mercoledì 9 agosto 2017

7.6 milioni di mini-job: un lavoratore dipendente su 5 è un minijobber

Il governo risponde ad una interrogazione parlamentare della Linke sul tema dei mini-job e fornisce dati sorprendenti: dopo una lieve flessione nel 2015, i mini-job sono tornati a crescere e i mini-jobber sono ormai pari al 23% di tutti i lavoratori dipendenti con assicurazione sociale, sempre di piu' le donne e gli anziani. Impressionante il numero di mini-jobber ultra 65enni, piu' di un milione. Dalla Rheinische Post.


Nonostante l'introduzione del salario minimo per legge nel gennaio 2015, il numero dei mini-jobber in Germania è tornato a crescere. Nel dicembre 2016 era del 2.2% piu' alto rispetto al marzo 2015. Circa 7.63 milioni di persone alla fine dello scorso anno avevano un "rapporto di lavoro minore" (mini-job). Vale a dire il 23% di tutti i lavoratori dipendenti (con assicurazione sociale). Il dato emerge da una risposta del governo federale ad una richiesta del gruppo parlamentare della Linke.

I mini-job sono esentasse fino al limite previsto dalla legge di 450 € al mese. Per questa ragione per molti lavoratori restano un'opportunità attraente. Per circa un terzo dei mini-jobber si tratta di un secondo lavoro. I lavoratori dipendenti che hanno solo un mini-job - e quindi senza altri lavori che prevedano il pagamento dei contributi sociali - sono circa 4.8 milioni. Molti, ma non tutti, lo fanno per integrare la pensione o magari per pagarsi gli studi - oppure si tratta ad esempio di casalinghe che vogliono migliorare il reddito familiare.


Chi è inquadrato secondo un "rapporto di lavoro minore" non è necessariamente coperto dal mini-job per quanto riguarda la cassa malattia e la previdenza sociale (non è prevista l'assicurazione contro la disoccupazione). Dal 2013 il mini-job prevede il versamento dei contributi pensionistici, ma su domanda del lavoratore è possibile richiedere l'esenzione dall'obbligo assicurativo, opzione a cui molti dipendenti fanno ricorso. Per il datore di lavoro è previsto il pagamento di un contributo forfettario tra il 25 e il 30% della retribuzione lorda per l'assicurazione pensionistica, la cassa malattia e le imposte sul reddito.

Molti mini-jobber sono donne e hanno piu' di 60 anni

Le critiche nei confronti dei numeri raggiunti dai mini-job, oltre 7 milioni, sono sempre piu' forti: sarebbero uno strumento per comprimere i salari nonché una delle principali cause di povertà in vecchiaia, visto che i contributi versati daranno diritto ad una pensione estremamente bassa.

Secondo i dati forniti dal governo, oltre 3 milioni di mini-jobber, quasi il 60%, nel 2016 erano donne. Per molte di loro, a causa dei contributi pensionistici troppo bassi, la povertà in vecchiaia è già un problema estremamente attuale.

Il 22% dei mini-jobber nel 2016 aveva piu' di 60 anni. La percentuale di anziani con un'occupazione minore è cresciuta del 48% rispetto al livello di dieci anni fa. Anche il numero dei mini-jobber in età pensionabile con oltre 65 anni è cresciuto del 35% rispetto al 2006, e oggi sono piu' di un milione.

Secondo il documento del governo, i mini-jobber lavorano in media 11.8 ore per settimana. Il loro salario medio nel 2014 era di 9.4 € lordi l'ora. Nell'ovest un mini-jobber guadagnava in media 9.58 € l'ora, nell'est solo 7.86 € l'ora. La retribuzione media di un mini-jobber era del 55% inferiore rispetto alla retribuzione lorda media complessiva di tutti i dipendenti, pari a 16.57 € lordi l'ora. Dai dati forniti dal governo emerge che con l'introduzione del salario minimo di 8.5 € lordi l'ora, all'inizio del 2015, il numero dei mini-job è sceso di 93.000 unità. Nei mesi successivi tuttavia sono tornati a crescere fino alla fine del 2016.

"E' una trappola soprattutto per le donne"

Secondo i dati del governo la maggior parte dei mini-jobber lo scorso anno lavorava nella vendita al dettaglio. 895.000 mini-jobber lavoravano nel commercio, seguivano la gastronomia con 780.000 occupati, la pulizia degli edifici (circa 600.000) e la sanità (433.000). I lavoratori senza una qualifica fra i mini-jobber sono il 21.5% e sono quindi sovrarappresentati rispetto al totale degli occupati. Sorprendentemente alte sono le attività da aiutante generico con una quota del 45 % sul totale, sempre secondo i dati del governo.

"I mini-job sono una forma di occupazione precaria, a bassa retribuzione e portano dritti ad una mini-pensione. Sono una trappola soprattutto per le donne", scrive Jutta Krellmann della Linke. 4.3 milioni di mini-jobber, secondo i dati del governo, avrebbero almeno una qualifica professionale. E' un indizio del fatto che per queste persone probabilmente sarebbe possibile trovare qualcosa di meglio rispetto ad una semplice attività da aiutante. "E' davvero uno scandalo se oltre un milione di persone con piu' di 65 anni ha bisogno di un mini-job per assicurarsi il sostentamento", ha dichiarato sempre la Krellmann. I mini-job non stanno creando nuovo lavoro, lo stanno solo redistribuendo fra piu' lavoratori.


lunedì 7 agosto 2017

Come una giornalista della televisione pubblica WDR ha perso il lavoro per aver detto la verità sulla crisi dei migranti

