martedì 19 marzo 2019

Peter Bofinger: perché dobbiamo liberarci quanto prima dall'ideologia dello Schwarze Null

Il grande economista Peter Bofinger, per oltre 15 anni membro del prestigioso Consiglio degli esperti economici tedeschi, dalle pagine della IPG (Internationale Politik und Gesellschaft) ci spiega perché la Germania deve liberarsi quanto prima dalla assurda ideologia dello Schwarze Null. Ne scrive Peter Bofinger sulla rivista IPG.

Quando i nostri figli e nipoti fra 30 anni guarderanno indietro per capire cosa è accaduto in questo periodo, probabilmente si chiederanno per quale motivo un paese civile come il Regno Unito abbia potuto prendere in considerazione l'idea di uscire dall'Unione Europea rinunciando alle sue prospettive economiche e politiche. Guardando alla Germania invece, si chiederanno perché la terra dei poeti e dei pensatori abbia scelto di seguire ciecamente l'ideologia dello "Schwarze Null": come è possibile che la Germania abbia intenzionalmente deciso di rinunciare gli investimenti per il futuro - credendo anche di fare un favore alle generazioni future?

La SPD sembra essere in procinto di correggere gli errori del passato. Ciò vale in particolar modo per le riforme del mercato del lavoro realizzate nel 2005 sotto il cancelliere federale Gerhard Schröder, il quale aveva incaricato una commissione sotto la presidenza di Peter Hartz, l'ex direttore del personale della Volkswagen. Le riforme Hartz per molti anni sono state celebrate come una grande conquista. Ad un esame più attento, tuttavia, è chiaro che assomigliano molto alla fiaba "I vestiti nuovi dell'Imperatore".


Perché i successi dell'economia tedesca sui mercati mondiali non hanno nulla a che fare con il fatto che con Hartz IV i  benefici per i disoccupati di lunga durata sono stati ridotti. Se una tale riforma fosse davvero un punto di svolta, allora l'economia italiana e greca dovrebbero prosperare, dopotutto, i disoccupati di lunga durata in quei paesi non ricevono alcun sostegno statale. È quindi positivo che la SPD abbia iniziato a mettere sotto esame Hartz IV, casualmente anche con effetti positivi sui risultati dei loro sondaggi.

Proprio per questa ragione la SPD dovrebbe essere coraggiosa e prendere le distanza dall'ideologia dello "Schwarze Null", ideologia secondo la quale i bilanci pubblici devono essere sempre in pareggio. Perché a sostegno di questa regola, che a partire dalla crisi finanziaria globale è stata inserita anche in Costituzione con il nome di "freno all'indebitamento", non ci sono argomenti economici validi.

In Germania, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo attualmente è del 56%. Questa cifra è inferiore al limite del 60% fissato dal Trattato di Maastricht e ben al di sotto del livello degli altri paesi del G7: il Giappone ha il più alto rapporto debito PIL, al 237% del PIL, seguito dall'Italia (129%), Stati Uniti Stati (108%), Francia (96%), Regno Unito (87%) e Canada (85%).

Finora la scienza economica non è riuscita a calcolare un limite massimo convincente per il rapporto debito/PIL degli Stati. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel 2010 in un articolo scritto per l'American Economic Review avevano identificato una soglia del 90 %, lo studio tuttavia conteneva alcuni dati errati. Inoltre, nonostante il suo elevato rapporto debito/PIL, il Giappone non ha mai avuto problemi a prendere in prestito nuovo denaro. Non c'è mai stata una grande crisi di fiducia nei confronti dello yen. Al contrario, la valuta giapponese spesso in passato è andata meglio di quanto non abbia fatto l'economia giapponese.

Ma anche supponendo che un rapporto debito/PIL al 60% per la Germania sia appropriato, lo Schwarze Null non è giustificato. Supponiamo che il prodotto interno lordo nominale continui a crescere di circa il 3% all'anno. In questo caso, il deficit di bilancio annuale della Germania potrebbe ammontare all'1,8% del PIL, quindi il rapporto debito/PIL rimarrebbe al livello attuale. Ciò deriva da una formula semplice: il livello di deficit, che consente di mantenere costante il rapporto debito/PIL è il prodotto del tasso di crescita del PIL nominale e del rapporto debito/PIL (3 x 0,6 = 1,8). La Germania, quindi, ogni anno potrebbe spendere circa 60 miliardi in più in investimenti pubblici.

Con un deficit di questa portata, la Germania si troverebbe ad un livello simile al resto del G7. Attualmente il deficit è del 5,0% negli Stati Uniti, del 2,8% in Giappone, dell'1,7% nel Regno Unito e in Italia e dell'1,1% in Canada.

Sebbene non esista una solida base teorica per stabilire un limite massimo nel rapporto debito/PIL, si può affermare che l'indebitamento di un paese sovrano può essere giustificato se il denaro viene utilizzato per finanziare gli investimenti per il futuro. Questa è la "regola d'oro" delle politiche di finanza pubblica, che può essere dedotta dalla ottimale distribuzione delle risorse nel tempo. La logica di questa regola è tanto semplice quanto intuitiva: se lo stato costruisce un nuovo ponte che può essere utilizzato nei prossimi 50 anni, non vi è alcun motivo per pagarlo solo con le entrate dell'anno in corso.

Persino l'ultra-conservatore "Consiglio tedesco dei saggi economici" nel 2007 ha esplicitamente confermato il principio della regola aurea in una relazione speciale pubblicata sotto il titolo: "Limitare in modo efficace il debito pubblico". Gli economisti sostenevano che la richiesta di un generale divieto all'indebitamento era "economicamente priva di senso, come lo sarebbe proibire ai privati ​​o alle aziende di prendere denaro in prestito".

Se la Germania rinunciasse allo Schwarze Null come leitmotiv della sua politica fiscale e iniziasse invece a seguire la regola aurea, si potrebbe fare molto per migliorare la prosperità e la qualità della vita delle generazioni future. Il risultato sarebbe una maggiore stabilità politica: migliori infrastrutture pubbliche e maggiori risorse da dedicare all'istruzione contrasterebbero una insoddisfazione ampiamente diffusa nei confronti della classe politica. Con i fondi pubblici sarebbe possibile aumentare considerevolmente le attività di ricerca nel nostro paese e l'uso di energie rinnovabili - in linea con la già pianificata transizione energetica.

