"Il debito pubblico non è certo un problema così grande come spesso viene rappresentato nel dibattito pubblico tedesco", oppure "il rappporto debito-PIL al 60 % è stato definito in modo del tutto arbitrario" o ancora "la BCE non sta facendo nulla che non le sia permesso di fare...e non sta togliendo nulla ai risparmiatori tedeschi", ma anche: "è il momento giusto per cambiare il mandato della BCE". A dirlo non è un politico dell'Europa del sud, ma il grande economista tedesco Jens Südekum, voce sempre piu' influente nel dibattito tedesco e soprattutto consigliere economico molto apprezzato dal ministro Olaf Scholz. Jens Südekum intervistato da T-Online
t-online.de: Herr Südekum, si metta una mano sul cuore: comprerà più latte a partire da luglio grazie ai due centesimi di risparmio sull'Iva per ogni litro?
Jens Südekum: Probabilmente no. Però, come funzionario pubblico, la crisi economica causata dal Coronavirus non mi ha colpito direttamente. Non ho bisogno di cambiare eccessivamente le mie abitudini di consumo. Resta da vedere se davvero la gente farà più acquisti grazie alla riduzione dell'iva.
E' stato fra i primi a lodare il pacchetto di stimoli della Grande Coalizione. Pensa davvero che tre punti percentuali di Iva in meno siano un grande incentivo a fare piu' acquisti?
Non è del tutto vero. All'inizio anche io sono rimasto alquanto sorpreso dal taglio delle tasse. Come la maggior parte delle persone, anche nella mia lista delle cose da fare non c'era questa misura. In precedenza erano stati discussi altri strumenti. Ad esempio gli incentivi per l'acquisto di automobili, che fortunatamente non ci sono. E' stata una vittoria contro le forze dei lobbisti. La Grande coalizione invece ha deciso di ridurre l'IVA. Ci sono luci ed ombre. La questione del passaggio ai consumatori finali resta problematica. E' positivo il fatto che sia intersettoriale e limitata nel tempo. In questo modo, lo Stato incoraggia i consumatori ad anticipare gli acquisti che avrebbero comunque previsto di effettuare. Chiunque quest'anno voleva acquistare un nuovo smartphone, ora sarà più propenso a farlo - sapendo che nel nuovo anno potrebbe costare dai 50 ai 60 euro in più. È un effetto positivo.
Ma questo effetto scomparirà non appena la riduzione verrà meno, giusto?
Si', c'è da aspettarselo. Gli acquisti diminuiranno a partire da gennaio. Perché dopo che avrò comprato la prima lavatrice, è probabile che non abbia bisogno della seconda. Ma questa è l'ironia di aver posto un limite temporale. Dopo tutto la speranza è che prima di allora l'economia sia ripartita e che gli stimoli supplementari alla domanda non siano più necessari.
Tutto questo presuppone che i commercianti trasferiscano la riduzione dell'imposta ai consumatori. Pensa che lo faranno?
In realtà se guardiamo a quello che è successo negli altri paesi, dovremmo essere alquanto scettici. Gli studi dimostrano che laddove c'è stata una riduzione dell'aliquota IVA, i commercianti non hanno quasi mai adeguato i prezzi per i consumatori. Anche se non era mai avvenuto nell'ambito di un pacchetto di stimoli economici. Ora c'è tutt'altro tipo di pressione pubblica. Sono quindi ottimista sul fatto che, dopo tutto, la riduzione dell'imposta alla fine in molti casi venga trasferita ai clienti.
Sembra un elogio nei confronti dei partiti della Grande coalizione - e lei non è il solo a farlo. Molti economisti, che normalmente hanno opinioni molto diverse, la vedono in maniera simile. Da dove arriva questa nuova unità nella vostra corporazione solitamente cosi' divisa?
