equazione fra Polonia e Ungheria in termini di cleptocrazia, fatta in particolare da Katarina Barley. Ci sono dati credibili che mettono a confronto i paesi, compilate dall'agenzia anticorruzione dell'UE, l'OLAF. L'Ungheria nel 2018 assume infatti in questa lista un inglorioso ruolo guida, con la percentuale di gran lunga più alta di fondi il cui utilizzo viene messo in discussione dall'OLAF. La Polonia, invece, in questa statistica è tra i Paesi che fanno un uso più corretto dei fondi, con un risultato tra l'altro migliore rispetto a quello della Germania.

È perfettamente legittimo che l'Unione europea verifichi la correttezza in merito all'assegnazione dei fondi e faccia ricorso contro i destinatari che si sono comportati in modo scorretto (come l'Ungheria). Ma ciò è già previsto e non è affatto l'oggetto della attuale controversia. Quest'ultima, infatti, riguarda l'assegnazione dei fondi sulla base di una vaga clausola in merito allo Stato di diritto, la cui interpretazione sarà poi decisa dalle autorità di Bruxelles. Dovrebbe essere ormai chiaro che Polonia e Ungheria siano comprensibilmente preoccupate per questa interpretazione.

Stiamo misurando con lo stesso metro?

Le preoccupazioni da parte di Ungheria e soprattutto Polonia di non essere trattate equamente dall'UE non sono infondate. Sono ovviamente legate al fatto che questi due governi sono retti da partiti populisti di destra. Altri paesi vengono trattati con molta più clemenza. Che dire di Malta e della Slovacchia, ad esempio, dove i governi sono stati coinvolti in omicidi politici? E la Bulgaria e la Romania, con la loro corruzione endemica? Chi difende lo Stato di diritto quando si parla di questi paesi?

L'applicazione disomogena disomogenea degli standard diventa particolarmente evidente quando ci si concentra sulla nomina dei giudici costituzionali nel caso polacco, vale a dire il nucleo della controversia tra il PiS e i suoi critici.

Prima di tutto dobbiamo notare che nell'UE non esiste uno standard comune per la nomina dei giudici costituzionali. Al contrario, la pratica è molto eterogenea, per non parlare del fatto che in alcuni paesi UE non esistono nemmeno la corte costituzionale.

Nel caso polacco, invece, si critica in particolar modo l'influenza della politica (più precisamente: la maggioranza parlamentare guidata dal PiS) in merito alla nomina dei giudici costituzionali. Ora bisogna ammettere che anche noi in Germania dovremmo essere un po' cauti quando si parla di criticare l'influenza della politica nella selezione dei giudici costituzionali, perché tutti i nostri giudici costituzionali sono nominati dalla politica (Bundesrat e Bundestag) - i quali vengono selezionati secondo una procedura molto poco trasparente. Molti giudici costituzionali in passato erano stati anche dei politici di professione legati al governo, ad esempio l'attuale presidente Stephan Harbarth, un ex-parlamentare della CDU di lunga data - ecco perché molti polacchi non capiscono le critiche tedesche.

Dopo tutto, per l'elezione dei giudici costituzionali in Germania viene richiesta dalla legge una maggioranza schiacciante dei 2/3 (anche se non con rango costituzionale), in modo che anche l'opposizione possa avere una voce in capitolo, una chiara differenza rispetto alla Polonia - ma anche in molti altri paesi dell'UE spesso è sufficiente una maggioranza semplice, i giudici costituzionali vengono così de facto nominati dal governo (maggioranza) come in Polonia.


Ancora più irritante per i polacchi, ad esempio, sarebbe dare uno sguardo alla Francia: lì il parlamento non ha nessuna voce in capitolo nella nomina dei giudici costituzionali, tre di loro sono nominati dal presidente della Repubblica, tre dal presidente dell'Assemblea nazionale e tre dal presidente del Senato - e se tutti e tre appartengono al partito di governo, l'opposizione ha avuto sfortuna.

L'irritazione di molti polacchi - e soprattutto del loro governo - nei confronti dei "due pesi e delle due misure" europee, tuttavia, non deriva essenzialmente dall'assenza di un "gold standard europeo" nella nomina dei giudici costituzionali, ma dai doppi standard applicati dall'Unione europea e dall'opinione pubblica europea, in rapporto ai diversi governi polacchi.

A tal proposito bisognerebbe notare che il dramma attuale è stato causato dal precedente governo liberale. Nel 2015, infatti, quando il governo già poteva prevedere di perdere le elezioni, ha comunque eletto un terzo dei giudici costituzionali nell'ultima sessione del vecchio parlamento (contrariamente alle norme precedentemente in vigore) - anche se i vecchi giudici in realtà avrebbero dovuto terminare il loro mandato solo dopo l'elezione del nuovo parlamento. Questo tentativo di usurpazione della Corte costituzionale da parte del governo uscente, tuttavia, non ha interessato nessuno dei nostri media e neanche la politica - probabilmente perché è stato fatto da un governo liberale. L'irritazione del governo del PiS per questa disparità di trattamento è facile da capire.

La pressione esterna è controproducente

La ricostruzione delle irritazioni polacche non deve distogliere l'attenzione dal fatto che la sottomissione forzata della Corte costituzionale - e di alcune parti del più ampio apparato giudiziario - alla maggioranza parlamentare guidata dal PiS a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, può essere vista come problematica (anche se meno per gli standard repubblicani che per quelli liberali). E non c'è dubbio che anche in Ungheria ci siano state massicce violazioni delle norme democratiche.