Secondo alcune classifiche internazionali molto in voga, in quanto a libertà di stampa l'Italia sarebbe dietro il Burkina Faso, la Germania stabilmente nella parte alta della classifica, le cose probabilmente non stanno cosi'. Ce lo mostra il caso di Claudia Zimmermann, una giornalista della WDR che dopo una lunga collaborazione con l'emittente di Colonia ha perso il lavoro per aver detto ai microfoni di una radio olandese quello che tutti sanno: sulla questione dei migranti il governo tedesco pretende dalla televisione pubblica una rappresentazione dei fatti favorevole e vicina alle posizioni governative. Da meedia.de
Circa un anno e mezzo fa il caso della giornalista della WDR Claudia Zimmermann aveva fatto scalpore. Durante un programma radiofonico su di una emittente olandese, nel pieno della crisi dei migranti, aveva affermato che ai "media pubblici tedeschi viene chiesto di offrire una rappresentazione dei fatti favorevole al governo". La WDR aveva reagito con indignazione smentendo l'accusa, la signora Zimmermann aveva poi provato a fare marcia indietro. Oggi ci dice: "La mia carriera giornalistica in Germania dopo questa dichiarazione è finita". Con la WDR sta negoziando i dettagli della separazione professionale. 

Claudia Zimmermann si è fatta viva a MEEDIA solo dopo aver letto i risultati dello studio condotto dall'esperto di comunicazione di massa Michael Haller. Il Prof. Haller, insieme all'Università di Leipzig e alla Hamburg Media School, analizzando migliaia di articoli di giornale, ha realizzato uno studio su larga scala in merito alla rappresentazione mediatica della crisi dei migranti nel 2015 e 2016. Risultato centrale dell'analisi: i media, o almeno i quotidiani, hanno assunto in larghissima parte la prospettiva della politica.

La Sig.ra Zimmerman si è sentita confermata dai risultati dello studio, soprattutto in relazione alle critiche espresse circa un anno e mezzo fa nei confronti dei media pubblici. All'epoca aveva anche cercato di smentire la sua affermazione: i giornalisti della televisione pubblica riceverebbero istruzioni dirette per la redazione dei loro servizi. Oggi invece conferma la critica generale nei confronti della radiodiffusione pubblica: "soprattutto le grandi reti televisive ARD e ZDF vengono sempre criticate in quanto televisioni di stato, e secondo me a ragione. Non viene espressa alcuna critica nei confronti del governo. Non sono i giornalisti ad essere cattivi. E' il sistema che funziona dall'alto verso il basso. I redattori capo o i direttori di redazione fanno in modo che i servizi critici non vengano mandati in onda".

Durante la sua conversazione con MEEDIA la sig.ra Zimmermann ha voluto sottolineare che lei non intende criticare i singoli giornalisti, che secondo lei di solito fanno un buon lavoro. Anche la sola politica di assunzione dell'emittente pubblico e la totale dipendenza del personale esterno fisso (lei aveva questo contratto nei suoi rapporti con WDR) impediscono, secondo lei, che l'operato del governo e la questione dei migranti siano raccontati in maniera troppo critica. "Se qualcuno prova a raccontare in maniera critica la questione dei migranti, viene subito considerato di destra. La problematica con i profughi e i migranti è rappresentata in maniera troppo positiva", ha detto a MEEDIA.

Per lei invece la dichiarazione di un anno e mezzo fa ai microfoni di una radio olandese ha avuto conseguenze drastiche: "La WDR ha dichiarato che di fatto non sono stata licenziata. E questo è vero, non mi hanno licenziata. Da allora pero' non ho piu' lavorato. Sono da circa 25 anni alla WDR e in precedenza ogni 10 proposte tematiche riuscivo a venderne almeno 8. Dopo questa dichiarazione ho già fatto 10 proposte e nessuna di queste è stata acquistata. E cio' ha fatto sì che io ora soffra di burn-out".

Dopo la sua dichiarazione controversa, anche all'interno della redazione della WDR improvvisamente sono cambiate le responsabilità: "normalmente le proposte tematiche venivano acquistate da un redattore-capo. Dopo la mia dichiarazione del gennaio 2016, per le mie proposte tematiche mi sono sempre dovuta rivolgere alla direzione dello studio. E li' naturalmente nessuno vuol dire che le mie proposte vengono rifiutate a causa della mia dichiarazione. Trovano sempre un motivo: troppo complicato, troppo nazionale, oppure mi dicono che hanno già affrontato un tema simile, etc".

La WDR in seguito ad una richiesta di MEEDIA smentisce che la sig.ra Zimmermann non abbia piu' abbia avuto la possibilità di lavorare per l'emittente. Una portavoce ci ha detto: "non è vero, ed è dimostrabile, il fatto che la sig.ra Zimmermann da allora non abbia piu' ricevuto alcun ordine dalla WDR. Che la direzione dell'emittente venga coinvolta nella scelta dei temi poi non è affatto inusuale".

Claudia Zimmermann ha detto a MEEDIA che dopo la sua dichiarazione ha potuto realizzare solo 2 piccoli e brevi cosiddetti "Off maz" (servizi televisivi) di 30 secondi ciascuno senza il nome dell'autore. Fino alla fine del 2016 ha proposto settimanalmente dei nuovi temi, nessuno dei quali però è mai stato acquistato".

Nel frattempo la sig.ra Zimmermann ha iniziato a trattare con WDR la chiusura del rapporto contrattuale. Secondo quanto lei ci ha detto, da allora non è piu' riuscita a rivendere le sue proposte a nessun'altro editore o emittente televisivo in Germania. Claudia Zimmermann continua tuttavia a pubblicare in Olanda e ha recentemente scritto un libro sulle macchinazioni e le trame dei broker online dal titolo "Terroristi dei mercati finanziari".

sabato 5 agosto 2017

Una storia di ordinario lobbismo

Lo scandalo delle emissioni diesel è anche e soprattutto una storia di ordinario lobbismo a Berlino e a Bruxelles: senza la stretta collaborazione del governo con la lobby dell'auto tedesca non si sarebbe mai arrivati a questo punto. Lo mostra chiaramente uno scambio di e-mail fra il lobbista capo di Daimler, Eckart von Klaeden, ex Ministro tedesco, e gli uffici della Cancelleria di Berlino. Da Der Spiegel
Il lobbista capo di Daimler, Eckart von Klaeden, è riuscito ad intervenire con successo presso la Cancelleria tedesca nella definizione delle regole sui test per la misurazione delle emissioni - per farlo l'ex ministro ha utilizzato i suoi vecchi contatti.

