Intervento molto interessante del grande economista tedesco Heiner Flassbeck il quale dalle pagine di Relevante Oekonomik ci spiega perchè non ha senso combattere la recessione tedesca senza prima aver compreso le vere cause della crisi economica. Se da un lato il governo è ostaggio dei dogmi rigoristi di Lindner, dall'altro la politica monetaria restrittiva della BCE sta portando l'economia tedesca ed europea verso la recessione. Per Flassbeck in Europa non ci sarà un soft landing, anzi, senza un drastico cambio di rotta della BCE ci andremo a schiantare. Ne scrive Heiner Flassbeck e Friederieke Spiecker su relevante-oekonomik.com/
Heiner Flassbeck |
Questa tendenza negativa si profilava già da oltre sei mesi, come si può leggere in un articolo di inizio dicembre 2022. La recessione è basata su una carenza di domanda: la maggior parte dei cittadini - sia in Germania che in mezzo mondo - quest'anno hanno avuto meno potere d'acquisto rispetto all'anno scorso; i redditi reali sono diminuiti a causa dell'incremento dei prezzi dell'energia e di molti altri prodotti alimentari.
La perdita di potere d'acquisto è avvenuta proprio nel momento in cui l'economia aveva appena iniziato a riprendersi dagli effetti della pandemia da COVID-19. Molte aziende in diversi settori, infatti, così come la forza lavoro, avevano già attraversato un periodo difficile e non avevano accumulato riserve da un precedente boom, come invece di solito accade alla fine di un ciclo congiunturale "normale" dopo un periodo di crescita.
Tra l'inizio della flessione e l'ammissione da parte del governo che la congiuntura è debole, è trascorso molto tempo prezioso che avrebbe potuto e dovuto essere utilizzato per stimolare positivamente l'economia. Ciò che pesa particolarmente è il fatto che la politica monetaria europea sta amplificando in modo massiccio la carenza di domanda causata principalmente da fattori in gran parte esogeni legati all'aumento dei prezzi. Inoltre, in Germania si sta attuando una politica fiscale prociclica, vale a dire il tentativo dello Stato di risparmiare e spendere meno proprio quando la domanda complessiva è insufficiente. L'interazione di questi fattori ha il potenziale di trasformare una debolezza economica in una recessione duratura.
Questi due gravi errori nella politica economica devono essere identificati e corretti rapidamente se nel breve termine si vuole invertire il trend congiunturale e prevenire una spirale potenzialmente negativa. L'attuale dottrina economica mainstream, tuttavia, sembra puntare nella direzione errata. Handelsblatt ha intervistato dieci economisti tedeschi per chiedere loro quali misure dovrebbero essere prese con urgenza. Le risposte, ad eccezione di una, non rivelano nemmeno un tentativo di analisi macroeconomica completa. Gli intervistati ignorano le ragioni centrali del peggioramento della congiuntura economica. Ciò che viene menzionato essenzialmente nei loro consigli riguarda le condizioni quadro, il cui cambiamento potrebbe non essere un errore, ma che non affrontano davvero le cause della situazione attuale e quindi non promettono una soluzione adeguata e tempestiva ai problemi.
Heiner Flassbeck (* 12. dicembre 1950 a Birkenfeld) è un economista tedesco. È stato segretario di Stato presso il Ministero federale delle Finanze dal 1998 al 1999 e Capo Economista (Chief of Macroeconomics and Development) presso la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) a Ginevra da gennaio 2003 fino alla fine del 2012. Fino a novembre 2019 è stato co-editore, insieme a Paul Steinhardt, della rivista online Makroskop ed è membro del consiglio direttivo dell'Associazione Georg-Friedrich-Knapp-Gesellschaft für Politische Ökonomie (GFKG) come lo stesso Steinhardt.
Debolezza degli investimenti in tutta Europa
Quando la BCE esplicita l'obiettivo di voler frenare la domanda attraverso la sua politica dei tassi di interesse, non ci si può stupire se tale risultato viene poi raggiunto attraverso un'azione decisa, come ha riconosciuto nel suo recente comunicato stampa sui tassi di fine luglio. Anche se la BCE ha sottolineato che questa politica mira a ridurre il tasso di inflazione per i prezzi al consumo (CPI), è noto che la causa degli aumenti dei prezzi avvenuti nei due anni precedenti, come dimostrato in molti articoli, non è stata una domanda eccessiva spinta da forti aumenti salariali, che non può essere corretta in maniera efficace attraverso una riduzione della domanda. Quello che la BCE sta facendo per perseguire i suoi obiettivi in termini di prezzi è come una vittoria di Pirro: l'economia europea si trova ad affrontare una debolezza degli investimenti causata dalla crisi dei prezzi dell'energia e dei prodotti alimentari (Figura 1).
