Le reazioni del mainstream tedesco in seguito alla vittoria elettorale di Donald Trump sono particolarmente significative, in quanto palesano il fatto che la Germania non sia semplicemente un vassallo degli Stati Uniti, bensì un componente essenziale del Neoliberalismo
Jean-Jacques Rousseau, uno dei grandi
illuministi europei, fu colui che attribuì all'ultima regina di
Francia Maria Antonietta la frase “Se non hanno più pane, che
mangino brioche!”,
che sarebbe stata pronunciata proprio alla vigilia dello scoppio
della Rivoluzione Francese.
Questo motto è divenuto un'icona
linguistica per rimarcare la distanza tra le élite e le masse da
loro governate; esprime l'ignoranza nei confronti delle esigenze e
degli avvenimenti da parte di una classe dirigente immobilizzatasi
nel proprio solipsismo, e che generalmente è l'elemento che fa
sprigionare l'evento storico della rivoluzione.
Non è invece archiviabile come mera
leggenda il fatto che fu Maria Antonietta a optare per una soluzione
militare e che fece sfociare gli Stati Generali in un colpo di stato.
Il risultato fu un acuirsi delle tensioni che accelerò lo
sgretolamento dell'Ancien Régime. Anche in
questo caso l'élite riteneva possibile ripristinare l'ordine (da non
confondere con la pace) attraverso un intervento militare, nonostante
l'inadeguatezza di tale strategia diventasse sempre più evidente con
il passare dei giorni: non ci vuole una laurea in Psicologia per
comprendere le dinamiche di tale meccanismo.
Eppure, anche nel caso in cui i
paralleli con il presente risultino innegabili, la storia non si
ripete mai in modo identico. La cognizione circa la dissociazione tra
le élite occidentali e la vita quotidiana della maggioranza delle
persone è ancora oggi, di nuovo, un tema decisivo. E la sensazione
di trovarsi alla vigilia di un nuovo ordine mondiale è stata
ulteriormente rafforzata dopo l'elezione di Trump a Presidente degli
Stati Uniti. È in questi momenti di sconvolgimento dell'ordine
vigente che si manifestano apertamente le fondamenta e l'impalcatura
sulle quali poggia l'ordine stesso. Per un istante gli effetti
speciali del palcoscenico si inceppano e, nel frattempo, diventa
visibile il meccanismo che è adibito alla riproduzione artificiosa
della realtà. Questo è quanto è avvenuto quel mercoledì mattina,
quando sono diventati definitivi i risultati delle elezioni
americane. Questi momenti di scombussolamento si stanno verificando
sempre più spesso: la loro frequenza aumenta e ciò indica che
qualcosa alla base non funziona più correttamente.
Attraverso il turbamento nella
struttura ordinaria dello schema politico generato dal risultato
elettorale americano si è potuto riconoscere per un momento il vero
volto dell'establishment tedesco. Il rimprovero più volte sollevato
nei confronti della Germania, ossia di essere un vassallo degli Stati
Uniti, deve essere questa volta sospeso,
in considerazione della reazione aggressiva dei politici e dei media
mainstream.
Il ministro della Difesa tedesco Ursula
von der Leyen esige da Trump una dichiarazione di lealtà riguardo
l'alleanza NATO, la Merkel lancia ammonizioni circa il rispetto dei
diritti umani e confonde per l'ennesima volta il concetto di identità
sessuale, che nulla ha a che vedere con i diritti umani, professando
con ciò la sua ignoranza a riguardo. Il populista (in materia
economica), nonché Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble
si mostra preoccupato per l'indipendenza della FED – la Banca
Centrale americana – e, a sua volta, mette in guardia dai
populisti. Il Ministro degli Esteri Franz-Walter Steinmeier, che
viene proposto come candidato per la carica di Presidente Federale,
perde il proprio aplomb diplomatico e per il momento non si
congratula per la vittoria elettorale, screditandosi per un qualunque
incarico che richieda un certa discrezione.
Probabilmente otterrà ugualmente quella carica, giacché, in
definitiva, in un Ancien Régime non sono le qualifiche a risultare
determinanti, bensì la rete di conoscenze.
Ad ogni modo cosa rivelano questi
atteggiamenti inauditamente aggressivi da parte del mondo della
politica?
L'ultima copertina dello Spiegel
raffigura Trump come una meteora impazzita diretta contro la Terra e
annuncia la fine del mondo (come noi lo conosciamo), lo Stern
tratteggia un futuro a tinte fosche, lo Zeit non perde l'occasione di
imprecare contro gli elettori, il Süddeutsche Zeitung riproduce un
respiro agonico, mentre lo Springer Verlag impiega una buona mezza
giornata prima di riprendersi, poi però il massacro parte anche lì.
