Basteranno i 130 miliardi di euro promessi dal governo di Berlino per tenere in piedi l'economia tedesca? Per il grande economista tedesco Heiner Flassbeck non sono affatto sufficienti, perché la crisi economica in corso, ben visibile nel recente boom del Kurzarbeit, è di dimensioni mai viste prima e ampiamente sottovalutata dal governo di Berlino. I recenti dati sull'export poi mostrano un crollo storico della domanda estera, indispensabile per tenere a galla un sistema produttivo fondato sulla moderazione salariale. Alla fine a pagare il conto di questo modello produttivo orientato all'export come al solito saranno i lavoratori: prima in cassa integrazione, poi in disoccupazione e infine in Hartz IV. Un'analisi molto interessante di Heiner Flassbeck e Friedericke Spiecker da Makroskop.de
Sin dall'inizio della crisi da coronavirus abbiamo sottolineato (vedi l'articolo del 21 marzo) che questo shock causato dai governi non deve essere paragonato a una recessione o a un normale rallentamento economico. Questo shock è molto più grande e complesso rispetto a qualsiasi altra cosa vista finora. Guardando solo all'industria tedesca, si possono fare dei confronti con la grande recessione globale del 2008/2009 (Figura 1). Sebbene la domanda misurata in termini di nuovi ordini sia diminuita ad un ritmo molto più rapido rispetto ad allora, le dimensioni della crisi sono ancora simili. Nel complesso, i nuovi ordini (linea arancione) sono scesi a un livello di poco inferiore rispetto al livello di quel periodo.
Questo tuttavia vale solo per la media dei settori. Per l'industria automobilistica, ad esempio, lo shock attuale è molto peggiore (Figura 2). La produzione in aprile è scesa di oltre il 70% rispetto a marzo di quest'anno, ad un livello ben al di sotto del livello più basso del 2008/2009. L'industria tedesca di punta degli ultimi dieci anni si trova ora in una crisi esistenziale perché né in patria né all'estero, a causa dell'incertezza dei consumatori, l'acquisto di un'auto nuova al momento è all'ordine del giorno.
Il fatto che anche il totale delle esportazioni tedesche in aprile sia calato di quasi il 25% rispetto al primo trimestre è probabilmente dovuto in gran parte alla fondamentale debolezza della domanda di automobili. Ma anche la meccanica sta vivendo un crollo storico; dall'inizio dell'anno la domanda è diminuita di un terzo.
Il mercato del lavoro è il migliore indicatore
Ma questo non è tutto. A differenza della crisi finanziaria 2008/2009, questa volta sono state colpite molte più branche dell'economia nel suo complesso, perché la chiusura ha riguardato in gran parte anche settori che, come gli alberghi e i ristoranti, normalmente non hanno quasi mai percepito le battute d'arresto dell'economia. Anche il settore delle costruzioni, che in Germania non è stato interessato direttamente dalle misure restrittive e che fino a marzo aveva registrato un buon andamento, in aprile ha registrato un significativo calo della domanda, che si rifletterà anche in un sensibile calo delle costruzioni nei prossimi mesi.
La vera dimensione della crisi la si può capire solo guardando al mercato del lavoro. Gli ultimi dati dell'Agenzia Federale per il Lavoro (BA) sulla cassa integrazione (Kurzarbeit) mostrano le reali dimensioni della drammatica crisi economica avviata con l'introduzione delle misure restrittive per combattere la pandemia da coronavirus. A partire da marzo, infatti, il numero di aziende che hanno richiesto la cassa integrazione e le cui domande sono state esaminate dall'Ufficio federale di statistica ha raggiunto un ordine di grandezza che non ha nulla in comune con la crisi finanziaria del 2008/2009 (cfr. la linea blu nella figura 3):
Dopo le drammatiche 625.000 richieste di aprile, anche con le 67.000 di maggio siamo ancora di molto sopra al doppio della cifra massima mai raggiunta nel corso del 2009 (all'epoca poco meno di 25.000 ). L'ultimo dato riportato per il mese di maggio probabilmente sarà corretto nuovamente verso l'alto, così come è accaduto con i dati di marzo e aprile. Il dato attualmente riportato per il mese di aprile, ad esempio, è superiore di 37.462 richieste rispetto al dato preliminare di fine aprile. La BA a questo proposito scrive nella spiegazione delle relative statistiche:
"È possibile che in un periodo di aumento dei volumi, le richieste di cassa integrazione siano già state ricevute in massa dalle competenti Agentur für Arbeit, ma che non siano ancora state registrate elettronicamente nelle procedure specialistiche della BA, e che questa registrazione avvenga solo dopo un certo lasso di tempo. Attualmente, le notifiche relative alle procedure specifiche della BA probabilmente sono sottorappresentate in misura non trascurabile"
La BA ha ripreso la sua estrapolazione dei dati, che nel frattempo era stata interrotta, con una procedura estesa per determinare a partire dal numero di richieste segnalate e controllate, il numero effettivo di imprese in cassa integrazione. Questa estrapolazione serve da guida durante un periodo di cinque mesi nel quale la liquidazione della indennità di cassa integrazione non è stata ancora completata e i dati sul lavoro a tempo parziale (Kurzarbeit) non sono ancora definitivi.
