sabato 6 aprile 2019

La scienza economica come ideologia per la legittimazione del mercantilismo

Come sia possibile utilizzare la "scienza economica" per legittimare l'ideologia mercantilista e gli interessi degli esportatori tedeschi, secondo Michael Wendl, lo fornisce il recente esempio del Consiglio consultivo incaricato dal Ministero dell'economia di Berlino. Per Wendl, economista, sindacalista e politico della SPD, l'obiettivo del comitato di studiosi incaricato dal governo tedesco probabilmente era proprio quello di dare un supporto scientifico ai tradizionali argomenti mercantilisti. Ne scrive un ottimo Michael Wendl su Blickpunkt-Wiso


La  legittima critica al surplus commerciale estero tedesco continua a essere sminuita da piu' parti. Un esempio particolarmente discutibile è stato recentemente fornito dal Consiglio Consultivo del Ministero Federale dell'Economia.

A fine marzo è stato pubblicato un rapporto del Consiglio scientifico del Ministero Federale dell'Economia (BMWi), con il quale i membri del Consiglio consultivo si sono espressi in merito alle elevate (e croniche) eccedenze commerciali tedesche. La critica di Donald Trump al surplus commerciale estero tedesco verso gli Stati Uniti è ben nota, ma oltre a Trump anche l'OCSE, il Fondo Monetario Internazionale, i politici degli altri paesi della zona euro, alcuni economisti di fama internazionale e non da ultimo la Commissione europea si sono espressi in maniera critica sui permanenti eccessi di conto corrente tedeschi. L'UE  inoltre ha formulato una norma di stabilità intesa a garantire che le eccedenze delle partite correnti nazionali non superino il 6 % del PIL. Sebbene le eccedenze tedesche negli ultimi anni siano sempre state tra il 7,2 e l'8,6 % del PIL, la Commissione europea non ha osato avviare le misure concordate.

La reazione del governo federale tedesco e della maggior parte degli economisti su questo tema è stata quella di sostenere che la forte domanda di esportazioni tedesche è un segno dell'elevata qualità della produzione tedesca e di un'elevata competitività, e quindi va oltre la responsabilità della politica. I critici ovviamente non sono così ingenui da accontentarsi solo di così poco - e forse questo è proprio il motivo per cui il Comitato di esperti economici ha dovuto ribadire il concetto "dal punto di vista scientifico". A tal fine si è formato un comitato consultivo di economisti che ideologicamente può essere attribuito in maniera prevalente all'ordoliberalismo tedesco.
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Comanda il conto capitale o il saldo commerciale?

Il comitato consultivo, per giustificare le eccedenze di conto corrente tedesche, presenta due argomenti. Il primo è l'argomento secondo il quale una società che invecchia (come quella tedesca) deve accumulare grandi risparmi per potersi fare carico in futuro di un'alta percentuale di persone non occupate. L'esportazione dei risparmi tedeschi sarebbe quindi un'assicurazione per il futuro. La tesi secondo cui una società che invecchia tende a risparmiare e che i risparmi spingono verso l'esportazione di capitali ha due precondizioni. In primo luogo, che il saldo del conto capitale venga prima del conto corrente, e che la bilancia commerciale ne segua i risultati. Questa era la visione dell'economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk (1914), il quale ancora oggi ha molti seguaci. Sotto la condizione che l'oro rappresenti la moneta mondiale, questa tesi potrebbe essere ancora valida. Oggi tuttavia le importazioni sono finanziate dalla creazione di moneta e credito senza alcuna copertura aurea. In questo senso ad essere un problema non è il fatto che i risparmi delle famiglie e delle imprese statunitensi siano relativamente bassi. I risparmi (il conto capitale) equivalgono agli acquisti e agli investimenti (partite correnti) solo nell'ideologia neoclassica, ma non nella realtà economica. La bilancia commerciale è la dimensione piu' rilevante, ed è seguita dal conto capitale. In secondo luogo, la teoria dell'esportazione di capitali presuppone che le banche siano solo intermediari di denaro, che raccolgano risparmi ed erogano dei prestiti. Nella realtà invece creano denaro dal nulla - e i loro prestiti finanziano gli investimenti, che a loro volta generano reddito e risparmi. Questa è stata una scoperta chiave di Keynes nella sua critica alla dottrina classica, la quale ipotizzava che i risparmi servissero semplicemente a finanziare gli investimenti. Entrambi i presupposti della tesi secondo cui, una società che invecchia tende a risparmiare di piu', e che i risparmi spingono all'esportazione di capitali non sono quindi veri.

Il secondo argomento per giustificare l'avanzo delle partite correnti tedesche è quello secondo il quale la liberalizzazione del mercato del lavoro e la conseguente riduzione del costo del lavoro sarebbero state la correzione necessaria dopo un eccessivo apprezzamento del Marco causato dalla riunificazione tedesca e quindi solo un riflesso necessario di un corso errato. Questa tesi è falsa, anche perché nel periodo immediatamente successivo alla riunificazione c'era stato un surplus commerciale significativo e pertanto non vi è alcuna ragione per parlare di una sopravvalutazione del Marco. La fase di moderazione salariale generale in Germania inizia nel 1996. La stessa liberalizzazione del mercato del lavoro è responsabile dell'espansione del settore a basso reddito, ma non per la crescente competitività internazionale delle aziende tedesche. L'avanzo corrente elevato si fonda su una debole domanda interna, in quanto la moderazione salariale e la deflazione hanno funzionato doppiamente: in primo luogo, come un vantaggio competitivo aggiuntivo grazie all'effettiva diminuzione del costo unitario del lavoro, in secondo luogo, come indebolimento della domanda interna. Per questa ragione l'inflazione tedesca è rimasta piu' bassa rispetto a quella dei paesi importatori, fatto che si è tradotto in una vera e propria svalutazione reale dei prodotti tedeschi - che di fatto sono diventati più economici rispetto ai prodotti degli altri paesi.

Il ruolo della tassa sul valore aggiunto

L'importo delle imposte sulle vendite o dell'IVA incide sul saldo della bilancia commerciale, in quanto questa imposta deve essere pagata sulle importazioni verso la Germania, ma non viene pagata sulle esportazioni tedesche. A tale riguardo il Consiglio consultivo esamina l'effetto di una possibile riduzione dell'IVA sulla bilancia commerciale. Attraverso la riduzione dell'IVA dal 19 % al 16 % e alla compensazione delle relativa riduzione delle entrate fiscali mediante un aumento delle imposte sul reddito, le importazioni verso la Germania diverrebbero più convenienti, e in tal modo si ridurrebbe lo squilibrio fra esportazioni e importazioni. Il Consiglio pertanto suggerisce implicitamente che con l'aumento dell'IVA del 2007 e con la contemporanea riduzione dei contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione si è verificata una correzione politica delle ragioni di scambio in favore dell'export tedesco. Il Consiglio tuttavia respinge tali misure in quanto ritiene che maggiori imposte sul reddito limiterebbero l'offerta di manodopera più produttiva e allo stesso tempo smorzerebbero la domanda di lavoro di manodopera poco qualificata. Non è chiaro tuttavia se il governo con l'aumento dell'IVA del 2007 abbia intenzionalmente mirato ad influenzare politicamente un aumento dell'eccedenza delle partite correnti. Se così fosse, allora sarebbe vero il contrario.