Produzione beni di investimento - Figura 1 |
Le due maggiori economie dell'UE, Germania e Francia, stanno producendo beni di investimento su un livello quantitativo pari a quello di otto anni fa e quindi decisamente meno rispetto a quanto accadeva nel periodo precedente lo shock pandemico. E questo nonostante tutti i programmi di sostegno (come il Green New Deal o il NextGenerationEU) e il favorevole indirizzamento delle istituzioni (come la tassonomia dell'UE) da parte dei governi e dell'UE.
Italia e la Spagna nel settore dei beni di investimento hanno recuperato il livello di produzione del 2019, sebbene questo livello fosse crollato notevolmente nel 2013 durante la crisi dell'euro e si sia ripreso solo marginalmente fino al 2019, come dimostra l'analisi delle quote di investimento (Figura 2). La base di partenza dell'indice di produzione dei beni di investimento mostrato nella Figura 1 è modesta e quindi il miglioramento attuale in entrambi i paesi non riflette affatto un boom che suggerirebbe un superamento della debolezza degli investimenti in Europa.
Figura 2 |
Inoltre, la produzione di armamenti viene inclusa in questi dati. L'aumento della domanda statale di beni militari, notoriamente non è un indicatore di futuri incrementi in termini di produttività nel settore civile e, pertanto, non è quindi un aspetto incoraggiante quando si tratta delle prospettive a medio termine dello sviluppo del reddito reale europeo.
Se si considera la produzione industriale complessiva, l'UE e soprattutto l'area dell'euro hanno una situazione che potrebbe essere descritta al meglio come una stagnazione di lunga durata (Figura 3): il crollo della produzione a causa dei lockdown pandemici nella primavera del 2020 è stato recuperato entro lo stesso anno. Nel 2021, la produzione è rimasta stagnante ai livelli pre-crisi. Nel 2022, la situazione è leggermente migliorata rispetto al 2021, considerando la media annuale. Da allora, sembra che anche questo piccolo progresso sia svanito e la produzione industriale nell'area dell'euro sia tornata ai livelli del 2019.
Produzione industriale nell'UE - Fig 3 |
Il settore edile in declino in tutta Europa
Anche nella produzione edilizia, l'effetto depressivo sulla congiuntura è già ben evidente (linee nere nella Figura 4). Tuttavia, il calo delle concessioni edilizie residenziali è particolarmente evidente (linee rosse nella Figura 4). In questo caso, l'Europa sta seguendo una rotta che ricorda la crisi del 2020, solo che questa volta il crollo delle autorizzazioni non è stato causato da un arresto della produzione ordinato dallo Stato, ma dagli aumenti dei tassi di interesse della BCE.
Autorizzazioni edilizie rilasciate e indice delle costruzioni nell'UE - Fig 4 |
La domanda di prodotti industriali tedeschi senza i grandi ordini continua a scendere
L'indicatore degli ordini ricevuti, sfortunatamente non disponibile per altri paesi europei, conferma l'immagine poco rosea dell'economia tedesca. Sia per il settore manifatturiero nel suo complesso che in particolare per la domanda di beni di investimento, se si guarda la media mobile a tre mesi, ci si trova ai livelli del 2015 (Figura 5).
Ordinativi industria tedesca - Fig. 5 |
Se si escludono i grandi ordini (Figura 6), la tendenza al ribasso è evidente anche in questo periodo. Poiché una parte significativa dei grandi ordini dovrebbe riguardare la domanda statale di beni militari, gli ordini ricevuti al netto dei grandi ordini rappresentano probabilmente l'immagine più realistica delle prospettive per l'industria tedesca. Inoltre, questi dati arrivano solo fino a giugno. Indicatori di sentiment come l'indice Ifo e l'indice PMI Markit segnalano già per luglio un ulteriore significativo indebolimento.
Figura 6 - Andamento ordinativi senza grandi ordini |
Se l'opposizione ora parla di deindustrializzazione della Germania e si basa ad esempio sulla diminuzione della quota di valore aggiunto dell'industria manifatturiera nella produzione complessiva, sta commettendo un errore. Questo perchè il capitale destinato alla produzione industriale è presente e non è generalmente ancora in rovina - solo che al momento mancano le opportunità di l'utilizzo. Tuttavia, è vero che, se lo stato di sottoutilizzo dovesse perdurare per un lungo periodo, le capacità non verrebbero rinnovate e di conseguenza inizierebbero ad invecchiare
Invertendo la situazione, l'affermazione del Cancelliere federale secondo la quale l'insediamento di fabbriche di semiconduttori in Germania dimostra l'attrattività del sistema economico rivela quanto sia impotente la politica al momento. Infatti, dietro a questi insediamenti, come ad esempio a Magdeburgo (Intel) o Dresda (TSMC), si celano sovvenzioni statali che rappresentano tra il 30 e il 50 percento del totale degli investimenti pianificati. Si sta verificando una corsa alle sovvenzioni a livello globale, ma anche all'interno dell'Europa, che solleva non solo questioni di equità, ma soprattutto una domanda su quanto i singoli grandi conglomerati globali abbiano ormai il controllo sui politici democraticamente eletti.