Per il mese di marzo, ultimo mese per il quale al momento è disponibile un'estrapolazione, il dato calcolato (poco meno di 220.000 aziende) differisce di un terzo rispetto al numero di aziende segnalate e controllate ufficialmente (poco meno di 164.000). Questo suggerisce che l'estrapolazione dei dati di aprile relativamente al numero di aziende che dichiarano di lavorare a orario ridotto, rispetto al numero di aziende che effettivamente lavorano a orario ridotto, sarà anche peggiore. Dopotutto, il numero di aziende che dichiarano di lavorare a orario ridotto da marzo ad aprile è quasi quadruplicato. Il netto calo del numero di richieste a maggio, tuttavia, indica che la situazione, almeno per le nuove domande, si sta stabilizzando.
E il numero di persone che lavorano a orario ridotto? L'ingorgo dovuto al numero insolitamente elevato di richieste nei mesi di marzo e aprile aveva indotto la BA a stimare in 10,1 milioni il numero di persone in cassa integrazione a marzo e aprile (cfr. il comunicato stampa della BA del 30 aprile). Nel frattempo l'esame delle domande è progredito e per entrambi i mesi il risultato è stato di crica 10,6 milioni di persone (2,6 milioni a marzo e 8,0 milioni ad aprile). A maggio, il numero dei (nuovi) lavoratori a tempo ridotto viene stimato in via provvisoria in 1,06 milioni di persone (cfr. figura 4).
Dei circa 2,6 milioni di persone indicate come lavoratori a orario ridotto per il mese di marzo, la BA ha calcolato un numero effettivo di lavoratori a orario ridotto di circa 2,0 milioni. E' il 77%. Applicando lo stesso tasso alle persone registrate, nel solo mese di aprile si otterrebbe un numero di lavoratori a tempo parziale (cassintegrati) di oltre 6 milioni. Insieme al numero accumulato a marzo, che probabilmente ad aprile non si è ridotto, si arriva ad una stima del numero totale di lavoratori in cassa integrazione (Kurzarbeit) di circa 8 milioni.
L'Istituto Ifo stima in 7,3 milioni il numero di persone effettivamente in cassa integrazione nel mese di maggio. Se si ipotizza che a giugno grazie all'allentamento delle misure anti-coronavirus la situazione migliorerà, considerando un calcolo a campione ottimistico, si può ipotizzare che il numero di lavoratori ancora a tempo parziale a fine giugno sia la metà di quello di maggio, ovvero 3,65 milioni. Ne risulterebbe una media di circa 6,3 milioni di lavoratori a tempo parziale nel secondo trimestre.
Anche ipotizzando che il numero di nuovi lavoratori a tempo parziale nel mese di giugno sia pari a zero, ciò comporterebbe comunque una media di oltre 5 milioni di lavoratori a tempo parziale nel secondo trimestre. Anche in questa stima estremamente positiva, per non dire irrealistica, siamo ancora molto lontani dai 2,4 milioni ipotizzati nella diagnosi congiunta degli istituti di ricerca economica. Naturalmente, è ancora completamente aperta la questione del numero di ore lavorate in meno che sono o saranno effettivamente svolte.
