"La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo grazie al quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi delle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sulla Brexit. Da Makroskop una rilfessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sugli effetti della Brexit.
Da alcuni anni a Bruxelles si fa il possibile per non imparare nulla dalla Brexit, e per come stanno andando le cose, sembra anche funzionare.
Cosa si sarebbe potuto imparare? Niente di meno, ad esempio, che trovare un modo per scrollarsi di dosso la chimera tecnocratica, mercatocentrica e antidemocratica tipica di un impero neoliberale europeo centralizzato di fine Novecento, e per trasformare quindi l'Unione Europea in una comunità pacifica di Stati sovrani vicini e legati tra loro da una rete di rapporti di cooperazione reciproca non gerarchica, volontaria e paritaria.
Il sovranazionalismo è una scusa
Il funzionamento interno dell'Unione Europea è infinitamente complicato e decisamente opaco, ma c'è un principio che sembra valere ovunque. Per capirlo, bisogna comprendere la politica interna dei tre principali Stati membri, Germania, Francia e Italia, e le loro complesse relazioni trilaterali. Il sovranazionalismo non è altro che un velo dietro il quale si svolge l'azione vera, nazionale e internazionale.
La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo tramite il quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi alle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista
Gli inglesi non l'hanno mai capito veramente. Anche il servizio diplomatico britannico ha sempre trovato alquanto impenetrabile il sottobosco di Bruxelles. Mentre la Thatcher odiava l'UE - troppo straniera per i suoi gusti - Blair credeva di poterne diventare il suo Napoleone trasformandola, insieme a Chirac e Schröder, in una macchina per la ristrutturazione neoliberista: come un "grande unificatore continentale", questa volta però dall'esterno. Ma non è andata così: Francia e Germania lo lasciarono da solo a fare l'aiutante del suo amico americano, facendolo andare da solo in guerra in Iraq, fino ad arrivare poi alla sua caduta.
Nel 2015 Cameron poi ha appreso che anche la grande e potente Gran Bretagna, abituata da sempre a governare le onde degli oceani del mondo, non era riuscita ad ottenere da Merkel nemmeno le piu' minuscole concessioni sulla libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico, concessioni di cui aveva bisogno per poter vincere il referendum del 2016 - che, dopo tutto, avrebbe dovuto scolpire nella pietra l'adesione britannica all'UE.
La mancanza di comprensione reciproca ha portato alla Brexit
E in Germania poi nessuno si è mai preoccupato di come le frontiere aperte di Merkel nell'estate del 2015, quando la Cancelliera permise a un milione di rifugiati di entrare nel Paese, avrebbero potuto influenzare il voto britannico. La maggior parte dei rifugiati, infatti, proveniva dalla Siria, da dove erano stati sfollati a causa di una guerra civile che l'amico americano della Germania continuava ad alimentare senza tuttavia riuscire a fermarla. Per Merkel, questa era l'occasione per correggere l'immagine da "regina di ghiaccio" concquistata nella primavera dello stesso anno, quando aveva fatto sapere che "non possiamo accettarli tutti".
La mancanza di comprensione è stata reciproca. Nessuno nel continente credeva che il governo Cameron avrebbe potuto perdere la scommessa del referendum. Gli unici britannici con cui le classi istruite del continente parlavano, del resto, appartenevano per lo piu' alle classi istruite delle isole britanniche, ed erano incondizionatamente innamorati dell'UE per una serie di ragioni, spesso incompatibili tra loro. Per gli euroidealisti di centro-sinistra, l'UE poteva essere considerata l'anteprima di un futuro politico senza la macchia di un passato politico, uno stato virtuoso per antonomasia, se non altro perché non era ancora uno Stato - "Europa" come opportunità per la rifondazione morale dall'alto di un paese post-imperiale.
Altri che invece sapevano come funziona Bruxelles, devono aver riso di ciò sotto i baffi - soprattutto una classe politica che da tempo aveva imparato ad apprezzare la possibilità di spedire le questioni difficili direttamente nelle viscere dell'imperscrutabile Leviatano di Bruxelles, dove potevano essere spezzettate e smontate in modo irriconoscibile.
Tra questi ultimi c'erano i Blairiani post-Blair del Partito Laburista. Dopo aver perso il potere e dovendo confrontarsi con una classe operaia che secondo la buona tradizione britannica vedevano come arretrata, erano finalmente felici di poter importare un residuo di politica sociale e regionale da Bruxelles. Ma in questo modo non gli sarà sfuggito che Bruxelles invece non era stata in grado di offrire nulla di significativo, anche perché i governi britannici, incluso il New Labour, avevano già fatto fuori la "dimensione sociale" del "mercato unico" sottoponendolo ai sacri imperativi della "competitività" economica. E questo era destinato a ritorcersi contro di loro, proprio nel momento in cui gli elettori hanno cominciato a chiedersi perché il loro governo nazionale li avesse lasciati indifesi di fronte alla natura selvaggia dei mercati globali, consegnando la responsabilità sui loro cittadini a una potenza e a un tribunale straniero.
Le trattative sul divorzio condotte a porte chiuse
Quando Cameron, deluso da Merkel e Co, ha perso il referendum, lo shock è stato profondo, ma poi la politica dell'UE ha ripreso il suo ritmo abituale. La Francia vi ha visto un'opportunità per rispolverare il suo concetto originale di Europa integrata: vale a dire un'estensione dello Stato francese, con l'obiettivo specifico di incorporare la Germania in un'alleanza dominata dalla Francia. Nel caso in cui la Gran Bretagna avesse cambiato idea e i Remainers avessero prevalso, il ritorno all'ovile avrebbe dovuto essere abbastanza umiliante da precludere ogni possibilità di una futura leadership britannica.
