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domenica 13 agosto 2023

Frank Furedi - Perché non possiamo fare a meno dello Stato nazione

"Checché se ne pensi degli Stati nazionali, al di fuori dei loro confini non può esistere una vita pubblica democratica. Solo in quanto cittadini che interagiscono all'interno di un'unità geograficamente delimitata, il processo decisionale democratico può funzionare ed ottenere risultati significativi" scrive il grande intellettuale e sociologo Frank Furedi in merito all'importanza dei confini nazionali. Una riflessione domenicale di spessore da parte di un grande intellettuale contemporaneo, ne scrive Frank Furedi  su Makroskop.eu



Stiamo andando verso un'Europa senza confini o verso un'Europa delle nazioni?

La società occidentale si è allontanata sia dai confini che dalle limitazioni sociali che da secoli danno un significato all'ambiente umano. Molti commentatori all'interno dell'Unione Europea affermano che i confini sono diventati irrilevanti nell'era della migrazione di massa e della globalizzazione. Alcuni vanno persino oltre, proponendo di eliminare del tutto i confini. E non vengono attaccati solo i confini che separano le nazioni l'una dall'altra.

Le tradizionali distinzioni che separano gli adulti dai bambini, gli uomini dalle donne, gli esseri umani dagli animali, i cittadini dai non cittadini o il privato dal pubblico, vengono sempre più denunciate come arbitrarie, innaturali e ingiuste. La controversia sulla migrazione di massa e sui confini fisici procede di pari passo. È strettamente legata al dibattito sulle distinzioni simboliche di cui le persone hanno bisogno per orientarsi nella vita quotidiana.

In modo paradossale, il tentativo di modificare o abolire i confini tradizionali va di pari passo con l'obbligo di creare nuovi confini. Gli attivisti No-Border chiedono spazi sicuri per i rifugiati, gli oppositori dell'"appropriazione culturale" chiedono controlli sulla lingua, e i sostenitori dell'identità politica si impegnano a separare le minoranze dalla società maggioritaria.

Frank Furedi
Frank Furedi



L'alienazione della società

La società contemporanea, in particolare le sue élite culturali e politiche, faticano a dare un significato alle distinzioni simboliche. Nella letteratura accademica e nelle pagine dei media si enfatizza sempre di più il carattere arbitrario e sfumato dei confini e si mette implicitamente o esplicitamente in discussione il loro status morale e la loro legittimità. Spesso, sotto l'influenza delle teorie postmoderne, in particolare dei lavori del filosofo francese Gilles Deleuze, i confini vengono rappresentati come costruzioni indefinite e artificiali. Ad esempio, si fa riferimento all'artificialità del confine tra Est e Ovest, civilizzato e non civilizzato, o Europa e Asia.


Questa tendenza a vedere i confini - così come altre distinzioni e separazioni fortemente delineate - solo in una luce negativa è diffusa anche nella cultura popolare contemporanea. Questa agenda post-border, o l'identificazione con uno stato fluido che va oltre i confini, vengono presentate come una virtù positiva. Nell'economia, nelle relazioni pubbliche e nella pubblicità, l'entusiasmo per la dimensione "senza confini" è un'espressione di audacia, spirito pionieristico ed esplorazione dell'ignoto.

Sarebbe davvero ispirante se ci fosse un ritorno al concetto illuminista kantiano di cosmopolitismo. Purtroppo, la negazione culturale dei confini è guidata da numerosi impulsi contraddittori. La forza trainante dominante è la paura di assumersi la responsabilità delle distinzioni simboliche e delle chiare delineazioni. E questo si applica sia alla politica che all'educazione dei bambini. Negli ultimi tempi, ad esempio, genitori e insegnanti si sforzano di essere amici dei giovani piuttosto che modelli morali e mentori.