Il rifiuto del comitato consultivo non è supportato da argomenti; resta un segreto come possano aver definito la produttività dei singoli lavoratori. La loro tesi si basa sul dogma secondo il quale il livello dei salari equivale alla produttività dei lavoratori. Questa produttività tuttavia non può essere misurata empiricamente in un'economia basata sulla divisione del lavoro. A tale proposito la riflessione del Consiglio consultivo finalizzata alla riduzione dell'IVA e all'aumento della progressività dell'imposta sul reddito è una proposta sensata. Combinare tutto ciò con un aumento dei contributi previdenziali aumenterebbe il costo del lavoro, che a sua volta ridurrebbe il surplus delle partite correnti. Anche qui è chiaro che il Consiglio consultivo in realtà non vuole una riduzione di queste eccedenze. Viene respinto anche il rafforzamento della domanda interna da realizzare attraverso la spesa pubblica espansiva in quanto il moltiplicatore della spesa del governo sarebbe inferiore rispetto al moltiplicatore fiscale, il che significa che i tagli fiscali avrebbero effetti di crescita più elevati rispetto agli aumenti della spesa pubblica. Qui il comitato consultivo fa riferimento alla "letteratura più recente" del 2009 (!), sebbene calcoli più recenti (ad esempio di Olivier Blanchard) sulla effettiva dimensione del moltiplicatore della spesa pubblica e la conseguente discussione che ne è nata abbiano portato a risultati opposti.

Effetti della politica salariale

In merito alla questione della politica salariale il Consiglio consultivo ha discusso gli effetti dell'aumento del livello dei salari nel settore pubblico, il quale verrebbe immediatamente seguito da un aumento dei salari nel settore privato. Ciò è tuttavia irritante in quanto nella politica di contrattazione collettiva tedesca, la gestione delle tariffe, degli stipendi e l'orario di lavoro nel settore delle esportazioni è in mano alla IG Metall. Invertire questo rapporto di forza non è realistico, dato il potere di sciopero esistente nei vari settori dell'economia. Ciò dimostra anche che il Consiglio consultivo non comprende la politica contrattuale tedesca e le sue particolarità. Il Consiglio consultivo, inoltre, rifiuta anche di riconoscere il fatto che un aumento degli stipendi sarebbe un mezzo per la riduzione degli avanzi delle partite correnti. Senza dubbio salari più elevati comporterebbero un apprezzamento del basso tasso di cambio reale tedesco, ma allo stesso tempo vi sarebbero effetti recessivi nell'economia che ridurrebbero la domanda di importazioni mettendo a repentaglio l'occupazione. Su questa base teorica pertanto è anche logico che il Consiglio non discuta di un aumento del salario minimo legale. Per loro l'aumento dei salari in genere è una minaccia per l'economia tedesca e porta alla recessione.

Il Consiglio consultivo inoltre non si preoccupa di confrontarsi con le eccedenze finanziarie nette delle società tedesche non finanziarie e di riequilibrare l'economia secondo le eccedenze e i disavanzi dei diversi settori.


Poiché in un'economia ogni credito è sempre accompagnato da una passività dello stesso importo, il saldo di tutte le attività e delle passività in un'economia è sempre pari a zero. Questi crediti e queste passività sono distribuiti in maniera non uniforme fra i diversi settori economici. In Germania, le famiglie, le aziende e il settore pubblico hanno accumulato dei crediti riducendo i corrispondenti debiti. Il surplus del commercio estero resterà tale finché i saldi dei tre settori nazionali nel loro complesso resteranno positivi. Probabilmente non vogliono capire una tale analisi macroeconomica, perché questa contraddice con i loro dogmi ordoliberali.

Conclusione

Che gli elevati e permanenti surplus commerciali e di conto corrente con l'estero costituiscano per la zona euro un rischio significativo e che per i partner commerciali implichino degli svantaggi permanenti, in quanto questi paesi resteranno cronicamente indebitati, e che la strategia dell'export tedesco porta ad una de-industrializzazione di questi paesi, per il comitato consultivo apparentemente non è un problema. Vengono discusse anche alcune proposte molto sensate per ridurre queste eccedenze, ma vengono tutte rifiutate in maniera più o meno decisa. Ciò dimostra che il Consiglio stesso ha cercato di supportare le argomentazioni in favore del mercantilismo tedesco. Il rapporto, pertanto, aveva la funzione principale di respingere le critiche provenienti dall'estero e dalle istituzioni economiche di fama internazionale.

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venerdì 5 aprile 2019

La petizione per l'esproprio immobiliare a Berlino

La lunga stagione dei tassi a zero e l'enorme affluso di migranti e profughi degli ultimi anni ha alimentato un interminabile boom immobiliare che ha spinto sul mercato i grandi gruppi immobiliari in cerca di facili profitti. In un paese in cui la proprietà immobiliare fra le famiglie non è così diffusa come nel tanto criticato sud-Europa, non è certo un problema secondario. Ora a Berlino un movimento spontaneo di inquilini lancia una proposta di legge di iniziativa popolare per espropriare i grandi gruppi immobiliari. Ne parla Deutschlandfunk


Più di 30.000 persone ogni anno si trasferiscono a Berlino. Gli investitori fanno salire i prezzi, gli inquilini storici vengono buttati fuori. Per questa ragione l'iniziativa che raccoglie le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare fa tanto scalpore. Si chiede l'esproprio dei grandi gruppi proprietari di appartamenti.

"Qual è lo slogan? Restiamo tutti qui! A chi appartiene Hasenheide? Hasenheide è nostra! "

Berlin-Neukölln, Hasenheide 70/71. Gli inquilini si sono organizzati per protestare davanti alle loro case. "Insieme contro la sostituzione e contro la follia degli affitti" è scritto sugli striscioni appesi alla recinzione davanti al palazzo in stile Gründerzeit. Alle finestre sono appesi i manifesti con la scritta: "Restiamo tutti". Oggi cantano contro gli sfratti e la sostituzione, bevono sidro fatto in casa.

"A Stoccarda, Friburgo, Potsdam, Colonia e Bochum. Sappiamo che anche lì si discute degli stessi temi esattamente come a Berlino, l'affitto ormai costa più di quanto si riesca a guadagnare".

"Vogliamo solo sottolineare che le cose stanno così, ed è per questo che siamo qui e cantiamo cose un po' strane"

Dice Friederike Schönebach. Attualmente, il suo affitto non ha rivali. Il designer grafico paga poco meno di 500 euro per un appartamento ristrutturato di 96 metri quadrati con riscaldamento a stufa. Ma il grande condominio di Neukölln alla fine dell'anno scorso è stato venduto, ora tutti temono una ristrutturazione di lusso e lo sfratto.

Gli inquilini si organizzano contro la sostituzione

Daniel Diekmann alla protesta di Neukölln oggi canta con tutta la sua voce, rappresenta l'iniziativa degli inquiliini di Habersaatstraße.

"Dei 106 appartamenti, 80 appartamenti sono ancora vuoti, ottanta appartamenti tenuti vuoti con finalità speculative, e venti sono ancora abitati. Siamo il villaggio gallico di mezzo, stiamo resistendo e abbiamo già fatto molto. Ci sono già stati molti tentativi di intimidazione, cassette postali aperte, posta rubata, eccetera. "

In tutta Berlino gli inquilini si organizzano contro la sostituzione e gli affitti irraggiungibli. Le proteste culmineranno sabato in una grande manifestazione. In quel giorno parte anche la raccolta delle firme per l'iniziativa di legge popolare finalizzata all'espropriazione di „Deutsche Wohnen und Co.".

