mercoledì 27 gennaio 2021

Una ricercatrice italiana ci spiega perché il Covid probabilmente è uscito da un laboratorio cinese

Rossana Segreto, ricercatrice italiana presso l'Università di Innsbruck, ci spiega perché il Covid potrebbe essere un virus manipolato uscito dal laboratorio di virologia di Wuhan. Una  intervista molto interessante alla ricercatrice italiana dalla Austria Presse Agentur. 


"Vorrei non aver mai scoperto queste relazioni", ammette Segreto, "la ricerca sull'origine del virus è politicamente scottante, come scienziata non vorrei nemmeno fare il gioco di qualche complottista". Ma ciò che ha scoperto nell'ultimo anno di ricerca, cioè da quando è scoppiata la pandemia, evidenzierebbe una manipolazione di laboratorio come possibile origine della pandemia. E questa sua posizione la pone in netto contrasto con la maggioranza degli scienziati, i quali invece sostengono l'origine naturale del coronavirus.

Critiche alla "negligenza"

Ma Segreto sostiene: "non c'è ancora nessuna prova scientificamente valida in merito al fatto che il patogeno si sia sviluppato in maniera naturale e che non sia nato in laboratorio". Eppure, sostiene la ricercatrice, l'ipotesi che all'origine della pandemia ci sia stato un potenziale incidente indotto da un errore umano viene esclusa sin dall'inizio.

"Questa è negligenza", si lamenta la microbiologa, aggiungendo che dopo tutto, decine di laboratori in tutto il mondo stavano sperimentando agenti patogeni mutati che avrebbero il potenziale di causare una pandemia. "Per questo siamo tutti a rischio", ha argomentato, "dato che ci sono già diverse prove in merito a dei precedenti incidenti di laboratorio".

Lei stessa, ancora prima dello scoppio della pandemia di coronavirus, nel gennaio 2020 stava già facendo delle ricerche presso l'Università di Innsbruck in merito alla comparsa di mutazioni, mentre l'anno precedente aveva avuto una posizione di post-dottorato presso l'Istituto di Microbiologia. Quando sono stati resi noti i primi casi di Wuhan, ha detto, si è subito incuriosita. Da allora, infatti, nel suo tempo libero lavora da sola e in collaborazione con altri scienziati per raccogliere diversi indizi che indicano una manipolazione di laboratorio come possibile origine del virus SARS-CoV-2.

Centro di ricerca sui virus ad alto rischio nell'area metropolitana

In primo luogo, ha detto, vi è la vicinanza geografica fra l'Istituto di virologia di Wuhan e il mercato degli animali esotici della provincia di Hubei, dove già nel mese di gennaio erano stati segnalati i primi casi di una misteriosa malattia polmonare. "In questo laboratorio la ricerca sui coronavirus mutanti va avanti da anni", ha spiegato Segreto. L'istituto di Wuhan è un laboratorio ad elevata sicurezza BSL-4, contina, in cui si lavora su patogeni altamente infettivi. In questi laboratori ci sono numerose misure di sicurezza da osservare per prevenire il rilascio di biosostanze. In ogni caso, il fatto che un tale laboratorio sia stato costruito in un'area metropolitana è preoccupante, ha detto Segreto. Già nel 2018, infatti, erano state sollevate delle preoccupazioni in merito alla sicurezza del lavoro svolto all'interno del laboratorio cinese in questione, scriveva il Washington Post lo scorso aprile.

Rossana Segreto (Twitter)

Dopo lo scoppio della pandemia, tuttavia, il laboratorio non è mai stato ispezionato e i database che in precedenza erano stati resi disponibili al pubblico nel frattempo sono stati cancellati, sostiene la scienziata. Il fatto che sin dall'inizio sia stata ipotizzata un'origine naturale del virus, secondo lei, è dovuto anche a un articolo scientifico pubblicato a marzo sulla rivista scientifica "The Lancet". In esso, i ricercatori sostenevano che il virus CoV-2 della SARS si era probabilmente già trasformato in un patogeno all'interno di un ospite animale tramite la selezione naturale, per poi saltare verso gli esseri umani.

"In Cina, come in altri paesi, la ricerca viene condotta con l'obiettivo di identificare e combattere i virus potenzialmente pericolosi", ha detto Segreto. In alcuni casi, sempre secondo la Segreto, i virus vengono mutati e alterati per essere resi ancora più contagiosi e mortali. Che i virus in microbiologia vengano creati artificialmente non è nulla di insolito, riferisce Segreto. Tali esperimenti, noti come "gain of function research", non riguardano solo la guerra biologica, ma anche la protezione da potenziali focolai di virus pericolosi mediante farmaci e vaccini. Ma molte cose nel processo possono andare storte, ha detto Segreto.

La struttura del virus indica una origine artificiale

Per il gruppo di ricerca la struttura del SARS-CoV-2 dimostrerebbe anche che questo virus non si è sviluppato mediante la selezione naturale, ma sarebbe stato prodotto artificialmente in laboratorio. Da un lato, non è molto probabile che un virus possa sviluppare, in un tempo molto breve, una nuova sequenza che gli permetterebbe di infettare più specie, compresi gli esseri umani e diversi tessuti, ha spiegato Segreto. Questa sequenza fa parte della "proteina a spina" tipica del SARS-CoV-2 che gli permetterebbe di rompere l'involucro della cellula ospite e di penetrarvi. D'altra parte è lecito anche dubitare che la costituzione di un legame con il recettore che può attaccarsi al recettore umano ACE2, si sia formato simultaneamente, con la conseguenza che il virus si è perfettamente adattato all'infezione delle cellule umane. Ci dice di essere co-autrice di un documento scientifico su questo tema insieme all'imprenditore del settore biotecnologico Yuri Deigin, studio sottoposto a peer-review e pubblicato sulla rivista BioEssays a novembre. In precedenza "sette riviste si erano rifiutate di pubblicare questi risultati".

Negli ultimi giorni la discussione sull'origine del coronavirus SARS-CoV-2 è tornata nuovamente di attualità. Oggi, giovedì, il team internazionale di esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) inizierà a indagare sull'origine del coronavirus a Wuhan, dove poco più di un anno fa erano stati resi noti i primi casi di infezione. La Cina lunedì scorso aveva dato il via libera all'arrivo degli esperti, dopo un lungo ritardo, e il loro arrivo è previsto per giovedì. Lo zoologo britannico-americano ed esperto in epidemiologia delle malattie infettive Peter Daszak fa parte del team di esperti. "Daszak è un partner e un collaboratre stretto dell'Istituto di virologia di Wuhan", ha notato la microbiologa, aggiungendo che non si può escludere un conflitto di interessi. "Non possiamo essere certi, che venga svolta un'indagine neutrale".


venerdì 22 gennaio 2021

La logistica tedesca alla conquista del mondo (con i soldi del governo)

Le grandi aziende tedesche della logistica durante la pandemia hanno incassato decine di miliardi di euro di aiuti pubblici garantiti dal governo di Berlino, ufficialmente il governo lo avrebbe fatto per ridurre l'impatto degli esuberi sull'occupazione. German Foreign Policy nel suo ultimo articolo, invece, avanza l'ipotesi che dietro questa scelta del governo di Berlino ci sia la volontà di tutelare un importante strumento di proiezione geopolitica, vale a dire le grandi aziende di trasporto via mare, aria e terra. Per GFP non ci sarebbe niente di nuovo, visto che anche ai tempi del Reich il settore logistico era perfettamente integrato nei progetti espansionistici dell'epoca. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Le grandi aziende tedesche nel settore della logistica internazionale durante la crisi causata dal Coronavirus hanno potuto contabilizzare tra i 19 e i 22 miliardi di euro sotto forma di afflussi di capitale provenienti dalle casse pubbliche. Nella misura in cui si tratta di sovvenzioni finalizzate a limitare il taglio dei posti di lavoro, gli aiuti sono rimasti principalmente nella parte operativa tedesca, mentre i dipendenti delle filiali estere, per esempio in Austria o in Belgio, hanno perso molti più posti di lavoro in termini percentuali, come ad esempio nel caso di Lufthansa. [1] Lufthansa ha ricevuto versamenti di capitale tra i 9 e gli 11 miliardi di euro, Deutsche Bahn AG e indirettamente DB Schenker hanno ricevuto 5 miliardi ("equity assistance"). Anche DHL (Deutsche Post AG) sta attraversando la crisi avvantaggiandosi degli aiuti legati al coronavirus. Il gruppo, infatti, sta rifornendo una dozzina di stati UE con i vaccini pandemici e il 12 gennaio ha annunciato che espanderà la sua flotta con otto aerei da carico Boeing 777F: il prezzo per unità secondo il listino sarà intorno ai 200 milioni di dollari. [2] TUI, un'azienda considerata in Germania come un inoffensivo specialista delle vacanze, ha ottenuto fino a dicembre 2020 sovvenzioni pubbliche e linee di credito per un ammontare di oltre 4 miliardi di euro, cresciuti ulteriormente (del 25%) all'inizio dell'anno con la partecipazione del governo al "Fondo di stabilizzazione economica" (WSF) di Berlino .[3]