Ma anche l'operato dell'Unione Europea contro questi governi è alquanto problematico. E questo vale non solo per i doppi standard alquanto discutibili, le generalizzazioni polacco-ungheresi, la scarsa legittimità democratica da parte dell'Unione europea e la disputa puerile su chi abbia iniziato per primo a bloccare il fondo post-Corona.

In generale ci si dovrebbe chiedere se il tentativo di imporre la propria idea di democrazia e di stato di diritto dall'esterno attraverso la coercizione in ultima analisi non sia controproducente. Se si guarda agli sviluppi politici interni di entrambi gli Stati negli ultimi anni, si ha l'impressione che questo colpo sia stato decisamente controproducente.

In entrambi i paesi, la pressione esterna dell'UE (e della politica tedesca) tende ad aiutare i governi in carica e a stabilizzare la loro posizione interna grazie alla retorica nazionalista. Nei Paesi appena usciti da decenni di dominazione straniera da parte dell'Unione Sovietica (e nel caso della Polonia anche da secoli di occupazione da parte dei vicini imperialisti), i tentativi di coercizione esterna in materia di politica nazionale vengono visti con particolare scetticismo. Chi dall'estero viene attaccato in maniera generalizzata è quindi più propenso a mostrare solidarietà con il governo in carica, nonostante vi possano essere delle eventuali riserve in merito alle sue politiche.

Meglio lasciar stare la postura imperiale tedesca

Non sono quindi di aiuto: la democrazia e lo stato di diritto - nella misura in cui sono già compromessi - devono essere raggiunti dai polacchi e dagli ungheresi stessi attraverso la lotta (i bavaresi ci sono riusciti a metà con la CSU). Il resto dell'UE farebbe meglio a tacere, anche se è difficile.

Questo vale soprattutto per i media e i politici tedeschi. L'egemonia economica e politica della Germania all'interno dell'UE viene già vista con grande scetticismo non solo nell'Europa meridionale (dopo la crisi dell'Euro). C'è molta preoccupazione anche per il predominio economico tedesco nell'Europa dell'Est, soprattutto a causa della sua dipendenza dalle multinazionali tedesche e dai loro investimenti diretti. Se i tedeschi si mettono a dare giudizi anche sulla politica e la giustizia dell'Europa orientale, l'accusa di imperialismo risulta alquanto ovvia.

E ancora una volta torniamo ai nostri socialdemocratici tedeschi: anche se si rifiutano tutti gli argomenti in favore di un approccio più moderato nei confronti di Polonia e Ungheria, ci si chiede ancora se, dopo quanto è accaduto nella seconda guerra mondiale, sia davvero opportuno che i principali rappresentanti della politica tedesca possano parlare di "doloroso" oppure "affamarli" quando si rivolgono a questi Paesi.

mercoledì 30 dicembre 2020

Jens Südekum - Vi spiego perchè il debito pubblico non graverà sulle nuove generazioni

Fortunatamente in Germania non ci sono solo i fanatici alla Hans Werner Sinn, ma anche economisti ragionevoli come Jens Südekum, consigliere del Ministro socialdemocratico Scholz e molto ascoltato negli ambienti del potere berlinese. In un'intervista a Der Freitag ci spiega perché tornare a rincorrere il pareggio di bilancio nel post-Covid sarebbe un'assurdita e perché il debito pubblico creato per fronteggiare l'emergenza causata dal coronavirus non graverà sulle nuove generazioni. Un'intervista molto interessante di Der Freitag a Jens Südekum


A marzo Norbert Walter-Borjans e il comitato esecutivo della SPD hanno istituito una commissione scientifica in materia di politica economica, all'interno della quale non poteva mancare Jens Südekum. Südekum, anch'egli membro della SPD, fornisce consulenza non solo alla SPD e al suo candidato alla Cancelleria nonché Ministro delle finanze Olaf Scholz, ma anche, tra gli altri, al Ministero federale dell'economia a guida CDU.

È uno dei critici più accaniti dello Schuldenbremse (pareggio di bilancio) e il suo principale interesse scientifico sono le regioni lasciate indietro dalla globalizzazione. L'ascesa di Südekum a "economista dei potenti" (FAS) dimostra che anche in Germania, dove il debito pubblico e il salario minimo sono stati a lungo oggetto di disapprovazione, recentemente in termini di politica finanziaria ed economica sono cambiate molte cose - almeno con l'inizio della crisi causata dal Covid 19 anche nei fatti.

Der Freitag: Herr Südekum, non si sente un po' la coscienza sporca nei confronti delle future generazioni?

Jens Südekum: Dipende dall'argomento. Quando penso alle emissioni di CO2 o alle opportunità educative perdute a causa delle scuole chiuse, allora sì. Se si tratta di debito pubblico, allora certamente no.

Ma i miliardi che lo Stato sta prendendo in prestito nella crisi post-corona in futuro dovranno essere ripagati fino all'ultimo centesimo...

Questa è una delle più grandi favole che girano su questo argomento, soprattutto in Germania. Per ogni titolo di stato emesso, c'è sempre qualcuno che lo ha comprato. Ad ogni debito corrisponde un patrimonio. È vero che i debiti vengono ereditati, ma anche i beni! Il debito pubblico quindi è sempre un problema di distribuzione all'interno di una generazione - tra coloro che devono pagare gli interessi, i contribuenti, e coloro che possiedono il debito pubblico e riscuotono gli interessi. Nella maggior parte dei casi, il dieci per cento più ricco possiede una quota mastodontica della ricchezza, e quindi probabilmente anche del debito pubblico. Esistono strumenti per contrastare questa disuguaglianza. Ma sostenere che non dobbiamo fare debito pubblico perché in questo modo finiremmo per gravare sulle generazioni future è, a mio avviso, un argomento completamente sbagliato. In particolare quando si tratta di obiettivi che andranno a beneficio delle generazioni future, come nel caso della riduzione delle emissioni.