Ovviamente, è difficile contestare l'affermazione secondo la quale i confini sono costruzioni sociali, sia arbitrarie che artificiali. Chiunque guardi una mappa del mondo ne sarà colpito dal suo carattere arbitrario. Molte delle frontiere africane sono tracciate in linee rette e testimoniano la mancanza di immaginazione delle potenze coloniali. Il confine tra un bambino e un adulto viene sempre attraversato dai giovani durante l'adolescenza. Le frontiere tra nazioni sono costantemente messe alla prova da politici, eserciti, fornitori di servizi Internet, aziende, contrabbandieri e migranti. Nessun confine è intoccabile.

Tuttavia, i confini non sono solo costruzioni artificiali. Sono l'espressione fisica o simbolica di un bisogno sociale. Non si può pretendere che a tutti piaccia un certo confine, ma questo mezzo di separazione e distinzione esprime bisogni ed aspettative radicati nella società.

I confini contano



In difesa dei confini

Dato il legame stretto ed evidente tra chiari confini e sovranità nazionale, non sorprende che quest'ultima sia anch'essa diventata un bersaglio di una visione del mondo senza confini. La sovranità nazionale è considerata un'idea superata, che non solo divide le persone e spinge le nazioni l'una contro l'altra, ma che è anche divenuta obsoleta in un mondo globalizzato. Questa critica è accompagnata da una svalutazione della cittadinanza nazionale, che è considerata discriminatoria in quanto non conferisce alle persone che vivono in altre parti del mondo lo stesso status e gli stessi diritti.

La filosofa politica Hannah Arendt, d'altra parte, ha argomentato con forza che "un cittadino è per definizione un membro di una comunità specifica". Ha spiegato che i "doveri di un cittadino devono essere definiti e limitati non solo dai doveri verso i propri simili, ma anche dai confini di un territorio", concludendo:

"La filosofia può immaginare la Terra come patria dell'umanità e come una legge unica, eterna e valida per tutti. La politica, tuttavia, ha a che fare con persone che sono cittadini di molte nazioni ed eredi di molte storie passate: le loro leggi sono le recinzioni costruite positivamente che proteggono e delimitano lo spazio in cui la libertà è una realtà politica viva, non un concetto".



Gli antichi greci e successivamente Arendt usavano la metafora dei muri cittadini per illustrare la delimitazione dello spazio pubblico della Polis. "Un popolo dovrebbe combattere per le leggi della città come se fossero le sue mura", disse Eraclito.

Arendt sviluppò una teoria immaginativa in cui l'emergere dei confini era espresso dal "Nomos", le leggi delle città-stato greche. È solo attraverso la solidificazione dei confini che il Nomos crea le condizioni per uno spazio pubblico e politico duraturo: "La legislazione crea inizialmente uno spazio all'interno del quale è valida e questo spazio è il mondo in cui possiamo muoverci liberamente". In altre parole, la libertà politica e la sua esercitazione non sono pensabili senza l'istituzionalizzazione spaziale della vita pubblica.

Arendt non è stata l'unica filosofa a sottolineare l'importanza della delimitazione territoriale per la prosperità della vita politica. John Locke, insieme a Jean Jacques Rousseau e Immanuel Kant, uno dei fondatori della filosofia liberale, concepì la delimitazione spaziale come base della sovranità politica e requisito per il mantenimento dell'ordine politico.

L'attacco alla sovranità nazionale e allo status della cittadinanza si basa sulla presunta superiorità dei valori universali e umanitari. Tuttavia, l'universalismo diventa una caricatura di se stesso quando si trasforma in una forza metafisica che sta sopra le istituzioni nazionali prevalenti. Il tentativo di deterritorializzare la sovranità e i diritti dei cittadini riducono le persone alle loro caratteristiche individuali più astratte. Proprio come la cittadinanza viene privata del suo contenuto ideale e immateriale, le persone perdono la capacità di pensare e agire come comunità politica.

Per questo motivo, Arendt ha argomentato:

"L'istituzione di uno stato mondiale sovrano non sarebbe affatto una condizione preliminare per una cittadinanza mondiale, ma la fine di ogni la cittadinanza. Non sarebbe l'apice della politica mondiale, ma letteralmente la sua fine."