"Costantemente a terra"

Ma né TUI (la più grande azienda turistica al mondo), né Lufthansa, né DHL possono essere considerate delle grandi e innocue aziende per le vacanze o per il semplice traffico postale. Il loro utilizzo civile maschera la possibilità di un intervento da parte dello Stato e il fatto che vengano tenute sempre pronte: in tempo di pace, estendono le loro attività su di una rete logistica che coordina i movimenti di merci a livello locale e li segue fino all'origine della catena del valore - importante fonte di informazioni per le geoscienze, la ricerca delle materie prime e lo spionaggio industriale. In tempi di crisi e conflitti esteri, questa rete (insieme ai trasportatori) è pronta per la sua riconversione. TUI, Lufthansa, DHL o DB Schenker sono fra loro saldamente integrate. C'è una "comunione di intenti" [4] a collegare i grandi gruppi tedeschi della logistica e un dipartimento specializzato per il controllo e l'indirizzo presso il Ministero dei Trasporti di Berlino, un dipartimento istituito con una funzione di transito verso le autorità di emergenza e militari della Repubblica Federale. I loro "impiegati sul campo si trovano quindi costantemente sul posto e mantengono i contatti" con le imprese tedesche della logistica; il riferimento è al servizio statale di pronto intervento per i "casi di tensione e difesa" presso l'"Ufficio federale del trasporto merci" (BAG).

"Rilevanza sistemica"

Le navi da crociera colorate potrebbero quindi essere trasformate in ospedali militari per le missioni estere (qui entra in campo TUI), e gli aerei da trasporto postale potrebbero diventare dei vettori di truppe (DHL). La rete ferroviaria sarebbe utilizzata per il trasferimento rapido in "operazioni di difesa", mentre alle ferrovie sarebbero "assegnati" compiti di "trasporto transfrontaliero [!] per le forze armate" (significativi anche per la divisione ferroviaria Schenker). [5] Quello che promette di proteggere la società civile nella crisi causata dal Coronavirus ("rilevanza sistemica"), la legge [6] lo circoscrive ai militari: riserva logistica per "emergenza" e guerra.

Rete geopolitica

Dove può portare l'allineamento strutturale fra apparato statale e interessi espansivi della geologistica è dimostrato dai crimini commessi dalle principali aziende logistiche tedesche ai tempi del "Reich" nazista. Le odierne società di logistica della Repubblica Federale devono la loro nascita a queste imprese criminali, ad esempio la Kühne + Nagel di Amburgo ha lo stesso nome della grande società di spedizioni che si può dire abbia avuto "una certa contiguità con lo sterminio di massa" [7] e con migliaia di saccheggi perpetrati negli stati confinanti occupati dalla Germania, ad esempio in Francia. Kühne + Nagel è una delle attuali società ad essersi avvantaggiata maggiormente dal Coronavirus e ad aver ottenuto contratti dallo stato tedesco. [8] Questa eredità è ancora più evidente nel caso di Schenker, un'azienda oggi del gruppo statale DB, con lo stesso nome della Schenker & Co, un'azienda con un ruolo di primo piano nei crimini commessi durante la politica di sterminio antisemita e antislava. Una politica nata nell'ambito della rete geopolitica degli interessi espansionistici della politica estera tedesca emersi prima della guerra.

Eredità silenziosa

Ciò che gli eredi di questi crimini hanno in comune, compresa la DER (Deutsches Reisebüro) del gruppo REWE, è il loro costante rifiuto di rivelare pubblicamente e completamente le proprie origini. Tacendo sull'eredità che portano con sé, vogliono sfuggire alla giustizia materiale che dovrebbero alle vittime e alle lezioni della storia tedesca - in quale misura ciò sia vero, del resto, è esemplificato dal passato di DB Schenker.




[1] Die Lufthansa-Hilfen verzerren den Wettbewerb. capital.de 09.12.2020.
[2] Deutsche Post AG erhöht Ergebnisprognose für 2022 nach vorläufigen Zahlen 2020. Veröffentlichung einer Insiderinformation nach Artikel 17 der Verordniung (EU) Nr.596/2014 vom 12.01.2021.
[3] Drittes Milliarden-Hilfspaket für Tui - Staat könnte zum Großaktionär werden. Handelsblatt 02.12.2020.
[4] Bundesamt für Güterverkehr (BAG) sorgt für Bewegung. eurotransport.de/artikel/zivile-notfallvorsorge 20.01.2021.
[5] Allgemeine Verwaltungsvorschriften zu § 17 des Verkehrssicherstellungsgesetzes (VSG) i.d.F. vom 29.06. 1998.
[6] Vgl. Verkehrsleistungsgesetz (VerkLG) i.d.F. vom 12.12.2019.
[7] Henning Bleyl: Lasten der Vergangenheit. taz.de 31.03.2015.
[8] Kühne + Nagel übernimmt Logistik des Moderna-Impfstoffs. Handelsblatt 07.01.2021. Corona und Brexit: Der Logistiker Kühne + Nagel antizipiert neue Chancen. Neue Zürcher Zeitung 20.10.2020. Einen Staatsauftrag zur Lieferung von Corona-Impfstoffen vergab das Land Nordrhein-Westfahlen (NRW).

giovedì 21 gennaio 2021

Wolfgang Streeck - A Bruxelles non hanno imparato nulla dalla Brexit

"La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo grazie al quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi delle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sulla Brexit. Da Makroskop una rilfessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sugli effetti della Brexit.


Da alcuni anni a Bruxelles si fa il possibile per non imparare nulla dalla Brexit, e per come stanno andando le cose, sembra anche funzionare.

Cosa si sarebbe potuto imparare? Niente di meno, ad esempio, che trovare un modo per scrollarsi di dosso la chimera tecnocratica, mercatocentrica e antidemocratica tipica di un impero neoliberale europeo centralizzato di fine Novecento, e per trasformare quindi l'Unione Europea in una comunità pacifica di Stati sovrani vicini e legati tra loro da una rete di rapporti di cooperazione reciproca non gerarchica, volontaria e paritaria.

Il sovranazionalismo è una scusa

Il funzionamento interno dell'Unione Europea è infinitamente complicato e decisamente opaco, ma c'è un principio che sembra valere ovunque. Per capirlo, bisogna comprendere la politica interna dei tre principali Stati membri, Germania, Francia e Italia, e le loro complesse relazioni trilaterali. Il sovranazionalismo non è altro che un velo dietro il quale si svolge l'azione vera, nazionale e internazionale.

La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo tramite il quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi alle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista



Gli inglesi non l'hanno mai capito veramente. Anche il servizio diplomatico britannico ha sempre trovato alquanto impenetrabile il sottobosco di Bruxelles. Mentre la Thatcher odiava l'UE - troppo straniera per i suoi gusti - Blair credeva di poterne diventare il suo Napoleone trasformandola, insieme a Chirac e Schröder, in una macchina per la ristrutturazione neoliberista: come un "grande unificatore continentale", questa volta però dall'esterno. Ma non è andata così: Francia e Germania lo lasciarono da solo a fare l'aiutante del suo amico americano, facendolo andare da solo in guerra in Iraq, fino ad arrivare poi alla sua caduta.


Nel 2015 Cameron poi ha appreso che anche la grande e potente Gran Bretagna, abituata da sempre a governare le onde degli oceani del mondo, non era riuscita ad ottenere da Merkel nemmeno le piu' minuscole concessioni sulla libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico, concessioni di cui aveva bisogno per poter vincere il referendum del 2016 - che, dopo tutto, avrebbe dovuto scolpire nella pietra l'adesione britannica all'UE.

La mancanza di comprensione reciproca ha portato alla Brexit

E in Germania poi nessuno si è mai preoccupato di come le frontiere aperte di Merkel nell'estate del 2015, quando la Cancelliera permise a un milione di rifugiati di entrare nel Paese, avrebbero potuto influenzare il voto britannico. La maggior parte dei rifugiati, infatti, proveniva dalla Siria, da dove erano stati sfollati a causa di una guerra civile che l'amico americano della Germania continuava ad alimentare senza tuttavia riuscire a fermarla. Per Merkel, questa era l'occasione per correggere l'immagine da "regina di ghiaccio" concquistata nella primavera dello stesso anno, quando aveva fatto sapere che "non possiamo accettarli tutti".