Lo scandalo delle emissioni diesel, senza la vicinanza fra il governo tedesco e il settore automobilistico non sarebbe stato affatto pensabile. Cosi' anche il lobbista capo di Daimler, Eckart von Klaeden, si è speso con successo per ottenere dal governo tedesco dei test sulle emissioni dei diesel meno severi. 

Il 18 marzo 2015 Klaeden scrive una e-mail al capo del Dipartimento di Politica Economica presso la Cancelleria, Lars-Hendrik Röller. Nella mail chiede al governo federale "di riconsiderare" la propria posizione nei confronti dei piani della Commissione UE.

Appena una settimana dopo gli stati membri dell'UE intendevano infatti votare sui nuovi metodi di misurazione delle emissioni RDE ("Real Driving Emissions"), con i quali le auto prima di essere ammesse alla circolazione dovevano essere testate in condizioni di guida reali. Klaeden nella mail metteva in guardia: "cio' che potrebbe sembrare in un primo momento solo come una decisione tecnica minore, potrebbe invece avere enormi conseguenze per l'industria automobilistica tedesca, nella misura in cui influenzerà il futuro utilizzo dei motori diesel". La proposta della Commissione UE "non poteva essere accettata".

Lo stesso giorno di Klaeden, presso il capo dell'ufficio di Cancelleria  Peter Altmaier si fa sentire per e-mail anche il Presidente dell'Associazione Automobilistica tedesca (VDA), Matthias Wissmann, il quale si dichiara a favore di un "pacchetto complessivo realistico". I funzionari della Cancelleria redigono allora per Altmaier una "presa di posizione" nella quale è scritto che in occasione della riunione a Bruxelles si chiederà al Ministero dell'Ambiente e al Ministero dei Trasporti "di affrontare esplicitamente le preoccupazioni espresse da VDA e Daimler" in merito ai metodi di misurazione e di "prendere in considerazione, all'interno di ulteriori discussioni", il concetto di un "pacchetto complessivo realistico", proposto da Wissmann.

Il governo federale tedesco dopo l'intervento dei lobbisti ha poi modificato la sua linea politica cancellando la data specifica per l'introduzione dei test RDE dalla sua proposta. Anche nella decisione in merito al regolamento finale, presa nell'autunno 2015, il governo è andato incontro alle necessità dei produttori di auto.

Eckart von Klaeden dal 2009 al 2013 è stato Ministro di Stato presso la Cancelleria, prima di passare alla casa automobilistica di Stoccarda Daimler. La transizione immediata del politico della CDU, all'epoca aveva causato un certo risentimento, anche all'interno del suo stesso partito.

Una imbarazzante messa in scena

Su Die Zeit un commento molto interessante in merito al vertice sul diesel di mercoledì a Berlino: è stata una imbarazzante messa in scena che ha cercato di rivendere come un successo della politica un rimedio ampiamente insufficiente che probabilmente non servirà a nulla. E' evidente la totale collusione fra il lobbismo del settore auto e il governo tedesco. Petra Pinzler su Die Zeit.


Mettiamo che ci sia un panettiere che prepara del pane tossico. A causa di cio' alcune persone si sentono male. Molto probabilmente le autorità competenti si accanirebbero contro la sciatteria del forno. Ammonirebbero, infliggerebbero ammende e se le cose non dovessero cambiare chiuderebbero il panificio. Noi lo chiamiamo stato di diritto.

Ma se l'industria automobilistica per anni inquina l'aria facendo ammalare migliaia di persone, allora valgono altre regole, che da oggi sappiamo quali sono: le autorità competenti volgono lo sguardo da un'altra parte e modificano il diritto esistente fino a quando questo non si adatta perfettamente al reato commesso. Il Ministro dei Trasporti competente Alexander Dobrindt (CSU) non si è mai preoccupato di rivolgersi alle iniziative ambientali che hanno fatto emergere lo scandalo. Solo quando la truffa è diventata cosi' plateale da non poter essere piu' messa a tacere, ha deciso di organizzare a Berlino un vertice sul diesel insieme al Ministro dell'Ambiente Barbara Hendricks (SPD) e ai boss del settore auto.

Ma ancora prima di comparire davanti alla stampa, la VDA, l'associazione di categoria della lobby automobilistica, invia alla stampa il suo comunicato sui risultati del vertice. Ma dove siamo?

Non solo in Germania per alcuni si applica la legge mentre per altri si organizzano i vertici. Ma per il Ministro dei Trasporti è assolutamente indolore rivendere i risultati del meeting come se fosse stato un successo. (La campagna elettorale è alle porte). Come se avesse davvero ottenuto qualcosa a vantaggio dei cittadini. E il suo capo  Horst Seehofer (CSU) gli fa un assist rallegrandosi del fatto che "tutti i produttori si sono fatti carico delle loro responsabilità". Ci sarebbe da vergognarsi per loro.

Bisogna ricordarsi la sequenza degli avvenimenti per comprendere la gravità di questo comportamento: non solo c'è un'industria che truffa i suoi clienti vendendogli auto che non possono garantire le prestazioni che la pubblicità ha promesso. Un settore che con una condotta truffaldina costringe milioni di persone a respirare un'aria pericolosamente sporca ottenendo profitti record. E ora il governo federale gli permette ancora una volta di non rimediare ai danni fatti, ma di potersene uscire con misure del tutto inadeguate.