No, no, dice il promotore Rouzbeh Taheri e scuote il capo - non vogliamo il socialismo, ma:    

"Vogliamo liberare un certo ambito, liberare gli appartamenti, dalla dittatura del mercato. E dire che i bisogni esistenziali degli esseri umani, come quello della casa, non devono essere un giocattolo sul mercato borsistico. Non puoi speculare con gli appartamenti sul mercato azionario, come faresti con la carne di maiale"

L'obiettivo sono le aziende con oltre 3.000 appartamenti

Il quarantacinquenne aspira rapidamente il fumo dalla sua sigaretta fatta a mano, e poi pazientemente risponde alle stesse domande. L'iniziativa vuole espropriare tutte le società immobiliari profit-oriented con oltre 3.000 appartamenti a Berlino, sulla base dell'articolo 15 della Legge fondamentale. Nella sinistra politica di Berlino questa iniziativa colpisce un nervo scoperto, le  20.000 firme necessarie per la prima fase dell'iniziativa saranno raccolte in pochi giorni.

"Dimostra che il vecchio detto di Victor Hugo, lo scrittore francese, è ancora vero. Che nulla è più potente di un'idea, il cui momento è arrivato. "

David Eberhardt invece sospira. Il portavoce dell'associazione di categoria delle società immobiliari tedesche BBU da settimane riceve richieste da ogni parte della Germania. Il settore immobiliare si domanda: per l'amor di Dio, cosa sta succedendo a Berlino? Sembra la DDR. Eberhardt sospira di nuovo e dice:  

"Il fatto è che gli affitti in confronto alle altre altre grandi città sono ancora molto competitivi, con 6,40 euro in media per metro quadro, per questa ragione è davvero difficile spiegare ad una persona che vive a Monaco di Baviera, Colonia o Amburgo, che questa follia dell'espropriazione è scoppiata proprio qui".

Il Senato rosso-rosso-verde non è riuscito a costruire il numero di nuove abitazioni che si era dato come obiettivo

L'affitto medio è di 6,40 euro, ma quello per le nuove locazioni è almeno il doppio. In nessun'altra città tedesca le rendite sono aumentate così velocemente come a Berlino - perché l'immigrazione è enorme, e allo stesso tempo il Senato rosso-rosso-verde della città non ha raggiunto i suoi nuovi obiettivi. La Linke, che appoggia il governo della città, sostiene il referendum, i Verdi sono ancora indecisi.

E la SPD? La petizione di espropriazione mette in difficoltà il sindaco della città Michael Müller e i suoi socialdemocratici. Dopo un acceso dibattito al congresso regionale di sabato scorso, la SPD ha rinviato la decisione in merito all'esproprio.

"Per molte persone in città usare parole come espropriazione ha un significato molto importante. E ci sono molte persone in città che con essa hanno già fatto esperienza. E non sempre delle migliori". "A volte si pensa di essere tornati a 30 anni fa e di essere spostati verso est". "La questione del ruolo che la proprietà privata dovrebbe svolgere in questa società è una questione di sinistra, ma anche social-democratica". "Inoltre chiediamo che i terreni edificabili vengano espropriati in modo da poter costruire più rapidamente dei nuovi appartamenti e che non vengano più  considerati un oggetto speculativo".

Michael Müller, sindaco della città e leader regionale della SPD, si pronuncia contro l'espropriazione, ma per ragioni pragmatiche: 

"Perché presenta molti rischi. È una cosa legalmente discutibile. Ed è qualcosa che avrebbe pesanti ripercussioni finanziarie sul bilancio dello stato".

Molti firmeranno la petizione

"Perciò svegliatevi, dannati di questa terra, non ci lasceremo sostituire così facilmente ..."

Tornando alla protesta degli inquilini sulla Hasenheide a Neukölln. Espropriare le società di costruzioni residenziali? Non sono in molti a volerlo. Firmeranno comunque per l'iniziativa di legge popolare.

"La storia dell'esproprio? Penso che non sia la strada giusta. Anche se lo firmerò per principio e protesta". "In linea di principio, non trovo che la proprietà sia sbagliata. Ma il modo in cui nella pratica la proprietà viene gestita porta a dei problemi che alla fine rendono la vita democratica impossibile".


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giovedì 4 aprile 2019

Andare a votare?

Il direttore di German Foreign Policy, Hans-Rüdiger Minow, nel suo editoriale  di aprile fa un parallelo fra l'europeismo degli anni '20 e '30 del secolo scorso e quello attuale e soprattutto si chiede se valga davvero la pena andare a votare per legittimare questa Europa. Una riflessione molto interessante di Hans-Rüdiger Minow su German Foreign Policy


Cosa si dovrebbe votare, all'ombra dell'aquila, per conferire al Parlamento europeo un nuovo mandato democratico? Alle prime elezioni europee votarano circa il 61% dei cittadini UE. Alle elezioni del 2014 sono stati quasi il 20% in meno: un rifiuto crescente di legittimare questo parlamento.

Ai primi sostenitori dell'ideale europeo questo sviluppo non farebbe certo piacere. Ad esempio al giovane Klaus Mann, figlio di Thomas Mann, che in seguito ha chiarito: "Ero contro il nazionalismo - come potevo non essere per la Paneuropa ...?" L'idea di Europa "inizialmente era stata accolta molto bene fra la gioventù intellettuale", ricorda Klaus Mann parlando degli anni '20.

Transfrontaliera e internazionale - idea che corrispondeva agli sponsor di spicco che nel progetto europeo avevano messo un sacco di soldi...senza che Klaus Mann all'epoca lo sapesse: 60.000 marchi d'oro erano arrivati come finanziamento iniziale dal settore bancario tedesco, dall'industria chimica orientata alle esportazioni, dalla Robert Bosch AG e dall'associazione delle industrie tedesche del Reich. Nel primo manifesto europeo era letteralmente scritto che il continente doveva unirsi - contro "gli imperi economici non europei dell'America (...) di Russia e dell'Asia orientale".

Anche Rudolf Hilferding, uno dei padri fondatori ideali dell'UE di oggi, sosteneva questa lotta contro gli "imperi economici non europei" in Russia e nell'Asia orientale. E' tuttavia lecito dubitare sul fatto che egli oggi sceglierebbe di andare a votare alle prossime elezioni europee.

Hilferding è stato il ministro delle finanze di due governi tedeschi, fortemente ostile al pensiero nazionalista. La Paneuropa, diceva, ci avrebbe assicurato la pace: grazie all'interdipendenza economica nel continente. Hilferding parlava di una nuova era: l'era del "pacifismo capitalista" che avrebbe portato pace e prosperità nell'Europa cosmopolita.

Ma sia Rudolf Hilferding, il ministro socialdemocratico, che Klaus Mann, lo scrittore, hanno dovuto pagare un prezzo molto elevato per il "pacifismo capitalista" dell'ideale europeo - e non solo loro.

Prima di tutto il "pacifismo capitalista" durante la crisi finanziaria ha scatenato una guerra alla massa delle persone, una guerra economica. In fila davanti alle casse di risparmio e alle banche le persone tremavano per i loro risparmi ... e per le loro vite operose.

E dato che l'unificazione europea aveva rafforzato la concorrenza anziché mitigarla, i promotori dell'ideale europeo in seguito hanno scelto di fare ricorso ad altri mezzi. La guerra economica è diventata una guerra di violenza nuda e cruda.