Ma le indennità di cassa integrazione per i prossimi 24 mesi, i pacchetti di stimolo economico, i bonus per i bambini - devono e possono continuare ad essere pagati per sempre?

Questa è una politica di salvataggio tipica della fase acuta. E siamo ben lontani dall'essere fuori pericolo. Anche se la pandemia rimane sotto controllo, resta la minaccia di un'ondata di insolvenze nei prossimi mesi. In alcuni settori - turismo, ristorazione, eventi - le persone che ora sono in cassa integrazione probabilmente presto saranno disoccupate. Le aziende frenano gli investimenti, ci sono pochi nuovi posti di lavoro, la Germania dipende fortemente dai mercati esteri - lo Stato deve contrastare questo stato di cose, anche per un periodo di tempo molto più lungo! Non credo abbia senso annunciare che al piu' tardi entro il 2022 dovremo tornare ad avere un bilancio pubblico in pareggio.

Questo è quello che chiede il capogruppo parlamentare della CDU/CSU Ralph Brinkhaus - il quale sostiene che a un certo punto dovremo tornare alla "modalità normale".

Ma il pareggio di bilancio non è una condizione normale, non è un benchmark ragionevole per qualsiasi politica pubblica di bilancio. Forse nel 2022 non avremo bisogno dello stesso livello di nuovo debito fatto nel 2020, ma annunciare il pareggio di bilancio ora è come premere sull'acceleratore per uscire da una buca e poi tirare i freni quando si è in mezzo all'autostrada. Sarebbe una politica economica disastrosa.

Ci spieghi il suo credo: "Non dobbiamo ripagare il debito causato dal Coronavirus".

Il debito pubblico funziona in maniera diversa rispetto al debito delle famiglie. Se prendo un prestito per comprare una casa è normale che nel corso della mia vita estinguerò completamente quel debito. Ma lo Stato funziona in modo diverso: emette un'obbligazione che dovrà essere rimborsata fra dieci anni, e lo sarà - ma emettendo una nuova obbligazione fra dieci anni. Il vecchio bond viene "sostituito" con il nuovo. Questo gioco in realtà va avanti all'infinito, gli Stati Uniti non hanno mai ripagato alcun debito dalla seconda guerra mondiale, la Germania molto poco, solo dal 2014, ma questa è stata un'eccezione.

E di regola come funziona?

Di norma l'unica cosa che conta è che l'onere del debito resti gestibile in relazione al PIL: quanto si produce in Germania complessivamente, quanto è alto il livello di indebitamento, quanto è elevato l'onere degli interessi rispetto a questo livello di debito? Ci deve essere un rapporto ragionevole tra i due.

Che cosa significa, ragionevole?

L'indicatore migliore è: qual'è la percentuale del bilancio pubblico che il governo federale deve spendere per pagare gli interessi? Negli anni novanta era il 16 %, che è un bel peso, perché in quella situazione non puoi decidere liberamente sul bilancio annuale, perché almeno il 16 % deve essere pagato per coprire gli interessi. Ma nel frattempo questa cifra è scesa al 4-5 %. In altre parole, gli interessi maturati sono ormai quasi trascurabili! In una situazione come questa, dire che non dovremmo in nessun caso perseguire una politica economica espansiva, perché ciò aumenterebbe il debito e in qualche modo graverebbe sulle generazioni future, non è affatto coerente con la situazione macroeconomica in cui l'onere degli interessi è diminuito notevolmente - e rimarrà basso secondo tutte le proiezioni.

Perché i tassi d'interesse sono così bassi e perché dovrebbero rimanere così?

Questa è stata una tendenza persistente in tutte le economie sviluppate dalla fine degli anni '70. Noi economisti a volte la chiamiamo "stagnazione secolare". Ci sono molte ragioni per questo. La chiave di tutto è che le aziende hanno bisogno di molto meno capitale da investire sul mercato dei capitali.

Perché?

È una domanda difficile. Penso che sia dovuto alla crescente concentrazione in termini di potere di mercato e di profitti in poche aziende in molti settori. Questo è evidente soprattutto nel caso dei giganti americani di internet come Google, Facebook e Amazon, che sono praticamente dei monopolisti e non hanno bisogno di raccogliere fondi sul mercato dei capitali. Ma se vuoi spodestarli dal trono, hai bisogno di soldi, devi investire. La concentrazione è così forte che il secondo, il terzo e il quarto del settore spesso dicono: "Non abbiamo comunque nessuna possibilità! Chi è ambizioso poi viene comunque comprato in anticipo dai grandi player di mercato, pensiamo a Instagram e Whatsapp. La crisi causata dal coronavirus rafforza praticamente tutti questi sviluppi, la crisi grava maggiormente sulle piccole e medie imprese. Amazon invece se ne avvantaggia. Una tale costellazione uccide ogni dinamismo economico, e gli investimenti. Nelle economie che invecchiano, inoltre, soprattutto in Europa, la previdenza per la vecchiaia gioca un ruolo importante, le persone risparmiano molto, quindi c'è un'elevata disponibilità di capitale.

Il risultato sono dei bassi tassi di interesse.

Sì, il tasso di interesse è il prezzo del denaro. Se ho una bassa domanda e un'offerta elevata, allora il prezzo del denaro sarà molto basso. Il denaro creato dalle banche centrali difficilmente raggiunge l'economia reale, in quanto dovrebbe essere richiesto dalle imprese per fare degli investimenti, ma in realtà non viene domandato.