Tirannia globale

Qualunque sia il motivo per una deterritorializzazione della cittadinanza e un indebolimento della sovranità nazionale, rappresenta una sfida diretta alla democrazia e alla vita pubblica. E checché se ne pensi degli Stati nazionali, al di fuori dei loro confini non può esistere una vita pubblica democratica. Solo come cittadini che interagiscono all'interno di un'unità geograficamente delimitata, il processo decisionale democratico può funzionare ed ottenere risultati significativi.

L'idea del "diritto cosmopolita", sviluppata da Kant nel suo saggio "Per la pace perpetua" (1795), afferma che gli stranieri che entrano nel territorio di uno Stato straniero non devono essere trattati con ostilità. Kant chiamò questa richiesta il "diritto naturale dell'ospitalità". Tuttavia, il concetto kantiano del diritto di ospitalità non implicava il diritto di stabilirsi. E non metteva affatto in discussione la legittimità dei confini territoriali. Kant si opponeva a un mondo senza confini, poiché un governo mondiale porterebbe a una tirannia globale.

Invece, Kant sosteneva un'associazione federale di comunità libere e indipendenti, preferibile a un'unione di nazioni sotto un'unica autorità che prevale sulle altre. La visione di Kant, secondo la quale alle leggi sovranazionali manca la profondità morale necessaria per esercitare l'autorità, ricorda i dibattiti attuali sulla giurisprudenza dell'UE: secondo Kant, infatti, le leggi perdono progressivamente il loro effetto quando il governo allarga la sua sfera d'influenza. La sua visione del cosmopolitismo è quindi fondamentalmente diversa dalla prospettiva dell'attuale cosmopolitismo senza confini.

L'identificazione con le persone nate in un mondo comune è il modo principale in cui la solidarietà interpersonale può acquisire un carattere politico dinamico. Le persone che esercitano i loro diritti di cittadinanza hanno interessi specifici che costituiscono la base della loro solidarietà. Privarli di questi interessi significherebbe compromettere la loro capacità di agire come cittadini consapevoli. E senza cittadini consapevoli, non c'è democrazia. Questa è una lezione che anche l'UE deve imparare.


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giovedì 14 marzo 2019

Intervista ad Andreas Nölke: "Non possiamo fare a meno dello stato nazione"

Andreas Nölke è professore di scienze politiche a Francoforte nonché la mente dietro il raggruppamento di sinistra Aufstehen!. Intervistato da Welt ci spiega perché non possiamo fare a meno dello stato nazione e perché l'immigrazione è un problema serio. Da Welt.


Welt: Herr Nölke, come professore di scienze politiche a Francoforte lei si è schierato a favore dello stato-nazionale. Perché?

Andreas Nölke: in realtà fra i sostenitori della sinistra è qualcosa di insolito, la maggior parte vorrebbe superare lo stato nazione. Io invece nel medio periodo non voglio, perché ci sono importanti funzioni che al momento vengono svolte meglio a livello nazionale. La democrazia, lo stato sociale e lo stato di diritto funzionano meglio nello stato nazionale che nell'UE. In questo senso, credo che l'aspirazione della sinistra a creare un super-stato europeo e poi uno stato mondiale non siano adeguate.

Welt: quindi apprezza le funzioni dello stato-nazionale, ma per ragioni diverse dalle destre?

Nölke: in realtà ci sono diversi motivi per sostenere lo stato nazionale. Non mi interessa il superamento della cultura tedesca. Ma lo stato-nazione, in quanto stato sociale, dispone dei mezzi per migliorare la situazione delle persone piu' svantaggiate, e rimane l'istanza più importante per protegge la loro libertà e sicurezza.


Welt: per quanto tempo ne avremo ancora bisogno?

Nölke: fino a quando non ci saranno segnali evidenti che la democrazia può funzionare meglio a un livello più elevato. Se emergesse un'opinione pubblica europea, se aumentasse l'identificazione con l'UE, se l'affluenza alle elezioni europee fosse più elevata - allora potremmo pensare di lasciarci alle spalle lo stato nazione.

Welt: quali elementi dell'UE sono anti-democratici?