Per "l'Europa" l'industria chimica tedesca aveva pagato 400 mila marchi del Reich - ma lo aveva fatto all'apparato di violenza dei bassifondi politici che volevano trasformare Berlino nella capitale europea. E Bosch, il mecenate d'Europa, in fondo non trovava così male Adolf Hitler. Il "pacifismo capitalista" di Rudolf Hilferding ha cambiato colore allontanandosi dai suoi fondatori.

Hilferding, l'ex ministro delle finanze tedesco, dovette fuggire in Francia. Lì fu raggiunto dai rappresentanti armati dell'industria chimica tedesca entusiasti dell'Europa e da quelli della Robert Bosch AG: erano gli occupanti militari tedeschi. "Europa" era diventato il termine generico per parlare della Grande Germania.

Hilferding morì in una prigione della Gestapo nella Parigi occupata. La sua prima moglie è rimasta a Treblinka, anche suo figlio Karl non è mai tornato indietro... Klaus Mann fu espatriato e in seguito andò negli Stati Uniti.

Illusioni sull'idea di Europa? Scomparse...è tornato come soldato americano nella Germania distrutta del dopoguerra, dove a riscaldare un'altra volta l'idea di Europa c'erano proprio gli approfittatori del fascismo tedesco. Quando è stato fondato il Karl-Preis tedesco ad Aquisgrana, è finita anche la sua vita. L'Europa "tedesca" è rinata nella Repubblica federale.

Come voterebbero Klaus Mann, Hilferding, la sua prima moglie e suo figlio Karl in queste elezioni europee? Cosa direbbero del "Grande spazio europeo" di oggi, delle crisi e della nuova guerra economica contro la gente comune? Della nuova lotta contro "gli imperi economici extra-europei dell'America (...), della Russia e dell'Asia orientale" (contro Mosca e Pechino)? Cosa direbbero delle guerre che questa Europa conduce in tutto il mondo e del cimitero di massa nel Mediterraneo?

Vorrebbero legittimare questa Europa andando a votare?

Non lo sappiamo, ma possiamo provare a indovinare...


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mercoledì 3 aprile 2019

Mi' cuggino nella startappe di Berlino

Il fantastico mondo delle start-up berlinesi da anni attrae migliaia di giovani da tutta Europa. Arrivano a Berlino sedotti dalla città e dalla presunta liberazione garantita da un nuovo modo di lavorare. Ma le cose non stanno esattamente cosi' e in molti restano profondamente delusi dall'esperienza. Mathilde Ramadier è una di queste, e sul mondo delle start-up berlinesi ha scritto un libro molto interessante. Der Freitag intervista l'autrice


Un cortile interno a Berlino-Kreuzberg, una cucina spaziosa, ufficio e camera dei bambini. Nel corridoio è appesa una mappa storica della Francia e l'immagine di una donna nuda a cavallo. L'ha preso al mercato delle pulci di Parigi, dice dolcemente Mathilde Ramadier. Quando parla tuttavia sembra molto più risoluta.

Der Freitag: Frau Ramadier, lei hai lavorato in dodici start-up berlinesi. Come è entrata in questo mondo?

Mathilde Ramadier: nel 2011 sono arrivata a Berlino da Parigi, ho iniziato a cercare un lavoro perché con la mia attività di scrittrice non potevo vivere. Gli annunci di lavoro nelle start-up sembravano sexy, come un mondo del lavoro liberato.

Era un po‘ ingenuo?

Mathilde Ramadier: sì, dopo pochi giorni ho subito notato che le persone sono sotto pressione e hanno paura. Sebbene avessi già lavorato a Parigi come stagista nel settore pubblicitario e sapessi quanto possa essere privo di senso quel lavoro. Ma li‘ almeno c’era piu‘ onestà, non vengono a raccontarti bugie. Nessuno dice "stiamo migliorando il mondo".

In quali settori ha lavorato?

Mathilde Ramadier: quasi sempre nell’e-commerce, su piattaforme che hanno qualcosa da vendere. Ho lavorato soprattutto come gestore di contenuti, traducendo ogni giorno le newsletter o compilando fogli di calcolo Excel con le parole chiave per i robot di Google, per aiutare i motori di ricerca a trovare gli articoli. Per farlo dovevi avere un master.

Lei aveva quello di un'università d'élite.

Mathilde Ramadier: dovevo fare cose monotone. Una start-up vendeva mobili, un'altra aveva un database per l'arte, un'altra offriva formazione a distanza. Lì i professori dovevano essere disponibili 24 ore su 24 e guadagnavano dieci euro l'ora. È quel tipo di lavori per i quali si è troppo qualificati e che il sociologo David Graeber chiama "Bullshit Jobs". Mi hanno distrutto, fino al bore-out.

Quanto arrivava a guadagnare?

Mathilde Ramadier: come lavoratore autonomo prendevo circa dieci euro l'ora. Nella mia prima start-up ho fatto gli straordinari tutti i giorni e sono arrivata a 500 euro al mese. Dicevano: vogliamo assumerti, ma dobbiamo farti fare prima un mese di prova. Per questo ho ottenuto un contratto di lavoro autonomo. Il mio capo mi aveva inizialmente promesso 1.500 euro al mese di stipendio, poi ha parlato con l'amministrazione e mi hanno dato solo 500 euro. Ho riso e mi sono messa immediatamente il cappotto. Il mio capo ha chiesto con arroganza: "Mathilde, non puoi, o non vuoi? Se non sei disponibile, puoi anche lavorare come hostess ad una fiera". Quest‘uomo migliorerà il mondo?

Molti si sottomettono volontariamente a questa schiavitù.

Mathilde Ramadier: sì, vogliono vivere ad ogni costo a Berlino o in qualsiasi altra metropoli europea. Non vogliono lavorare nelle grandi aziende.

La promessa è: "gerarchie piatte, ognuno è libero, ognuno ha la sua possibilità".

Mathilde Ramadier: c'erano start-up in cui eravamo tutti manager di qualcosa: People-Manager, Country-Manager, l'addetto alla reception era Office-Manager. La parola non aveva senso

Perché tutti erano manager?

Mathilde Ramadier: distribuivano titoli come dolci o carote. Come se fossimo tutti un'unica grande famiglia, tutti sono uguali. Ma tutti i CEO che ho incontrato erano bianchi e maschi, tedeschi o americani provenienti da famiglie benestanti, tutti tra i 30 e 45. Donne in posizioni direttive ce n'erano solo nel reparto risorse umane o nella comunicazione. Gli uomini avevano tutti questa "coolness", questa bro-culture, giocavano a ping-pong, con i videogiochi, indossavano scarpe da ginnastica.

Coolitude?

Mathilde Ramadier: intendo una finta coolness. Questo stare sempre fra uomini e bere una birra.

Lei ha pubblicato un libro sulle sue esperienze. In esso lei analizza la lingua delle aziende. In cosa consiste?

Mathilde Ramadier: a un certo punto ho notato che non importa quanto sia grande l'azienda o cosa faccia esattamente: la lingua è sempre la stessa. È quella della Silicon Valley, dei superlativi e delle metafore. Tutto è eccessivamente ottimista. Tutti sono unici e liberi. E quando qualcuno viene licenziato, dicono: "E‘ partito per un’altra avventura". Si dedica a delle nuove sfide. È il linguaggio spesso fuorviante del neoliberismo.