Più investimenti pubblici in Germania, inoltre, darebbero un contributo alla riduzione dell'eccedenza commerciale tedesca e a riequilibrare gli squilibri economici all'interno dell'area dell'euro. Questo, a sua volta, potrebbe togliere il vento dalle vele del protezionismo del governo americano, particolarmente critico nei confronti della Germania a causa del suo surplus di conto corrente molto elevato.

I vantaggi economici e politici di un simile cambio di paradigma fiscale sono ovvi. Allo stesso tempo è difficile capire cosa la Germania potrebbe avere da guadagnare se restasse ancorata allo Schwarze Null. In termini puramente matematici nei prossimi 20 anni il rapporto debito/PIL scenderebbe dall'attuale 56% al 31%. Nessun economista serio potrebbe ragionevolmente giustificare perché un rapporto debito/PIL così basso dovrebbe essere vantaggioso.

La più importante sfida politica del futuro sarà quella di superare la  profonda riluttanza dei tedeschi ad accettare l'indebitamento. A differenza di altre lingue, il termine "Schulden" (debito) in tedesco porta dentro di sé il significato di "Schuld" (colpa) e quindi ha una particolare connotazione negativa. A ciò bisogna aggiungere il fatto che è molto difficile spiegare il meccanismo tramite il quale il rapporto debito/PIL rimane stabile quando il debito pubblico aumenta in proporzione al PIL nominale.

Ciò tuttavia non dovrebbe essere una scusa per attenersi allo Schwarze Null e rinunciare all'enorme potenziale economico e politico di un simile cambio di paradigma per la Germania. Nella storia dei "Vestiti nuovi dell'imperatore", un bambino pronuncia l'ovvio: il re è nudo. La SPD dovrebbe avere il coraggio di fare la stessa cosa nei confronti del mito dello zero nero.

La retromarcia della SPD sulle riforme Hartz dimostra che tale coraggio può anche pagare. Già oggi ci sono dei prominenti economisti tedeschi pronti a mettere in discussione il pareggio di bilancio. Adesso anche la politica dovrebbe cedere. E in questo modo tutti noi fra 20 o 30 anni non dovremo confrontarci con la domanda dei nostri figli e nipoti su come sia stato possibile sprecare una così grande occasione per migliorare il loro benessere economico e politico, proteggendo l'ecosistema.



domenica 17 marzo 2019

La battaglia per l'autonomia strategica

Un influente Think Tank della capitale tedesca ipotizza la necessità di creare le condizioni per una maggiore autonomia strategica di Berlino e Bruxelles. Sullo sfondo il conflitto con gli americani per il gasdotto Nord Stream 2, sulla tecnologia Huawei e per i costi di stazionamento dei militari. Per German Foreign Policy, anche se fino ad ora il bilancio è modesto, l'autonomia strategica dall'America è l'inizio di un percorso che porta allo status di potenza mondiale. Da German Foreign Policy


"Autonomia strategica"

"L'autonomia strategica" che l'UE ha rivendicato per la prima volta nella sua "Strategia globale per gli affari esteri e la politica di sicurezza" del giugno 2016 [1], è oggetto di un recente studio della Fondazione Wissenschaft und Politik (SWP), fondazione finanziata dalla Cancelleria di Berlino. Per la SWP "l'autonomia strategica" non è solo "la semplice capacità di stabilire le priorità nella politica estera e di sicurezza e di prendere decisioni"; è necessario piuttosto disporre anche "delle condizioni istituzionali, politiche e materiali" per "implementare in maniera indipendente,  o in collaborazione con terzi, se necessario," le proprie priorità. [2] "Il contrario dell'autonomia strategica", prosegue la SWP, "sarebbe lo status di chi deve recepire  regole e decisioni strategiche prese da terze parti... con un effetto immediato sull'Europa". I "terzi" che stabiliscono le regole e prendono decisioni, possono essere anche gli Stati Uniti. "L'autonomia strategica" nei confronti degli Stati Uniti condurrebbe allo status di potenza globale.


La costruzione del contro-potere

La SWP consiglia "di espandere le proprie opzioni in politica estera", anche nei confronti degli Stati Uniti. [3] La "politica estera dirompente e irregolare" dell'amministrazione Trump "sfida l'UE a definire e proteggere gli interessi europei in maniera più forte". Berlino e Bruxelles inoltre, anche "per il periodo che seguirà la fine della presidenza di Donald Trump, dovranno prepararsi ad affrontare sempre piu' polemiche, dibattiti aperti e anche conflitti con gli Stati Uniti". Nel perseguimento di una "autonomia strategica" si possono trarre "alcune conclusioni per gestire i rapporti con gli Stati Uniti". Pertanto l'UE e i suoi stati membri  "... a seconda del conflitto e della costellazione di interessi..." dovranno "perseguire una politica di contro-potenza economica e diplomatica solida oppure più soft". "L'autonomia strategica" non deve essere mantenuta invano: in ogni occasione si dovrà sempre "nominare e prendere in considerazione i costi di una maggiore autonomia strategica nei confronti degli USA".

Bilancio misto

Ed è in questo contesto che i conflitti con gli Stati Uniti continuano ad aumentare. Finora Berlino e Bruxelles possono mostrare un bilancio misto. Cosi' nel conflitto commerciale è subentrata una sorta di situazione di stallo, mentre la minaccia di dazi punitivi sulle importazioni di auto pende come una spada di Damocle sull'UE, e molto di più sulla Germania - l'industria automobilistica tedesca, vanto della Repubblica federale, verrebbe colpita duramente dai dazi doganali [4]. Anche il tentativo di mantenere aperto il commercio con l'Iran per salvare l'accordo nucleare con Teheran dopo il ritiro degli Stati Uniti può essere considerato fallito: la minaccia di sanzioni degli Stati Uniti ha spinto tutte le maggiori compagnie dell'UE a interrompere il business con l'Iran. Lo strumento finanziario annunciato molto tempo fa da Berlino e Bruxelles, che avrebbe dovuto consentire di evitare le sanzioni statunitensi, in realtà non sta funzionando. [5]