La mancanza di comprensione è stata reciproca. Nessuno nel continente credeva che il governo Cameron avrebbe potuto perdere la scommessa del referendum. Gli unici britannici con cui le classi istruite del continente parlavano, del resto, appartenevano per lo piu' alle classi istruite delle isole britanniche, ed erano incondizionatamente innamorati dell'UE per una serie di ragioni, spesso incompatibili tra loro. Per gli euroidealisti di centro-sinistra, l'UE poteva essere considerata l'anteprima di un futuro politico senza la macchia di un passato politico, uno stato virtuoso per antonomasia, se non altro perché non era ancora uno Stato - "Europa" come opportunità per la rifondazione morale dall'alto di un paese post-imperiale.

Altri che invece sapevano come funziona Bruxelles, devono aver riso di ciò sotto i baffi - soprattutto una classe politica che da tempo aveva imparato ad apprezzare la possibilità di spedire le questioni difficili direttamente nelle viscere dell'imperscrutabile Leviatano di Bruxelles, dove potevano essere spezzettate e smontate in modo irriconoscibile.

Tra questi ultimi c'erano i Blairiani post-Blair del Partito Laburista. Dopo aver perso il potere e dovendo confrontarsi con una classe operaia che secondo la buona tradizione britannica vedevano come arretrata, erano finalmente felici di poter importare un residuo di politica sociale e regionale da Bruxelles. Ma in questo modo non gli sarà sfuggito che Bruxelles invece non era stata in grado di offrire nulla di significativo, anche perché i governi britannici, incluso il New Labour, avevano già fatto fuori la "dimensione sociale" del "mercato unico" sottoponendolo ai sacri imperativi della "competitività" economica. E questo era destinato a ritorcersi contro di loro, proprio nel momento in cui gli elettori hanno cominciato a chiedersi perché il loro governo nazionale li avesse lasciati indifesi di fronte alla natura selvaggia dei mercati globali, consegnando la responsabilità sui loro cittadini a una potenza e a un tribunale straniero.

Le trattative sul divorzio condotte a porte chiuse

Quando Cameron, deluso da Merkel e Co, ha perso il referendum, lo shock è stato profondo, ma poi la politica dell'UE ha ripreso il suo ritmo abituale. La Francia vi ha visto un'opportunità per rispolverare il suo concetto originale di Europa integrata: vale a dire un'estensione dello Stato francese, con l'obiettivo specifico di incorporare la Germania in un'alleanza dominata dalla Francia. Nel caso in cui la Gran Bretagna avesse cambiato idea e i Remainers avessero prevalso, il ritorno all'ovile avrebbe dovuto essere abbastanza umiliante da precludere ogni possibilità di una futura leadership britannica.

Da parte dell'UE, le trattative per il divorzio sono state condotte dal diplomatico francese Michel Barnier, uno dei tecnocrati più importanti sulla scena di Bruxelles. Ha giocato in maniera dura fin dall'inizio, lasciando i revisionisti referendari sul lato britannico, come si dice, "a soffrire la fame". Ma questo non significava voler rendere facile la partenza degli inglesi. Ed è qui che è entrata in gioco la Germania, con il suo forte interesse a mantenere la disciplina tra gli Stati membri dell'UE. Macron e Merkel sin dall'inizio hanno insistito sul fatto che l'accordo per il divorzio avrebbe dovuto essere costoso per la Gran Bretagna, preferibilmente con l'impegno ad accettare per sempre le regole del mercato unico e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, anche dopo l'uscita. Per la Germania si trattava di dimostrare agli altri Stati membri dell'UE che qualsiasi tentativo di rinegoziare i rapporti con Bruxelles sarebbe stato inutile e che i diritti speciali sia all'interno che all'esterno dell'Unione erano del tutto fuori discussione.

Sarà compito degli storici scoprire che cosa è accaduto realmente tra Francia e Germania durante i negoziati fra UE e Regno Unito. Non esiste al mondo un sistema politico democratico, o apparentemente democratico, che funzioni cosi' tanto a porte chiuse come accade all'Unione Europea. Malgrado l'interesse dello Stato tedesco per la disciplina europea, l'industria tedesca delle esportazioni deve essere stata interessata a mantenere un rapporto economico amichevole con la Gran Bretagna post-Brexit e deve averlo comunicato al governo tedesco senza mezzi termini.

Pubblicamente, però, non c'è stato alcun segnale di ciò: né nella strategia di negoziazione di Barnier né nelle dichiarazioni di Merkel. Molto probabilmente perché la Germania all'epoca stava subendo la pressione di Macron finalizzata a sfruttare l'uscita del Regno Unito come un'opportunità per una maggiore e più rigorosa centralizzazione, soprattutto in termini fiscali - un tema sul quale la riluttanza della Germania ad accettare accordi che in futuro potrebbero costarle cari aveva incontrato il tacito sostegno britannico, anche se il Regno Unito non era un membro dell'eurozona.

Con l'avvicinarsi del giorno del "Deal or no-Deal" si è messo in pratica il consueto rituale del negoziato fino all'ultimo minuto, e Merkel probabilmente è riuscita ad imporre il suo peso politico in sostegno delle richieste dell'industria tedesca dell'export. Il Regno Unito era stato umiliato a sufficienza. Durante le ultime sessioni negoziali, Barnier, sebbene ancora presente, non ha più parlato in nome dell'UE; il suo posto è stato preso da uno stretto collaboratore della Von der Leyen. Per concludere in bellezza, la Francia ha utilizzato il nuovo ceppo "britannico" del coronavirus per bloccare due giorni il traffico merci dal Regno Unito verso il continente, ma questo non ha potuto impedire la conclusione dell'accordo. La strategia di negoziazione ad alto rischio di Johnson è stata premiata con un trattato grazie al quale giustamente il premier ha potuto rivendicare il ripristino della sovranità britannica. Ha pagato con un bel po' di pesce, ma questo punto è stato misericordiosamente coperto dall'ulteriore sviluppo della pandemia.

Quali saranno le conseguenze di quanto accaduto?

La Francia ha assunto 1.300 funzionari doganali supplementari che potranno essere impiegati per perturbare le relazioni economiche tra la Gran Bretagna e il continente, Germania compresa, ogni volta che il governo francese dovesse ritenere che le "condizioni concorrenziali eque" contenute nell'accordo non vengano più rispettate. Francia e Germania sono riuscite a dissuadere gli altri Paesi dell'Unione Europea, soprattutto ad est, dal rivendicare l'accordo con la Gran Bretagna come un precedente per le loro aspirazioni ad avere una maggiore autonomia nazionale. La pressione all'interno dell'UE in favore di un'alleanza più cooperativa e meno gerarchica non si è concretizzata. E i successori di Merkel dovranno affrontare un rapporto con la Francia ancora più complesso che in passato, dovendo ora resistere agli abbracci francesi senza il sostegno britannico, sullo sfondo delle incertezze dell'amministrazione Biden.

Per quanto riguarda il Regno Unito, per il gruppo Lexit ora sarà di nuovo il Parlamento britannico a governare, indipendentemente rispetto ai trattati europei e alla Corte di giustizia europea, e quando le cose andranno male i cittadini britannici potranno chiamare in causa solo il loro governo nazionale. Gli euro-revisionisti, inoltre, chiamati dai loro avversari "Remoaners", sembrano aver rinunciato a fare la loro opposizione, almeno per ora, anche se presumibilmente continueranno a cercare delle tutele nei confronti del rigido parlamentarismo maggioritario dello stato britannico.

E' possibile che la Scozia possa separarsi dal Regno Unito, se il Partito nazionale scozzese riuscisse a capitalizzare il sentimento pro-europeo con la promessa di candidarsi per il posto lasciato vuoto dallo stato britannico alla Tavola Rotonda di Re Emmanuel, per il momento composta da 27 membri. Ciò equivarrebbe a cedere la sovranità nazionale scozzese a Bruxelles, subito dopo averla riottenuta da Londra, dimenticando le contrastanti esperienze storiche fatte dalla Scozia con gli alleati e i governanti francesi.