Rivendere un rimedio inadeguato come una generosità

Concretamente: cio' che il governo federale ha concordato con l'industria automobilistica tedesca non servirà a ripulire l'aria delle città. Non servirà a rientrare nei limiti. Il Ministro dell'Ambiente Barbara Hendricks lo ha addirittura ammesso dopo il vertice: "sui livelli di ossido di azoto anche in futuro probabilmente resterà  un gap da colmare".

E questo perché sui 5.3 milioni di veicoli diesel in circolazione i boss del settore auto si sono impegnati solo ad un modesto aggiornamento del software. Anche sui diesel che soddisfano le norme Euro 5 ed Euro 6. Tutti i possessori di auto piu' vecchie resteranno a bocca asciutta. "Abbiamo scelto di impegnarci nello sviluppo di nuovi modelli, invece di migliorare i vecchi motori", ha detto il capo di VW Matthias Müller. Gli altri leader del settore si sono mostrati d'accordo.

Una cosa è sembrata chiara: per i partecipanti al vertice i divieti di circolazione, anche per i diesel piu' vecchi, sono impensabili. Fortunatamente a decidere se l'aria è pulita come dovrebbe essere secondo la legge saranno i tribunali tedeschi. Ma affinché cio' sia anche solo ipotizzabile, i diesel in circolazione dovrebbero essere attrezzati con dei catalizzatori. E questo per i produttori, con costi di circa 1500 € per auto, è troppo oneroso. I costruttori vorrebbero offrire ai possessori di auto piu' vecchie la possibilità di comprare delle auto piu' moderne grazie a degli incentivi pubblici: non intendono in alcun modo pagare per i loro peccati, ma vorrebbero trasformare la truffa in un programma di stimolo per gli acquisti.

Resta come conclusione: i produttori di auto, anche dopo il vertice sul diesel, ancora una volta non faranno quello che le autorità competenti da tempo avrebbero dovuto imporre. Hanno cercato di rivendere come un atto di grande generosità un rimedio ampiamente insufficiente. E la politica ancora una volta accetta che l'industria dell'auto la  faccia franca. Che imbarazzante messa in scena.

martedì 1 agosto 2017

Jakob Augstein su Der Spiegel: "l'industria automobilistica tedesca come la criminalità organizzata"

Jakob Augstein è un commentatore storico di Der Spiegel nonché direttore di Der Freitag. Questa volta sul prestigioso settimanale di Amburgo se la prende con l'industria automobilistica e con la politica tedesca: lo scandalo delle emissioni diesel rappresenta il fallimento della politica tedesca, la commistione fra l'industria dell'auto e la politica è totale, i metodi sono quelli usati dalla criminalità organizzata. Da Der Spiegel.

La definizione ufficiale per descrivere la criminalità organizzata secondo il Ministero degli Interni e della Giustizia tedesco è la seguente: "per criminalità organizzata sono da intendersi quei reati commessi sistematicamente e finalizzati al profitto o all'acquisizione di potere, che singolarmente o nel complesso sono di notevole importanza, e che prevedono la cooperazione di almeno 2 persone per un lungo periodo di tempo...anche esercitando influenza sulla politica, i media, l'amministrazione pubblica, la giustizia o l'economia".

Secondo questa definizione una larga parte dell'industria automobilistica tedesca potrebbe essere ricondotta al crimine organizzato. "Reati commessi sistematicamente" - cosa altro sarebbero le menzogne sui gas di scarico, e cioè la simulazione di valori di emissione estremamente favorevoli grazie ad un software truffa appositamente sviluppato? E cosa altro sarebbero gli accordi di cartello fra le 5 case automobilistiche tedesche, se le recenti notizie pubblicate da Der Spiegel dovessero essere confermate?

Prima la carriera nel governo, poi nei gruppi automobilistici

Probabilmente la quantità e la durata delle violazioni, quasi sistematiche, operate dall'industria automobilistica tedesca è cosi' grande che se le aziende decidessero da un giorno all'altro di voler adempiere alla legge, di fatto sarebbero costrette a fermare la produzione. Dopo tutto i dipartimenti di comunicazione dei gruppi automobilistici non dovranno piu' pensare ad un nuovo slogan pubblicitario: "il piacere di guidare" (BMW), lo si puo' provare anche con un auto a cui non è stata vietata la circolazione. Oppure "all'avanguardia della tecnica" (Audi), era corretto nella misura in cui a quanto pare tutti i mezzi tecnici disponibili erano utilizzati per la frode commerciale.

"Il nostro interesse principale è un business onesto", aveva detto il CEO di Daimler, Zetsche, all'inizio del 2013. Le cose non stanno proprio cosi'. Ci sono affari sporchi, dai quali tutti i partecipanti hanno tratto profitto. La truffa dei gas di scarico, ad esempio, è un sistema di mutua complicità che unisce industria, governo e gli acquirenti delle auto. E tutti vivono felici secondo il motto della vecchia canzone di Doris Day: "Que sera, sera" - sarà quel che sarà, e nessuno pensa al domani.

Gli scandali dell'industria automobilistica rappresentano il fallimento della politica tedesca. Nessuna meraviglia: l'industria automobilistica è una filiale esterna del governo federale - e forse anche il governo federale è un ramo del settore auto.

In ogni caso Daimler dà lavoro come capo-lobbista all'ex Ministro della Cancelliera. Per VW lavora un ex-portavoce del governo federale, nonché ex-capo dell'ufficio di Merkel. L'associazione dei produttori di auto è guidata da un ex Ministro dei Trasporti federale. E il suo successore, attualmente in carica, il politico Dobrindt, si comporta  come se anche lui dopo la politica mirasse ad una brillante carriera nel settore.