Battaglia su Nord Stream 2

L'amministrazione Trump ora va all'offensiva su altri due campi in cui la Repubblica federale sta cercando di difendere i propri interessi, in contrasto con quelli degli Stati Uniti, per far rispettare la sua "autonomia strategica". Uno di questi riguarda il gasdotto Nord Stream 2, il quale assicura alla Germania [6] l'accesso esclusivo alle riserve di gas della Russia e conferisce a Berlino una posizione centrale nelle forniture di gas naturale all'UE. Già ad inizio mese un funzionario di alto livello del Dipartimento di Stato americano aveva confermato che se le compagnie europee dovessero continuare a lavorare al gasdotto, rischiano "sanzioni significative" [7]. Un altro funzionario di governo degli Stati Uniti, davanti alla stampa economica, ha confermato che Washington sta preparando le sanzioni. A Berlino lo si considera come un attacco nei confronti di un alleato NATO. "Le sanzioni condurranno inevitabilmente a uno scontro non solo con la Germania, ma anche con l'Europa", ha dichiarato un funzionario del governo di Berlino: "faremo tutto il necessario per completare il gasdotto". [8]

La battaglia su Huawei

Contemporaneamente si registra un'escalation del conflitto sull'uso della tecnologia del gruppo cinese Huawei per lo sviluppo delle reti 5G in Germania e nell'UE. Berlino non ha ancora preso una decisione definitiva, ma finora si è tenuta aperta la possibilità di utilizzare i prodotti Huawei per venire incontro ai forti interessi delle aziende tedesche [9]. Washington continua la sua campagna globale per escludere Huawei e aumenta la sua pressione sul governo federale. L'ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino, Richard Grenell, con una lettera al ministero federale dell'economia ha minacciato che se Huawei in Germania dovesse avere via libera, allora gli Stati Uniti in futuro si troverebbero nella situazione "di non poter piu' scambiare informazioni di intelligence e altri dati come è accaduto fino ad oggi" [10]. Anche nella disputa sul Nord Stream 2, Grenell aveva già fatto ricorso a lettere di minaccia, senza tuttavia rivolgersi direttamente al governo federale, ma a dozzine di aziende di diversi paesi europei.

Tasse di stazionamento

Nella battaglia di potere con Berlino, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo quanto riporta la stampa, sta ora prendendo in considerazione l'ipotesi di richiedere del denaro per il dispiegamento delle truppe statunitensi. Seoul ha già dovuto aumentare a 925 milioni di dollari la somma che paga a Washington per lo stazionamento dei circa 28.500 soldati statunitensi di stanza in Corea del Sud. Si tratta di circa la metà dei costi di stazionamento. Trump sta attualmente pensando, si dice nell'ambito dei suoi collaboratori piu' stretti, di aumentare di una volta e mezza l'importo dei costi di stazionamento, e non solo in Corea del Sud. Ciò potrebbe colpire anche la Germania, dove attualmente sono presenti più di 33.000 militari statunitensi. [11] In questo modo si estenderebbe ad un altro campo il conflitto per l'autonomia strategica della Germania e dell'UE.
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[1] Gemeinsame Vision, gemeinsames Handeln: Ein stärkeres Europa. Eine Globale Strategie für die Außen- und Sicherheitspolitik der Europäischen Union. Brüssel, Juni 2016.
[2], [3] Barbara Lippert, Nicolai von Ondarza, Volker Perthes (Hg.): Strategische Autonomie Europas. Akteure, Handlungsfelder, Zielkonflikte. SWP-Studie 2. Berlin, Februar 2019.
[4] S. dazu Vorbereitungen auf den Handelskrieg.
[5] S. dazu Sanktionskrieg um Iran.
[6] S. dazu Die Macht der Röhren.
[7] Jamie Dettmer: US Officials Issue Sanctions Warnings to Europe Over Russian Gas. Voanews.com 06.03.2019.
[8] Bojan Pancevski: How a Russian Gas Pipeline Is Driving a Wedge Between the U.S. and Its Allies. wsj.com 10.03.2019.
[9] S. auch Spionage bei 5G (II).
[10] Silke Mülherr: Der Drohbrief von Trumps Botschafter an die Bundesregierung im Detail. welt.de 12.03.2019.
[11] John Hudson, Anne Gearan, Philip Rucker, Dan Lamothe: Trump invokes new demand for extracting billions of dollars from U.S. allies. washingtonpost.com 09.03.2019.



Perché con AKK ci sarà un cambio di paradigma nella politica europea tedesca

"Per Annegret Kramp-Karrenbauer, la pressione per ricostruire l'Europa non deriva più dalla fragilità delle sue istituzioni, ma dalla mutata situazione mondiale", scrive Ulrich Speck sulla Neue Zürcher Zeitung, per questo con AKK dovremmo aspettarci un cambio di paradigma della politica europea tedesca. Ne scrive Ulrich Speck sulla NZZ.ch


L'Europa come cantiere permanente, la casa europea come una visione guida per il futuro: il discorso sull'UE degli ultimi decenni è stato guidato da un'idea federalista che mirava agli "Stati Uniti d'Europa". Nel suo sbocco piu' felice, gli stati odierni non sarebbero scomparsi del tutto, ma sarebbero stati messi in ombra da un super-stato europeo.


Ciò che distingueva i pro-europei nelle loro sfumature non era la visione, ma solo il radicalismo con cui queste venivano perseguite. Alcuni volevano accelerare il progetto e riorganizzare le istituzioni dell'UE di Bruxelles il più alla svelta possibile, seguendo l'esempio delle istituzioni nazionali: la Commissione al governo e il Parlamento come potere legislativo e organo di controllo. L'introduzione dell'euro sembrò rendere inevitabile un tale sviluppo: solo un'entità statale dotata di sovranità avrebbe potuto stabilizzare la moneta.

Nel suo manifesto europeo, il nuovo leader della CDU ha dato a questo  discorso europeo tradizionale un approccio e un tono completamente diverso («Europa richtig machen»). Per Annegret Kramp-Karrenbauer, che si posiziona come successore di Merkel anche alla Cancelleria, la pressione per ricostruire l'Europa non deriva più dalla fragilità delle istituzioni, ma dalla mutata situazione mondiale. La questione è se l'Europa ha la volontà di "modellare attivamente" le regole della futura convivenza globale, oppure accetta di diventare una palla da gioco nella nuova competizione fra le grandi potenze.

Si tratta di una auto-affermazione in un mondo che sta cambiando radicalmente nel quale a proteggere l'Europa dalle tempeste non c'è piu' un'America "egemone benevolente". L'Europa dovrà essa stessa mettere in risalto i suoi interessi globali.

Da una parte c'è il lato interno: "assicurare le basi della nostra prosperità" attraverso l'innovazione e il progresso tecnologico. Dall'altro c'è il lato esterno, ovvero "la capacità di agire in materia di politica estera e di sicurezza", capacità da sviluppare attraverso l'introduzione di "un consiglio europeo di sicurezza": con il Regno Unito e con un ampio portafoglio che non comprenderà solo la politica di sicurezza, ma anche la politica estera nel suo complesso.