Fino a quando ci sarà la prospettiva di un'adesione scozzese all'UE, si può escludere che Bruxelles abbia effettivamente imparato qualcosa dalla Brexit. D'altra parte, dato che l'apprendimento a Bruxelles in ogni caso è un fenomeno alquanto insolito, la questione potrà essere lasciata al buon senso degli scozzesi.


mercoledì 20 gennaio 2021

L'importanza della Cina per l'industria tedesca

La grande dipendenza dell'industria tedesca dal mercato cinese spinge i commentatori ad ipotizzare che il recente accordo commerciale fra UE e Cina rappresenti un'ancora di salvezza per molti settori industriali tedeschi in difficoltà, come ad esempio il settore dell'auto, e allo stesso tempo sia uno strumento per estendere l'egemonia della Germania nell'UE. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Vendite record nonostante la pandemia

La pubblicazione dell'analisi sul "decoupling" dell'economia cinese giunge in un momento in cui l'importanza della Cina per l'industria tedesca continua a crescere; e ciò è dovuto al fatto che la Repubblica Popolare ha saputo gestire la pandemia da Covid-19 molto meglio rispetto a quanto hanno fatto i paesi occidentali. Il cambiamento in corso è chiaramente illustrato dall'esempio dell'industria automobilistica, uno dei pilastri dell'economia tedesca. Nel 2020, ad esempio, le tre grandi case automobilistiche tedesche hanno ottenuto in Cina risultati decisamente superiori rispetto al resto del mondo. Mentre le vendite del Gruppo Volkswagen nella Repubblica Popolare si sono ridotte solo del 9,1% e quindi molto meno rispetto alla media mondiale (- 15,2%), i produttori premium sono addirittura riusciti ad aumentare le loro vendite fino a raggiungere nuovi massimi da record: le vendite di BMW in Cina sono aumentate del 7,4% (in tutto il mondo hanno fatto - 8,4%) e quelle di Daimler addirittura dell'11,7% (in tutto il mondo hanno fatto - 7,5%). [1] Anche il marchio premium di Volkswagen, Audi, nel 2020 ha venduto in Cina circa il 5,4% in più di veicoli rispetto al 2019, mentre le vendite negli Stati Uniti sono crollate del 16,7% e in Europa del 19,5%. [2] BMW nel 2020 ha venduto in Cina il 33,4% della sua produzione totale, Daimler il 35,8% e Volkswagen addirittura il 41,4%. Tutti e tre i gruppi stanno pianificando investimenti nella Repubblica Popolare per importi miliardari a due cifre.

Anticipazione del decoupling

Le conseguenze che il proseguimento degli sforzi americani per isolare il più possibile la Cina dal mondo tramite sanzioni potrebbero avere sulle aziende tedesche sono evidenziate dai recenti sviluppi nel settore automobilistico. Da settimane, infatti, si registra una grave carenza di semiconduttori, come conseguenza della pandemia da Covid 19: i produttori di chip che durante la crisi causata dal coronavirus avevano ridotto la produzione, ora non riescono piu' a tenere il passo con gli ordini, in quanto le vendite di automobili e quindi anche la produzione di automobili, nella Repubblica Popolare sono aumentate molto più in fretta del previsto. Volkswagen-Cina, infatti, già ad inizio dicembre sosteneva che la carenza di semiconduttori avrebbe potuto ritardare la produzione di diversi mesi. Più recentemente anche le case automobilistiche tedesche in alcuni siti produttivi in Germania hanno dovuto trarre le conseguenze da questa carenza e annunciare una riduzione dell'orario di lavoro [3]. Le industrie del settore ora sostengono che le attuali difficoltà probabilmente sono solo un assaggio di ciò che le case automobilistiche tedesche in Cina potrebbero rischiare se Washington dovesse portare avanti i suoi sforzi di decoupling tagliando fuori la Repubblica Popolare dalle forniture di semiconduttori prodotti al di fuori della Cina per mezzo di sanzioni ancora più severe di quelle applicate fino ad ora.

Affrontare gravi perdite

Il nuovo studio sul "Decoupling", preparato congiuntamente dalla Camera di Commercio Europea in Cina e dall'Istituto Mercator per gli Studi sulla Cina (Merics) con sede a Berlino e presentato al pubblico la settimana scorsa, mette in guarda dalle gravi conseguenze che un costante decoupling cinese potrebbe avere per l'industria tedesca. Secondo il rapporto, infatti, il 96 % di tutte le aziende dell'UE che operano in Cina, in un modo o nell'altro sarebbero già interessate dal decoupling operato dagli Stati Uniti. Più della metà ne sta già registrando concretamente gli effetti negativi; il 72% si aspetta per il futuro degli effetti analoghi. "Vediamo una tempesta in arrivo", dice Jörg Wuttke, dal 1997 rappresentante generale di BASF in Cina e presidente della Camera di Commercio Europea. [4] Se la futura amministrazione Biden dovesse continuare a spingere in direzione decoupling, le aziende dell'UE che hanno solo una piccola parte del loro business internazionale in Cina probabilmente sarebbero costrette a ritirarsi del tutto dal paese, dice lo studio. D'altra parte, le aziende che generano una parte significativa delle loro vendite nella Repubblica Popolare - come le case automobilistiche tedesche - dovrebbero poi produrre i loro prodotti in due versioni: una per i mercati occidentali, l'altra per il mercato cinese, rinunciando quindi ai prodotti americani. In entrambi i casi, le aziende dell'UE dovrebbero affrontare delle perdite severe. [5]



La "duplice circolazione" della Cina

A peggiorare le cose, dice lo studio, c'è il fatto che la Cina, minacciata da sanzioni sempre più estese da parte degli Stati Uniti, con conseguenze disastrose per l'economia cinese, sta facendo di tutto per diventare tecnologicamente indipendente dalle forniture estere. Nel prossimo piano quinquennale, infatti, attualmente ancora in fase di messa a punto, viene delineata la dottrina della "duplice circolazione" che prevede soprattutto il rafforzamento del "mercato interno", vale a dire delle filiere produttive interne alla Repubblica Popolare, quindi senza acquisti dall'estero. Questo in futuro interesserà sempre di piu le aziende dell'UE, e in alcuni casi sta già accadendo oggi. Nicolas Chapuis, l'ambasciatore dell'UE in Cina, ha recentemente sottolineato che Pechino farà costruire solo l'11% delle reti 5G del paese a Ericsson (Svezia) e Nokia (Finlandia) [6]. In altri Paesi, si dice, che le due società in piu' occasioni siano riuscite a raggiungere quote di mercato anche del 30 %. Certo, la quota di mercato molto bassa in Cina è anche il risultato della scelta, da parte di un numero sempre maggiore di paesi occidentali, di escludere Huawei dalla costruzione delle loro reti 5G. Pechino in questo modo sta effettivamente fornendo alla società cinese una alternativa sul suo mercato interno. Lo studio della European Chamber/Merics teme conseguenze simili anche per altre aziende tedesche e dell'UE.

Il principale beneficiario

La Camera di commercio europea in Cina chiede all'UE e ai suoi Stati membri di adottare delle misure forti per contrastare un ulteriore decoupling ed evitare danni massicci e di lungo termine all'economia dell'Unione. In quest'ottica, il 30 dicembre scorso Bruxelles ha concordato con Pechino le linee di fondo di un accordo globale sugli investimenti (Comprehensive Agreement on Investment, CAI), che è in fase di finalizzazione e dovrebbe entrare in vigore già l'anno prossimo. L'accordo elimina in diversi settori l'obbligo di investire in Cina tramite joint-venture con aziende cinesi, e apre nuovi settori agli investimenti stranieri, tra questi i servizi cloud e le aziende di telecomunicazioni. Le aziende statali cinesi non potranno più dare la preferenza ai fornitori della Repubblica Popolare. Pechino compie così un ulteriore passo in avanti nella sua apertura alle economie dell'UE. L'accordo sugli investimenti va a vantaggio soprattutto delle imprese tedesche: dei 140 miliardi di euro che secondo la Commissione UE le imprese dell'Unione negli ultimi due decenni hanno investito in Cina, infatti, 86 miliardi provengono dalla Germania, stando ai dati della Bundesbank; dei 560 miliardi di euro di interscambio commerciale tra Cina e UE del 2019, 206 miliardi di euro sono da attribuire alla Repubblica Federale. In questo senso, la promozione del commercio con la Cina rafforza l'egemonia tedesca sull'UE.


[1] Daniel Zwick: Deutsche Autobauer rutschen immer mehr in die Abhängigkeit von China. welt.de 17.01.2021.

[2] BMW und Audi: Im Westen abwärts - Wachstum nur in China. sueddeutsche.de 12.01.2021.

[3] Joachim Hofer, Martin-W. Buchenau, Roman Tyborski, Franz Hubik, Stefan Menzel: Chipmangel bremst Autobauer: Daimler drosselt Produktion weiter, Kurzarbeit bei VW. handelsblatt.com 14.01.2021.

[4] Dana Heide, Till Hoppe, Stephan Scheuer: China entkoppelt sich zunehmend von der Weltwirtschaft - das sind die Folgen für europäische Unternehmen. handelsblatt.com 14.01.2021.

[5] European Chamber of Commerce in China, Mercator Institute for China Studies (Merics): Decoupling. Severed Ties and Patchwork Globalisation. Beijing, January 2021.