Prima di tutto sono d'accordo con questa valutazione. È vero che in questo momento c'è un ampio consenso - almeno per quanto riguarda la progettazione del pacchetto di stimolo per l'economia tedesca. È chiaro a tutti gli economisti: questa crisi sta colpendo l'economia come nessun'altra crisi aveva fatto finora. Ed è quindi altrettanto chiaro che lo Stato deve intervenire in modo massiccio per contrastarne gli effetti. Ma se le lodi sono così unanimi è dovuto anche al fatto che la politica non ha ripetuto alcuni errori fondamentali del passato. La grande coalizione non ha messo insieme un semplice pacchetto pensato per le lobby, ma un pacchetto molto sensato che sarà efficace non solo nel breve termine, ma anche nel lungo. Le spese per gli investimenti futuri ammontano a circa 50 miliardi di euro. È difficile essere contrari a priori. E un ultimo motivo è che, a differenza dei tempi della crisi finanziaria, la crisi causata dal Coronavirus è caratterizzata da legami molto stretti fra scienza e politica. A quei tempi, dieci anni fa, c'erano due mondi fra loro separati: la politica faceva il suo compito, gli economisti facevano poi a pezzi quelle stesse misure. Ora si potrebbe dire che i decisori politici e gli economisti parlano molto di piu' fra di loro.
Per finanziare il pacchetto, lo Stato si indebiterà in una dimensione storica. Cosa le fa pensare che questo non sia un problema?
Dire che non è affatto un problema, sarebbe esagerato. Ma il debito pubblico non è certo un problema così grande come spesso viene rappresentato nel dibattito pubblico tedesco. Frasi come "le prossime generazioni dovranno pagare per i nuovi debiti", non riesco proprio piu' nemmeno ad ascoltare. E' una rappresentazione completamente distorta e limitata. Il debito pubblico non è fatto per essere ripagato, è fatto semplicemente per restare li'. Il punto è piuttosto fare in modo che il prodotto interno lordo, cioè la produzione economica, cresca più rapidamente dei debiti. In questo modo, il rapporto debito pubblico/PIL, si ridurrà automaticamente. È così che si è fatto dopo la crisi finanziaria ed è così che possiamo fare un'altra volta. Il fatto che dal 2013 in poi una parte del debito sia stata effettivamente rimborsata, cioè estinta, storicamente è un'eccezione assoluta, un fatto che non era mai accaduto prima nella storia della Repubblica Federale.
E allora perché i tedeschi ci credono veramente?
Perché nella politica economica, purtroppo, si raccontano molte favole. Queste possono sembrare plausibili ai non addetti ai lavori perché sembra in qualche modo logico che gli stati funzionino come le famigle. Se lo zio Ernst o la zia Frieda prendono in prestito dei soldi, ovviamente devono restituirli. Ma il debito pubblico funziona in modo completamente diverso. Se a scuola si insegnasse una materia chiamata economia, ci sarebbero anche piu' persone in grado di capirlo.
Il metro di valutazione del debito pubblico è il cosiddetto rapporto debito/PIL, di cui lei ha parlato poco fa. L'UE stabilisce che nel lungo termine non debba superare il 60 %. Si tratta di una dimensione ragionevole dal punto di vista economico?
No, il rappporto debito-PIL al 60 % è stato scelto in modo del tutto arbitrario. Per questo motivo non dobbiamo farci prendere dal panico se un paese ha un rapporto di indebitamento più elevato. Gli Stati Uniti sono al 130 %, mentre in Giappone è il rapporto è pari al 250 % del PIL. Questa cifra indica semplicemente l'entità del debito rispetto al prodotto interno lordo. Ad essere decisivo per la valutazione del debito pubblico, tuttavia, è un altro numero.
Quale?