Supponiamo che lo Stato riduca questa concentrazione di mercato. Poi sarò lo Stato a dover investire per uscire dall'indebitamento - non sembra proprio una "economia del post-crescita", dunque...

Non posso farci molto, devo ammetterlo. Nella prima settimana di aprile, quando l'economia globale era ad un punto morto come non lo era mai stata prima sin dalla seconda guerra mondiale - con Cina, Europa, Stati Uniti, tutti in isolamento, nessun aereo in volo, molti impianti di produzione inattivi - le emissioni globali di CO₂ sono scese di appena il 17 % rispetto all'anno precedente. Bisogna immaginare cosa si potrebbe fare per ridurre le emissioni in modo sostenibile riducendo la produzione e cosa significherebbe per il tenore di vita di miliardi di persone. Il punto è scollegare la crescita dalle emissioni di CO₂.

Come?

Per mezzo delle nuove tecnologie, ad esempio l'idrogeno per la produzione di acciaio e anche per le auto a impatto climatico zero. Questi sono i settori industriali in cui l'Europa è ancora leader. E questo è quello su cui il governo dovrebbe concentrarsi, in modo che questi business siano poi in grado di essere sostenibili sul mercato. Oggi, una tonnellata di acciaio neutro, dal punto di vista climatico, costa circa il doppio dell'acciaio convenzionale. Se lo Stato in questo caso fornisce un sostegno mirato, gli effetti dell'apprendimento si faranno sentire, i costi diminuiranno e a un certo punto tutti si metteranno a produrre acciaio neutro dal punto di vista climatico.

Il pacchetto di stimoli economici del governo federale è sufficiente?

Almeno si muove nella giusta direzione. 50 dei 130 miliardi sono destinati agli investimenti per il futuro. Ma i compiti da affrontare richiedono uno sforzo da parte dello Stato nei prossimi dieci, 15, o 20 anni che va ben oltre questi 50 miliardi. Ma i debiti contratti per realizzare questo obiettivo non sono un peso, saranno invece un sollievo per le generazioni future!

Che tipo di campagna elettorale avremo nel 2021? I critici del debito pubblico della FDP e della CDU/CSU, contro un candidato SPD che come Ministro delle finanze spende soldi a piene mani?

Personalmente credo che una campagna elettorale che si occupi di questioni fondamentali in materia di politica economica sarebbe molto emozionante. Ma credo che la CDU/CSU farà la solita campagna elettorale piatta contro il nuovo debito. Fra le loro file ci sono alcuni che pensano anche al futuro. E ci sono anche obiezioni giustificate - il timore, ad esempio, che non tutto il denaro venga utilizzato in modo mirato ed efficiente per gli scopi previsti.

domenica 27 dicembre 2020

Wolfgang Streeck - Il vero obiettivo del Recovery Fund

"La prima cosa da sapere è che il Recovery Fund non ha nulla a che vedere con il Coronavirus, e invece ha molto a che fare con il salvataggio del governo italiano dal signor Salvini" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sul Recovery Fund, e prosegue: "gli imperi dipendono dalla buona gestione delle periferie da parte delle élite centrali. Nell'UE ci si aspetta che le élite periferiche siano decisamente "pro-europee". Una riflessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sul recente compromesso europeo in materia di Recovery Fund. Da Makroskop.de


Dopo due giorni e una notte, per non parlare delle diverse settimane di recriminazioni reciproche e di ricatti, ventisette governi nazionali, la Commissione europea e il Parlamento europeo si sono dichiarati tutti vincitori. Un miracolo?

La prima cosa che bisogna sapere su Bruxelles è che nulla è come sembra, e che tutto può essere presentato nei modi più diversi - a ciascuno la sua "narrazione". Il numero di giocatori e di campi da gioco, inoltre, è enorme e confuso, ed è inserito in un quadro istituzionale chiamato "i trattati", così complicato che nessun estraneo può capirlo. Chi li conosce saprà che sono pieni di opportunità di occultamento, di truffe procedurali, di equivoci evasivi, di finzioni e di scuse - le interpretazioni contraddittorie e i fatti alternativi sono sempre benvenuti.

E oltre a ciò, c'è una profonda e tacita intesa tra i membri di quell'organo altamente esclusivo e segreto, vale a dire il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Secondo tale accordo, infatti, è compito di ciascuno di loro fare in modo che nessuno debba tornare a casa da perdente, dando quindi a tutti la possibilità di non perdere la faccia e di continuare a giocare la partita.

Ne è un esempio il Fondo di solidarietà per la ricostruzione post-Corona (Recovery Fund). La prima cosa da sapere è che non ha nulla a che fare con il Coronavirus, e invece molto a che fare con il salvataggio del governo italiano dal signor Salvini. La seconda cosa da sapere è che non c'entra nulla con la solidarietà europea: ogni paese ottiene qualcosa e nessuno paga nulla perché il fondo è finanziato dal debito e solo dal debito - un'estensione sovranazionale dello stato debitore (debito al posto delle tasse). Inoltre, nessuno sa come questo debito potrà essere ripagato, e a nessuno in fondo importa piu' di tanto, perché il rimborso non inizierà prima di sette anni.

Molto probabilmente sarà rimborsato facendo comunque nuovo debito o attraverso qualche canale misterioso, ad esempio tramite la Banca Centrale Europea. E questo ovviamente sarebbe illegale ai sensi dei Trattati, ma lo stesso probabilmente vale anche per il prestito stesso. Presumibilmente anche tutti i 27 parlamenti nazionali dovrebbero approvare il fondo, ma nessuno si preoccupa di farlo, visto che tutti riceveranno una parte del bottino.