Il suo libro è nato nel bel mezzo della campagna elettorale francese.

Mathilde Ramadier: sì, Macron voleva fare della Francia una nazione di start-up. Era un argomento scottante Dall'altro lato sono stato attaccata - quasi sempre da uomini.

Trolls?

Mathilde Ramadier: Sì, ma c'erano anche persone dal mondo delle start-up. Mi hanno accusata di voler esagerare: "lei ha fatto un paio di esperienze negative, e ora scrive un libro per trarne beneficio”. Una volta ho ricevuto un'email da un uomo membro dell’associazione francese delle start-up: "mi chiedo come riesca ad essere su tutti i media senza avere nulla da dire. Ma almeno è molto dolce". Ho preso uno screen-shot e l'ho postato su Twitter per l'8 marzo, in occasione della festa della donna.

Il libro è stato molto discusso anche in Germania. Ci sono stati anche commenti che mettevano in dubbio i fatti. Lei ha appena risposto su LinkedIn.

Mathilde Ramadier: sì. All'inizio dell'anno la Deutsche Welle ha pubblicato un breve video in cui parlavo dei miei stipendi e dei miei contratti di lavoro precari. Poco dopo ho ricevuto posta da una persona responsabile dell'Associazione nazionale delle start-up tedesche: ha chiesto i nomi delle aziende per le quali ho lavorato. Non volevo divulgarli per motivi legali, anche per proteggermi dalle molestie. Gli ho tuttavia inviato altri articoli e pagine dei miei contratti di lavoro (con i nomi delle aziende resi illeggibili).

E da questi emergono le condizioni di lavoro precarie?

Mathilde Ramadier: sì, ma mi ha accusato nuovamente di dire una bugia. Semplicemente non ha creduto che si potesse lavorare anche per meno di 1.000 euro al mese. Non sapeva che nel suo paese fino al 2015 non c'era un salario minimo, e semplicemente non voleva credere al fatto che le start-up spesso tentano di "annullare" i diritti conquistati a fatica dai lavoratori. Segno che appartiene a una élite privilegiata. Non si trattava di dialogo, ma di bieco lobbismo.

Il salario minimo non si applica ai liberi professionisti.

Mathilde Ramadier: come lavoratore autonomo mi è stato sempre chiesto: quante parole riesci a fare in breve tempo? E mai: di quanto tempo hai bisogno per fare un buon lavoro? Una volta durante il colloquio mi hanno chiesto: puoi scrivere testi a cottimo?

Redattore di testi in batteria.

Mathilde Ramadier: sì. Le start-up pensano a breve termine e sono miopi. Questo ha qualcosa a che fare con la nostra era, con il consumo.

Perché il suo libro "Bienvenue dans le nouveau monde" non è ancora stato pubblicato in tedesco?

Mathilde Ramadier: mi è stato detto che gli editori sono interessati all'argomento, ma preferiscono un autore tedesco. Altri pensano che i media tedeschi abbiano già parlato troppo dell'edizione francese. Come se il buzz fosse più importante del contenuto.

Il presidente Macron vorrebbe guidare il paese come se fosse una start-up, molti sono indignati.

Mathilde Ramadier: sì, è estremamente neo-liberale. Le istituzioni pubbliche vengono smantellate, i potenti sono protetti e le persone vengono sfruttate. Nel 2017 Macron ha inaugurato alla Station F, una ex stazione ferroviaria, un grande incubatore, un centro di start-up per le nuove aziende tecnologiche.

È il più grande campus di start-up al mondo.

Mathilde Ramadier: sì, il principale fondatore Xavier Niels è un miliardario, uno degli uomini più ricchi di Francia. Macron ha tenuto un discorso e ha detto: "Ci sono persone che hanno successo, e ci sono persone che non sono niente". Macron non ha mai fatto nulla per proteggere coloro che lavorano per Uber o per i servizi di consegna come Deliveroo. Ma anche a Berlino vedo come le start-up stanno cambiando il volto della città.

Come?

Mathilde Ramadier: ovunque nascono spazi di coworking in cui siedono i freelancer delle start-up e devono pagare per poter lavorare. Molte aziende usano l'inglese come lingua ufficiale. Accelera la gentrificazione. A Hermannplatz, dalle impalcature di un edificio pende un gigantesco cartellone, alto circa 20 metri, largo 10 metri: è una pubblicità di Uber.

Un simbolo forte

Mathilde Ramadier: Il filosofo francese Éric Sadin critica questa "siliconizzazione del mondo", il potere crescente  delle start-up, il rapido sviluppo dell'intelligenza artificiale. Tutto ciò alla fine porta ad un degrado della condizione umana causato da questo "brillante capitalismo".

Google voleva costruire un enorme campus a Kreuzberg, ma dopo massicce proteste la società ha dovuto rinunciare. Lei era lì?

Mathilde Ramadier: ho lavorato in rete insieme ad alcune persone e ci siamo incontrati qualche volta. Un anno fa ho partecipato ad una tavola rotonda dell'organizzazione di sinistra Top B3rlin. Anche se non sono un'attivista, in Francia al momento sono vista come un ambasciatrice. A dicembre sono stato invitata da un'incubatrice di start-up in Francia per condividere le mie esperienze. Queste persone erano aperte e volevano discutere, anche se non erano d'accordo. E' stato intelligente e davvero piacevole. (...)

Come filosofa e autrice di un romanzo grafico su Sartre, cos'è la libertà per lei?

Mathilde Ramadier: La libertà delle start-up è un falso, non è liberale in senso classico, ma neo-liberista. I capi che dicono "i nostri dipendenti sono liberi" fanno qualcosa di sbagliato. Spetterebbe ai lavoratori dirlo! Per me libertà significa che non sono limitata a un solo ruolo: lavoratrice, moglie o madre. Voglio poter decidere da sola ogni giorno chi voglio essere.


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lunedì 1 aprile 2019

L'esercito più forte in Europa occidentale

Secondo Henrik Paulitz della Akademie Bergstraße nel giro di pochi anni la Bundeswehr tedesca è destinata a diventare la forza convenzionale piu' forte in Europa, esclusi probabilmente i russi. Date le dimensioni dell'economia tedesca, infatti, anche se il governo confermasse una spesa per la difesa pari solo all'1.5% del PIL, si tratterebbe comunque di una somma considerevole, vicina ai 60 miliari di euro e probabilmente superiore rispetto a quella degli altri paesi europei nella Nato. Ne scrive Henrik Paulitz in un'analisi molto interessante su Akademie Bergstraße



La Bundeswehr è destinata a diventare il più forte esercito europeo 


Il dibattito attuale continua a ruotare intorno alla presunta catastrofe in termini di capacità operativa della Bundeswehr e al fatto che l'esercito avrebbe a disposizione meno denaro rispetto a quanto necessario e a quanto la Germania aveva promesso alla NATO. Questa narrazione tuttavia tace il fatto che la Bundeswehr probabilmente entro pochi anni sarà di gran lunga l'esercito più forte in Europa occidentale. 

A causa delle "aspettative internazionali" nei confronti della Germania da anni ormai il governo tedesco viene messo sotto pressione affinché rimetta in discussione il suo tradizionale corso politico di "moderazione militare" e porti invece avanti un nuovo corso militarista. [1]


Questa forte pressione già molti anni fa aveva portato a sottoscrivere un impegno nei confronti della NATO per un aumento della "spesa militare" da realizzarsi entro il 2024. Secondo tale accordo la spesa per la difesa dovrebbe essere basata su un benchmark del 2% del PIL, di cui almeno il 20 % in armamenti e in "nuove grandi attrezzature, inclusa la ricerca e lo sviluppo correlato". 