Molto più importante del rapporto debito pubblico/PIL è la sostenibilità del debito, vale a dire se possiamo permetterci di pagare i tassi di interesse per il servizio del debito. E per valutarlo, prima di tutto dobbiamo guardare all'evoluzione futura dei tassi di interesse. La regola è: fino a quando la crescita percentuale dell'economia sarà superiore rispetto al tasso d'interesse, non ci sono problemi. Al momento siamo fortunati perché i tassi di interesse sono ad un livello storicamente basso. Lo Stato tedesco può indebitarsi a tasso zero, i tassi d'interesse sui titoli di stato tedeschi sono addirittura negativi - i nostri debitori ci pagano anche qualcosa per avergli permesso di darci i loro soldi a prestito.
Cosa significa esattamente?
In concreto, ciò significa: anche se la crescita economica dovesse essere molto bassa, ad esempio, solo dell'uno per cento, possiamo permetterci di fare dei nuovi debiti. La sostenibilità del debito è quindi possibile. Possiamo crescere riducendo il debito. Direi che invece di parlare del rapporto tra debito pubblico e PIL, dovremmo parlare un po' di più del cosiddetto rapporto tra interessi e entrate dello stato. Che del resto risponde a una domanda: quanto deve spendere la generazione attuale per pagare gli interessi passivi? All'inizio degli anni '90 questo tasso era del 16 %. Era ad un livello problematico, perché limitava le possibilità della spesa pubblica. Attualmente, tuttavia, questa cifra è solo al 4%. La Germania si trova in una situazione estremamente confortevole. Anche l'Italia per quanto riguarda il rapporto fra interessi sul debito ed entrate pubbliche si trova all'8 %. E' gestibile. Non dobbiamo farci prendere dal panico a causa dei debiti.
Il ministro dell'Economia Peter Altmaier a quanto pare non ne ha ancora sentito parlare. Dice che il debito pubblico deve scendere al 60% entro "una generazione". E' una sciocchezza?
No, sono certo che il signor Altmaier capisce molto bene il concetto e non interpreterei la sua dichiarazione in questo senso. Penso anche che sarebbe molto positivo se la crescita economica tornasse ad essere di nuovo così forte da far scendere il rapporto debito pubblico/PIL al 60% entro dieci anni. Ma dico anche: se non succede, non è un disastro. Questo significa che non dobbiamo risparmiare ad ogni costo e con ogni mezzo, al solo scopo di liberarci dai debiti - al contrario: sarebbe fatale se iniziassimo troppo presto a risparmiare e soffocassimo immediatamente lo stimolo economico che ora invece viene innescato. Sarebbe come se in un'auto premessimo contemporaneamente sia l'acceleratore che il freno. Ciò di cui abbiamo bisogno è la crescita.
La domanda chiave è: avremo questa crescita?
Ne sono convinto, sì. Non c'è motivo per cui l'economia non debba tornare a crescere anche dopo la crisi da Coronavirus. Certo, alcune cose cambieranno, ad esempio il nostro comportamento in relazione ai viaggi. Altri beni invece - ad esempio i software per le videoconferenze - saranno più richiesti. E anche se l'economia non crescesse così tanto, probabilmente non sarebbe un problema, perché allora la Banca Centrale Europea (BCE) non avrebbe alcun motivo per rialzare i tassi di interesse, in modo che noi potremmo continuare a permetterci di finanziare il debito.
La parola chiave corretta: un presupposto importante per avere un onere derivante dai tassi d'interesse permanentemente bassi è anche il fatto che la stessa BCE acquisti i titoli di Stato senza indugio. Lo fa già indirettamente, anche se ufficialmente non le è permesso di farlo. È un problema?