Questo non significa però che in Europa ora prevarranno la pace, l'amicizia e i pancake. Gli imperi dipendono dalla buona gestione delle periferie da parte delle élite centrali. Nell'UE ci si aspetta che le élite periferiche siano decisamente "pro-europee". In particolare, ciò significa che dovranno essere a favore di una "sempre più stretta unione dei popoli d'Europa", gestita dalla Germania e, in misura piu' o meno rilevante anche dalla Francia, tramite le burocrazie di Bruxelles.

La Germania e la Commissione Europea hanno a lungo sospettato che gli attuali governi di Ungheria e Polonia non fossero sufficientemente "pro-europei". Simili sospetti vengono espressi anche all'interno del cosiddetto Parlamento europeo, dove non vengono tollerati i membri contrari al "più Europa". ("Più Europa" è la ragion d'essere di questo strano Parlamento, che non ha né opposizione, né diritto di iniziativa legislativa). I parlamentari europei dei partiti liberali di opposizione ungheresi e polacchi ricevono pertanto un ampio sostegno quando chiedono di non elargire i fondi europei ai governi illiberali dei loro paesi d'origine, con l'obiettivo di far credere agli elettori che se dovessero votare per i partiti "pro-europei", otterrebbero più soldi "dall'Europa". Allora perché non subordinare i pagamenti del Recovery Fund all'adesione da parte di un paese ai principi dello "Stato di diritto", dove lo "Stato di diritto" viene definito in modo che le politiche dei governi eletti, non liberali, vengano considerate in difetto di Stato di diritto?

Suona bene? Beh, ci sono i trattati. E secondo i trattati, i paesi membri, compresi i beneficiari di aiuti come l'Ungheria e la Polonia, rimangono sovrani, e le loro istituzioni nazionali e le decisioni in materia di politica della famiglia e di immigrazione vengono decise dai loro elettori, non da Bruxelles o Berlino. Quando si tratta delle istituzioni di un paese, l'unica cosa che legittimamente dovrebbe riguardare l'UE, è se il denaro europeo viene speso e contabilizzato correttamente. Qui, però, la Polonia ha un primato immacolato, e l'Ungheria sembra essere ancora al livello dei paesi "pro-europei" come Bulgaria e Romania, per non parlare di Malta.

Allora, cosa bisogna fare? A Bruxelles si riesce sempre a trovare una soluzione. La Commissione e il Parlamento da molto tempo ormai cercano di punire Polonia e Ungheria con una nuova disposizione all'interno dei trattati che vieti agli Stati membri di limitare l'indipendenza politica ("Stato di diritto") del loro potere giudizario. Ma questo sarebbe un randello così potente che la sua applicazione richiederebbe l'unanimità fra i rimanenti Stati membri; qui, Ungheria e Polonia si coprirebbero a vicenda. (Inoltre, una tale procedura potrebbe sollevare questioni imbarazzanti sull'indipendenza politica di altre corti supreme, ad esempio il Conseil d'Etat francese).

Ora però entra in gioco il Recovery Fund, e con esso l'idea di un cosiddetto "meccanismo per lo stato di diritto", con l'aiuto del quale gli aiuti UE potrebbero essere cancellati o essere richiesti indietro senza il requisito dell'unanimità, ma comunque in maniera indipendente dal caso individuale di un uso illegale dei fondi ancora tutto da dimostrare. E proprio nel caso in cui un paese, secondo la valutazione dell'UE, non dovesse piu' rispettare lo stato di diritto, cioè avere una magistratura indipendente, compresa una corte costituzionale liberale, e forse anche la volontà di accogliere i rifugiati secondo le quote di distribuzione UE.

Può funzionare? A Bruxelles, come ho già detto, molte cose sono possibili. L'argomentazione è simile a quella con la quale la Banca Centrale Europea ha prevalso sulla Corte Costituzionale Federale Tedesca davanti alla Corte di Giustizia Europea (nella cosiddetta sentenza PSPP). Le istituzioni dell'UE stanno oltrepassando le loro competenze, se nell'esercitarle le interpretano in modo cosi' ampio, in quanto, a loro avviso, non possono (o non possono più) esercitarle efficacemente in maniera diversa? D'altro canto, la Corte tedesca aveva insistito sul fatto che i poteri europei sono strettamente limitati a quanto i paesi membri hanno espressamente concesso nei trattati, e se fossero necessari maggiori poteri europei, i trattati dovrebbero essere modificati di conseguenza, il che richiederebbe non solo l'unanimità, ma anche diversi referendum. È proprio questo che i governi di Polonia e Ungheria hanno invocato (il ministro degli Esteri polacco in un articolo della FAZ del 26 novembre, dal titolo "I trattati UE sono sacri"), e questo è stato il punto sul quale è iniziata la battaglia.

Parte prima (l'UE): vi invitiamo ad accettare il Recovery Fund, compreso il meccanismo relativo allo stato di diritto, incluso il rischio che non otteniate nulla se non fate un'inversione di marcia e non abbandonate il vostro corso anti-liberale. Quello che dovrete fare per raggiungere l'obiettivo, vi sarà comunicato al momento opportuno. Contromossa (Polonia e Ungheria): non voteremo mai per questo meccanismo, quindi dimenticate il vostro fondo. Parte seconda: se votate contro il meccanismo e quindi contro il fondo, creeremo un fondo per gli altri 25 paesi, e troveremo anche per questo una base nei trattati, i trattati sono abbastanza lunghi e complessi, la carta è paziente, come dicono i tedeschi, e non otterrete un dannato centesimo. Contrordine: ma non sarebbe affatto bello, non sarebbe europeo (beh...), e tra l'altro, sarebbe illegale. Il coro (la stampa tedesca, che canta e balla): guardate qui, il denaro governa il mondo; fanno quello che gli viene detto di fare, perché vogliono solo i nostri soldi. Non è bello essere ricchi?