L'auto-affermazione europea in un mondo di poteri fra loro in competizione può essere basata solo sugli stati nazione già esistenti i quali dispongono delle risorse in termini di legittimità e potere. Il "peso internazionale degli europei" deriva dal fatto che gli stati "formulano e riconciliano a livello europeo i propri interessi", scrive il presidente della CDU.

Con il suo manifesto, Kramp-Karrenbauer spinge programmaticamente verso un cambio di paradigma nella politica europea della Germania. Trae le conseguenze da una situazione geopolitica radicalmente cambiata. Se l'Europa vuole mantenere il suo ordine liberale interno contro il crescente nazionalismo e la nuova concorrenza delle grandi potenze, allora non potrà limitarsi a prendersi cura solo degli aspetti interni perfezionando le sue istituzioni, ma dovra riorganizzarsi in termini di politica della forza. Le capitali, così come i principali azionisti della cooperazione europea, non possono delegare questo compito a Bruxelles, ma devono mettere tutto il loro peso dietro il perseguimento di questa nuova Europa.




sabato 16 marzo 2019

Una presidenza europea orgogliosamente sponsorizzata dalle bollicine americane

"Coca Cola supporta orgogliosamente la prima presidenza del consiglio europeo della Romania", cosi' è scritto sui cartelloni esposti durante gli incontri dei ministri europei in questo primo semestre 2019. La presidenza del consiglio europeo a guida rumena come un gran premio di Formula 1 o una partita di Champions League; per Lobby Control tuttavia non si tratterebbe di una coincidenza. Ne parla Lobby Control


Pannelli luminosi con il logo della Coca-Cola, poltrone sacco nel colore del marchio del più grande produttore mondiale di bevande, frigoriferi pieni con bottiglie di Cola per il consumo gratuito. Chiunque durante queste settimane visiti una riunione del Consiglio UE a Bruxelles o a Bucarest difficilmente potrà ignorare i messaggi pubblicitari del gigante americano delle bollicine. Coca-Cola insieme a Mercedes, Renault e al fornitore di telecomunicazioni Digi è il "Platin-patner" della presidenza rumena del Consiglio dell'UE - e può anche inserire immagini pubblicitarie. "Il valore aggiunto creato dalla catena di approvvigionamento del sistema Coca-Cola rappresenta circa lo 0,3 per cento del PIL del paese" campeggia ad esempio su uno degli spazi pubblicitari presenti in occasione della riunione del Consiglio dei ministri della difesa e degli esteri di Bucarest, riferiva "Die Presse" ad inizio di febbraio.

La democrazia non è un evento di Formula Uno

Nei giorni scorsi diversi giornalisti hanno parlato della questione, mentre l'organizzazione per la protezione dei consumatori Foodwatch ha chiesto di porre fine a questa pratica. Quello di Coca-Cola non è un caso isolato. Le presidenze del consiglio talvolta funzionano come un evento di Formula 1 o come una conferenza stampa della UEFA Champions League. Loghi aziendali a perdita d'occhio.

L'Austria nel 2018 si era fatta sponsorizzare la sua presidenza dell'UE, fra gli altri, da Porsche, Audi e Microsoft. La Bulgaria nello stesso anno aveva avuto anche più di 50 sponsor, tra cui Microsoft e BMW. E nel 2017 il paradiso fiscale dell'UE, Malta, ha fornito una piattaforma di primo piano per BMW, Microsoft e AirMalta.

Il governo maltese in maniera molto franca aveva ammesso ciò di cui esattamente si trattava: "gli inserzionisti beneficiano della possibilità di essere associati a numerosi eventi di alto livello che forniscano loro una esposizione preziosa, prestigio e maggiore riconoscimento del marchio per i loro servizi e prodotti". Oppure espresso in numeri: "200 riunioni della Presidenza, visitate da circa 20.000 funzionari" più molti delegati in altri eventi a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo.

Quanti soldi ottengano gli Stati membri dell'UE per la loro sponsorizzazione non sempre viene reso noto. Fino ad oggi la Romania non ha risposto alle richieste della nostra organizzazione partner Obsveratory Corporate Europe. L'Irlanda ha invece volontariamente ammesso di aver ricevuto nel 2013 ben 1,4 milioni di euro dai suoi sette partner, tra i quali Audi.

Tutto ciò è alquanto problematico. Perché la politica dopotutto in una democrazia dovrebbe essere indipendente e impegnarsi per il bene comune. Il corso politico fondato sugli abbracci e le coccole alle aziende, d'altra parte, offre ai gruppi industriali degli importanti contatti con le lobby e l'opportunità di rafforzare la propria agenda.



La Coca Cola esercita pressioni contro la tassazione, il deposito per il vuoto e gli obiettivi di riciclaggio

Coca Cola, da anni ad esempio si batte contro una tassa sullo zucchero di cui in molti paesi dell'UE si dibatte da anni. I documenti interni al Gruppo, pubblicati nel 2016, mostrano che Coca-Cola, oltre a questa tassa, sta combattendo sia le norme sui depositi per il vuoto che gli obiettivi di riciclaggio più elevati. Il documento strategico interno fornisce a queste misure la "massima priorità" - con un chiaro mandato: "combatterle".

La presidenza del Consiglio dell'UE a intervalli semestrali ruota tra i 28 Stati membri dell'UE. Nel gennaio 2019, la Romania ne ha assunto la guida. Sarà interessante vedere se anche la Germania durante la sua presidenza del 2020 si farà sponsorizzare. Gli stati membri decidono autonomamente sui loro sponsor. Regole a livello europeo sembrano apparentemente non ce ne sono. Ad esempio, il manuale del Consiglio dell'Unione europea sulla presidenza non menziona affatto le sponsorizzazioni.

Le sponsorizzazioni a livello dell'UE sono presenti anche nei cosiddetti intergruppi. I membri sono parlamentari, rappresentanti di aziende, organizzazioni e associazioni. Un esempio è l'European Internet Forum (EIF), che oltre a molti eurodeputati, comprende anche rappresentanti di importanti aziende IT come Amazon, Apple e Facebook. Il bilancio annuale di oltre mezzo milione di euro viene completamente finanziato dalle aziende. E alcuni dei deputati al Parlamento europeo, i cui emendamenti sono stati inseriti nel progetto di regolamentazione della protezione dei dati nell'UE, in parte ripresi da documenti provenienti dal settore, erano casualmente membri dell'EIF.