Il 2% non è legalmente vincolante e spesso viene considerato come non realistico. Il ministro della Difesa Ursula von der Leyen nel maggio 2018 tuttavia ha annunciato che il governo tedesco avrebbe aumentato la spesa militare tedesca passando dall'1,2% all'1,5% del PIL entro il 2025. Alla luce delle dimensioni dell'economia tedesca, si tratterebbe di una spesa enorme - stando ai dati di oggi - fino a quasi 60 miliardi di euro. [2]

Il più grande esercito in Europa 

Nell'agosto 2017 l'ex candidato alla Cancelleria Martin Schulz facendo riferimento al controverso obiettivo del 2% dichiarò: "Faremmo della Bundeswehr il più grande esercito d'Europa". [3]

La forza convenzionale più forte in Europa 

L'ex Ministro della Difesa Volker Rühe nel febbraio 2019 ha invece dichiarato in un intervista: "Se intendiamo prendere sul serio la futura divisione dei compiti in Europa, allora la Bundeswehr non dovrà restare solo sulla carta la forza convenzionale più forte in Europa, ma anche nella realtà" 

Inoltre, Rühe ha notato che - contrariamente a quanto viene regolarmente riportato da molti media - la capacità operativa dei carri armati, degli elicotteri da combattimento e dei sottomarini della Bundeswehr non è in discussione. Alla domanda se la Bundeswehr sia ancora una forza combattente, ha risposto: 

"Sì. La struttura si focalizza sulle unità destinate ad entrare in azione. In linea di principio siamo sulla strada giusta. Ci sono molti piu‘ soldi ". [4]

Di gran lunga la più forte potenza europea nella NATO 

Queste non sono solo delle vaghe pretese, ma è già una realtà. Second il prof. Gunther Hellmann dell'università di Francoforte (specializzato in politica estera tedesca ed europea), la Bundeswehr entro sei o otto anni sarà l’esercito più potente d’Europa - esclusa la Russia. 

In un contributo del 13 febbraio 2019 realizzato insieme al Prof. Daniel Jacobi, Hellmann scriveva che il dilemma strategico della Germania si sta acuendo: "prendere il comando, senza tuttavia apparire egemonica". 

La richiesta di attuazione dell'accordo del Galles, cioè aumentare entro il 2024 la spesa per la difesa portandola il più vicino possibile al due per cento del PIL, “in definitiva deve essere intesa come una chiamata indiretta alla leadership, perché così facendo la Germania militarmente si trasformerebbe nella piu’ forte potenza NATO in Europa. Anche se restasse solo all'1,5 % del PIL, come riportato questa settimana a Bruxelles, fondamentalmente non cambierebbe nulla". 

A ciò si aggiunge che la Repubblica federale "come paese quadro, in futuro disporrà dell'intero spettro militare, mentre i partner più piccoli saranno costretti a specializzarsi". [5]

Militarizzazione della Germania 

Il pubblico senza dubbio si sta abituando all'idea astratta che vi siano delle aspettative o degli "obblighi" da adempiere (cioè una pressione dall’esterno da non sottovalutare). 

Le allusioni a un presunto "ruolo di leadership tedesco" non devono tuttavia essere interpretate dall'opinione pubblica come un percorso verso la militarizzazione. In particolare, l’opinione pubblica non deve rendersi conto che la Bundeswehr, in considerazione della spesa attuale per gli armamenti, presto diventerà il più forte esercito in Europa occidentale. 

La Cancelliera Angela Merkel durante il congresso della Bundeswehr tenutosi a maggio a Berlino ha ammonito i membri del Bundestag: "Si è sviluppata una discussione sulla quale tutti noi insieme - mi rivolgo a tutti i parlamentari – dobbiamo stare un po' attenti e fare in modo che il passaggio al 2% del PIL non venga interpretato come una militarizzazione della Germania"[6]

Questi elementi devono essere inseriti nel quadro di una Germania che diventa una potenza geo-politica in grado di garantire l'ordine in Europa, Africa e Medio Oriente. [7]

Leadership: attesa e richiesta 

Sullo sfondo di questi eventi è necessaria e urgente una discussione pubblica. 


Questo anche nel quadro di quanto sottolineato dall’esperto di politica estera e della sicurezza Rolf Mützenich, secondo il quale in futuro la Germania condividerà il destino di altri grandi stati e "sarà oggetto di critica sia per la sua leadership che per la sua riluttanza. Perché non solo all'interno dell'UE, ma anche a livello internazionale, dalla Germania sarà sempre più spesso preteso e/o richiesto un ruolo da leader". [8]

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1 Robin Niblett (Royal Institute of International Affairs/Chatham House): Internationale Erwartungen an Deutschland. Vortrag bei der Auftaktveranstaltung des Weißbuchprozesses 2016. Berlin. 17.02.2015.
2 Reuters: Von der Leyen will Wehretat auf 1,5 Prozent des BIP steigern. 14. Mai 2018.
3 FR: Phrasenprüfer. "Wir würden aus der Bundeswehr die größte Armee Europas machen". 26.08.2017.
4 Der Tagesspiegel: Ex-Verteidigungsminister Volker Rühe. „Guttenberg hat die Bundeswehr zerstört“. 10.02.2019.
5 Gunther Hellmann, Daniel Jacobi: Auswege aus Deutschlands wachsenden strategischen Dilemmata. GoetheUniversität Frankfurt am Main. 13. Februar 2019.
6 Angela Merkel: Rede von Bundeskanzlerin Merkel bei der Bundeswehrtagung am 14. Mai 2018 in Berlin.
7 Henrik Paulitz: Kriegsmacht Deutschland? Informationen und Handlungsempfehlungen zu brandgefährlichen ‚Internationalen Erwartungen an Deutschland‘. Akademie Bergstraße. 2018.
8 Rolf Mützenich: Deutschland: Vom Trittbrettfahrer zur Führungsmacht wider Willen? Zeitschrift für Außenund Sicherheitspolitik ZfAS, Sonderheft 6, 2015, S. 275-287.


domenica 31 marzo 2019

Sorry, Mister Trump, non possiamo farci niente!

Suona piu' o meno cosi' la risposta che un consiglio di economisti incaricati dal governo tedesco ha dato alla richiesta americana di ridurre gli avanzi commerciali. Una risposta che ovviamente piacerà molto al committente, il Ministro dell'Economia Peter Altmaier, e un po' meno alla controparte americana. Ne scrive Der Spiegel 


"Benvenuti ad una presentazione su un argomento molto arido": con questo avvertimento Albrecht Ritschl giovedì scorso ha aperto la presentazione dello studio commissionato dal governo sul surplus delle partite correnti tedesche. In realtà, il tema dei flussi di merci e di capitali negli ultimi anni si è fatto decisamente piu' interessante.

Ciò è dovuto principalmente al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Da tempo, infatti, Trump critica con forza il fatto che la Germania esporti molti piu' beni di quanti non ne importi, e sostiene che sia arrivato il momento di cambiare lo stato delle cose con l'aiuto di dazi commerciali punitivi. Anche la Commissione europea, l'Organizzazione dei paesi industrializzati OCSE e il Fondo monetario internazionale sono uniti nel criticare le ampie eccedenze commerciali.