Entrano i presidenti, guidati da Merkel, dea ex machina, titolare della Sessione chiusa, in rappresentanza del Paese che si trova a presiedere formalmente gli altri Paesi, proprio nella seconda metà del 2020, e comunque in modo informale. La Germania ha bisogno dell'Europa dell'Est per i suoi affari. Ritiene inoltre di non potersi permettere di regalare agli americani il monopolio nella geopolitica anti-russa. Quindi, per "ragioni storiche" sarebbe preferibile non discutere con la Polonia in merito alla sovranità polacca. Dopo molti avanti e indietro, nella camera oscura della diplomazia internazionale con 27 paesi, Polonia e Ungheria accettano il Fondo per la ricostruzione e la solidarietà post-Corona, integrato da un documento sullo stato di diritto. In base a ciò, la Commissione adotterà una "direttiva di salvaguardia del bilancio" che vincola i sussidi post-Corona dell'UE e tutti gli altri aiuti ad un sistema giudiziario nazionale che dovrebbe essere politicamente abbastanza indipendente da garantire un uso corretto dei fondi UE incassati, nell'ambito di un quadro normativo che va oltre l'attuale situazione giuridica. (Come, vedremo).

La direttiva europea probabilmente non entrerà in vigore fino a quando non sarà esaminata dalla Corte Europea. Nel frattempo - probabilmente fino all'inizio del 2023 - la Commissione non intraprenderà nessuna azione mentre i fondi post-Corona e gli altri aiuti inizieranno a fluire verso tutti i 27 paesi. Se e quando il "meccanismo" avrà passato l'esame della Corte, la Commissione potrà avviare un procedimento contro la Polonia, l'Ungheria o entrambi i paesi per recuperare il denaro già versato, e potrà sostenere, a titolo di giustificazione, che i sistemi giudiziari di Polonia e Ungheria sono talmente marci, cioè politicizzati, che in linea di principio non ci si può aspettare che essi si pronuncino secondo le modalità dello Stato di diritto. E' chiaro che ci vorrà ancora del tempo, e nessuno sa come sarà allora il mondo, e quali saranno le preoccupazioni degli Stati membri.

In Europa, le tregue fanno miracoli. Al momento si respira gioia ovunque: tra i vari presidenti, in Parlamento (che crede di poter correggere la mancanza di sentimento "pro-europeo" ritirando i soldi), nella Commissione (che si è procurata un nuovo giocattolo per intimidire gli Stati membri ai margini dell'impero), nella Corte di giustizia (che può gioire per una nuova giurisdizione), e tra i governi nazionali, fra questi anche Ungheria e Polonia (che invece non vogliono parlare delle rassicurazioni informali che credono di aver ricevuto al buio). La politica della procrastinazione però, la disciplina preferita da Merkel, conosce dei vincitori, solo finché dura.

lunedì 30 novembre 2020

La cancellazione del debito pubblico creato a causa del Covid ai commentatori tedeschi non è piaciuta piu' di tanto

La recente proposta di annullare il debito pubblico causato dalla pandemia, lanciata da Sassoli in un'intervista a Repubblica, ai tedeschi apparentemente non è piaciuta poi cosi' tanto e per alcuni importanti commentatori non sarebbe altro che l'ennesimo tentativo da parte dei sud-europei di scaricare il peso del loro enorme debito pubblico sugli operosi tedeschi. Ne scrivono die Welt e il leader di AfD Jörg Meuthen.



(...) Dal Parlamento europeo arrivano delle critiche verso questa idea e nei confronti delle recenti dichiarazioni di Sassoli. "Le esternazioni in merito ad un possibile taglio del debito italiano sono populismo a buon mercato e sono anche estremamente pericolose", avverte l'eurodeputato dei Verdi Sven Giegold. "Tali dichiarazioni dividono l'Europa e Sassoli, in qualità di Presidente del Parlamento europeo, non dovrebbe partecipare a dei dibattiti così distruttivi".

In ogni caso, la discussione non è giustificata dal punto di vista del contenuto, ha detto l'esperto di politica finanzaria dei Verdi. Non vi è alcun segnale in merito al fatto che i tassi di interesse ultra-bassi possano tornare a crescere anche nel prossimo futuro, e il basso livello dei tassi rende il debito pubblico italiano ancora sostenibile.

Avvertimento per una "inflazione elevata" in arrivo

L'eurodeputato della CSU Markus Ferber ha dichirato che un taglio del debito potrebbe anche ritorcersi contro di noi. "Quando Sassoli chiede un taglio del debito, sta parlando per conto del debitore italiano inadempiente", ha detto l'esperto di politica finanziaria.

Se l'Italia dovesse fare sul serio, allora gli auguro buon divertimento nel collocare delle nuove obbligazioni sui mercati finanziari. "Quello a cui assisteremmo, farebbe dimenticare la crisi del debito sovrano greco di qualche anno fa", dice Ferber.

Anche Hans-Werner Sinn, il controverso ex presidente dell'Ifo-Institute di Monaco di Baviera, reagisce con forza alla proposta di Sassoli: "David Sassoli ha fatto una proposta sfacciata, che calpesta il Trattato di Maastricht", dice Sinn.

C'è molto denaro in circolazione, dopo che la banca centrale per anni ha acquistato titoli di Stato italiani. Se questi titoli ora vengono annullati, il denaro immesso con l'acquisto comunque non potrà mai essere cancellato. "Il denaro resterà in circolazione anche quando non sarà più necessario. Il risultato poi ad un certo punto sarà una grande inflazione", dice Sinn.