La politica tedesca si fa sponsorizzare dall'industria del tabacco e della difesa

Ma anche in Germania le sponsorizzazioni sono un problema serio. Le grandi aziende sponsorizzano, sia in patria che all'estero, ministeri e istituzioni pubbliche, i partiti e le loro organizzazioni giovanili. Airbus, azienda operante nel settore della difesa, ad esempio, nel 2016 ha sponsorizzato con 50.000 euro il padiglione tedesco ad un festival culturale in Arabia Saudita. Il cantiere Lürssen che in Arabia Saudita non esporta solo yacht di lusso, ma anche navi da guerra, ha contribuito alla manifestazione con un "una sovvenzione", secondo quanto si apprende dal Ministero degli esteri. Il produttore di sigarette Philip Morris a sua volta, tra il 2010 e il 2015, ha versato alla CDU, CSU, SPD e FDP, oltre mezzo milione di euro per diversi eventi di partito, tra cui il congresso del partito della CSU a Norimberga, il raduno nazionale dei giovani dell'Unione, il festival estivo dei Giovani Liberali o la "Spargelfahrt" del circolo di Seeheim della SPD.

Un certo clamore è stato causato anche dallo scandalo "Rent-a-Sozi" del 2016. Frontal21 all'epoca aveva scoperto che una società controllata dalla SPD aveva offerto ad aziende e gruppi di pressione vari incontri con i leader della SPD tra cui Heiko Maas, Andrea Nahles o Katharina Barley dietro il pagamento di una somma fra i 3.000 e i 7.000 euro.

Attualmente la sponsorizzazione dei partiti è priva di trasparenza e di regole. Non c'è da stupirsi che sempre più aziende come BMW o Gesamtmetall non facciano più affidamento sulle donazioni ai partiti, ma sulle sponsorizzazioni. Così ad esempio, secondo le ricerche di Lobby Control, la sola Volkswagen fra il 2014 e il 2017 ha speso 656.260 euro in sponsorizzazioni ai partiti - ovvero circa quattro volte quanto VW spendeva in precedenza in media ogni anno.

Per questo motivo da molto tempo chiediamo regole chiare e maggiore trasparenza nella sponsorizzazione. In Europa e in Germania.


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giovedì 14 marzo 2019

Intervista ad Andreas Nölke: "Non possiamo fare a meno dello stato nazione"

Andreas Nölke è professore di scienze politiche a Francoforte nonché la mente dietro il raggruppamento di sinistra Aufstehen!. Intervistato da Welt ci spiega perché non possiamo fare a meno dello stato nazione e perché l'immigrazione è un problema serio. Da Welt.


Welt: Herr Nölke, come professore di scienze politiche a Francoforte lei si è schierato a favore dello stato-nazionale. Perché?

Andreas Nölke: in realtà fra i sostenitori della sinistra è qualcosa di insolito, la maggior parte vorrebbe superare lo stato nazione. Io invece nel medio periodo non voglio, perché ci sono importanti funzioni che al momento vengono svolte meglio a livello nazionale. La democrazia, lo stato sociale e lo stato di diritto funzionano meglio nello stato nazionale che nell'UE. In questo senso, credo che l'aspirazione della sinistra a creare un super-stato europeo e poi uno stato mondiale non siano adeguate.

Welt: quindi apprezza le funzioni dello stato-nazionale, ma per ragioni diverse dalle destre?

Nölke: in realtà ci sono diversi motivi per sostenere lo stato nazionale. Non mi interessa il superamento della cultura tedesca. Ma lo stato-nazione, in quanto stato sociale, dispone dei mezzi per migliorare la situazione delle persone piu' svantaggiate, e rimane l'istanza più importante per protegge la loro libertà e sicurezza.


Welt: per quanto tempo ne avremo ancora bisogno?

Nölke: fino a quando non ci saranno segnali evidenti che la democrazia può funzionare meglio a un livello più elevato. Se emergesse un'opinione pubblica europea, se aumentasse l'identificazione con l'UE, se l'affluenza alle elezioni europee fosse più elevata - allora potremmo pensare di lasciarci alle spalle lo stato nazione.

Welt: quali elementi dell'UE sono anti-democratici?

Nölke: distinguo fra deficit democratico strutturale e attuale. Quest'ultimo include un'affluenza significativamente inferiore alle elezioni europee. La legittimità della democrazia si basa sulla volontà dei cittadini di andare a votare. Darei una maggiore legittimità a quel livello per il quale i cittadini votano con maggiore partecipazione.

Inoltre, anche alle prossime elezioni europee le questioni nazionali avranno un ruolo importante, anche perché non abbiamo un'opinione pubblica europea e sappiamo molto di più sulla politica di Berlino che non su quella di Bruxelles. Ma questi sono tutti problemi risolvibili. I deficit strutturali sono più difficili da risolvere.

Welt: quali sono?

Nölke: empiricamente, si può stabilire una stretta connessione tra le dimensioni di una comunità e il funzionamento della democrazia. Non so come ciò possa essere risolto nel quadro dell'UE. Inoltre, se osservo da sinistra vedo dei problemi con la mancanza di neutralità economica della costituzione europea. I trattati europei non erano destinati a diventare una costituzione, ma grazie all'interazione fra la Corte di giustizia europea e la Commissione sono diventati de facto una costituzione europea - attraverso due istituzioni con una legittimazione democratica estremamente indiretta.

Welt: cosa non la soddisfa dal punto di vista del contenuto?

Nölke: le quattro libertà fondamentali per i beni, i capitali, i servizi e il lavoro, sono state prima inserite nei trattati, con intenzioni di politica economica, per poi insinuarsi nella costituzione. Una cosa del genere, tuttavia, non dovrebbe trovare posto in una costituzione perché significa che queste libertà economiche non sono più accessibili al potere politico.

Ecco perché questa costituzione per me non è accettabile. Ci sono proposte per rimuovere queste norme dai trattati, sarebbero quindi soggette alla legislazione normale, e in quel caso non avrei alcun problema.

Welt: tra le quattro libertà fondamentali viene soprattutto contestata la circolazione illimitata dei lavoratori all'interno dell'UE. Questo diritto alla mobilità degli europei e l'accettazione della migrazione irregolare non sono forse di sinistra?