E' ovvio tuttavia che la dimensione del crollo economico che sta dietro queste cifre supera di gran lunga la crisi finanziaria. La previsione comune stimava un calo di quasi il 10 % rispetto al primo trimestre. Se ciò fosse coerente con il numero di lavoratori a tempo parziale stimato, una visione realistica della cassa integrazione dovrebbe presupporre che il calo è di almeno il doppio.
In questo contesto, nel 2020 il prodotto interno lordo si ridurrà molto più di quanto previsto, numero del resto ancora in fase di discussione. Nel frattempo, il Consiglio dei saggi economici è già passato ad una stima di - 6,5% del PIL, dopo aver indicato un - 2,8% nel suo rapporto speciale di marzo (scenario più probabile), e anche nello scenario più pessimistico era rimasto ben al di sopra della cifra considerata probabile oggi.
È estremamente importante avere un quadro ragionevolmente realistico della situazione attuale e della situazione prevista nell'immediato futuro, per poter consigliare in modo ragionevole i responsabili politici sulla natura e la portata delle misure di sostegno. Finora i pronosticatori di professione non sono ancora riusciti a farlo. E questo è uno dei motivi per cui la politica è sempre rimasta indietro, invece di fare con slancio un passo in avanti.
Le conseguenze politiche della sottovalutazione
Nel frattempo, il governo federale ha presentato un "pacchetto di stimolo per l'economia", la cui entità (130 miliardi di euro) viene generalmente considerata come significativa e sufficiente. C'è il rischio tuttavia che si ripeta il solito modello dei politici costretti a rincorrere gli eventi, dopo aver sottovalutato in una prima fase l'entità del crollo economico. La coalizione di governo ha adottato un gran numero di misure economiche, e non è affatto chiaro come e quando entreranno in vigore. L'unica misura di ampia portata sembra essere la riduzione di tre punti e per sei mesi dell'IVA .
Ma anche questa misura dal punto di vista quantitativo resta poco impressionante, almeno se si considera quanto sia ampia l'entità della riduzione della domanda da parte delle famiglie. Se il tasso medio di risparmio delle famiglie aumenta di un punto percentuale passando dall'11% al 12% (nel 1° trimestre 2020 il tasso è salito al 12,4% rispetto all'11,1% del 4° trimestre 2019), ci saranno circa 10 miliardi di euro in meno per semestre in termini di consumi (il reddito disponibile totale delle famiglie nel 2019 è stato di 2.400 miliardi di euro, vale a dire 1.200 miliardi di euro per semestre, un aumento del risparmio di un punto percentuale equivale a 12 miliardi di euro in più).
La perdita di reddito dovuta alla cassa integrazione e alla disoccupazione ammonterà a circa 5 miliardi di euro nel 2° trimestre 2020 (tenendo conto dell'indennità per la cassa integrazione). La retribuzione netta media per dipendente nel 2019 era pari a 24.951 euro. Supponendo che le persone colpite da misure di lavoro ad orario ridotto e dalla disoccupazione tendano a guadagnare di meno (solo 20.000 euro di salario netto all'anno) e che si lavori solo per il 50% del tempo (perdita di ore lavorative a causa della cassa integrazione), queste famiglie avranno perso circa 2.500 euro netti, senza calcolare l'indennità di cassa integrazione. Se circa il 70% delle perdite è compensato dall'indennità per il Kurzarbeit (60% per i dipendenti senza figli, 67% per i dipendenti con figli; piu' aumenti parziali tramite i contratti collettivi), rimane una perdita di reddito pro-capite di circa 750 euro netti nei tre mesi del 2° trimestre.
Con circa 6,5 milioni di persone colpite (numero di cassintegrati nel 2° trimestre + 0,5 milioni di disoccupati in più), si dovrebbe tradurre in una perdita di reddito nel 2° trimestre di quasi 5 miliardi di euro. Se con un certo ottimismo ipotizzassimo che le perdite di reddito dovute al lavoro a orario ridotto e alla disoccupazione nel terzo e nel quarto trimestre saranno la metà di quelle del secondo trimestre (in parte perché le misure di chiusura sono state revocate, in parte perché l'indennità per il lavoro a orario ridotto è stata aumentata all'80-87%), ci saranno in totale altri 5 miliardi di euro di perdite reddituali. Ciò si traduce quindi in circa 10 miliardi di euro in meno di reddito disponibile e altri 10 miliardi di euro dovuti ad ulteriore probabile risparmio.