[6] Wei Sheng: EU diplomat says China favors domestic 5G suppliers. technode.com 01.12.2020.



lunedì 18 gennaio 2021

Perché in Germania mancano almeno 80.000 infermieri

"La carenza di personale nel settore infermieristico è la diretta conseguenza della politica di risparmio che da anni si è imposta in ambito ospedaliero..." scrive Telepolis in un articolo molto interessante sulla crisi del sistema sanitario tedesco durante la pandemia. In Germania non mancano i posti letto negli ospedali o i respiratori, mancano 80.000  infermieri adeguatamente qualificati per svolgere la professione. Un articolo molto interessante da heise.de

La carenza di personale negli ospedali è la conseguenza diretta di anni di pressione sui costi dovuta ad un riorientamento verso il profitto dell'intero sistema sanitario.

Nelle discussioni pubbliche sulle misure di contenimento della pandemia, sempre più spesso la carenza di personale nei reparti di terapia intensiva viene citata come il principale fattore che limiterebbe il necessario aumento del numero dei posti letto in terapia intensiva. Si presta tuttavia scarsa attenzione alle cause strutturali di questa mancanza cronica.

Il governo e le autorità stanno invece cercando di usare le misure di lockdown per appiattire il più possibile la curva dei malati di Covid-19, al fine di evitare il collasso di un sistema sanitario altrimenti già sovraccarico.

Allo stesso tempo, per ragioni legate alla crisi pandemica, la cronica carenza di personale infermieristico è diventata manifesta e di dominio pubblico, soprattutto nelle unità di terapia intensiva.

Anche se nella primavera del 2020 sono stati messi a disposizione dei letti aggiuntivi di terapia intensiva e da allora sono stati messi in funzione un numero sufficiente di ventilatori, è sempre più chiaro un fatto: c'è una carenza di personale infermieristico qualificato indispensabile per il loro funzionamento e per l'assistenza ai pazienti Covid-19, i quali richiedono livelli di assistenza particolarmente elevati.

Il fatto che anche in epoca pre-Corona fino al 20 % dei letti di terapia intensiva per adulti e bambini fossero stati cancellati a causa della mancanza di personale, non ha portato a dei cambiamenti di fondo del sistema, al di là delle usuali lamentele.

Come si è potuti arrivare fino a questo punto proprio nel nostro paese, così avanzato dal punto di vista medico?

La carenza di personale nel settore infermieristico è la diretta conseguenza della politica di risparmio che da anni si è imposta in ambito ospedaliero come conseguenza del crescente orientamento degli ospedali ai criteri economici e al profitto.

Prima del 1985, infatti, in Germania gli ospedali non potevano realizzare profitti. Come nel caso delle scuole, dei musei o dei vigili del fuoco, prevaleva il principio della copertura dei costi attraverso il doppio finanziamento. Ciò significava che i Länder erano responsabili per i costi di investimento, mentre le casse malattia si occupavano dei costi di gestione.

Ma in linea con il credo economico neoliberale, secondo il quale il mercato dovrebbe regolare tutto, nel corso degli anni lo Stato si è ritirato dall'attività di finanziamento. Gli ospedali nel frattempo si sono orientati sempre di piu' al mercato, diventando sempre piu' competitivi.

Conseguenze del nuovo orientamento al profitto

I costi di investimento, sempre meno coperti dal settore pubblico, dovevano ora essere assorbiti dai risparmi sui costi di gestione: c'è stato un massiccio taglio al numero degli occupati, soprattutto nel settore infermieristico.

A titolo di paragone: in Germania, un'infermiere a tempo pieno che fa il turno di giorno deve occuparsi in media di 13 persone; in Norvegia, la cifra è di poco superiore ai cinque pazienti; in Inghilterra - il cui sistema sanitario nazionale (NHS) malato viene spesso guardato con disprezzo - la cifra è ancora in media di 8,6 persone per infermiere.

Le ricerche dimostrano che solo l'aumento da sei a sette del numero di pazienti da curare per ogni infermiere può già comportare di per sé un aumento in termini di rischio di commettere degli errori, di infezioni, di complicazioni circolatorie e persino un aumento della mortalità.

Inoltre, la "esternalizzazione" ad aziende private, ad esempio dei servizi di pulizia e di cucina e il loro enorme risparmio in termini di personale, ha portato a carenze igieniche e ad un maggior rischio associato in termini di germi ospedalieri. 

Dal 1990, vale a dire da quando non è stato più necessario competere con il sistema socialista, si è assistito ad una crescente economicizzazione e commercializzazione dei servizi di interesse generale. 

Poiché gli ospedali avevano un bilancio in rosso, i comuni speravano che la loro privatizzazione avrebbe alleggerito i bilanci comunali. In questo modo è cresciuto il numero dei gruppi sotto i quali si andavano unendo i grandi ospedali privati.

L'abolizione del principio del recupero dei costi, tipico dello stato sociale, è stato il presupposto per riorientare al profitto il settore ospedaliero trasformandolo in un campo di attività estremamente redditizio per gli investitori privati. Nel frattempo, perfino i centri di assistenza a domicilio si sono trasformati in una opportunità di investimento redditizia per gli azionisti.

Nel 2004, il sistema di rimborso forfettario (Diagnosis Related Groups DRG) è stato introdotto come uno strumento di controllo per la riduzione dei costi. Poco tempo dopo la sua introduzione, però, si è verificato un massiccio aumento dei costi. E questo aumento dei costi non era dovuto solo ai metodi tecnici usati per fare gli esami mediamente più costosi, oppure all'invecchiamento della popolazione. L'aumento da due a tre volte dei costi era principalmente dovuto dell'aumento del numero dei casi.

Il sistema a forfait, infatti, remunera un prezzo fisso a seconda della diagnosi. Il pagamento del forfait copre l'intero trattamento ospedaliero, indipendentemente dalla durata del trattamento. Se un paziente viene ricoverato in ospedale per un periodo di tempo più breve, l'ospedale ne trae maggiore profitto; se il paziente deve essere curato più a lungo, il suo trattamento comporta invece delle perdite. E ciò significa che il maggior numero possibile di pazienti deve essere trattato nel minor tempo possibile, il che spesso significa dimissioni rapide subito dopo le operazioni con maggiori complicazioni.

Gli ospedali privati si sono specializzati nel trattamento di pazienti relativamente sani e non particolarmente difficili con delle diagnosi a forfait "lucrative". I casi "lucrativi" sono quelli per i quali ci si può aspettare un profitto in base ad una remunerazione a forfait, ad esempio le operazioni per le endoprotesi del ginocchio e dell'anca. Gli ospedali pubblici devono invece avere disponibili reparti costosi e "non redditizi", come i pronto soccorso, i reparti di maternità e pediatrici.

Il sistema a forfait può anche influire sul tipo di trattamento fornito. Ad esempio, un parto cesareo viene remunerato più di un parto naturale, che spesso richiede molto lavoro e  molto tempo. Come conseguenza, il numero di parti cesarei è aumentato nel corso degli anni, non necessariamente a vantaggio di coloro che hanno partorito in questo modo oppure dei loro bambini.

Tagli al personale e frustrazione

Poiché i costi del personale rappresentano la quota maggiore dei costi d'esercizio (circa il 60%), si è registrata una massiccia riduzione del personale, 51.000 posti in meno dall'inizio del cambiamento strutturale. Tutto ciò, unito al costante stress e al ritmo frenetico, nonché all'aumento della burocratizzazione, che non lascia il tempo di svolgere i compiti legati alla cura, porta a una crescente frustrazione, a frequenti giorni di malattia da parte del personale infermieristico, al burn-out, alla riduzione dell'orario di lavoro, al pensionamento anticipato o addirittura al licenziamento, elementi che aggravano ulteriormente la carenza di personale. Il personale infermieristico deve costantemente rimpiazzare i colleghi mancanti rinunciando al proprio tempo libero, il che aumenta ulteriormente la frustrazione.

Per poter strutturare al meglio il proprio orario di lavoro, sempre più spesso il personale infermieristico viene impiegato tramite le agenzie di lavoro interinale, ma questo a sua volta è ancora più costoso per le cliniche.

A partire da gennaio 2021, c'è un regolamento per il personale infermieristico pensato per contrastare la carenza di personale, soprattutto nei reparti di terapia intensiva. Il rischio, tuttavia, è che non si riesca a trovare abbastanza personale qualificato. C'è una carenza di personale infermieristico pari ad almeno 80.000 persone, che non potranno essere coperti nemmeno con l'assunzione di personale infermieristico straniero.