Nölke: dal mio punto di vista: no. Per me, in quanto uomo di sinistra, si tratta prima di tutto della protezione dei lavoratori. E una forte immigrazione mina le condizioni lavorative dei più deboli all'interno della nostra società. Perché è soprattutto la migrazione irregolare a portare da noi persone poco qualificate, fatto che aumenta la concorrenza in questo settore del mercato del lavoro. Diversi studi mostrano che un tale afflusso di lavoratori nel segmento meno qualificato ha effetti alquanto problematici. Dal punto di vista dell'economia nel suo complesso, tuttavia, l'immigrazione può anche avere degli effetti positivi.
Welt: a quali studi si riferisce?

Nölke: dopo la forte immigrazione da Cuba verso la zona di Miami, nell'ambito dell'esodo di Mariel del 1980, è stata osservata una ripresa generale dell'economia, ma una riduzione fino a un terzo del livello dei salari fra le persone meno qualificate. Un altro studio ha fornito un quadro simile dopo l'apertura da parte dell'Austria agli europei dell'Est nel 2011: è stato buono per il prodotto interno lordo, ma catastrofico per le persone poco qualificate.

Le aziende hanno un legittimo e razionale bisogno di ottenere una buona manodopera al miglior prezzo possibile. Un'alta offerta significa prezzi bassi. Tuttavia, questi interessi spesso non sono in sintonia con quelli della società ospitante, né con quelli delle società che hanno formato queste persone. E spesso nemmeno con quelli dei migranti stessi, molti dei quali preferirebbero vivere nel loro paese, ma lì non trovano lavoro.

Welt: non è forse ragionevole se molte persone provenienti da economie disfunzionali si spostano nelle aree economiche più forti? In questo modo non si aiutano i migranti e le aziende?

Nölke: nel breve termine, sì, ma il mio interesse si rivolge più che altro al sostegno alle aree economiche disfunzionali. Ciò riguarda anche la politica di sviluppo, ma soprattutto la politica del commercio estero. Ad esempio, negli ultimi 20 anni, l'UE ha optato per una politica di libero scambio molto più severa nei confronti dell'Africa sub-sahariana. Le esportazioni agricole stanno distruggendo grandi parti dell'agricoltura di quei paesi. Una politica economica esterna meno aggressiva aiuterebbe questi paesi molto più dell'emigrazione di una parte della loro popolazione verso l'Europa.

Welt:  almeno ora i dazi all'importazione sui beni africani sono stati ampiamente aboliti, in modo che questi paesi possano esportare a basso costo in Europa..

Nölke: sì, ma il problema riguarda molto meno i nostri dazi all'importazione, e molto di piu' invece la pressione esercitata sulle economie di questi paesi costretti ad aprire i loro mercati ai nostri prodotti. La mia ricerca sui modelli economici dei mercati emergenti mostra che i paesi con un protezionismo selettivo sono di gran lunga i paesi di maggior successo: India e Cina. Le economie emergenti, che volontariamente o forzatamente si sono aperte, spesso hanno strangolato l'economia locale.

A proposito, penso anche che la Germania dovrebbe frenare il suo forte orientamento all'export. Da un lato per rispetto nei confronti di queste economie, ma anche nel proprio interesse. Abbiamo il più forte orientamento all'export fra tutte le principali economie. Nel lungo termine, per la Germania non è una buona idea, siamo totalmente dipendenti da ciò che accade nell'economia globale come non accade a nessun'altra grande economia. Se ci fosse un'ondata di protezionismo, delle guerre commerciali o un crollo economico globale, la Germania sarebbe seriamente minacciata.

Welt: lei è una delle principali menti di Aufstehen, questo raggruppamento ha la possibilità di raggiungere una dimensione rilevante?

Nölke: penso che sia possibile, ma ci vorrà del tempo. Da un lato, vogliamo riunire persone che socio-economicamente pensano a sinistra, ma con i partiti di sinistra attuali, fortemente cosmopoliti e globalisti, non riescono a fare nulla. Dall'altro lato, vogliamo spingere verso un ripensamento all'interno della SPD e dei Verdi. Dopo una buona partenza, da due o tre mesi affrontiamo dei problemi organizzativi. Per ora non siamo un movimento forte, ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente in una prossima crisi economica.

Welt: cosa significa per Aufstehen la partenza di Sahra Wagenknecht?

Nölke: il suo ritiro dalla ristretta cerchia della leadership di "Aufstehen" in favore di nuovi volti politici era già stato annunciato mesi fa. Mi aspettavo che sarebbe accaduto durante il congresso di giugno, quando dovrà essere eletta una nuova leadership. Da quel momento la fase di avvio, influenzata in maniera relativamente pesante da politici professionisti, sarà finita, e a prendere il timone saranno coloro che organizzano il movimento a livello locale. Questa attualmente è la vera forza di "Aufstehen".



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mercoledì 13 marzo 2019

Una fusione fra due pesi leggeri

La fusione fra Deutsche Bank e Commerzbank s'ha da fare, almeno secondo il Ministro delle Finanze Scholz. La politica di Berlino spinge verso una fusione che metta in sicurezza il settore bancario prima che arrivi un'altra crisi economica o prima che un forte concorrente estero, come BNP, riesca ad entrare nel ricco mercato tedesco. Sullo sfondo le elezioni europee di maggio e un nuovo Parlamento con forze politiche meno indulgenti verso il corso interventista di Berlino. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy.


Solo al 19 ° posto

Secondo le cronache più recenti Deutsche Bank e Commerzbank hanno avviato dei colloqui esplorativi in merito alla possibilità di una fusione fra le 2 banche. Se si dovesse arrivare alla fusione, nascerebbe di gran lunga il più grande istituto finanziario tedesco con un bilancio complessivo di quasi due trilioni di euro e 38 milioni di clienti. Attualmente sono circa 130.000 i lavoratori impiegati dalle due banche, di questi circa 80.000 nella Repubblica federale. Con la fusione tuttavia non cambierebbe di molto la situazione del nuovo istituto finanziario, in quanto con una capitalizzazione di mercato di 24 miliardi di euro nel confronto internazionale resterebbe "un peso leggero", scrivono gli osservatori. In effetti Deutsche Bank con una capitalizzazione di mercato di soli 19,6 miliardi di euro nel 2018 era il più grande istituto finanziario tedesco, ma si trovava solo al 19° posto nella classifica delle principali banche europee [2], posizione dovuta all'enorme perdita di valore delle azioni della banca in crisi. Entrambi gli istituti non si sono mai veramente ripresi dallo shock della crisi finanziaria globale del 2007/08. Il valore del titolo Deutsche Bank negli ultimi cinque anni è sceso da poco meno di 30 euro fino a soli sette euro.