Nölke: distinguo fra deficit democratico strutturale e attuale. Quest'ultimo include un'affluenza significativamente inferiore alle elezioni europee. La legittimità della democrazia si basa sulla volontà dei cittadini di andare a votare. Darei una maggiore legittimità a quel livello per il quale i cittadini votano con maggiore partecipazione.

Inoltre, anche alle prossime elezioni europee le questioni nazionali avranno un ruolo importante, anche perché non abbiamo un'opinione pubblica europea e sappiamo molto di più sulla politica di Berlino che non su quella di Bruxelles. Ma questi sono tutti problemi risolvibili. I deficit strutturali sono più difficili da risolvere.

Welt: quali sono?

Nölke: empiricamente, si può stabilire una stretta connessione tra le dimensioni di una comunità e il funzionamento della democrazia. Non so come ciò possa essere risolto nel quadro dell'UE. Inoltre, se osservo da sinistra vedo dei problemi con la mancanza di neutralità economica della costituzione europea. I trattati europei non erano destinati a diventare una costituzione, ma grazie all'interazione fra la Corte di giustizia europea e la Commissione sono diventati de facto una costituzione europea - attraverso due istituzioni con una legittimazione democratica estremamente indiretta.

Welt: cosa non la soddisfa dal punto di vista del contenuto?

Nölke: le quattro libertà fondamentali per i beni, i capitali, i servizi e il lavoro, sono state prima inserite nei trattati, con intenzioni di politica economica, per poi insinuarsi nella costituzione. Una cosa del genere, tuttavia, non dovrebbe trovare posto in una costituzione perché significa che queste libertà economiche non sono più accessibili al potere politico.

Ecco perché questa costituzione per me non è accettabile. Ci sono proposte per rimuovere queste norme dai trattati, sarebbero quindi soggette alla legislazione normale, e in quel caso non avrei alcun problema.

Welt: tra le quattro libertà fondamentali viene soprattutto contestata la circolazione illimitata dei lavoratori all'interno dell'UE. Questo diritto alla mobilità degli europei e l'accettazione della migrazione irregolare non sono forse di sinistra?

Nölke: dal mio punto di vista: no. Per me, in quanto uomo di sinistra, si tratta prima di tutto della protezione dei lavoratori. E una forte immigrazione mina le condizioni lavorative dei più deboli all'interno della nostra società. Perché è soprattutto la migrazione irregolare a portare da noi persone poco qualificate, fatto che aumenta la concorrenza in questo settore del mercato del lavoro. Diversi studi mostrano che un tale afflusso di lavoratori nel segmento meno qualificato ha effetti alquanto problematici. Dal punto di vista dell'economia nel suo complesso, tuttavia, l'immigrazione può anche avere degli effetti positivi.
Welt: a quali studi si riferisce?

Nölke: dopo la forte immigrazione da Cuba verso la zona di Miami, nell'ambito dell'esodo di Mariel del 1980, è stata osservata una ripresa generale dell'economia, ma una riduzione fino a un terzo del livello dei salari fra le persone meno qualificate. Un altro studio ha fornito un quadro simile dopo l'apertura da parte dell'Austria agli europei dell'Est nel 2011: è stato buono per il prodotto interno lordo, ma catastrofico per le persone poco qualificate.

Le aziende hanno un legittimo e razionale bisogno di ottenere una buona manodopera al miglior prezzo possibile. Un'alta offerta significa prezzi bassi. Tuttavia, questi interessi spesso non sono in sintonia con quelli della società ospitante, né con quelli delle società che hanno formato queste persone. E spesso nemmeno con quelli dei migranti stessi, molti dei quali preferirebbero vivere nel loro paese, ma lì non trovano lavoro.

Welt: non è forse ragionevole se molte persone provenienti da economie disfunzionali si spostano nelle aree economiche più forti? In questo modo non si aiutano i migranti e le aziende?