C'è bisogno di un giudice per obbligare i Verdi a difendere l'ambiente

Quando la politica fallisce, la magistratura è l'ultima linea di difesa. Lo scorso venerdì il Tribunale Amministrativo di Stoccarda ha stabilito che il piano locale per il controllo dell'inquinamento è insufficiente e che il governo regionale dovrà emanare dei divieti di circolazione per le auto diesel. E in questo caso la città e la regione sono saldamente nelle mani dei Verdi. Solo per la cronaca: c'è bisogno di un tribunale per obbligare i Verdi a rispettare le leggi per la protezione delle persone e dell'ambiente.

Il leader dei Verdi in Baden-Württemberg è Winfried Kretschmann, Presidente della Regione, ma anche il politico di maggior successo e il piu' popolare all'interno del suo partito - e questo fatto, nei confronti dell'industria automobilistica, è l'incarnazione della miseria politica.

Kretschmann è esattamente il simbolo di cio' che è andato storto nel corporativismo tedesco. Si è davvero sforzato. Voleva tenere tutto sotto uno stesso tetto: una industria automobilistica fiorente, proprietari di auto felici, aria pulita, e garantirsi anche delle buone chance di essere rieletto. "Che cosa pensa, come sarebbe possibile altrimenti arrivare al 30%?" aveva detto in un'intervista, e: "solo se siamo forti e al governo possiamo davvero cambiare qualcosa". Ma è già da molti anni al potere - e la nuvola carica di sporco sopra Stoccarda non si è ancora spostata.

Perché? Perché Kretschmann è diventato l'utile idiota dei Verdi al servizio dell'industria automobilistica. Prima ha promosso un vertice, poi fatto una proposta di compromesso e poi alla fine ha concesso un altro periodo di tempo. Non poteva immaginare tutta l'arroganza e l'avidità del settore automobilistico. Il Ministro dei Trasporti si è sempre dato da fare per i boss del settore - e ogni volta l'hanno lasciato appeso al gancio. Come nel caso dell'installazione di un catalizzatore sui diesel piu' vecchi e sporchi dove nessuno gli è andato incontro. E anche dei presunti accordi di cartello fra le case automobilistiche è venuto a conoscenza solo dai giornali. 

Sono evidenti i tipici sintomi della malattia dell'intero sistema. Corruzione, oligarchia e una sfera politica paralizzata; tutti appartengono ad un capitalismo in fase di declino. E' un po' come accadeva con le banche fino ad un po' di tempo fa: le aziende automobilistiche pensano ancora oggi di essere troppo grandi per fallire - ma la loro dissolutezza morale danneggia tutti noi.

E anche un'altra cosa: quando si tratta di giudicare Donald Trump, i tedeschi potrebbero risparmiarsi tutta la loro superbia.

sabato 29 luglio 2017

Un giorno all'Arbeitsamt nella ricca Monaco di Baviera

Hartz IV dovrebbe essere un sistema di sicurezza sociale pensato per aiutare le persone in stato di necessità. Per molti disoccupati e sottooccupati invece si è trasformato in un sistema vessatorio ed inutilmente burocratico dove l'unico scopo sembrerebbe essere quello di scoraggiare le persone che effettivamente hanno bisogno di aiuto. La Abendzeitung racconta un giorno qualsiasi in un Jobcenter della ricchissima Monaco di Baviera. Da abendzeitung-muenchen.de


Sono le dieci al Job-center di Monaco Pasing. Dalla sala riunioni esce una donna sulla cinquantina, schiena curva, le mani serrate intorno ad un bastone da passeggio. Piange. 

La donna si chiama Alaya e da quasi un anno vive senza soldi. Durante il suo lavoro come donna delle pulizie è scivolata nella doccia e da allora non riesce piu' a camminare correttamente. L'AOK (cassa malattia) e l'associazione di categoria non riescono a mettersi d'accordo se si tratta di un incidente sul lavoro e sulla responsabilità. 

Fino a quando questa problema non viene risolto, Alaya non riceverà un sussidio di disoccupazione, sebbene ne abbia diritto. La scorsa settimana le è stato consigliato di fare domanda per Hartz IV. E per questa ragione oggi è venuta al Jobcenter.

Ma il certificato del medico relativo alla sua sua impossibilità di lavorare non è ancora arrivato al Jobcenter. Per questo le hanno dato un appuntamento per l'inserimento lavorativo. Se non si presenta sarà sanzionata. E' al suo settimo appuntamento in un ufficio questo mese. Sulla guancia di Alaya scorre una lacrima.

4.3 milioni di persone in Germania percepiscono un sussidio Hartz IV. Quasi il 10% di loro lo scorso anno è stato sanzionato dal Jobcenter. Essere sanzionati significa una decurtazione parziale o totale dell'indennità. Ogni mese a circa 7.700 persone viene tagliato l'intero sussidio di disoccupazione. Devono farcela senza soldi. Se questa pratica dal punto di vista costituzionale sia legale o meno è un tema ancora controverso.

E' possibile tagliare "un salario di sussistenza? Nell'agosto del 2016 il Tribunale Sociale di Gotha ha portato la questione davanti alla Corte Costituzionale. Ci sarà un giudizio nei prossimi mesi: le sanzioni ledono la dignità delle persone?

E' un triangolo delle Bermuda per i documenti

Michael Kuhn - 31 anni, andatura goffa, voce nervosa - è seduto su una delle panche di legno nel corridoio del Jobcenter e aspetta che il suo numero sia chiamato. Per l'ennesima volta questo mese. Deve presentare un documento, ancora una volta. 

Fino a quando non ci sono tutti i documenti il Jobcenter non può trattare la sua richiesta. E fino a quando la sua richiesta non viene elaborata, non riceverà nessuna indennità di disoccupazione. Ma c'è sempre un documento che manca. "Ogni volta", dice Kuhn, "chiedono documenti, che io ho già consegnato da tempo".