Dopo quasi un anno di resoconti
apocalittici sulle elezioni statunitensi, che toccarono
l'apice preconizzando un disastro, i media non si sono fermati
un attimo mantenendo imperterriti la loro scadente qualità e
tentando addirittura di abbassare ancor di più il loro già
squallido livello di giornalismo.
Cosa può spiegare questa follia
mediatica?
Improvvisamente ai rappresentanti della
politica e dei media saltano in mente fatti relativi agli USA che
sarebbero stati liquidati come americanismo da strapazzo qualora
fossero stati pronunciati solo due settimane prima.
Cos'è successo?
Di attinente con i fatti che si sono
verificati o con quanto Trump farà non c'è assolutamente nulla, e
in definitiva la campagna elettorale è stata condotta in modo
indegno e non certo come una discussione o uno scambio argomentativo.
C'è un programma elettorale e un breve discorso in cui Trump,
all'indomani delle elezioni, ringrazia i propri elettori e finanche
Hillary Clinton per il suo impegno in favore degli Stati Uniti,
annunciando la sua volontà di riappacificare
i partiti e di essere il Presidente di tutti gli americani. Professa
di voler istituire un governo al servizio dei cittadini e annuncia un
vasto programma per le infrastrutture, un progetto di crescita
nazionale. Parimenti la sua politica estera è improntata alla
riconciliazione: Trump vuole certamente perseguire gli interessi
degli Stati Uniti mantenendo tuttavia un atteggiamento collaborativo
e non ostile nei confronti degli altri Paesi. Ma in realtà lui non
aveva mai dichiarato nulla di diverso; stona con l'immagine di
psicopatico con cui era stato dipinto e risulta invece essere
alquanto ragionevole. “Gli uomini e le donne finora dimenticati non
saranno più abbandonati a sé stessi” è la chiosa passionale del
suo breve discorso.
Cos'è allora che ha fatto scattare
questa furia insensata da parte della politica e dei media
tedeschi?Cosa ha indotto i telegiornali che avevano accompagnato in
modo orribilmente grottesco le elezioni americane a pubblicare a
quattro giorni di distanza dal risultato degli scrutini un articolo
in cui si tenta di collegare la vittoria di Trump a un rigurgito di
violenza razzista negli Stati Uniti? Nessuna testata giornalistica
seria si lascerebbe mai scappare un'affermazione del genere perché
nessuna fonte sufficientemente attendibile sarebbe in grado di
dimostrarla.
La ricerca va condotta, come al solito,
su quanto non viene detto. C'è un particolare della campagna
elettorale di Trump che non è stato discusso qui in Germania: il neo
presidente aveva annunciato di voler ripristinare posti di lavoro
negli Stati Uniti, lanciando in questo modo il guanto di sfida alla
Cina. L'agenda politica di Trump prevede dazi doganali e la Cina,
come è noto, produce più di quanto consuma; la sua imponente
crescita economica degli ultimi anni è dovuta, in larga parte,
proprio all'export. Ciò nonostante, ultimamente sta facendo sempre
più affidamento sul suo immenso mercato interno, distanziandosi
progressivamente dal modello di crescita incentrato sulle
esportazioni.
Nel globo terracqueo vi è però un
altro Paese che ha promulgato a più non posso questo modello
economico, sui cui media il titolo “Campioni del mondo dell'export”
viene venerato come il vitello d'oro. Trump è stato il primo
presidente americano dopo la Seconda Guerra Mondiale ad aver osato
mettere in discussione il paradigma economico tedesco, ritenuto
“asociale”
nei confronti del resto del mondo; tale modello consiste, in poche
parole, nel contenere i salari nel tentativo di aumentare la
produttività, affinché i beni possano essere esportati più
facilmente all'estero. Questo però comporta inevitabilmente anche
“un'esportazione di disoccupazione”: in questo modo la Germania
sta promuovendo la disgregazione dell'Unione Europea (in particolare
dell'Eurozona) e si ritrova ormai sul banco degli imputati a causa
del suo surplus, che, da un lato, sta compromettendo il benessere
degli altri Paesi e, dall'altro, produce un tipo di crescita che
richiede inevitabilmente l'esclusione dei dipendenti salariati dai
profitti generati, altrimenti il modello di crescita economica
andrebbe in tilt.
Con Trump gli accordi internazionali
liberistici come il TTIP vengono meritoriamente messi in soffitta.
L'arrivo di Trump rende però anche
visibile ciò che finora era rimasto nascosto. Le élite tedesche non
sono semplicemente un vassallo degli Stati Uniti, bensì un motore
fondamentale di quel consesso che vorrebbe far attecchire in ogni
angolo del pianeta la forma attuale di Neoliberalismo. Lo si può
notare dal modo in cui salutano la conseguente militarizzazione e la
frattura della società. Tale consenso annovera personaggi
provenienti dall'intero spettro politico e mediatico: in ogni partito
e in tantissimi mezzi di informazione ci sono singoli elementi che
perseguono un certo tipo di politica, e nel complesso tutti i partiti
e la totalità del sistema mediatico condividono l'agenda
neoliberale.