Nölke: nel breve termine, sì, ma il mio interesse si rivolge più che altro al sostegno alle aree economiche disfunzionali. Ciò riguarda anche la politica di sviluppo, ma soprattutto la politica del commercio estero. Ad esempio, negli ultimi 20 anni, l'UE ha optato per una politica di libero scambio molto più severa nei confronti dell'Africa sub-sahariana. Le esportazioni agricole stanno distruggendo grandi parti dell'agricoltura di quei paesi. Una politica economica esterna meno aggressiva aiuterebbe questi paesi molto più dell'emigrazione di una parte della loro popolazione verso l'Europa.

Welt:  almeno ora i dazi all'importazione sui beni africani sono stati ampiamente aboliti, in modo che questi paesi possano esportare a basso costo in Europa..

Nölke: sì, ma il problema riguarda molto meno i nostri dazi all'importazione, e molto di piu' invece la pressione esercitata sulle economie di questi paesi costretti ad aprire i loro mercati ai nostri prodotti. La mia ricerca sui modelli economici dei mercati emergenti mostra che i paesi con un protezionismo selettivo sono di gran lunga i paesi di maggior successo: India e Cina. Le economie emergenti, che volontariamente o forzatamente si sono aperte, spesso hanno strangolato l'economia locale.

A proposito, penso anche che la Germania dovrebbe frenare il suo forte orientamento all'export. Da un lato per rispetto nei confronti di queste economie, ma anche nel proprio interesse. Abbiamo il più forte orientamento all'export fra tutte le principali economie. Nel lungo termine, per la Germania non è una buona idea, siamo totalmente dipendenti da ciò che accade nell'economia globale come non accade a nessun'altra grande economia. Se ci fosse un'ondata di protezionismo, delle guerre commerciali o un crollo economico globale, la Germania sarebbe seriamente minacciata.

Welt: lei è una delle principali menti di Aufstehen, questo raggruppamento ha la possibilità di raggiungere una dimensione rilevante?

Nölke: penso che sia possibile, ma ci vorrà del tempo. Da un lato, vogliamo riunire persone che socio-economicamente pensano a sinistra, ma con i partiti di sinistra attuali, fortemente cosmopoliti e globalisti, non riescono a fare nulla. Dall'altro lato, vogliamo spingere verso un ripensamento all'interno della SPD e dei Verdi. Dopo una buona partenza, da due o tre mesi affrontiamo dei problemi organizzativi. Per ora non siamo un movimento forte, ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente in una prossima crisi economica.

Welt: cosa significa per Aufstehen la partenza di Sahra Wagenknecht?

Nölke: il suo ritiro dalla ristretta cerchia della leadership di "Aufstehen" in favore di nuovi volti politici era già stato annunciato mesi fa. Mi aspettavo che sarebbe accaduto durante il congresso di giugno, quando dovrà essere eletta una nuova leadership. Da quel momento la fase di avvio, influenzata in maniera relativamente pesante da politici professionisti, sarà finita, e a prendere il timone saranno coloro che organizzano il movimento a livello locale. Questa attualmente è la vera forza di "Aufstehen".



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venerdì 21 dicembre 2018

Perché senza lo stato nazione non puo' funzionare

"Il futuro dell'Europa si decide nella forza delle nazioni europee. Più forti saranno i singoli stati dell'Europa, più forte sarà l'Europa", scrive Klaus-Rüdiger Mai, storico, scrittore e giornalista tedesco. Per l'autore lo stato nazione è l'unico garante delle libertà civili e della giustizia sociale, perchè "la vera libertà puo' esistere solo nella ricchezza delle relazioni umane, nella consapevolezza della cultura e della tradizione". Ne scrive Klaus-Rüdiger Mai su Deutschlandfunk Kultur


La Germania sta cambiando. Una frattura profonda si muove nella società, non è quella fra destra e sinistra, ma quella fra globalisti e comunitari. La domanda è se l'idea di stato nazione e di patria debba essere considerata obsoleta e se nel futuro si possano ipotizzare delle strutture sovranazionali sconfinate, oppure no.

La socialdemocrazia si sta sgretolando, perché nessuno sa piu' quale sia il suo significato. La questione sociale non riguarda un euro in più o in meno di salario minimo, ma la promessa di un miglioramento sociale che la SPD non è più in grado di formulare. Una sorta di garanzia sociale affinché per te le cose non vadano peggio, ma che soprattutto per i tuoi figli possano andare meglio. Dato che è così importante per l'equilibrio della società, chi altro se ne deve occupare, se non i conservatori progressisti?