E' fondamentale una migliore retribuzione per il lavoro di infermiere, ma finché le condizioni di lavoro non cambieranno, non sarà possibile eliminare la carenza di personale che esiste in tutti i settori. Nessun applauso sarà d'aiuto, anche se questo gesto è stato apprezzato e di sostegno durante la prima ondata di Coronavirus in primavera.




Perché in Germania non si riescono piu' a trovare infermieri per la terapia intensiva

La pandemia ha evidenziato l'enorme mancanza di personale nei reparti di terapia intensiva, un articolo molto interessante della FAZ ci spiega perché in Germania abbondano macchinari e respiratori, ma non si riescono a trovare infermieri per le terapie intensive. Dalla Faz.net

A fare paura sono soprattutto le segnalazioni che indicano i reparti e il personale infermieristico ormai al limite. "La crisi evidenzia quello che già da anni era un problema", dice Lothar Ullrich, presidente della Società tedesca per l'assistenza infermieristica specializzata. "Non abbiamo personale a sufficienza e la professione sta diventando sempre meno attraente. Da anni sottolineamo questo stato desolante, ma finora i politici l'hanno sempre ignorato".

Proprio in questo periodo sta sperimentando un'altra volta quei giorni in cui dopo il turno non solo si sente fisicamente esausta, ma anche mentalmente, afferma Anke Messner. L'infermiera di terapia intensiva ha 33 anni e da 10 anni lavora in una unità di terapia intensiva, attualmente si trova all'ospedale universitario di Dresda. "Restiamo uniti sotto il motto 'Possiamo farcela' (Wir schaffen das)". Ma a forza di digrignare i denti a un certo punto puoi anche arrivare a crollare dal punto di vista psicologico.  Nessuno può immaginare come ci si sente quando non si riesce a dedicare abbastanza tempo ai pazienti gravemente ammalati".

"Medicina intensiva - l'assistenza ai malati è in pericolo", così l'anno scorso il medico di terapia intensiva Christian Karagiannidis dell'ospedale universitario di Colonia-Merheim metteva in guardia sul "Giornale medico tedesco". Nel 2018 con un sondaggio online aveva chiesto a 442 colleghi quante volte si erano trovati nella condizione di dover chiudere i letti a causa della mancanza di personale. In due unità di terapia intensiva su dieci accadeva ogni giorno, in molte di esse più volte al mese. Durante il giorno un'infermiera si occupava di circa due pazienti e mezzo, di notte tre. La cura 1 a 1 non si era quasi mai verificata.

"Né socialmente, né finanziariamente adeguatamente ricompensati".

Uno che ha fatto molte ricerche sulle cause della carenza di infermieri in terapia intensiva è Michael Isfort, professore di scienze infermieristiche e di ricerca sui servizi sanitari presso la Katholischen Hochschule in Nordrhein-Westfalia. Nel 2017 ha intervistato 2056 infermieri che in media avevano lavorato in terapia intensiva per 13 anni. Otto intervistati su dieci in linea di principio si dichiaravano soddisfatti della loro scelta professionale e dei contenuti del loro lavoro. Più di due su tre, tuttavia, erano insoddisfatti perché non erano stati in grado di curare i loro pazienti come avrebbero voluto. Anche le condizioni di lavoro vengono considerate un problema.

Le chiamate improvvise per chiedere se le infermiere possono fare un turno di lavoro sono la regola: una su tre nelle quattro settimane precedenti il sondaggio aveva fatto un turno di notte con poco preavviso, e una su quattro aveva preso un turno in quello che avrebbe dovuto essere un fine settimana libero. Solo un infermiere su tre era stato in grado di fare una pausa. Anche la cura del paziente ne aveva sofferto: solo uno su dieci ha affermato che in servizio c'era personale sufficiente per garantire la sicurezza del paziente e molto spesso, per esempio, non c'era stato nemmeno il tempo di disinfettare le mani come richiesto. Non c'è da stupirsi che uno su quattro spesso abbia preso in considerazione la possibilità di cambiare lavoro.

Altri sondaggi offrono sempre la stessa immagine: non sono i posti di lavoro in sé, ma le condizioni di lavoro ad essere poco attraenti. "Mi piace molto fare l'infermiera di terapia intensiva", dice Messner. "Ma quello che facciamo sia fisicamente che psicologicamente non è adeguatamente ricompensato, né socialmente né finanziariamente". Nella Germania ovest, un infermiere specializzato in classe fiscale I guadagna tra i 3200 e i 4000 euro lordi al mese, più circa 300-400 euro per il turno di notte o per le indennità di turno a rotazione. Per lei l'onorario riconosciuto rappresenta un elemento molto importante, dice Messner, ma quello che le manca ancora di più è il riconoscimento per il tipo di responsabilità che si assumono gli infermieri di terapia intensiva.

"E' come per i medici. Che vengono ancora considerati dei Dei con il camice bianco, purtroppo, mentre noi siamo solo degli aiutanti". Una delle cose più difficili, dice, è stabilire le priorità. "Per esempio, se sto spostando il paziente A e in quel momento il monitor del paziente B mi dice che il suo livello di ossigeno nel sangue sta calando pericolosamente, devo lasciare immediatamente il paziente A da solo e correre dal paziente B - e devo prendere questa decisione in una frazione di secondo". Il contatto quotidiano intenso con il paziente è prezioso, ma può anche essere psicologicamente molto faticoso se non si riesce a prenderne le distanze e se si continua a soffrire costantemente.

Gli esperti di scienze infermieristiche da anni propongono delle soluzioni 

Ci sono sicuramente dei fattori che rendono la professione poco attraente: ad esempio, la burocrazia crescente, l'enorme mole di documentazione oppure la tendenza all'iperterapia. "Se vediamo che i polmoni non funzionano e il cuore e i reni stanno perdendo le loro funzionalità, dobbiamo considerare se sia ancora nell'interesse del paziente andare avanti con il trattamento", dice Messner. "Tuttavia sperimento quasi quotidianamente il fatto che i parenti e anche i medici vogliano mantenere vivo il paziente con ogni mezzo. Vedere accadere una cosa del genere e poi essere lì presenti anche per i parenti, ha un impatto notevole sulla psicologia".

Il coronavirus sembra aver aumentato ulteriormente la tensione, come suggerito anche da un recente sondaggio online di Michael Isfort su 578 infermieri di terapia intensiva. Otto intervistati su dieci, infatti, temono o hanno temuto durante la crisi di non essere in grado di fornire assistenza infermieristica ai loro pazienti. Più di sette su dieci hanno detto che il gruppo di assistenza avrebbe avuto bisogno di un supporto psicologico. Dopo la crisi, sette su dieci si augurano uno stipendio più alto e nove su dieci chiedono un maggiore riconoscimento sociale. Quasi nessuno vorrebbe lavorare nelle stesse condizioni in cui lo ha fatto fino ad ora.


Un articolo interessante sulla ricerca di infermieri da parte del governo tedesco nell'Europa del sud-est: 

C'è chi dice no!

venerdì 15 gennaio 2021

"La Germania non deve risparmiare, ma investire di piu'"

Il leader dei Verdi Rober Habeck e il presidente della potente confederazione sindacale tedesca DGB, Reiner Hoffmann, sulla FAZ ci spiegano perché nei prossimi anni la Germania non dovrà risparmiare, come ha fatto nello scorso decennio, ma dovrà invece spendere di piu' per rinnovare le infrastrutture e migliorare le condizioni dei lavoratori. Siamo all'inizio di una importante campagna elettorale, e data la difficoltà del periodo, la crisi economica e l'aumento della disoccupazione, non è da escludere una svolta elettorale a sinistra con la possibilità di formare, per la prima volta nella storia, una coalizione rosso-rosso-verde (SPD, Linke, Verdi). Dalla FAZ.net Rober Habeck e Reiner Hoffmann

Robert Habeck

Se la Germania intende restare un buon paese, allora dovrà cambiare. Dovrà avere un'economia maggiormente orientata all'ecologia e redistribuire la sua ricchezza in modo più equo. Per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, abbiamo bisogno di una politica diversa, una politica nuova: una politica che non solo reagisca alla crisi causata dal Coronavirus, ma che sappia tenere sotto lo stesso tetto, la lotta contro la crisi e la ristrutturazione sociale ed ecologica del Paese.

A tal fine dobbiamo prima di tutto superare la crisi causata dal Coronavirus, crisi che ci ha colpito in maniera molto dura sia socialmente che economicamente. In secondo luogo, la strada da seguire è quella della neutralità climatica, in modo che l'economia possa restare forte e continui ad offrire dei buoni posti di lavoro. Ciò richiederà degli investimenti importanti - nella produzione delle energie rinnovabili, nei trasporti, nella ristrutturazione dell'industria e dell'agricoltura, nella ricerca e nell'innovazione e nella competitività dell'Europa. In terzo luogo, la crisi causata dal Coronavirus nel nostro Paese ha aggravato le disuguaglianze sociali. E se queste già prima della pandemia erano un problema sociale molto importante, ora a maggior ragione sarà necessaria una risposta ancora piu' forte.