L'avvocato Sonja Hein-Schneide definisce i Jobcenter tedeschi come un "triangolo delle Bermuda". Un "triangolo delle Bermuda" per i documenti. "Quando chiediamo l'accesso agli atti", racconta, "negli atti troviamo spesso proprio quei documenti che secondo i Jobcenter sarebbero mancanti".

C'è bisogno dell'estratto conto del mese di dicembre, dice la signora del centro per l'impiego. "Io non ce l'ho", risponde Michael Kuhn. Si guarda le mani. "E' un conto Wirecard, non è possibile stampare gli estratti". Cosa si puo' fare? La signora del Jobcenter non è sicura. Kuhn vorrebbe chiedere a Herr L. (impiegato del Jobcenter). Dovrebbe essere qui in poche ore. "Va bene", dice Kuhn.

Una volta un'impiegata del Jobcenter gli ha anche detto di capire perché la gente qui impazzisce. Sempre in attesa. Porta i documenti. Porta altri documenti. Aspetta. "Non c'è da meravigliarsi se le persone impazziscono e prima o poi si danno fuoco", gli ha risposto - e la signora del Jobcenter ha subito chiamato la sicurezza. 2 uomini grandi e robusti "che sembravano i muppets", dice Michael Kuhn.

"Il problema", afferma Martin Steidl, "di solito non è la malafede dei lavoratori dei Jobcenter, ma il sovraccarico di lavoro". Steidl è stato per quasi 30 anni impiegato in diversi Jobcenter in Germania. Da quando nel 2015 è andato in pensione lavora come volontario per il centro di consulenza per i disoccupati di Ver.di.

"L'intero sistema Hartz IV è stato progettato per fare in modo che per i disoccuppati sia il piu' difficile possibile ottenere soldi dallo stato", spiega Steidl. "Si chiama aiuto auto-repellente". Questo significa che "per ricevere l'aiuto dello stato è necessario superare degli ostacoli  cosi' alti che molte persone sono scoraggiate anche solo dal provarci".

Gli impiegati sono pochi e hanno troppo da fare

Quello di cui ci sarebbe davvero bisogno è una maggiore attenzione per gli utenti dei Jobcenter. "Ma i dipendenti sono pochi e hanno troppo da fare - e per farlo non hanno molto tempo".

Ci sarebbe bisogno dell'estratto conto bancario di dicembre, dice Herr L. del Jobcenter. "Non ce l'ho", risponde Michael Kuhn. "Oh" dice Herr L. Non è possibile chiarirlo in qualche altro modo, chiede Kuhn. Herr L. non è sicuro: "ho inoltrato il suo caso all'ufficio legale", e dice. "Io stesso non posso piu' nemmeno visionarlo". "Va bene" dice Kuhn.

"Questo sistema è stato progettato in maniera cosi' complicata, che non si riesce nemmeno a capire come funziona", dice Tina Mayer - riccioli castani, occhi truccati di nero - si trova davanti al Jobcenter di Monaco Pasing e guarda con occhi socchiusi verso l'edificio. "Mi sto veramente arrabbiando".

Mayer è una madre single e lavora part-time. Poiché i suoi 830 euro mensili non sono sufficienti per sbarcare il lunario insieme alle sue due figlie, ha diritto ad integrare il suo salario con un sussidio Hartz IV.

Almeno fino a tre mesi fa, visto che la sua figlia piu' grande è diventata maggiorenne. "E secondo l'Arbeitsamt ora dovrebbe essere in grado di contribuire al bilancio familiare con il proprio reddito, per questa ragione mi hanno tagliato il sussidio", ci dice.

"Ogni volta che vengo qui, c'è sempre qualcosa che manca"

Sua figlia ha appena finito il liceo, non lavora e quindi non puo' contribuire al bilancio familiare: ha dovuto provarlo al Jobcenter. "Ma ogni volta che vengo qui c'è sempre qualcosa che manca", dice Mauer. Nei mesi scorsi ha fatto debiti, molti debiti: "con 830 € al mese per 3 persone è impossibile pagare l'affitto, i vestiti e il cibo".

Il vero nome di Tina Mayer è un altro. Come per Alaya. Uscire sui giornali con il loro vero nome o la loro foto per entrambe non è proprio possibile. Hanno paura di essere sanzionate dal Jobcenter se si lamentano.

"Non si sa mai quello che puo' succedere", dice Mayer. "Una cosa che ho imparato in questi mesi: quelli del Jobcenter hanno sempre ragione". Sempre."

lunedì 24 luglio 2017

2018 - Odissea in Piddinia

Tobias Piller è il corrispondente dall'Italia per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Sulle pagine del prestigioso quotidiano di Francoforte non perde occasione per raccontare ai tedeschi quanto la situazione italiana sia ormai irrecuperabile e il collasso del Belpaese alle porte. Per Piller, e probabilmente per molti lettori della FAZ, l'Italia resta un paese caotico ed inefficiente, un paradiso di bellezza abitato da un popolo incapace di pensare al futuro. Il giornalista si lancia poi in una profezia funesta: il 2018 sarà l'anno del collasso generale! Grazie Claudio per l'ottima traduzione. Da FAZ.net


All'Italia mancano gli strumenti per un nuovo slancio. La perenne campagna elettorale e una montagna di problemi quotidiani tengono il Paese paralizzato. Il prossimo anno si fa dura

Non è trascorsa nemmeno una settimana nella quale sui giornali italiani non siano comparse brutte notizie: banche stremate, immigrati straziati, caos politico. Il presente di questo superbo Paese è tutt'altro che roseo. Ma la nota più negativa è che l'Italia ha tutte la carte in regola per diventare l'epicentro della crisi europea nel 2018. Fra tutti i Paesi che hanno preso parte al recente G20 l'Italia è quello con le peggiori previsioni di crescita. Anche per questo il debito pubblico è il più elevato di tutti dopo quello giapponese. Eppure questi paragoni internazionali, in particolare quelli che consegnano risultati tanto amari per l'Italia, non interessano la politica romana.