Ma essi devono competere anche per un'altra eredità, quella del liberalismo, che con i neoliberisti è sempre stata in cattive mani, perché la libertà nel senso liberale classico non significa atomizzazione, né abbandono, ma la libertà esiste solo se viene messa in equilibrio con la coscienza e la responsabilità; la libertà da qualcosa deve essere collegata alla libertà per qualcosa. La vera libertà esiste solo nella ricchezza delle relazioni umane, nella consapevolezza della cultura e della tradizione.

Rendere la propria cultura sostenibile

Il conservatorismo autosufficiente e politicamente superato richiede un rinnovamento. Non ci si può più limitare al metodo di usare il vecchio per misurare tutto ciò che è nuovo, ma è necessario inserire nella discussione un'idea della direzione in cui la Germania si dovrà sviluppare. Ogni analisi parte da un punto di vista, che sia un'utopia, cioè da un'idea di come l'uomo deve essere - come fanno i Verdi - o dalle persone reali nel loro ambiente di vita e nella loro cultura - come invece fanno i conservatori.

Il conservatorismo progressista non deve smantellare la nostra cultura, ma renderla adatta al futuro. Inizia dal cittadino e difende lo stato nazionale come garante delle libertà civili e della giustizia sociale. Perché lo stato non è un'istituzione morale, ma funzionale.

Il conservatorismo progressista si pone come avvocato del centro politico tra i Verdi ed AfD. Se fallisce, il conflitto tra i Verdi da una parte e AfD dall'altra si radicalizzerà, e il centro diventerà politicamente volatile. Si differenzia da AFD, perché rifiuta ogni esagerazione nazionalista, e contesta l'illiberalismo dei Verdi che trasforma il cittadino in un oggetto di pedagogia.

Non è compito dello stato tedesco salvare il mondo

Secondo il conservatorismo progressista lo stato tedesco agisce secondo due massime: primo, non è compito dello stato tedesco salvare il mondo. È tuttavia fuori discussione che vi debba essere un'assunzione di responsabilità nell'ambito di possibilità molto ben definite. Garantisce la sicurezza interna ed esterna, impone i suoi poteri sovrani, la legge e l'ordine, non trasferisce a terzi i suoi diritti nazionali e adempie ai suoi compiti in materia di infrastrutture, istruzione e assistenza sanitaria.

In secondo luogo, ha una politica economica attiva che elimina gradualmente la dipendenza dalle esportazioni dell'economia tedesca, perché solo in questo modo potrà essere creata una base economica per la vita dei nostri figli, e perché non solo, ma anche l'ascesa della Cina mostra che al piu' tardi nel 2023 le esportazioni saranno sempre piu' problematiche.

I conservatori progressisti sono comunitaristi nel senso di Charles Taylor. Il futuro dell'Europa si decide nella forza delle nazioni europee. Più forti saranno i singoli stati dell'Europa, più forte sarà l'Europa. I conservatori progressisti devono creare le condizioni quadro che renderanno l'Europa ancora una volta il motore della cultura, della scienza e della tecnologia in un mondo che cambia radicalmente.



venerdì 5 ottobre 2018

Perché l'uomo globalizzato è uno schiavo

Riflessione molto interessante dello storico Klaus-Rüdiger Mai sul rapporto fra sinistra e stato nazionale. Per l'autore la sinistra non puo' fare a meno dello stato nazione perché l'uomo globalizzato è solo uno schiavo degli interessi finanziari ed economici internazionaliUn ottimo Klaus-Rüdiger Mai da Deutschlandfunkkultur.de


Il futuro della sinistra si decide nel suo rapporto con lo stato nazione, lo storico Klaus-Rüdiger Mai ne è convinto. Perché non tutti gli stati nazione sono uno stato sociale, ma ogni stato sociale è uno stato nazionale.