Secondo Sinn, un taglio del debito significa che i possessori di denaro, praticamente tutti i cittadini europei, sarebbero chiamati a pagare per la cancellazione del debito pubblico italiano.


"Minaccia esistenziale per la sopravvivenza della zona euro"

Anche il Consiglio Economico della CDU è rimasto sorpreso dalle osservazioni di Sassoli. "Contrariamente a quanto suggerito da Sassoli, le soluzioni miracolose non aiutano né l'Europa né l'Italia. Tali richieste piuttosto dovrebbero essere un avvertimento per mettere in discussione dalle basi l'attuale politica di salvataggio", dice Wolfgang Steiger, segretario generale del Consiglio economico.

Da anni del resto era evidente che la catastrofica situazione del bilancio italiano si sarebbe potuta trasformare rapidamente in una minaccia esistenziale per tutta l'eurozona in caso di una nuova crisi. "Chi può contare su di un aiuto nei momenti di bisogno, perde ogni incentivo a scongiurare con i propri sforzi un'imminente emergenza finanziaria", dice Steiger.

Nell'intervista de "La Repubblica" Sassoli rilancia anche il dibattito sull'unione del debito europea. L'occasione è l'accordo dei capi di Stato e di governo dell'UE al vertice di luglio, secondo il quale la Commissione UE dovrà raccogliere 750 miliardi di euro di debiti per gli aiuti UE post-Corona. E' la prima volta che l'Unione europea contrae dei debiti congiunti di tale portata.

(...) Il Presidente del Parlamento Sassoli rilancia l'appello fatto da Lagarde, cioè trasformare il Recovery fund in una istituzione permanente dell'UE. Nell'intervista della scorsa settimana, infatti, il Presidente del Parlamento chiede che il prestito congiunto venga reso permanente. Il suo annuncio non è stato una sorpresa, e le reazioni non si sono fatte attendere.

"Con questa richiesta, Sassoli dimostra apertamente di considerare il Recovery fund come un primo passo verso l'unione di trasferimento", dice Markus Ferber, portavoce del gruppo conservatore del PPE alla Commissione economia e finanza del Parlamento europeo. "Questo del resto è sempre stato un interesse italiano, e ora a Roma qualcuno pensa che la pandemia causata dal Coronavirus abbia aperto tutte le porte".

La disputa sulla messa in comune del debito divide l'Europa. Anche alcuni importanti politici europei nelle ultime settimane hanno respinto categoricamente l'idea, fra questi c'è anche il cancelliere austriaco Sebastian Kurz.

Paschal Donohoe, il presidente dell'Eurogruppo, che deve fare da mediatore tra i ministri delle finanze dell'Eurozona, in una recente conversazione con WELT non ha voluto impegnarsi su di una posizione precisa. "In Europa potremmo anche discutere sul mantenimento di questo strumento", ha detto il politico irlandese a inizio mese. "Ma al momento il Recovery fund è la risposta a una crisi mondiale senza precedenti, il resto ci indicherà su quale strada proseguire in futuro".

Olaf Scholz elogia il Fondo per la ricostruzione post-Corona

Anche all'interno del governo federale ci sono voci che ipotizzano una messa in comune del debito, almeno nel medio termine. Fra questi il rappresentante più importante è il ministro federale delle finanze e vicecancelliere Olaf Scholz (SPD). Negli ultimi mesi, infatti, ha più volte indicato che i prestiti congiunti europei e il Fondo per la ricostruzione non sono una faccenda di breve durata legata alla crisi.

"Il Fondo per la ricostruzione è un vero e proprio passo in avanti per la Germania e per l'Europa che non può essere rinviato", dice l'uomo che l'anno prossimo vorebbe essere eletto Cancelliere. Lo considera un passo importante sulla strada verso gli Stati Uniti d'Europa.

Scholz considera un modello l'ex segretario del Tesoro statunitense Alexander Hamilton, che nel 1790 era riuscito a raggruppare diverse competenze a livello di governo centrale, competenze che comprendevano le entrate congiunte degli Stati americani e una capacità di indebitamento autonoma.

Anche il politico dei Verdi Sven Giegold è fondamentalmente positivo sulla capacità dell'UE di contrarre debiti congiunti. "Riscuotere le tasse a livello europeo, emettere debito comune ed investire insieme; in linea di principio, rafforzerà l'Europa", dice l'esperto di politica finanziaria. Molto dipenderà, tuttavia, se il denaro sarà speso in modo oculato - e il Fondo per la ricostruzione dovrà dimostrarlo, prima che si possa pensare a una politica fiscale europea comune.



Anche il leader di AfD Jörg Meuthen dal suo profilo FB ci spiega perché la proposta sarebbe un pericolo molto serio per il laborioso contribuente tedesco:



Cari lettori, i media del gruppo GEZ al momento non ritengono necessario informare i cittadini tedeschi in merito ad uno sviluppo esplosivo che potrebbe portare anche alla fine dell'euro.

In Italia è in corso un acceso dibattito sulla possibilità di cancellare gran parte del debito pubblico del Paese. Qualche giorno fa il quotidiano italiano "La Repubblica" ha pubblicato un'intervista a David Sassoli (niente di meno che l'influente Presidente del Parlamento europeo) dal titolo molto eloquente:

"L'Europa deve cancellare il debito Covid"


(...) L'Europa è la risposta ai nostri problemi? La valutazione non potrebbe essere più sbagliata: questa UE, che negli ultimi anni è andata alla deriva in una direzione completamente sbagliata - e con essa l'eurozona, contraria ad ogni logica economica - non è la risposta ai nostri problemi, ma in moltissimi casi ne è la vera causa.