A Roma ruota tutto attorno alle manovre politiche che al momento permettono ai loro protagonisti di restare tranquilli ai loro posti, l'attenzione ricade sugli spettatori nelle innumerevoli discussioni televisive o sul favore riscosso tra gli utenti internet. La stessa crisi dei migranti – con 80.000 sbarchi registrati dall'inizio dell'anno – non partorisce alcuna discussione approfondita in merito alle possibili soluzioni, bensì solo le declamazioni più incisive possibili per le telecamere: “Le ragioni di queste decisioni perverse, in seguito alle quali tutti i migranti sbarcano in Italia, vanno ricercate in oscuri accordi stipulati dal governo Renzi” dice Renato Brunetta, capogruppo del partito di Silvio Berlusconi. Il grande ammiratore della Le-Pen e leader della Lega Matteo Salvini è invece assai più coinciso: “L'Italia sta diventando un immenso campo profughi”.


Solo il 40% dell'acqua piovana

Ci sono parecchi problemi da risolvere intorno alla questione del flusso migratorio. Per anni infatti l'Italia si è abituata a dirottare i nuovi arrivati in direzione Austria e Germania. Adesso invece i profughi, una volta sbarcati, vengono registrati e devono rimanere in Italia. Però 5300 sindaci su 8000 non vogliono alcun centro d'accoglienza sul loro territorio. Perciò gran parte dei 4,5 miliardi di euro destinati all'alloggiamento dei migranti finiscono a delle cooperative non sempre limpidissime, alcune delle quali hanno come unico obiettivo quello di intascarsi il denaro. Questi problemi sono noti da tempo ma l'Italia resta ancora lontana dal poter garantire controlli efficaci e capillari. Molto più semplice lamentarsi continuamente del disinteresse dell'Europa, dal momento che Austria, Germania e gli Stati dell'Europa dell'Est non vogliono farsi carico dei migranti.

Lo stato di emergenza riguardante l'accoglienza e l'assistenza dei migranti è solo uno dei grandi problemi del Paese: vi si aggiungono altre questioni della vita di tutti i giorni. L'agenda quotidiana viene puntualmente scossa da nuovi scandali e spesso le criticità sono rappresentate da problemi ben noti. In questo momento l'Italia sta registrando un'ondata di calore straordinaria e si viene a scoprire – solo adesso – che nel 2017 le piogge ammontano solamente al 40% della media abituale. Il raccolto di riso nella Pianura Padana è minacciato, mentre una gran parte di quello del mais è già andato perduto. I Presidenti di diverse Regioni intendono proclamare lo stato di calamità in modo da ricevere degli indennizzi dallo Stato. Investimenti di lunga durata finalizzati al risparmio idrico nell'agricoltura? Quelli possono pure attendere...

Problemi abituali con l'aggiunta di qualche sgradita sorpresa

Quest'anno però l'emergenza idrica colpisce anche i cittadini che finora ne erano stati risparmiati. Che nelle zone interne della Sicilia città di anche 100.000 abitanti in estate abbiano accesso all'acqua solo ogni due o tre giorni rientra nella normalità. Ora però l'acqua viene razionata anche nell'hinterland napoletano e alcuni paesini vengono riforniti solo grazie alle autobotti. Le notizie riguardanti la penuria idrica sono anche in questo caso accompagnate dai dati circa la perdita d'acqua causata dalle condutture malfunzionanti: a Roma, secondo le statistiche, tali perdite ammontano al 43% dell'acqua trasportata, a Palermo al 45% e a Firenze al 46% (poco meno del 40% la media nazionale). Il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti tuona: “Non è più tollerabile che ogni anno per alcune città il periodo di siccità si tramuti in un problema di approvvigionamento idrico”. 

A queste emergenze “abituali” si aggiungono altre sgradite sorprese come gli incendi che d'estate colpiscono le aree boschive. Si presume che alcuni di questi vengano appiccati dai forestali “stagionali” che in questo modo hanno la possibilità di prolungare il loro periodo lavorativo (e con ciò anche i loro stipendi). Quest'anno però è emerso che intere zone siano sprovviste di velivoli antincendio. I media riferiscono che, in seguito all'accorpamento dei forestali nel Corpo dei Carabinieri, la questione circa la capacità operativa dei mezzi antincendio sia stata notevolmente trascurata.

Cumuli di macerie nei paesi degli Appennini

La lista delle emergenze e dei disguidi nazionali prosegue senza sosta. A Roma il deposito dei rifiuti è stato chiuso; in mancanza di inceneritori però una gran parte dei rifiuti viene portata all'estero con i treni. A Napoli un edificio di quattro piani è crollato. Il ponte autostradale crollato a maggio nei pressi di Ancona è solo uno dei tre casi analoghi di cedimento verificatisi in sei mesi. Sempre a Roma uno sciopero di 24 ore indetto da due minuscole sigle sindacali ha paralizzato l'intera città: la motivazione era quella di opporsi a qualunque ipotetica proposta di privatizzazione delle linee dei bus e di rivendicare il “diritto allo sciopero”. A Roma ci sono a stento due linee e mezzo di metropolitana per una copertura di 44 km, un paio di tram obsoleti e bus consumati, senza i quali però il traffico va in tilt. Inoltre resta ancora un mistero il motivo per cui un terzo dei bus cittadini sia bloccato in deposito per manutenzione, mentre i meccanici delle officine dei bus il pomeriggio lavorano altrove. Da una parte non si trova il denaro per acquistare i pezzi di ricambio, dall'altra però si incoraggia l'acquisto delle ruote dei bus in modo da alimentare i fondi neri. Si è scoperto che un sindacalista operava da intermediario e grazie ai prezzi gonfiati riusciva a mettere da parte fino a 7 milioni di euro, ufficialmente per la mensa ma certamente anche per affari privati.