La politica tedesca, che da sempre difende il surplus delle esportazioni considerandolo il risultato di un'economia particolarmente efficiente, si trova ora nella spiacevole situazione di dover dare delle spiegazioni, come del resto accade anche al Ministro federale dell'Economia Peter Altmaier (CDU). Il suo comitato scientifico consultivo ha analizzato, almeno dal punto di vista teorico, se in materia di eccedenze commerciali vi sia spazio per un cambiamento. Il risultato probabilmente piacerà molto più al ministro tedesco che non al presidente degli Stati Uniti. In poche parole: Sorry, signor Trump, non possiamo farci niente!

Detto con parole un po' piu' ufficiali, il gruppo di studiosi è giunto alla conclusione che una "marcata riduzione" delle eccedenze sarebbe "possibile solo con delle forti scosse". Sotto la guida dello storico dell'economia Ritschl, gli economisti hanno esaminato quattro opzioni.

La piu' popolare fra i tedeschi probabilmente è l'opzione di un taglio dell'IVA, che l'economista Carl Christian von Weizsäcker aveva già messo in campo due anni fa in risposta alle prime minacce di Trump. Dato che la riduzione renderebbe anche i beni e i servizi provenienti dall'estero più economici, i tedeschi consumerebbero piu' beni riducendo così il surplus tedesco

Se l'Iva venisse ridotta dall'attuale 19 % al 17 %, secondo lo studio, si avrebbe una "leggera riduzione del saldo di conto corrente", accompagnata tuttavia da un "forte aumento del debito pubblico", sempre secondo l'analisi.

Gli economisti arrivano a questa conclusione anche perché escludono di finanziare la misura attraverso maggiori imposte sul reddito. A ciò si deve aggiungere il fatto che lo stato attualmente può indebitarsi a condizioni favorevoli a causa dei bassi tassi di interesse.

Un membro del gruppo di studiosi tuttavia contraddice questo atteggiamento scettico. Alla luce dei bassi tassi di interesse una riduzione delle imposte finanziata a debito avrebbe "effetti più forti di quelli ipotizzati e il conseguente aumento del debito pubblico sarebbe più lento di quanto indicato nell'analisi".

Una tassa come nel 1968?

Una seconda opzione sarebbe quella di aumentare le imposte sulle vendite generate dall'export. "Una tassa sull'export è qualcosa di fondamentalmente simile a un dazio che viene prelevato non dai paesi stranieri ma dal paese esportatore", afferma Ritschl. In effetti, già nel 1968 per un breve periodo era stata introdotta una tassa simile. Oggi, tuttavia, sarebbe difficile da far rispettare in quanto la politica doganale è una priorità dell'UE.

Gli economisti ritengono inoltre che in questo modo si potrebbe danneggiare l'attività economica interna. Alla fine una tale tassa sull'export, a loro avviso, potrebbe rallentare le esportazioni, ma lasciare il conto corrente invariato: e cioè accadrebbe nel caso in cui gli esportatori tedeschi a causa del loro potere di mercato riuscissero ad imporre dei prezzi più elevati ai loro clienti.

Il giudizio su di un eventuale intervento in materia di politica salariale è ancora più chiaro. Senza dubbio l'aumento dei salari potrebbe aumentare la domanda di beni stranieri, in maniera simile a una riduzione dell'IVA. Ma data l'economia di mercato e l'autonomia della contrattazione collettiva fra le parti, lo stato  al massimo potrebbe esercitare una certa influenza attraverso la contrattazione nel servizio pubblico, così secondo gli economisti. I salari inoltre attualmente stanno continuando ad aumentare. Gli interventi politici in questo contesto sarebbero dannosi. 

Il consiglio consultivo si troverebbe senza dubbio molto piu' a suo agio con dei possibili sgravi fiscali da applicare sugli investimenti in Germania. Perché parte del problema della bilancia dei pagamenti tedesca risiede nel fatto che i tedeschi risparmiano più della media, ma investono gran parte dei loro risparmi all'estero - per questa ragione in patria c'è una mancanza di investimenti.

Lo stato potrebbe neutralizzare questo effetto, riducendo la tassazione sui redditi da capitale derivanti da investimenti interni - ad esempio riducendo significativamente le imposte sulle società o facilitando la svalutazione delle immobilizzazioni. In alternativa potrebbe rendere gli investimenti all'estero meno attraenti, ad esempio se il fisco limitasse l'esenzione dalla doppia imposizione.

Secondo i calcoli, diversamente da quanto accadrebbe con una tassa sulle esportazioni, questa strategia stimolerebbe effettivamente l'economia tedesca, aumenterebbe gli investimenti e le entrate pubbliche e alla fine ridurrebbe le eccedenze. Lo strumento è "in un certo qual modo utile" e non avrebbe "effetti collaterali importanti", afferma Ritschl. Tuttavia, come in tutti gli scenari, gli effetti sulle partite correnti sarebbero "alquanto ridotti".

Un messaggio confortevole per il governo federale

Non c'è da stupirsi che il Ministro dell'Economia Altmaier abbia subito accolto con favore la relazione. Alla fine il documento non fa che dare coraggio al governo nel suo atteggiamento, cioè: fare molto poco per contrastare le eccedenze commerciali. Gli scienziati inoltre sottolineano che la Germania è fortemente legata alle economie degli altri paesi, come invece accade solo ad economie minori, ad esempio la Svizzera o la Danimarca.

"Mentre le loro eccedenze non sono significative a livello internazionale, quelle tedesche sono invece diventate oggetto di un conflitto politico internazionale", dice lo studio. La Repubblica federale ha un'influenza molto limitata sulla sua situazione, soprattutto perché non può più gestire la politica dei tassi di cambio in quanto parte della zona euro.

Questi argomenti sono stati ripetuti più e più volte a Trump e agli altri, ma non hanno modificato la critica mossa alla Germania. "L'insoddisfazione è tangibile, anche io faccio questa esperienza quando sono all'estero", ha detto Ritschl, che insegna alla London School of Economics. Ancora più chiaro è stato quel membro del Consiglio consultivo che sulla riduzione dell'IVA ha dato un voto di minoranza: "Il rapporto sottovaluta la grande urgenza di risolvere il problema".

sabato 30 marzo 2019

Martin Selmayr – L'eminenza grigia di Bruxelles

Chi è Martin Selmayr? Nipote di due generali del terzo Reich, rampollo delle élite, prima lobbista di punta per Bertelsmann a Bruxelles e poi una rapida carriera alla Commissione fino al "colpo di stato" (cit.) del 2018. Oggi è l'uomo piu' potente nei palazzi del potere europeo, l'eminenza grigia accanto a Juncker, con un futuro radioso se Weber (CSU) dovesse diventare il nuovo capo della Commissione. Ne scrive Jens Berger sulle NachDenkSeiten



Jean-Claude Juncker probabilmente è noto a tutti i nostri lettori e anche il suo probabile successore, Manfred Weber, per molti è un nome familiare. Il nome di Martin Selmayr tuttavia dice qualcosa solo a pochi interessati. Selmayr - e su questo sono d'accordo i suoi amici, ma anche i suoi nemici - è l'uomo più potente d'Europa: conservatore, neoliberista, assetato di potere, un vero e proprio rampollo delle élite, che negli ultimi anni ha plasmato l'UE secondo le sue idee. Dopo le elezioni europee Selmayr potrebbe espandere ulteriormente il suo già enorme potere e quindi causare ulteriori gravi danni all'ideale di un'Europa democratica e trasparente. Di Jens Berger .