Da parte dell'UE, le trattative per il divorzio sono state condotte dal diplomatico francese Michel Barnier, uno dei tecnocrati più importanti sulla scena di Bruxelles. Ha giocato in maniera dura fin dall'inizio, lasciando i revisionisti referendari sul lato britannico, come si dice, "a soffrire la fame". Ma questo non significava voler rendere facile la partenza degli inglesi. Ed è qui che è entrata in gioco la Germania, con il suo forte interesse a mantenere la disciplina tra gli Stati membri dell'UE. Macron e Merkel sin dall'inizio hanno insistito sul fatto che l'accordo per il divorzio avrebbe dovuto essere costoso per la Gran Bretagna, preferibilmente con l'impegno ad accettare per sempre le regole del mercato unico e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, anche dopo l'uscita. Per la Germania si trattava di dimostrare agli altri Stati membri dell'UE che qualsiasi tentativo di rinegoziare i rapporti con Bruxelles sarebbe stato inutile e che i diritti speciali sia all'interno che all'esterno dell'Unione erano del tutto fuori discussione.
Sarà compito degli storici scoprire che cosa è accaduto realmente tra Francia e Germania durante i negoziati fra UE e Regno Unito. Non esiste al mondo un sistema politico democratico, o apparentemente democratico, che funzioni cosi' tanto a porte chiuse come accade all'Unione Europea. Malgrado l'interesse dello Stato tedesco per la disciplina europea, l'industria tedesca delle esportazioni deve essere stata interessata a mantenere un rapporto economico amichevole con la Gran Bretagna post-Brexit e deve averlo comunicato al governo tedesco senza mezzi termini.
Pubblicamente, però, non c'è stato alcun segnale di ciò: né nella strategia di negoziazione di Barnier né nelle dichiarazioni di Merkel. Molto probabilmente perché la Germania all'epoca stava subendo la pressione di Macron finalizzata a sfruttare l'uscita del Regno Unito come un'opportunità per una maggiore e più rigorosa centralizzazione, soprattutto in termini fiscali - un tema sul quale la riluttanza della Germania ad accettare accordi che in futuro potrebbero costarle cari aveva incontrato il tacito sostegno britannico, anche se il Regno Unito non era un membro dell'eurozona.
Con l'avvicinarsi del giorno del "Deal or no-Deal" si è messo in pratica il consueto rituale del negoziato fino all'ultimo minuto, e Merkel probabilmente è riuscita ad imporre il suo peso politico in sostegno delle richieste dell'industria tedesca dell'export. Il Regno Unito era stato umiliato a sufficienza. Durante le ultime sessioni negoziali, Barnier, sebbene ancora presente, non ha più parlato in nome dell'UE; il suo posto è stato preso da uno stretto collaboratore della Von der Leyen. Per concludere in bellezza, la Francia ha utilizzato il nuovo ceppo "britannico" del coronavirus per bloccare due giorni il traffico merci dal Regno Unito verso il continente, ma questo non ha potuto impedire la conclusione dell'accordo. La strategia di negoziazione ad alto rischio di Johnson è stata premiata con un trattato grazie al quale giustamente il premier ha potuto rivendicare il ripristino della sovranità britannica. Ha pagato con un bel po' di pesce, ma questo punto è stato misericordiosamente coperto dall'ulteriore sviluppo della pandemia.
Quali saranno le conseguenze di quanto accaduto?
La Francia ha assunto 1.300 funzionari doganali supplementari che potranno essere impiegati per perturbare le relazioni economiche tra la Gran Bretagna e il continente, Germania compresa, ogni volta che il governo francese dovesse ritenere che le "condizioni concorrenziali eque" contenute nell'accordo non vengano più rispettate. Francia e Germania sono riuscite a dissuadere gli altri Paesi dell'Unione Europea, soprattutto ad est, dal rivendicare l'accordo con la Gran Bretagna come un precedente per le loro aspirazioni ad avere una maggiore autonomia nazionale. La pressione all'interno dell'UE in favore di un'alleanza più cooperativa e meno gerarchica non si è concretizzata. E i successori di Merkel dovranno affrontare un rapporto con la Francia ancora più complesso che in passato, dovendo ora resistere agli abbracci francesi senza il sostegno britannico, sullo sfondo delle incertezze dell'amministrazione Biden.
Per quanto riguarda il Regno Unito, per il gruppo Lexit ora sarà di nuovo il Parlamento britannico a governare, indipendentemente rispetto ai trattati europei e alla Corte di giustizia europea, e quando le cose andranno male i cittadini britannici potranno chiamare in causa solo il loro governo nazionale. Gli euro-revisionisti, inoltre, chiamati dai loro avversari "Remoaners", sembrano aver rinunciato a fare la loro opposizione, almeno per ora, anche se presumibilmente continueranno a cercare delle tutele nei confronti del rigido parlamentarismo maggioritario dello stato britannico.
E' possibile che la Scozia possa separarsi dal Regno Unito, se il Partito nazionale scozzese riuscisse a capitalizzare il sentimento pro-europeo con la promessa di candidarsi per il posto lasciato vuoto dallo stato britannico alla Tavola Rotonda di Re Emmanuel, per il momento composta da 27 membri. Ciò equivarrebbe a cedere la sovranità nazionale scozzese a Bruxelles, subito dopo averla riottenuta da Londra, dimenticando le contrastanti esperienze storiche fatte dalla Scozia con gli alleati e i governanti francesi.
Fino a quando ci sarà la prospettiva di un'adesione scozzese all'UE, si può escludere che Bruxelles abbia effettivamente imparato qualcosa dalla Brexit. D'altra parte, dato che l'apprendimento a Bruxelles in ogni caso è un fenomeno alquanto insolito, la questione potrà essere lasciata al buon senso degli scozzesi.