Grazie a Trump è inoltre visibile
quanto le élite tedesche abbiano subordinato il pensiero politico in
favore delle Relazioni Pubbliche e del Marketing. Da tempo, ormai,
non c'è più traccia – e questo ormai lo percepiscono e lo sanno
in molti – di una ricerca di alternative e di un compromesso per il
bilanciamento degli interessi di tutti i gruppi sociali in gioco; al
contrario si procede con la propaganda più convincente possibile di
una presunta mancanza di alternative a scapito della maggioranza
delle persone. Tutto ciò non è più accettabile.
Gli sconvolgimenti scatenati dalle
elezioni americane mostrano anche che in Germania non c'è
un'alternativa di sinistra ad un Donald Trump. La sinistra, in
seguito alla pressione derivante dalla caduta dell'Unione Sovietica
negli anni '90, ha smesso di sollevare la questione della
ridistribuzione dei profitti, per rincorrere quella della
partecipazione e dell'inclusione. In termini cromatici, bandiere
arcobaleno al posto di bandiera rossa. Questo è stato un errore
madornale, ormai difficilmente lo si può negare. Gli Antifa
sventolano bandiere in una dimostrazione anti Trump davanti
all'Ambasciata di Berlino e reclamano pace e il rispetto dei diritti
umani. L'imbarazzo, la goffaggine e l'inconsapevolezza che quelle
immagini esprimono a livello psicologico fanno male. La sinistra in
Germania assomiglia a un piccolo conglomerato conforme al sistema.
Grazie a Trump si verificherà un maggior numero di rivendicazioni
degne della vera sinistra rispetto a quanto è stato fatto sotto
Obama o quanto si sarebbe fatto con la Clinton.
La Germania, i suoi partiti e le sue
corporazioni svolgono un ruolo centrale in seno al progetto
neoliberale di riorganizzazione del mondo. In quest'ottica la
reazione al voto americano diventa facile da interpretare. Si capisce
come mai la notizia che il presidente venturo voglia cercare di
conciliarsi con la Russia scateni quest'ondata di panico. Per un
istante il telone è stato stracciato: pace e accordi con la Russia?
Per il ministro della Difesa tedesco, per i politici di ogni partito,
per gli articolisti, per gli Antifa, per i gruppi di sinistra, per
tutti loro ciò rappresenta un pensiero raccapricciante. Molto meglio
lasciare in piedi l'attuale aggressione strutturale.
L'immagine della Russia malvagia, che
allunga la sua mano in direzione della pacifica Europa, è stata
amplificata. Attribuirle un ruolo così nefasto e minaccioso
significa essere spiccatamente disinformati circa gli sviluppi
verificatisi nella Federazione Russa; la Russia sta sviluppando
assieme ad altri Stati un'imponente rete di progetti all'impronta
della collaborazione reciproca: i BRICS, le nuove vie della seta,
l'unione doganale e il gruppo di Shanghai dovrebbero essere usati
come semplici rimandi a concetti o realtà ben note. E quindi, invece
di perseguire questo progetto tutt'altro che irrilevante, alla Russia
salterebbe ora in testa l'idea di invadere militarmente la
Lituania... non poteva esserci argomento più ridicolo. Il guaio è
che questo è il livello della discussione politica in Germania.
In fondo i Tedeschi dovrebbero
applaudire un Presidente americano che non ha intenzione di ridurre
in cenere nucleare l'Europa; la Clinton sarebbe stata pronta a ciò.
Dovrebbero acclamare chi osteggia apertamente il TTIP; la Clinton non
avrebbe invece mollato la presa. Dovrebbero schierarsi dalla parte di
chi vuole evitare la guerra; la Clinton invece – come ha fatto
anche Obama – avrebbe calpestato ogni diritto internazionale pur di
attenersi ad un'idea di America che sovrasta gli altri popoli e le
altre nazioni.
Ma il fatto che ciò non accada,
simbolo di un'evidente ignoranza politica del popolo tedesco, è
assai preoccupante.
L'ultima regina di Francia Maria
Antonietta aveva origini tedesche. D'altronde lo stesso valeva per la
zarina russa Caterina la Grande; il suo nome incarna il fiorire della
cultura e del sentimento nazionale russo. La recente tornata
elettorale ha dimostrato che la Germania deve decidersi: in questo
momento essa si trova avvinghiata all'agenda neoliberale, ponendosi
pertanto in modo molto esplicito contro ogni progetto che miri alla
pacificazione. Ma la posizione della Germania è sempre più isolata.
Dobbiamo veramente attenerci al copione? Di nuovo “Deutschland
über alles”? Così non può funzionare.