Lo stato nazione ha una brutta reputazione nel nostro paese. Le élite tedesche perseguono l'obiettivo del suo graduale superamento e della creazione degli Stati Uniti d'Europa. La ragione principale ce la forniscono coloro che si considerano razionalisti e che si sono alleati con gli economisti neo-liberisti secondo i quali solo un'Europa unita può sopravvivere alla globalizzazione e allo scontro con la Cina e gli Stati Uniti. L'Europa come una comunità di emergenza nell'era della globalizzazione, della quale presumibilmente saremmo in balia.

Per gli ideologi, d'altra parte, la storia ne è la prova: l'Europa unita è la lezione storica che arriva dalle due guerre mondiali. Un'Europa unita servirebbe ad impedire ogni guerra sanguinosa, almeno in Europa.

L'addio della sinistra alle questioni sociali

Il terzo argomento a dominare i sogni della sinistra è difficilmente riconoscibile. Deriva infatti dall'internazionalismo del movimento operaio. La sinistra nel suo motto "proletari di tutti il mondo unitevi" ha sostituito la nozione di proletariato con quella di europei, perché nel frattempo ha abbandonato la questione sociale e si è rivolta alle élite urbane; alcuni di loro addirittura si riferiscono al proprio elettorato parlando di "popolino".

Tutti e tre gli argomenti sono infondati perché da un lato a causa di culture e sistemi sociali molto diversi non puo' emergere uno spazio economico e sociale unitario, a meno che non si instauri uno spazio forzoso comune con un sistema di trasferimenti continui. Ma tutto ciò un giorno imploderebbe portandoci a conflitti e lotte per la redistribuzione in tutta Europa; il ritorno in termini di pace di un'Europa unificata in questo modo resterebbe quindi un sogno incompiuto.

Dall'altro lato la politica di minoranza di una élite porta ad una nazionalizzazione della maggioranza. Perché per la maggior parte dei cittadini in primo luogo è necessario uno stato funzionante in grado di far valere i propri poteri sovrani in ogni parte del paese - che inizia ai propri confini esterni - e che deve essere in grado di organizzare un sistema di sicurezza sociale solidale ed equo per i suoi cittadini. Milton Friedman diceva: puoi avere uno stato assistenziale e puoi avere i confini aperti, ma non puoi averli entrambi contemporaneamente.

Lo stato nazione come prerequisito per la giustizia sociale

Non tutti gli stati nazionali sono uno stato sociale, ma ogni stato sociale è uno stato nazionale. Se in questo paese gli esponenti di sinistra facessero davvero una politica per la maggioranza delle persone, allora dovrebbero prima di tutto sostenere lo stato nazione, che è la condizione preliminare per la giustizia sociale. In questo senso lo stato-nazione è un progetto di sinistra. Il futuro della sinistra si decide nel suo rapporto con lo stato-nazione.

Quindi, al di là degli spettri del nazionalismo e dell'isolamento e oltre il sogno della dissoluzione delle nazioni in un super-stato europeo, dobbiamo finalmente riflettere su come è possibile far funzionare una leale cooperazione europea fondata sugli stati nazionali.

L'uomo globalizzato è uno schiavo

Politicamente, socialmente, culturalmente ed economicamente, l'Europa avrà un futuro stabile solo negli stati-nazione fondati sulla democrazia, all'interno dei quali i cittadini potranno definire democraticamente il quadro all'interno del quale dovrà operare la cooperazione europea. Dopotutto è una contraddizione inestricabile il fatto che a parlare continuamente di diversità siano proprio quelli che in Europa vorrebbero imporre una omogeneizzazione per livellare ogni diversità.

La forza e la grandezza dell'Europa arrivano dalle diverse culture dalle quali sono emerse le nazioni come istituzioni sociali e democratiche. Questa diversità dell'Europa presuppone la libertà, perché solo una persona che vive nella propria regione può davvero essere libera. L'uomo globalizzato è semplicemente uno schiavo degli interessi finanziari ed economici internazionali. È arrivato il momento di ridare allo stato nazione e alla nazione una definizione positiva.




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