In primo luogo, serve un chiarimento: la BCE non sta facendo nulla che non le sia permesso di fare. Attualmente la BCE non acquista direttamente il debito degli Stati. Questo lo fanno le banche commerciali, ad esempio Commerzbank. Quest'ultima vende i titoli di debito alla BCE. E questo entro certi limiti è consentito. E per sfatare un altro mito: la BCE non è la sola responsabile dei bassi tassi d'interesse, non sta togliendo nulla ai risparmiatori tedeschi. I tassi di interesse sono in calo a causa della minore domanda di denaro. Questa tendenza è presente sin dagli anni '80. E ora passiamo al problema da lei citato: è vero che la BCE ha un insieme di regole molto più stringenti rispetto a quello delle altre banche centrali, ad esempio della Banca del Giappone o della Federal Reserve statunitense. Queste sono autorizzate a supportare direttamente i loro Stati, facendo partire la stampante delle banconote. E già lo stanno facendo.
La BCE dovrebbe essere autorizzata a fare lo stesso?
Se è necessario, allora anche con tutti i mezzi disponibili. E ora sarebbe il momento giusto per un cambio di mandato. E' inaccettabile che la BCE con i suoi programmi di acquisto dei titoli di Stato sia sempre sul banco degli imputati. E' il momento di essere onesti e ammettere che la costruzione dell'euro aveva dei difetti. Non avremmo mai dovuto introdurre una moneta comune senza una politica finanziaria e fiscale comune guidata da Bruxelles per tutti gli Stati membri. E non avremmo mai dovuto mettere tutte queste catene alla BCE. Non funziona. Se vogliamo preservare l'euro, e io lo voglio, dobbiamo anche discutere dell'architettura dell'eurozona. La mia speranza è che la crisi attuale ci porti a parlare dei fondamenti del sistema in cui ci troviamo.
Molti tedeschi non vogliono che questo accada perché temono di dover pagare il conto per gli altri paesi. E la loro paura dell'inflazione è altrettanto grande. Secondo lei, quante probabilità ci sono che l'euro si deprezzi, data la quantità di denaro che la BCE sta pompando sui mercati?
Prima di tutto, non credo che molti tedeschi abbiano paura del più Europa. Si tratta solo di alcuni gruppi specifici. Anche tra gli economisti non sono più la maggioranza. E per quanto riguarda l'inflazione, è vero che negli ultimi tempi la quantità di base monetaria è aumentata notevolmente e continua a crescere. Ma i miliardi di euro non entrano neanche nel ciclo monetario. Il denaro viene accumulato. La gente risparmia e le aziende ne hanno bisogno in misura molto minore - perché, ad esempio, gli investimenti in algoritmi informatici oggi sono più economici rispetto alla costruzione di una nuova acciaieria di 100 anni fa. Proprio per questo motivo i tassi di interesse, in quanto prezzo del denaro, sono cosi' bassi. Non sono quindi preoccupato per l'inflazione nel prossimo futuro. Ho più paura della deflazione.
Parliamo del suo campo specialistico, l'economia internazionale. Le esportazioni tedesche hanno subito un crollo storico. Quanto cambierà il commercio internazionale a seguito della pandemia causata dal coronavirus?
Quello che abbiamo visto nei giorni scorsi, in merito alle statistiche ufficiali sulle esportazioni, è l'onda d'urto di breve termine proveniente dal Coronavirus, che sta colpendo l'intero globo. La domanda di beni e servizi è crollata drammaticamente in tutto il mondo. Nella situazione attuale, chi dovrebbe comprare un'auto tedesca? Al contrario, stiamo acquistando molto meno dall'estero, anche perché le catene di approvvigionamento si sono interrotte. Nel medio e nel lungo termine ci sarà un allentamento della situazione. Mi aspetto che il commercio internazionale, almeno in parte, si riprenda a partire dalla seconda metà dell'anno.
Ne è sicuro? Dopotutto, anche prima della crisi da Coronavirus c'erano segnali che la globalizzazione in parte stesse regredendo. Il Coronavirus non ha accelerato questa tendenza?