Vittoria di Pirro della politica monetaria
Il fatto che gli aumenti dei prezzi osservati dal 2021 non fossero dovuti a una domanda eccessiva, ma a carenze nell'offerta e a speculazioni, non è stato riconosciuto dalla maggioranza dei membri della dirigenza della BCE come un segnale per valutare e trattare diversamente gli aumenti dei prezzi rispetto a quanto fatto con una politica dei tassi di interesse convenzionale. In una fase in cui la domanda è debole in tutta Europa e in Germania c'è il rischio di una recessione, agire sulla domanda con la politica monetaria non ha senso. Soprattutto considerando che, come abbiamo dimostrato molte volte (recentemente qui), non c'è più alcuna pressione inflazionistica in corso.
Figura 7 |
Questo è particolarmente evidente nella Figura 7, dove il tasso di variazione, cioè l'aumento o il calo rispetto al valore precedente (e non rispetto all'anno precedente), dei prezzi alla produzione e dei prezzi al consumo nell'UEM a 20 è rappresentato sulla base della media mobile a tre mesi. La media mobile a tre mesi attenua leggermente le fluttuazioni a breve termine dell'indicatore e agevola quindi la comprensione della tendenza di base.
Si può facilmente notare che dopo le oscillazioni estreme dei prezzi alla produzione verso l'alto tra l'autunno del 2020 e l'autunno del 2022, ora questi seguano oscillazioni estreme verso il basso. È solo una questione di breve tempo prima che i prezzi al consumo seguano i prezzi alla produzione - e ciò avverrà senza che la politica monetaria strozzi ulteriormente l'economia. Gli ultimi quattro mesi indicano un tasso di variazione dei prezzi al consumo che, proiettato su base annuale, si attesta già intorno al 2,4 percento. Chi parla di "pressione sui prezzi" significativa anche in futuro deve guardare a questo tasso e non al confronto retrospettivo con il valore dell'anno precedente.
Gli aumenti dei prezzi alla produzione sono venuti meno proprio quando la politica monetaria aveva appena iniziato a porre fine alla sua politica dei tassi d'interesse a zero (a partire da luglio 2022). Ciò significa che la politica dei tassi di interesse non aveva ancora potuto avere il suo effetto in termini di aumento del costo del credito riducendo la domanda fino a ottenere il desiderato rallentamento dell'aumento dei prezzi, e quindi non poteva essere la causa della stabilizzazione dei prezzi a livello di produzione. La stessa BCE prevede un ritardo di almeno quattro trimestri prima che la sua politica dei tassi di interesse possa farsi sentire sui prezzi. Tutto ciò che la politica monetaria ha messo in atto per frenare la domanda avrebbe potuto e dovuto essere risparmiato. Gli effetti degli aumenti massicci dei tassi di interesse si faranno sentire solo gradualmente e colpiranno un'Europa indebolita economicamente dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, che ora, a differenza degli Stati Uniti, non vivrà un atterraggio morbido nell'economia e nel mercato del lavoro.
Che non ci sia più motivo di temere pressioni inflazionistiche è stato sorprendentemente confermato anche da un membro del Comitato Esecutivo della BCE pochi giorni fa. Fabio Panetta ha fatto notare in un importante discorso in Italia che neppure lui vede più un pericolo di inflazione acuta. Ha detto: "Le pressioni inflazionistiche nelle prime fasi del processo di formazione dei prezzi si stanno attenuando, con l'inflazione dei prezzi alla produzione (PPI) in diminuzione ulteriore negli ultimi mesi." E ha mostrato un'immagine dei prezzi alla produzione (Figura 8), che corrisponde esattamente a quanto abbiamo sostenuto negli ultimi mesi.
Figura 8 |
Tuttavia, fintanto che la maggioranza del board della BCE continua a sostenere che è ancora necessario affrontare un'inflazione persistente, sarà estremamente difficile per altre aree della politica economica invertire la tendenza congiunturale. Anche se la BCE non dovesse ulteriormente aumentare i tassi a settembre, il livello attuale raggiunto dai tassi di interesse renderà molto difficile la vita della politica fiscale e quindi la possibilità di superare gli effetti restrittivi dei tassi. Solo con una massiccia iniziativa di stimolo dell'economia, come negli Stati Uniti, si potrebbe davvero ottenere qualcosa. Tuttavia, l'Europa è lontana da questo obiettivo, dati i vincoli che si è autoimposta.
La politica fiscale come un salvatore in caso di necessità?