Ed è proprio questa Unione Europea sbagliata che secondo il signor Sassoli e i suoi amici dell'Europa meridionale assuefatti al debito e ai trasferimenti, ora si trasformerà in un governo europeo che (senza alcun diritto di veto dei singoli Stati nazionali, che poi di fatto verrebbe abolito) dovrebbe decidere sulla ridistribuzione della ricchezza creata nei singoli paesi.

Si tratta del palese tentativo di spremere ulteriormente i paesi del nord in favore dei già molto ricchi paesi del sud - nel sud del nostro continente, infatti, solo gli stati sono poveri (perché non riscuotono abbastanza tasse dai loro cittadini, dato il livello di prosperità che si possono permettere), mentre i cittadini sono in media molto più ricchi di noi tedeschi, per esempio, e possono andare in pensione prima.

Allo stesso tempo vi è la minaccia di buttare via ciò che era stato stabilito all'epoca nel Trattato di Maastricht, come nel Patto di stabilità (e ciò che i politici tedeschi, specialmente quelli della CDU e della CSU, avevano solennemente promesso ai cittadini di questo paese). Una unione di trasferimento senza diritto di veto, l'emissione di debito da parte dell'UE, la responsabilità congiunta sul debito a carico della Germania, il finanziamento degli stati attraverso la stampa di denaro - e per finire, un taglio del debito per svariati miliardi di euro.

La violazione dell'art. 125 del TFUE, ora richiesta apertamente, non potrebbe essere più grave - si tratta infatti della cosiddetta clausola di no-bailout, cioè il divieto di farsi carico del debito di altri Stati dell'UE, vincolante per tutte le parti coinvolte.

Qualcuno che ha ancora un minimo di comprensione per il funzionamento delle economie nazionali e persino di intere società crede che questa folle costruzione possa ancora funzionare in maniera permanente a spese della Germania?

Sarà il contrario. Così questo euro sotto garanzia esploderà (rischio dal quale il nostro partito borghese ha sempre messo in guardia e a causa di ciò è stato messo nell'angolo assegnato ai presunti "nemici dell'Europa"!), e che senza l'aiuto energico della nostra un tempo solida Bundesbank, questo processo probabilmente sarebbe già iniziato.

Perché è proprio questa Bundesbank che attualmente sta violando sfacciatamente la ben nota sentenza della Corte costituzionale federale del 5 maggio 2020 (anche se molto probabilmente con l'appoggio del governo Merkel).

La corte suprema tedesca, infatti, aveva vietato alla Bundesbank di continuare a partecipare agli acquisti di titoli di Stato a partire dal 6 agosto 2020 "a meno che il Consiglio direttivo della BCE non dimostri chiaramente con una nuova decisione che gli obiettivi di politica monetaria (...) non sono sproporzionati rispetto ai relativi effetti in termini di politica economica e fiscale".

Ravel Meeth, presidente dell'associazione senza scopo di lucro "Bündnis Bürgerwille", ha affrontato questo argomento in un commento molto interessante sulla "Junge Freiheit". Egli sostiene infatti che la "spiegazione comprensibile" richiesta dalla Corte costituzionale federale in realtà non è mai stata fornita, ma che invece in una grande auto-assoluzione si è voluto semplicemente sostenere che i vantaggi della politica della BCE "superano chiaramente" i suoi svantaggi.

Meeth sottolinea inoltre che dopo la già citata sentenza della Corte costituzionale federale, la BCE non avrebbe stretto le redini del suo programma di acquisto di titoli, e che nel nuovo programma di acquisto d'emergenza pandemico "PEPP" (che è stato istituito solo dopo il ricorso alla corte costituzionale) avrebbe addirittura aumentato il volume degli acquisti di titoli di Stato di altri 1,35 trilioni di euro. Cito dal suddetto articolo:

"Questo nuovo programma viola molti dei criteri che la Corte costituzionale federale aveva ritenuto essenziali per la delimitazione del finanziamento pubblico monetario:

Ad esempio, le obbligazioni italiane vengono acquistate in modo piu' che proporzionale (in relazione alla quota di capitale della BCE), non c'è uno scenario di uscita e ancora una volta, non si fa un'analisi sul fatto che i presunti vantaggi del programma superino il suo impatto negativo sul reddito da interessi percepito dai risparmiatori, sulle pensioni, sui prezzi degli immobili e degli affitti, sulla stabilità delle banche e sull'eccesso di debito pubblico.

In questo senso il PEPP costituisce quindi anche una violazione dei trattati europei. Grazie al nuovo programma, infatti, il volume del debito pubblico detenuto dalla BCE presto salirà a 3.550 miliardi di euro. Si tratta di circa dieci volte il totale delle entrate del bilancio federale nel 2020".

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Consideriamo quindi che la Bundesbank, nell'ambito degli obblighi previsti dalla BCE, mese dopo mese acquista un numero sempre maggiore di obbligazioni italiane (in realtà in misura sproporzionata), e che in Italia si sta già chiedendo di poterle cancellare, e la BCE finanzia molto volentieri il debito pubblico europeo a un livello tale da far venire le vertigini a chiunque riesca a capire quello che sta accadendo.

L'uscita della Germania da questa follia è assolutamente inevitabile. L'unica domanda da porsi è quale sarà il dolore che ciò potrebbe causare: attualmente a un livello molto elevato, ma appena sopportabile - oppure in futuro, con la perdita completa di quel che resta della nostra prosperità.

È giunto il momento di proteggere quel che resta della nostra ricchezza dal suo trasferimento verso l'Europa meridionale. Il momento per porre fine a tutta questa follia a spese della Germania e dei suoi cittadini. E' il momento di AfD!