Se l'organizzazione quotidiana risulta così difficoltosa, non sorprende certo che le conseguenze dei terremoti verificatisi ad agosto e ottobre 2016 non siano ancora state superate. Nei paesini degli Appennini ci sono ancora cumuli di macerie. Di recente il sindaco del Comune di Visso ha dichiarato che se non verranno intraprese delle contromisure nessuno dei vecchi abitanti tornerà in paese.

Le emergenze a lungo termine cadono nel dimenticatoio

È possibile far peggiorare ancor di più questo stato d'emergenza? Sì, è possibile; e le cause sono molteplici. In Italia i politici si sentono impotenti dal momento che nessuno può prendere una decisione senza prima aver consultato tutte le autorità competenti in materia. Quando qualcuno alla fine osa intraprendere un'azione, corre il rischio di violare una delle 100.000 disposizioni in vigore, di finire a processo (per un indefinito numero di anni...) per via di una quisquilia e magari di dover anche pagare un risarcimento di parecchie migliaia di euro. C'è poi anche un conflitto di potere tra i diversi livelli decisionali ma soprattutto ci sono le prassi imposte dal clientelismo politico, secondo le quali ogni occasione è buona per ricompensare i propri raccomandati con posti di lavoro, incarichi e denaro. E quando sussiste il pericolo che un avversario riesca a mettere le mani su un incarico – e sulle relative prebende – si passa al contrattacco cercando di bloccare tutto nella speranza di propizi incroci politici.

A parte questi bassi istinti, progetti a lungo termine miranti a risolvere gli annosi problemi italiani rappresentano un'ardua impresa. Molto più appetibile impiegare le risorse a disposizione in provvedimenti come “il bonus aggiornamento docenti” o “il bonus cultura ai 18enni” (in entrambi i casi del valore di 500 Euro), oppure promettere la quattordicesima per le pensioni più basse, 400 Euro mensili di sussidio per i nuclei familiari più poveri e un bonus (al cui finanziamento si provvederà solo in un secondo momento) per le pensioni minime future dei giovani italiani. In prossimità del referendum del dicembre scorso Matteo Renzi aveva annunciato un “bonus mamma” di 800 Euro una tantum, senza però prestare attenzione alle norme di attuazione. Mancano invece i fondi necessari per rinnovare anche nel 2018 le deduzioni fiscali in favore delle imprese, che nel 2017 avevano potuto usufruire di questa “misura-esca” in caso di investimenti.

Non si possono concepire le riforme come regali da elargire prima delle elezioni, anche perché misure analoghe verrebbero poi proposte anche dagli altri partiti politici. E, soprattutto, chi vuole investire a lungo termine, non si può illudere di poter raccogliere i frutti politici di tali decisioni, semplicemente perché i cambi di governo sono troppo frequenti.

Il debito pubblico è salito al 133%

Quando nel 2014 l'allora 39enne Matteo Renzi divenne Presidente del Consiglio, promise di affrontare tutte queste inefficienze. Diceva che non gli stava a cuore il potere, bensì il futuro dei propri figli. Promise tante riforme, ne portò a termine una sola – quella del mercato del lavoro (n.d.t abolizione dell'articolo 18) – per poi spostare l'attenzione sulla riforma elettorale e su quella costituzionale. Per riuscire in questo intento si avviò spedito sul percorso del populismo condito da regali elettorali e slogan antitedeschi. La sua smodata sete di potere ha finito per renderlo talmente insopportabile che per gli avversari di Renzi è stato fin troppo facile convincere gli italiani a rigettare le sue riforme in modo da porre fine alle ambizioni di quel politico sempre più detestato. Risultato: la politica e le tante riforme si sono oramai arenate.

Renzi però è nuovamente a capo del PD, tuttavia all'interno del partito è in corso un'accanita diatriba circa le possibili coalizioni. La destra avrebbe buone chance elettorali se non fosse spaccata tra moderati ed euroscettici. Da qualche parte, nella terra di nessuno, si trova Beppe Grillo, privo di qualsiasi programma concreto ma sempre prodigo di ricette populiste e pronto a scagliarsi contro gli sprechi, il Fiscal Compact e l'ondata di migranti. Per le prossime elezioni del 2018 ancora non c'è nemmeno una legge elettorale in grado quantomeno di garantire proporzioni simili tra Camera e Senato, poiché la proposta di legge è stata ogni volta rigettata dalla Corte Costituzionale in riferimento ad entrambe le Camere.

Se la politica italiana dovesse risultare pressoché incapace di agire proprio nel momento della prossima scadenza elettorale, ciò si rivelerebbe un errore fatale. Perché se da un lato il Paese può tirare avanti per altri due anni con i soliti problemi, dall'altro le condizioni economiche potrebbero generare nel 2018 un collasso definitivo del sistema generale. Il debito pubblico ammonta attualmente al 133% del PIL, cui andranno sommati gli oneri per il salvataggio bancario. Non va però dimenticato che nel 2018 il periodo degli interessi tenuti artificialmente bassi sarà finito. Se l'Italia – come quest'anno – andrà nuovamente a bussare ai mercati per farsi prestare 400 miliardi di Euro, ci si porrà la domanda se un Paese tanto problematico, zavorrato da ostacoli alla crescita e da una classe politica disfunzionale, sia poi tanto degno di credito. Questo quesito ancora non aleggia nei pensieri dei politici romani. Matteo Renzi ha appena lanciato il nuovo motto: “Siamo di fronte a dieci mesi di campagna elettorale”.

[1]          Deposito di Malagrotta, chiuso ufficialmente il 1 ottobre 2013