Questi importanti compiti riporteranno in Germania, proprio nell'anno elettorale 2021, un dibattito che per molto tempo non abbiamo più avuto: si tratta del giusto equilibrio tra austerità e investimenti, tra tasse e giustizia. Anche se questi temi sono fra loro intrecciati, sono necessarie delle risposte specifiche.

Il pareggio di bilancio è economicamente e politicamente sbagliato

Combattere la pandemia e le sue conseguenze è indubbiamente costoso. Ma la società nel suo complesso dovrà pagare un prezzo molto più alto se lo Stato non dovesse dare fondo alle sue riserve, nell'ordine di diversi miliardi di euro. È comprensibile che le persone restino perplesse quando sentono quale sarà la somma in gioco. Il rapporto debito/PIL dello Stato tedesco, infatti, in un anno passerà da meno del 60%, probabilmente a più del 70%. Ci si chiede quindi, chi sarà a pagare il conto per tutto questo debito? Per rassicurare gli elettori il governo tedesco a partire dal 2022 ha dichiarato di contare su di un rapido rimborso del debito e su di un rapido ritorno alla disciplina del pareggio di bilancio. Ma entrambi questi propositi sono economicamente e politicamente sbagliati.

Quando si risparmia nel mezzo di una crisi economica, la situazione peggiora. Se tutti risparmiano, in altre parole, se si spende troppo poco, cresce la disoccupazione e si formano nuove crisi economiche. Avremmo dovuto imparare la lezione dalla crisi finanziaria e dalla crisi dell'euro: a causa delle politiche di austerità applicate all'epoca, molte persone hanno perso il lavoro e i mezzi di sussistenza, si è data così una forte spinta al populismo, ma la responsabilità non è stata delle politiche di allentamento fiscale.

Per classificare l'attuale livello di indebitamento, non è l'importo assoluto dei prestiti ad essere significativo, ma il loro rapporto con la capacità di produrre ricchezza del Paese. La Germania è un paese economicamente molto, molto efficiente. Di conseguenza, la questione non è tanto quanto sarà alto il rapporto debito/PIL, piuttosto se saremo in grado di affrontare i grandi compiti di questo decennio.

Reiner Hoffmann


Condizioni ottimali per gli investimenti

I tassi d'interesse, inoltre, sono rimasti estremamente bassi o addirittura negativi per molti anni e lo rimarranno anche nel prossimo futuro, il governo in pratica non sta spendendo nulla per prendere denaro in prestito. I titoli di Stato tedeschi sono molto richiesti in quanto rappresentano una garanzia. Dato che la Germania è la più grande economia dell'eurozona, le banche e le compagnie di assicurazione devono detenere obbligazioni tedesche come garanzia, mentre i paesi del mondo investono in esse le loro riserve valutarie in euro.

Le condizioni per fare investimenti sono ideali. Se si possono prendere soldi in prestito a tasso zero, è necessario utilizzare questi prestiti per investire, permettendo così all'economia di prosperare nel post-crisi, di creare nuovi posti di lavoro incamerando piu' tasse, in questo modo avremo una riduzione del debito. Cosi' sono andate le cose dopo la crisi finanziaria, dalla quale la Germania è uscita con un rapporto debito/PIL dell'82%. Nel 2012-2019 il rapporto debito/PIL (l'ammontare di debito misurato in rapporto al PIL) è sceso al di sotto del 60%. Gran parte di ciò è dovuto all'aumento del PIL, solo una piccola parte alla riduzione del debito.

Anche prima della crisi causata dal Coronavirus, la Germania non stava investendo abbastanza. Secondo un'indagine della KfW, l'arretrato degli investimenti nei comuni tedeschi - ponti non rinnovati, scuole, piscine all'aperto da ristrutturare - ammonta a 147 miliardi di euro. Servono anche importanti investimenti per la ristrutturazione in chiave ecologica dell'economia. Sì, senza dubbio dobbiamo risparmiare drasticamente, soprattutto in termini di CO2. Non tutti gli investimenti pertanto sono buoni, non abbiamo però necessariamente bisogno di ogni tipo di crescita. Con il programma europeo di investimenti Green New Deal e la tassonomia sviluppata in Europa, sono stati individuati dei criteri con i quali gestire la crescita in senso ecologico. Il motto sarà, "meno del vecchio, più del nuovo" .

Prorogare i termini di rimborso dei prestiti

Alla trasformazione dell'economia è legata la lotta per il ruolo dell'Europa nel nuovo ordine mondiale. L'Europa rischia di diventare tecnologicamente, industrialmente e quindi politicamente dipendente. Se vorrà essere un attore forte, avrà invece bisogno di una politica finanziaria comune e sostenibile.

Se si prende sul serio questa analisi, allora si devono trarre delle conclusioni diverse da quelle della Grande coalizione. In primo luogo i termini di rimborso dei prestiti contratti a causa del coronavirus dovranno essere notevolmente prolungati. In secondo luogo, dovremmo riformare il Patto di stabilità e crescita a livello europeo e il pareggio di bilancio in Germania. L'Unione Economica e Monetaria Europea richiede un coordinamento comune e regole comuni sui tetti massimi alla spesa pubblica. Ma se queste regole ci stanno troppo strette e non hanno alcun senso economico e impediscono ciò che sarebbe politicamente necessario, dovranno essere cambiate. Il pareggio di bilancio dovrà essere integrato da una regola in favore degli investimenti pubblici.

Il fatto che negli ultimi anni la Germania sia rimasta politicamente più stabile rispetto a molti dei paesi europei nostri vicini è dovuto anche al fatto che il governo tedesco ha speso molti soldi. In effetti, possiamo considerare un mito il fatto che la grande coalizione sia stata particolarmente frugale. La spesa federale, esclusi gli interessi, tra il 2012 e il 2019 è aumentata di quasi il 25%. In Italia, nello stesso periodo, la spesa pubblica è aumentata di appena il 10%. Il fatto che il debito pubblico tedesco sia comunque diminuito è dovuto al fatto che i tassi d'interesse sono diminuiti e il gettito fiscale e il gettito della previdenza sociale sono cresciuti più rapidamente della spesa per via della crescita economica. Se il governo tedesco negli ultimi mesi del suo mandato imponesse alla Germania un corso di austerità che non ha mai applicato a se stessa, sarebbe uno scherzo della storia.

Lotta alle frodi fiscali, tassare le grandi società

Quando si tratta di come affrontare il problema dei prestiti indotti dal coronavirus, tuttavia, anche la sinistra politica rischia di rimanere invischiata in una contraddizione. Quando suggerisce che i prestiti dovrebbero essere rimborsati tramite delle nuove tasse o dei prelievi - un nuovo Soli, o una nuova tassa patrimoniale - sostiene implicitamente che i prestiti siano un problema. Certamente la Germania ha bisogno di un sistema fiscale più equo. Ma non per finanziare gli investimenti o per superare il coronavirus, ma per affrontare il terzo grande compito descritto sopra: risolvere il problema dell'ingiustizia sociale in Germania. Questo è già una ragione di per sé.

Tassare le transazioni finanziarie e i profitti delle aziende digitali, combattere le frodi fiscali - questi sono gli obiettivi da mettere in cima all'agenda della giustizia sociale. Se ciò non dovesse avvenire, ogni tassa e ogni aumento delle tasse sarà un incentivo all'evasione fiscale. Non al culmine della crisi economica, ma non appena la ripresa economica sarà di nuovo stabile, i redditi piu' alti dovranno pagare imposte piu' alte e le grandi fortune dovranno essere nuovamente tassate. In cambio, si dovrà dare sollievo a chi ha un reddito basso e normale. Per ridurre l'area dei bassi salari, è necessario aumentare il salario minimo e i ampliare l'applicazione dei contratti collettivi, in questo modo anche la coesione sociale e la fiducia nella comunità potranno crescere. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno affinché gli importanti e necessari cambiamenti possano avere successo.




domenica 10 gennaio 2021

I sogni troppo ambiziosi dell'establishment tedesco

Sulla stampa che conta e sulle riviste di geopolitica, l'establishment e i grandi Think Tank tedeschi coltivano il sogno di trasformare l'UE in una potenza globale con una propria autonomia strategica rispetto a Stati Uniti e Cina. La realtà dei fatti purtroppo è molto diversa e anche i tedeschi devono iniziare ad ammettere l'inconsistenza delle loro ambizioni geopolitiche. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


"Fissare degli standard globali".