E' possibile. Grazie alle nuove tecnologie, molti si chiedono se la globalizzazione sia ancora necessaria, se il mondo abbia davvero bisogno di restringersi ancora. Ad esempio, abbiamo davvero bisogno di produrre tessuti o scarpe in paesi a basso salario come il Vietnam? Potremmo anche farli produrre in maniera economicamente vantaggiosa da fabbriche completamente automatizzate in Europa - e allora avremmo bisogno di meno commercio internazionale. Il Coronavirus ci mostra anche quanto sia fatale dipendere dall'estero per i beni vitali, come le mascherine. Tuttavia, vorrei mettere in guardia dal voler riportare a casa ogni tipo di produzione.
Perché?
Perché anche se producessimo tutto in Germania o nelle vicinanze, non saremmo comunque protetti al 100% dalle crisi future. Immagini cosa accadrebbe se la prossima pandemia virale non scoppiasse in Cina, ma in Nordreno-Vestfalia. Ne saremmo colpiti allo stesso modo. Quello che probabilmente accadrà, tuttavia, è che in futuro le aziende opereranno su più binari. Renderanno le loro catene di approvvigionamento più larghe in modo da non dipendere da un solo sito di produzione in Estremo Oriente - anche se ciò sarà un po' costoso. Ma lo faranno autonomamente. Metto in guardia i politici dal voler alimentare questo fenomeno e dal tentativo di riportare a casa qualsiasi produzione.
Ma potrebbero diventare molto popolari tra la gente. La maggior parte dei tedeschi ormai è scettica nei confronti della globalizzazione. I politici non dovrebbero forse spiegare alla gente che con meno globalizzazione molte cose saranno più costose?
Assolutamente sì. E anche qui è vero che molte persone sono sopraffatte dai temi economici. Non capiscono i vantaggi del commercio estero.
Allora, per favore, ce li spieghi lei!
Per farlo dobbiamo guardare un po' al passato. Nel 1960, il tedesco medio doveva lavorare 43 giorni per potersi permettere un televisore a tubo. Oggi ci vuole meno di una settimana per un moderno televisore a schermo piatto. Si tratta di un declino drammatico - e lo dobbiamo molto al commercio, alla globalizzazione, che ha fatto sì che i televisori possano essere prodotti a prezzi molto più bassi in Cina. Anche il viaggio low cost a Maiorca è un prodotto della globalizzazione. Chiunque dica di voler tornare indietro dalla globalizzazione, deve anche rendersi conto che ciò per la gente potrebbe significare un'enorme perdita di prosperità. Non dovremmo commettere questo errore, soprattutto perché noi, come economia tedesca, siamo estremamente dipendenti dal commercio internazionale. Ma dovremmo fare un lavoro migliore per riuscire a plasmare la globalizzazione, soprattutto in vista del cambiamento climatico.
Per combattere il cambiamento climatico, tuttavia, molti pensano, che dovremmo viaggiare di meno, soprattutto volare meno. L'Austria ha persino introdotto un prezzo minimo per i biglietti aerei. Un'idea sensata?
I prezzi minimi dei biglietti non sono il miglior strumento per proteggere il clima. Per questo abbiamo bisogno di un prezzo più alto per la CO2. Questo lo si può fare sia attraverso una tassa sulla CO2, che attraverso dei certificati sulla CO2, che tutte le compagnie aeree dovrebbero acquistare per compensare le conseguenze negative per il clima dei voli aerei. L'ideale sarebbe un commercio mondiale di tali certificati sulla CO2, in tutti i continenti, in tutti i paesi. Poiché ciò in tempi prevedibili non è molto realistico, dovremmo almeno attuarlo nell'UE. Per tutte le importazioni dai paesi terzi, tuttavia, dovremmo applicare un'imposta supplementare sul contenuto di CO2 alla frontiera esterna dell'UE, simile alla sovrattassa IVA sulle merci importate, per le quali il produttore in patria non ha dovuto pagare l'imposta. Questo non è protezionismo, ma è necessario e anche giusto per preservare l'industria in Europa.
Herr Südekum, la ringrazio per l'intervista