Politicamente forzato

Secondo le cronache i due istituti finanziari sarebbero sotto la pressione della politica che spinge per accelerare la fusione. [3] Berlino si aspetta "una decisione nelle prossime settimane", scrive la stampa. Sarebbe soprattutto il Ministro delle finanze federale Olaf Scholz (SPD) a spingere verso la creazione di una forte banca tedesca di grandi dimensioni. Poiché il governo tedesco continua a detenere circa il 15 per cento delle azioni di Commerzbank, di cui è entrato in possesso in seguito al sostegno offerto durante la crisi finanziaria del 2007, il Ministro delle Finanze, in quanto maggiore azionista della banca, dispone anche dei mezzi necessari per far attuare il suo piano. Berlino preme sull'acceleratore in quanto teme che le prossime elezioni europee possano portare una "nuova maggioranza a Bruxelles" che potrebbe bloccare la fusione. Inoltre la strategia si adatta al nuovo corso economico interventista del governo federale: creare dei "campioni nazionali" - società monopoliste per far fronte alla crescente concorrenza mondiale - attraverso delle fusioni nei settori piu' importanti. A Berlino la fusione strategica viene considerata l'ultima possibilità "per rafforzare il settore delle grandi banche in Germania", si dice. Se la fusione dovesse fallire, per Commerzbank ci sarebbe la minaccia di un'acquisizione da parte di un "compratore straniero". A Berlino viene presa in considerazione anche la possibilità di fondere Commerzbank con un gruppo finanziario francese come BNP Paribas; ma in tal caso Deutsche Bank si troverebbe in casa un "potente concorrente" che "potrebbe rendere ancora piu' difficile il rilancio della più grande banca tedesca".

Una fusione di emergenza?

Un altra ragione che spinge il governo federale ad accelerare verso una fusione fra i due istituti finanziari, secondo gli osservatori, riguarderebbe la crescente preoccupazione per la crisi in arrivo. Deutsche Bank in caso di crisi potrebbe finire in "difficoltà", si dice; un "rallentamento dell'economia" con ogni probabilità spingerebbe i due istituti finanziari in una situazione di "squilibrio". La fusione tanto desiderata dalla politica sarebbe più che altro una fusione di emergenza. [5] L'utile annuale annunciato da Deutsche Bank - sebbene relativamente basso, ma comunque il primo dopo quattro anni - non è riuscito a nascondere il rapido declino del settore finanziario tedesco. In questo senso è significativo il confronto con la concorrenza statunitense: JP Morgan, la più grande istituzione finanziaria degli Stati Uniti, con cui un tempo "Deutsche Bank amava confrontarsi", ha una capitalizzazione di mercato di oltre "300 miliardi di euro".

"Politica industriale per le banche"

Secondo gli esperti, infatti, l'intero settore finanziario tedesco si troverebbe in una fase di declino, non solo a livello internazionale ma anche a livello nazionale, dove le banche estere stanno espandendo la propria posizione. Il settore finanziario si sta quindi sviluppando nella direzione opposta rispetto ad un'economia tedesca fortemente orientata all'export. A differenza degli Stati Uniti, nella Repubblica federale dopo lo scoppio della crisi finanziaria gli istituti finanziari, dopo essere stati "salvati" a suon di miliardi di euro, non sono stati "dotati di nuovo capitale fresco", scrivono gli osservatori; è mancato il "capitale necessario per fare le riforme interne urgentemente necessarie e affrontare le sfide della digitalizzazione". [6] Le banche tedesche di conseguenza sono rimaste indietro rispetto ai concorrenti. Le misure del Ministero delle finanze in questo contesto possono essere considerate come "una politica industriale per il settore finanziario" che alla fine giova "all'intera economia tedesca". In ogni caso, nei centri finanziari di Francoforte l'approccio di Scholz, in considerazione dello stato in cui versa il settore, viene accolto con favore.

Ritiro dall'Europa dell'Est e dal Portogallo

Deutsche Bank di fatto si è già ritirata da diversi mercati europei. In Portogallo, ad esempio, nel corso del 2018 ha completato la sua uscita dal settore bancario privato e aziendale cedendolo alla banca regionale spagnola Abanca [7]. Nell'ambito della ristrutturazione del gruppo e della necessaria riduzione dei costi, anche in Polonia l'attività bancaria commerciale è stata ceduta alla banca spagnola Santander. Nel contesto della vasta inchiesta sul riciclaggio di denaro nella filiale estone della Danske Bank, per la quale la principale istituzione finanziaria tedesca ha gestito come banca corrispondente transazioni dubbie per un volume di 150 miliardi di euro, nell'Europa orientale è iniziata una ritirata generale da questa linea di business. Dal 2016, il numero dei clienti in quest'area è stato ridotto di "circa il 60 %", ha detto l'incaricato di Deutsche Bank per il contrasto al riciclaggio di denaro all'inizio di febbraio davanti ai parlamentari europei. Nei confronti della banca in crisi, infatti, negli Stati Uniti sono in corso delle indagini in quanto dal 2007 al 2015 avrebbe ripulito e trasferito circa 200 miliardi di euro provenienti da fonti russe alquanto torbide [9].

Pressione negli Stati Uniti

La dubbia natura dei business gestiti dalla grande banca tedesca, anche negli Stati Uniti sta causando un aumento della pressione. Già alla fine dello scorso anno alcuni politici democratici avevano annunciato la volontà di esaminare il ruolo di Deutsche Bank nei flussi di cassa di dubbia natura che in alcuni casi portano fino all'ambiente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. [10] Nel frattempo due commissioni parlamentari alla Camera si stanno occupando di Deutsche Bank per chiarire le sue pratiche e i rapporti con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sono probabili audizioni pubbliche sulle attività di riciclaggio di denaro di Deutsche Bank. Date le prospettive cupe negli Stati Uniti, la stampa finanziaria tedesca formula delle raccomandazioni chiare in merito ai titoli del più grande istituto finanziario tedesco: "evitate le azioni" [11]