Chi cresce in un ambiente familiare come quello di Martin Selmayr, nella vita ha un certo vantaggio di partenza. Come nipote di due generali - il nonno Josef Selmayr faceva parte dell'organizzazione Gehlen ed è stato il primo capo del MAD - e figlio di un grande avvocato nonché Rettore dell'Università della Bundeswehr di Monaco di Baviera, Selmayr ha sempre avuto la quantità necessaria di vitamina B (raccomandazioni) nei geni. Dopo aver studiato legge a Ginevra, Passau, Berkeley e al Kings College di Londra, Selmayr è stato assunto dal gruppo editoriale Bertelsmann e lì nel giro di due anni è stato messo a capo della rappresentanza di Bruxelles, vale a dire lobbista capo di Bertelsmann all'UE. Ma è rimasto in questo posto solo per un anno. Nel 2004 il lobbista del gruppo editoriale ha saltato la barricata ed è diventato portavoce della Commissione europea per le telecomunicazioni e la politica dei media. Proprio a causa delle carriere fondate su questo sistema delle porte girevoli, l'UE è giustamente finita nel fuoco incrociato delle critiche.


Ad aprire le "porte girevoli" al conservatorie Selmayr però è stato un uomo per il quale i confini fra la politica e la lobby sono sempre stati molto incerti: Elmar Brok, dal 1980 deputato europeo per la CDU, dal 1992 incaricato per gli affari europei di Bertelsmann, per un periodo a capo della sede di Bruxelles e perfino "Senior Vice President media development" del gruppo - ovviamente sempre accanto "al suo mandato di parlamentare europeo". Su raccomandazione del suo collega Brok, Selmayr nel 2010 è diventato Capo di Gabinetto del Commissario UE lussemburghese Viviane Reding, che in piena coerenza, come secondo lavoro ha ottenuto un posto proprio nel Consiglio della Fondazione Bertelsmann.

Il salto di carriera successivo glielo ha preparato ancora Brok, che lo ha raccomandato al suo amico Jean-Claude Juncker come responsabile per la sua campagna di candidatura alla Presidenza della Commissione Europea.  Selmayr probabilmente è riuscito a tirare le corde giuste e dopo aver vinto le elezioni, Juncker lo ha nominato suo capo di gabinetto. Da quel momento in poi, il potente bavarese è diventato il "braccio destro" di un leader dell'UE segnato da seri problemi di salute e che nel giro dei funzionari di Bruxelles è conosciuto come il "Direttore della prima colazione" (senza potere reale). Selmayr già allora determinava più o meno direttamente ciò che il suo "capo" in seguito avrebbe implementato e simbolicamente guidava la sua mano su ciò che poi avrebbe firmato. Fra le autorità dell'UE Selmayr tuttavia si è fatto pochi amici. Secondo i resoconti basati su testimonianze di insider fatti dai corrispondenti da Bruxelles dei diversi giornali internazionali , Selmayr nei palazzi del potere sarebbe conosciuto come "figura odiosa", "Rasputin", "Mostro di Juncker" o "Mostro di Berlaymont" (palazzo Berlaymont è la sede della Commissione europea), ed è largamente considerato uno dei funzionari dell'UE meno amati della storia. Secondo i resoconti Selmayr guiderebbe l'ufficio del suo "capo" con mano ferrea, e sarebbe pronto a scavalcare i commissari europei responsabili anche su importanti decisioni della Commissione. Così ad esempio avrebbe dato il via libera ad Alexander Dobrindt e al suo "pedaggio autostradale per gli stranieri" - contrariamente a quanto prevedono le leggi europee - senza nemmeno aver consultato il commissario sloveno responsabile in materia di trasporto.

Numerosi giornali, come ad esempio la francese Liberation, hanno parlato del successivo salto di carriera di Selmayr come di un "colpo di stato". Sotto la protezione di Jean-Claude Juncker, il 21 febbraio 2018 Selmayr è stato nominato Vice Segretario Generale della Commissione Europea e solo un'ora dopo la nomina, nella stessa riunione della commissione, l'allora segretario generale ha annunciato le sue dimissioni, dopodiché il vice, che era in carica da nemmeno un'ora, è salito nella posizione piu alta della burocrazia dell'UE. Senza alcun bando, senza una discussione politica e senza la partecipazione del Parlamento, così è stato "nominato" il capo dei 33.000 dipendenti della Commissione europea e dei più importanti funzionari dell'Unione europea, da parte dell'uomo che da quattro anni si fa guidare la mano esattamente dalla stessa persona. Sì, lo si può chiamare  "colpo di stato".

La protesta c'è anche stata. Il Mediatore europeo ha presentato una denuncia, il Parlamento europeo ha votato con 368 voti a favore e 15 contrari una risoluzione che chiedeva le dimissioni di Martin Selmayr. Sfortunatamente il Parlamento europeo sulle questioni veramente importanti a Bruxelles viene ignorato. Il Commissario europeo responsabile per il bilancio e il personale alla fine è proprio Günther Oettinger, il quale è un conservatore neo-liberista della CDU e quindi è parte integrante del problema, non una soluzione. E' stato così che il "golpe" di Martin Selmayr ha avuto successo ed oggi egli è il numero uno indiscusso dell'esecutivo di Bruxelles, che come Segretario generale della Commissione europea ed eminenza grigia tira i fili alle spalle del gravemente malato Jean-Claude Juncker.

Sia che si tratti della militarizzazione dell'UE, della progressiva concentrazione delle competenze sulle direttive all'interno della opaca struttura di potere della Commissione europea, oppure della progressiva perdita di potere dei governi nazionali in materia di politica fiscale - il funzionario dell'UE Martin Selmayr è sempre al centro di queste decisioni. Raramente fino ad ora nell'Europa democratica e post-monarchica il potere era mai stato distribuito in maniera cosi' poco trasparente e anti-democratica. Non è solo il fatto che quasi nessuno conosca Martin Selmayr e lui come funzionario capo non è obbligato a rendere conto del suo operato davanti all'opinione pubblica. Molto peggio è il fatto che Selmayr non sia mai stato votato dal popolo in un'elezione e che i suoi vasti poteri non siano in alcun modo legittimati dalla democrazia classica.

Non è nemmeno così che ci libereremo alla svelta di Martin Selmayr. Perché è proprio il politico della CSU Manfred Weber, attualmente alla guida del gruppo PPE al Parlamento europeo, ad avere le maggiori possibilità di diventare il successore di Juncker. Quando il parlamento di Strasburgo con un'ampia maggioranza ha tentato di sfiduciare Selmayr, sono stati proprio i deputati del PPE gli unici a restare fedeli al Segretario generale. Weber è considerato privo di collegamenti importanti e soprattutto a livello di commissione è considerato come l'ultimo arrivato. Pertanto gli addetti ai lavori ritengono che senza l'Eminenza Grigia al suo fianco, Weber non sarà in grado di gestire l'eredità di Juncker. E politicamente i due ultra-conservatori Weber e Selmayr vanno perfettamente d'accordo: sono entrambi liberisti, entrambi atlantisti ed entrambi bavaresi. Da queste elezioni europee non possiamo aspettarci di avere più democrazia, più trasparenza o anche una politica più progressista. Il potere rimarrà probabilmente intatto - indipendentemente dal fatto che guidi la mano di Juncker o quella di Weber.