La richiesta di un riposizionamento maggiormente offensivo dell'UE nel ruolo di "potenza mondiale" era già stata espressa in autunno da importanti media liberali e conservatori ad ampia diffusione. Già ad ottobre 2020, infatti, il portale online del settimanale Die Zeit chiedeva "più coraggio nel diventare una potenza mondiale": l'UE, sosteneva la testata, "deve considerarsi una potenza mondiale" [1]. Poco più tardi, sul quotidiano del gruppo Springer, Die Welt, il ministro dello sviluppo Gerd Müller e l'ex-esperto di politica estera dell'influente Fondazione Bertelsmann, Werner Weidenfeld, dichiaravano che l'UE ha "tutto quello che serve per diventare una potenza mondiale": "la sua sovranità - circa 400 milioni di persone con il loro elevato potenziale economico - e un solido equipaggiamento militare, spingono l'UE verso il rango di potenza globale". [2] Con argomentazioni simili, Weidenfeld quasi vent'anni fa aveva definito l'UE come una "potenza mondiale in divenire" [3]. Insieme a Müller ora sostiene che "l'Europa in virtù della sua potenza economica...dovrebbe essere in grado di stabilire uno standard nel mondo multipolare digitalizzato e globalizzato". A tal fine Bruxelles avrebbe bisogno non solo di un "quadro politico più efficace" - se possibile "affiancato da un consiglio strategico europeo" - ma anche, ad esempio, di un "esercito europeo" con "una struttura comune di comando ".

"Come gli USA o la Cina"

"Cosa manca all'Europa per diventare una potenza mondiale?" è la domanda con la quale la rivista Internationale Politik (IP) ha recentemente riaperto il dibattito, lanciando un focus tematico sull'argomento. La IP è la principale rivista dell'establishment tedesco in materia di politica estera e viene pubblicata dalla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), uno dei think tank di politica estera più influenti della Repubblica Federale; la sua tiratura bimestrale è di circa 6.000 copie. Come afferma la IP, quasi la metà della popolazione tedesca ritiene infatti ipotizzabile che in futuro l'UE possa arrivare a ricoprire il ruolo di potenza mondiale. In un sondaggio rappresentativo svolto a dicembre, infatti, il 43 % ha risposto "sì" alla seguente domanda: pensa che "l'UE in futuro potrà avere un ruolo altrettanto forte nella politica mondiale, come fanno oggi gli USA o la Cina?"[4]. Gli indici di gradimento piu' alti sono stati riscontrati tra le giovani generazioni: circa il 70 % dei giovani tra i 18 e i 29 anni, infatti, ritiene che l'UE potrà essere una possibile futura potenza mondiale; tra gli over 60, la cifra è solo del 28 %. In termini di appartenenza politica, i giudizi di approvazione sono superiori alla media fra i sostenitori del liberismo e fra gli ecologisti: il 56% dei sostenitori della FDP ritiene infatti che l'UE in linea di principio debba vedersela alla pari con gli USA e la Cina; questo vale anche per il 52% degli elettori dei Verdi.

Molte parole, pochi fatti

Relativamente alla reale situazione dell'UE in materia di politica internazionale, la IP ammette che "l'Europa" ha "parlato molto del suo ruolo internazionale", tuttavia "senza mai fare abbastanza" [5]. Così, il raggiungimento della cosiddetta "autonomia strategica" - una variante ridotta rispetto alla piu' ambiziosa politica di potenza mondiale - era già stato indicato come un obiettivo da raggiungere nelle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2013, e poi nella Strategia globale dell'Unione del giugno 2016. Quell'obiettivo tuttavia non è stato ancora raggiunto. Il "compito dell'Europa" ora sarà quello di "rafforzare il suo impatto internazionale nel quadro delle nuove condizioni e difendere i suoi interessi in maniera piu' decisa". L'UE in questo modo "riuscirà quindi ad espandere le sue risorse in termini di potere" solo se la sua coesione interna e la volontà dei suoi governi di cooperare cresceranno. La IP non esclude anche degli effetti collaterali assai utili derivanti da una grave crisi - come ad esempio l'attuale crisi causata dal Coronavirus: "Cresce la sensazione di far parte di una 'comunità di destini'". Questo, naturalmente, - a pochi giorni dalla pubblicazione dell'ultimo numero di IP - è alquanto opinabile: proprio a causa dei gravi errori nell'approvvigionamento dei vaccini sono scoppiate delle critiche feroci nei confronti dell'inerzia mostrata dalle autorità di Bruxelles.

Fra ambizione e realtà

Mentre la IP tiene alte le rivendicazioni dell'UE sul tema della politica di potenza mondiale, i singoli articoli presenti sull'ultimo numero rivelano come le aspirazioni e la realtà siano fra loro sempre più lontane. Ad esempio, la rivista sostiene che "più di ogni altra questione", la politica sull'Iran è il vero simbolo della politica estera comune dell'UE: "da quasi due decenni ormai", gli Stati membri "perseguono un approccio relativamente coerente nei confronti di Teheran" - nonostante le ripetute e massicce pressioni degli Stati Uniti [6]. E' proprio nella politica iraniana, tuttavia, che è diventata evidente "l'incapacità" dell'UE di "esercitare un'influenza decisiva"; ad esempio, il commercio con l'Iran - nonostante gli ampi sforzi dell'Unione - è quasi completamente crollato a causa delle sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti. La situazione è simile a quella della politica africana. Ad esempio, nonostante i molti anni di annunci e di sforzi per espandere le relazioni economiche con gli Stati dell'Africa sub-sahariana, finora non si è riusciti a farlo; la Cina, invece, ha rafforzato massicciamente la sua posizione nel continente africano. "Al momento", è scritto nell'ultimo numero della IP, "sembra che sarà propro la Cina, e non l'Europa, ad essere il principale beneficiario della fioritura economica africana"[7].

Una certa arroganza

Gli avvertimenti secondo i quali le ambizioni europee in materia di politica di potenza sarebbero tutt'altro che adeguate rispetto alle reali capacità economiche sono sempre più sentiti anche dai responsabili economici. E fanno seguito alla constatazione che vede la quota dell'Unione nella produzione economica mondiale, nel migliore dei casi stagnante [8], oppure dal fatto che la quota dell'UE nell'ambito delle domanda globale di brevetti fra il 2009 e il 2019 è diminuita drasticamente - passando dal 34,7 al 23,2 per cento - mentre la quota dell'Asia nello stesso periodo è salita dal 32 al 52,4 % [9]. Eppure le élite politiche spesso non se ne rendono nemmeno conto, l'ex commissario UE Günther Oettinger recentemente ha messo in guardia: "in molte capitali europee regna una completa sopravvalutazione delle proprie capacità economiche. Una sorta di arroganza" [10]. All'inizio di questa settimana, Werner Hoyer, l'ex ministro di Stato presso il Ministero degli Esteri federale e ora presidente della Banca europea per gli investimenti (BEI), è stato anche citato per aver dichiarato che gli Stati dell'UE "da 15 anni stanno perdendo competitività" e allo stesso tempo investono "ogni anno l'1,5% in meno del PIL in ricerca e sviluppo": "Non stiamo recuperando terreno", avverte Hoyer, "anzi, stiamo scivolando ancora più indietro"[11]. 


[1] Ulrich Ladurner: Mehr Mut zur Weltmacht. zeit.de 01.10.2020.

[2] Gerd Müller, Werner Weidenfeld: Die EU hat das Zeug zur Weltmacht. welt.de 21.10.2020.

[3] Werner Weidenfeld: Thinktank: Die verhinderte Weltmacht. welt.de 08.03.2003. S. dazu Wille zur Weltmacht.

[4] 53 Prozent urteilten "Nein", 4 Prozent antworteten "Weiß nicht". Internationale Politik 1/2021. S. 5.

[5] Daniela Schwarzer: Europas geopolitischer Moment. In: Internationale Politik 1/2021. S. 18-25.

[6] David Jalilvand: Verzagte Vermittler. In: Internationale Politik 1/2021. S. 38-40.

[7] Amaka Anku: Suboptimale Subsahara-Politik. In: Internationale Politik 1/2021. S. 41-43.

[8] S. dazu Der große Ungleichmacher.

[9] Der Anteil Nordamerikas fiel zugleich von 31 auf 22,8 Prozent. Internationale Politik 1/2021. S. 26.

[10] Thomas Sigmund: "Es gibt in vielen europäischen Hauptstädten eine völlige Selbstüberschätzung der eigenen Wirtschaftskraft". handelsblatt.com 16.11.2020.

[11] Michael Maisch, Hans-Peter Siebenhaar: Werner Hoyer: "Wir holen nicht auf, wir fallen zurück". handelsblatt.com 04.01.2021.