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[1] Tim Kanning: Sewing holt sich Erlaubnis für Gespräche über eine Fusion. faz.net 10.03.2019.
[2] The 20 largest banks in Europe by market capitalization. banksdaily.com 31.05.2018.
[3] Deutsche Bank und Commerzbank prüfen Zusammenschluss. zeit.de 09.03.2019.
[4] Tim Kanning: Sewing holt sich Erlaubnis für Gespräche über eine Fusion. faz.net 10.03.2019.
[5] Tim Bartz: Auf dem Weg zur Notfusion. spiegel.de 31.01.2019.
[6] Deutsche Banken noch immer in der Krise. daserste.de 17.10.2018.
[7] Deutsche Bank: Rückzug aus Privatkundengeschäft in Portugal. fnp.de 27.03.2018.
[8] Deutsche Bank zieht sich aus Osteuropa zurück. n-tv.de 04.02.2019.
[9] Meike Schreiber: Deutsche Bank gerät im Danske-Skandal unter Druck. sueddeutsche.de 23.01.2019.
[10] Für die Deutsche Bank steigt der Druck aus den USA. handelsblatt.com 07.02.2019.
[11] Deutsche Bank: Neue Ermittlungen in den USA? deraktionaer.de 14.12.2018.


martedì 12 marzo 2019

L'europeismo tiepido di AKK

Qual'è la posizione di Annegret Kramp-Karrenbauer sull'Europa? A giudicare dalla risposta al manifesto di Macron, secondo Der Spiegel, quello di AKK è un europeismo tiepido, lontano dai temi sociali e che soprattutto non prende in considerazione la possibilità di mettere in comune con gli altri paesi una parte del benessere tedesco. Ne scrive Stefan Kuzmany su Der Spiegel


Annegret Kramp-Karrenbauer è già una quasi Cancelliera. Sebbene Angela Merkel  continui a mantenere calda la sedia della Cancelleria di Berlino, non passerà molto tempo prima che il nuovo leader della CDU prenda il controllo anche del governo. Se fosse per la oscura "Werteunion" della CDU, Merkel avrebbe già dovuto lasciare il suo posto alla donna della Saarland.

Non è un caso che sia proprio questo raggruppamento conservatore di politici dell'Unione, tra i quali c’è il conoscitore dei Pegida Werner Patzelt e  l'intimo nemico di Merkel Hans-Georg Maassen, a pronunciarsi apertamente per Kramp-Karrenbauer. Se ai tempi della campagna elettorale per la segreteria del partito c'era ancora il sospetto che si trattasse di una mini-Merkel, e cioè solo di una copia in dimensione ridotta di una Cancelliera ormai troppo progressista, ora tutti i dubbi si sono dissipati: questa donna vuole tornare al passato.

Salario minimo? Sicurezza di base? Non con AKK

Ci è voluto un po' per rendersene conto, perché non è sempre facile capire quello che Annegret Kramp-Karrenbauer vorrebbe dirci quando parla a ruota libera. Questa volta per fortuna ha commentato per iscritto. Nel fine settimana la quasi Cancelliera ha risposto sulla "Welt am Sonntag” all'appello pro-Europa del presidente francese Emmanuel Macron.

Mentre Angela Merkel con i suoi silenzi eloquenti non faceva capire se intendeva o meno sostenere i francesi nella loro missione di riorganizzare e riavvicinare l'Europa, con Kramp-Karrenbauer a capo del governo la posizione della Repubblica Federale sarebbe decisamente piu' chiara. E anche se ha ricoperto la sua risposta con una retorica europeista che almeno superficialmente suona melodiosa, il senso è chiaro: no, lei non vuole.

Macron propone un sistema sociale comune in cui tutti in Europa abbiano diritto alla sicurezza sociale di base, alla stessa retribuzione nello stesso luogo di lavoro e in ogni paese ad un salario minimo adeguato. Kramp-Karrenbauer senza troppi indugi toglie la polvere da queste proposte: per lei sono "la strada sbagliata".

Un “consiglio di sicurezza nazionale” su carta europea

Macron vorrebbe ridurre a zero le emissioni di CO2 entro il 2050 e ridurre del 50% l’uso dei pesticidi entro il 2025. Annegret Kramp-Karrenbauer non ha una grande considerazione di queste proposte: "nulla è stato raggiunto con una definizione ambiziosa degli obiettivi europei e dei valori limite". Bene e allora in che modo? Mentre Macron vorrebbe subordinare tutti gli sforzi politici e tutte le istituzioni dell'UE all'obiettivo della protezione del clima, Kramp-Karrenbauer ha in mente soprattutto la protezione dell'economia. Macron ha compreso che senza una seria difesa del clima, presto non ci saranno piu’ le condizioni di base per avere un’economia di successo. Kramp-Karrenbauer apparentemente no.

Se Macron enfatizza l'idea di un consiglio di sicurezza europeo, all’interno del quale organizzare la difesa comune dell'Europa, Kramp-Karrenbauer argomenta che anche un "consiglio di sicurezza nazionale" in Germania sarebbe "un’idea degna di essere presa in considerazione”.

Il francese vorrebbe mettere più cose in comune, la tedesca difficilmente riesce a scrivere "Europa" senza immediatamente dover puntualizzare che "se manca lo Stato nazionale" nulla può funzionare.

Macron sta lavorando a una vera integrazione europea. Kramp-Karrenbauer sembra voler fare un passo indietro: verso una cooperazione prevalentemente economica e con una difesa comune delle frontiere. Un ritorno alla CEE ma con una difesa comune, senza avere in mente il grande progetto di riconciliazione e di pace europea, come faceva Kohl, e senza la volontà di mettere in comune la prosperità tedesca. La parola "solidarietà" nella sua risposta non si trova da nessuna parte, preferisce parlare di un "mercato unico per le banche".

ll braccio destro dello stato

La politologa Ulrike Guérot ha giustamente osservato che Kramp-Karrenbauer sembra guardare all'UE in maniera unilaterale: fondamentalmente in Europa “vorrebbe il braccio destro dello Stato (la sicurezza, le frontiere, il controlli, i militari), ma non quello sinistro (solidarietà, sicurezza sociale, responsabilità)". Questo approccio esclusivamente orientato agli interessi economici e alla sicurezza non crea un'identità europea, ma mira semplicemente alla cooperazione interessata fra Stati nazionali. Kramp-Karrenbauer tutt'al più ha un'idea tiepida e poco entusiasta dell'Europa.

Bisogna tuttavia essere grati ad Annegret Kramp-Karrenbauer: a differenza di Merkel ci spiega chiaramente dove lei e dove una CDU sotto la sua guida si posizionerebbero. Una SPD che dovesse appoggiarla come Cancelliera non solo si sarebbe completamente arresa, ma avrebbe anche abbandonato l'obiettivo di un'Europa sociale e solidale.




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