Il governo stima che lo sgravio per le famiglie derivante dalla riduzione dell'IVA sarà di circa 20 miliardi di euro, se il taglio dell'IVA dovesse essere trasferito integralmente ai consumatori. Ciò significa che lo sgravio dovuto alla riduzione dell'IVA, nella migliore delle ipotesi (cioè in un quadro molto ottimistico), compenserebbe il calo dei consumi privati da noi stimato. E' prevedibile inoltre che l'effetto positivo di questa misura nell'ultimo semestre di quest'anno, possa portare invece, già nel primo semestre del 2021, ad una nuova incertezza dovuta ad un calo dei consumi (dopo gli effetti di traino per il 2020, e dovuti ad un ritorno dell'IVA alla vecchia aliquota a partire dal 2021).
Anche il calo della domanda da investimenti sta chiaramente avendo un impatto negativo sullo sviluppo dell'economia. È improbabile che ciò possa essere compensato dalle misure annunciate, dato che l'utilizzo della capacità aziendale è catastroficamente basso. Come già rilevato all'inizio, inoltre, la domanda proveniente dall'estero, molto importante per la Germania, sta crollando senza alcuna possibilità di un rilancio nell'immediato. Il calo dell'80 % del saldo della bilancia commerciale con l'estero ad aprile, rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, non potrà essere attenuato in modo significativo nemmeno da un calo del turismo all'estero dei tedeschi: Il saldo di conto corrente nel mese di aprile, infatti, è diminuito di quasi due terzi rispetto all'anno precedente.
L'enorme surplus di domanda proveniente dall'estero, di cui i tedeschi da molti anni ormai hanno "bisogno" per smaltire la loro produzione - nel 2019 ha superato il 7 % del PIL - e per mantenere a galla il loro modello economico fondato sul dumping salariale, si manifesterà in misura estremamente negativa durante tutta la durata della crisi causata dal coronavirus. La distorsione strutturale verso l'export delle nostre attività produttive nel breve periodo non potrà essere corretta senza molte difficoltà. I lavoratori dei settori interessati, come ad esempio l'industria automobilistica, dovranno pagarne il prezzo con la perdita del loro posto di lavoro o i tagli salariali. L'indennità di cassa integrazione probabilmente è solo l'inizio.
E questo fenomeno ancora una volta é abbastanza simile alla precedente crisi finanziaria: per anni, il dumping salariale è stato utilizzato per costruire e promuovere una struttura insostenibile nel lungo periodo. Nel breve e medio periodo, infatti, i lavoratori dipendenti e i loro salari vengono privati della loro legittima quota di aumento in termini di produttività. I profitti derivanti dalle eccedenze nel commercio con l'estero vengono trattenuti dai datori di lavoro e distribuiti agli azionisti. Se questo modello dovesse crollare, lo Stato dovrebbe intervenire prima con l'indennità di Kurzarbeit, poi con l'indennità di disoccupazione e infine con la sicurezza sociale di base (Hartz IV). Questo non solo sarebbe iniquio, ma soprattutto avrebbe potuto essere evitato se il governo avesse affrontato in anticipo e senza pregiudizi gli aspetti negativi legati al ruolo di campione mondiale dell'avanzo commerciale con l'estero.
Nel complesso, il cosiddetto pacchetto di stimoli economici avrà molti effetti, ma la maggior parte di essi arriverà troppo tardi o comunque non sarà in grado di rilanciare l'economia. Effetti che sono attesi fra tre anni, oggi possono essere tranquillamente ignorati, se l'obiettivo è quello di stabilizzare le aspettative. Anche le misure di sgravio che impediscono possibili oneri aggiuntivi, non avranno alcun effetto positivo diretto sullo sviluppo economico.
Sarebbe stato molto piu' coraggioso se il governo, ad esempio, avesse deciso di abbassare permanentemente l'IVA, aumentare in modo significativo il salario minimo e portare le indennità Hartz IV a un livello doppio rispetto a oggi. Inoltre, dato il rischio di un drastico aumento della disoccupazione, che questa volta in realtà non è dovuto ad un "comportamento errato" da parte dei lavoratori, il sostegno alle indennità di disoccupazione avrebbe dovuto essere regolato in modo molto più generoso aumentando le indennità e prolungando il periodo delle prestazioni.