E qui si affronta il secondo campo in cui la teoria economica mainstream, specialmente in Germania, si pone da sola dei limiti. Il pareggio di bilancio ancorato nella Costituzione tedesca si sta rivelando per quello che è sempre stato e ora è più chiaro che mai: è quasi sempre un ostacolo ad una politica fiscale razionale e flessibile, adatta agli sviluppi attuali. La politica fiscale non riguarda solo gli interventi statali in situazioni di emergenza causate da fattori esterni. Riguarda anche il mantenimento dell'equilibrio complessivo dell'economia tale da evitare una spirale negativa causata dai comportamenti razionali che si influenzano reciprocamente - indipendentemente da ciò che inizialmente ha innescato la situazione.
In questo punto, l'ideologia neoliberale di un'economia che si autoregola in modo razionale attraverso tendenze di riequilibrio di mercato, in combinazione con uno Stato che si ritira il più possibile dall'economia, si scontra con la realtà. In realtà, si verificano costantemente shock imprevisti che devono essere assorbiti dall'economia e che innescano processi di adattamento tutto tranne che equilibrati.
Piuttosto, possono sviluppare una dinamica propria i cui effetti nel complesso sono così negativi che interventi statali per stimolare la congiuntura a un certo punto non sono solo giustificati, ma immediatamente necessari. Se in una tale situazione la politica economica si comporta in modo prociclico - forse per ragioni ideologiche - diventa parte del problema anziché della soluzione. Non sorprende che l'insoddisfazione politica della popolazione in questo contesto aumenti.
Tra gli economisti intervistati da Handelsblatt, solo Jens Südekum affronta apertamente il dilemma della politica fiscale tedesca. Sebbene non proponga formalmente di abolire il pareggio di bilancio, suggerisce una nuova sospensione attraverso l'uso della clausola di emergenza. E consiglia di utilizzare le risorse del Fondo per la stabilità economica per altri programmi industriali non specificati. Tuttavia,almeno qualcuno fra gli economisti sta considerando uno dei due principali strumenti per contrastare una recessione.
Quasi tutti gli altri intervistati propongono misure volte a ridurre i costi per le imprese (miglioramenti delle ammortizzazioni, riduzioni fiscali, riduzioni dirette dei prezzi dell'energia, espansione dell'offerta energetica per ridurre i prezzi dell'energia, espansione dell'offerta di forza lavoro per frenare i costi salariali, sussidi salariali diretti, guadagni in termini di efficienza attraverso una maggiore concorrenza per la forza lavoro qualificata tramite una maggiore trasparenza nella retribuzione). Sembrano sperare che ciò possa ulteriormente stimolare gli investimenti delle imprese. Anche se si tralascia il ritardo temporale di tali misure, questo approccio in molti casi deve essere considerato un fallimento. Ogni volta che in passato sono state concesse agevolazioni ai redditi delle imprese per incoraggiarle a investire, non è stato possibile ottenere nulla nel lungo termine in una fase di assenza di domanda. E questo è abbastanza ovvio: a chi giova ridurre i costi quando l'utilizzo delle risorse non è attuale e non migliora in prospettiva? Le enormi riduzioni fiscali di inizio secolo accordate alle imprese non hanno creato una dinamica di investimento, ma hanno portato ad un comportamento aziendale che ha messo in discussione l'economia di mercato (come dimostrato, tra l'altro, qui).
Anche la stimolazione dell'economia attraverso accordi commerciali con l'estero, come uno dei suggerimenti provenienti dalla comunità degli esperti, è una vecchia storia. Ogni stimolo derivante dal libero scambio svanisce al più tardi quando l'estero ha problemi congiunturali e/o non è più disposto a tollerare la competitività schiacciante dei prezzi di un partner commerciale (cioè la Germania).
Il fatto che nessuno degli economisti intervistati da Handelsblatt critichi la politica monetaria dice molto. Il fatto che solo uno metta in discussione il vincolo di bilancio mostra chiaramente il declino del pensiero macroeconomico in Germania. Non sorprende più il fatto che nessuno parli di uno strumento non convenzionale che sarebbe logico per affrontare la debolezza della domanda. Lo Stato potrebbe aumentare il salario minimo in modo così significativo da eliminare la perdita in termini di salario reale per i redditi più bassi, nonostante il voto contrario della Commissione per il salario minimo. Le aziende inizialmente potrebbero lamentarsi vivacemente, ma alla fine ne trarrebbero un beneficio al cento per cento: i beneficiari del salario minimo spenderebbero tutto il loro reddito per beni e servizi.
Invece di una valida analisi della situazione economica generale e una risposta adeguata in termini di politica ecnomica, sembra che molti siano più interessati a utilizzare l'attuale miseria per promuovere i loro cavalli di battaglia preferiti e perseguire i propri interessi.
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